Ripartenza verde: industria e globalizzazione ai tempi del covid è il nuovo lavoro di Giuseppe Sabella, direttore di Think-industry 4.0 che spesso intervistiamo su RaiNews.it a commento delle vicende economiche. Pubblicato da Rubbettino Editore e nelle librerie da pochi giorni, il libro ha come tema centrale l’industria e la transizione ecologico-energetica nel quadro della nuova globalizzazione e del ruolo nuovo che Sabella ritiene avere l’Unione Europea. Lo abbiamo intervistato per capirne di più.
Sabella, per cominciare la nostra conversazione, vuole spiegare l’aforisma che ha messo nell’introduzione: “l’industria ha preceduto la filosofia”. Sembra una tesi da sinistra hegeliana… Eppure la contemplazione del mondo, post-pandemia, è quanto mai necessaria per entrare in profondità con quello che è successo…
Iniziamo col dire che questo libro, in linea con quanto sta avvenendo nelle stanze del potere mondiale più lungimirante, celebra il primato dell’economia reale sulla finanza. La ricchezza delle nazioni – per scomodare il grande Adam Smith – non può che essere l’ingegno delle persone, il lavoro, la loro capacità di produrre beni. Abbiamo creduto per molti anni, invece, che la ricchezza andasse cercata nella rendita finanziaria, nei mercati. Come possono questi prosperare se viene meno la spinta verso l’innovazione e la produzione di beni? Questo per dire che certamente c’è un po’ di enfasi dentro quell’aforisma che lei cita, ma anche molta verità. Cos’è l’industria se non il più sofisticato sistema tecnico che abbiamo inventato e sviluppato per coniugare le risorse della terra e il lavoro dell’uomo? In questo senso, l’industria ha preceduto la filosofia perché già nell’antichità, ancor prima che l’uomo fosse in grado di porsi le domande fondamentali sulla propria esistenza, già era capace di creare strumenti tecnici, persino per formarne degli altri. Ma, continua l’aforisma, “è il previsto che coglie di sorpresa l’uomo esperto”…
Mi sta quindi dicendo che è questa sorpresa, questo stupore, che porta l’uomo alla contemplazione del mondo?
Non stavo dicendo questo ma lei fa molto bene a rimarcare questo tratto. La pandemia ha fermato il mondo intero e ci ha costretto a ripensare la nostra vita. Non esiste più il mondo pre-covid, i discorsi in cui si parla di un “come prima” non hanno fondamento. Il mondo post-covid è un mondo nuovo perché oggi abbiamo piena consapevolezza che vi sono agenti – i microbi – che sono tanto piccoli quanto pericolosi. E che con loro dobbiamo convivere. Da qui una serie di abitudini e un’organizzazione sociale nuova, per certi versi anche migliore. Mi riferisco in particolare allo smart working, alla riduzione della mobilità e ad un conseguente calo degli assembramenti. E anche la stessa morfologia urbana cambierà, le periferie saranno più vive e più belle, perché le persone – proprio in virtù del lavoro a distanza – andranno sempre più a cercare la qualità della vita.
E perché è il previsto a cogliere di sorpresa l’uomo esperto?
Come diceva il grande aforista colombiano Nicolás Gómez Dávila, “più che l’imprevisto, è il previsto che coglie di sorpresa l’uomo esperto”. La tecnica – e qui vengo ai suoi limiti e alle virtù della contemplazione che lei saggiamente richiama – genera in noi l’illusione di poter prevedere gli eventi. Qualcosa possiamo certamente controllare, ma la natura – ancora una volta – ci ha mostrato il suo volto felino, per certi versi anche velenoso. È un dualismo che dura da sempre quello del rapporto uomo-natura e che soltanto l’ideologia può pensare di archiviare. È, in questo senso, l’ideologia della previsione, del misurabile, della tecnica appunto. Quel grande filosofo della scienza che è stato Giulio Giorello non ha mai smesso di denunciare il pericolo della tecnica come idolo. Negli ultimi 30 anni, per esempio, il mondo occidentale aveva previsto di rilanciare la propria produzione di ricchezza delocalizzando le produzioni. Ma ciò non è andato secondo aspettative. Anzi, è successo che, in 20 anni, la Cina è cresciuta moltissimo non solo in capacità produttiva ma anche in tecnologia, tanto da essere oggi la più importante manifattura a livello mondiale e il Paese più avanti nella frontiera digitale; ed è l’economia che il mondo e gli USA, l’altra superpotenza, stanno inseguendo. Secondo le nostre previsioni, il processo di off shoring – ovvero di delocalizzazione produttiva – avrebbe dovuto fare la nostra fortuna: in questo modo, producendo a basso costo, avevamo previsto di rafforzare il nostro potere d’acquisto. Non avevamo invece fatto i conti con i cinesi e con la Cina che, invece, abbiamo fatto grande noi, perché lì abbiamo destinato la nostra manifattura, la nostra tecnologia, le nostre competenze, le nostre invenzioni, etc. Tutto questo ha arricchito chi ha investito nei Paesi a basso costo di produzione ma ha impoverito l’Occidente. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: oggi la Cina è il vero vincitore della globalizzazione, sebbene il ciclo che viene sia pieno di variabili.
Cosa ci aspetta nel futuro prossimo venturo? Le previsioni ci danno l’immagine di un momento molto difficile che, in parte, deve ancora arrivare.
Premesso che la pandemia, in particolare nei mesi di marzo e aprile, ha fatto dei danni ingenti in tutto il mondo a livello di produzione industriale – Italia meno 47,5%, Francia meno 36,3%, Germania meno 26,8%, Spagna meno 32%, UK meno 20,3% nel mese di aprile (marzo poco sopra lo zero), USA meno 16,6%, in Cina i mesi più duri sono stati quelli di gennaio-febbraio (produzione industriale meno 13,5%) – è evidente che in Italia vi è stato un lockdown più pervasivo rispetto alle altre economie avanzate e che il nostro Paese, anche in ragione delle previsioni, ha davanti a sé la sfida più importante degli ultimi 50 anni. Sapremo invertire la rotta? Al di là di noi, Cina e USA saranno quelli di prima? Gli USA stanno conoscendo serie difficoltà nella gestione del fenomeno pandemico, sia a livello sanitario che sociale. Per quanto riguarda la Cina, non sono convinto di ciò che per esempio sostengono Prodi e Forchielli, che sarà ancora l’economia più forte. Per il dragone il post-covid potrebbe essere, come per esempio sostengono Tremonti e Sapelli, l’inizio di una crisi interna importante. Insomma, le incognite non mancano. E, se devo dire dove vedo più certezze, direi Europa.
Perché questa nota di ottimismo sul Vecchio continente? Da dove origina?
L’Europa, già prima della pandemia, stava lavorando su un programma comunitario di rilancio dell’economia e delle produzioni, non solo in chiave ecologica ma anche in chiave di innovazione digitale: è questo il Green New Deal. Non è un caso che, proprio in questi giorni siano successe due cose importanti: in primis, l’Europa ha lanciato la piattaforma di cloud computing Gaia-X, proprio per iniziare a colmare il ritardo che ha sul digitale con i big di USA e Cina; è il progetto di una nuova infrastruttura europea per la gestione dei dati che sappiamo essere decisiva nell’era digitale. In secondo luogo, in un’intervista al Financial Times Christine Lagarde si è detta “pronta a esplorare ogni strada per sostenere il rilancio dell’industria europea anche nell’ottica di fronteggiare il cambiamento climatico”. In precedenza, già la Presidente Von Der Leyen aveva manifestato tutta la sua determinazione per il Green New Deal, che solo l’emergenza sanitaria ha reso meno in primo piano nei lavori della Commissione. È quindi un ottimo segnale che anche un’istituzione come la BCE trasmetta tutta la sua convinzione in tal senso. Lo potremmo definire, dopo quello di Mario Draghi, il “whatever it takes” di Christine Lagarde. Purtroppo però in questo quadro in cui l’UE da segnali importanti non solo per la sua industria ma anche per la sua integrazione, l’Italia pare reagire in modo molto parziale alla situazione. Non bastano le misure assistenziali, è fondamentale pensare anche alla ripresa, le aziende hanno bisogno di strumenti per progettare il futuro. Da questo punto di vista, il decreto rilancio è una delusione. Vi sono sì i bonus per edilizia e auto ma non vi è praticamente nulla per l’innovazione d’impresa. Deve ripartire il piano industria 4.0 in modo poderoso. Imprese e industrie vanno sempre più portate sull’orizzonte digitale, su cui l’Europa è indietro: l’85% degli investimenti in intelligenza artificiale sono stati fatti in aziende americane e cinesi. Anche per questo, e non soltanto per fronteggiare l’emergenza climatica, è nato il Green New Deal. Per l’Italia, secondo Paese manifatturiero d’Europa, è occasione fondamentale che non possiamo mancare: nel giro di tre anni, rischiamo di uscire dal gruppo dei Paesi avanzati.
A proposito di ambiente, Papa Francesco sembra essere l’unico leader mondiale in grado di trasmettere messaggi per le masse sull’importanza della cura del pianeta. Da questo punto di vista, la politica non sembra aver compreso l’emergenza climatica.
Dall’Europa mi pare stiano arrivando segnali e messaggi chiarissimi, per una volta mi sentirei di plaudire a ciò che sta facendo l’eurogruppo. L’Europa potrebbe anzi lanciare una nuova idea di multilateralismo fondata proprio sul climate change, sulla cybersecurity, sulle migrazioni. USA e Cina hanno nei confronti dell’ambiente un atteggiamento diverso: benché l’innovazione dell’industria non sia da meno, Trump in particolare sul “green” è molto freddo. Perché sa bene che l’Europa, prima degli USA, ne ha fatto una questione identitaria, anche grazie a Greta Thunberg e al suo movimento dei fridays for future. Il termine Green New Deal è oltretutto nato negli USA quando, nel 2019, il Congresso proponeva un pacchetto chiamato proprio Green New Deal che mirava a far fronte ai cambiamenti climatici oltre che alla disuguaglianza economica. Ma Trump e i repubblicani non hanno apprezzato e, da questo punto di vista, siamo stati più bravi noi europei. Una vera beffa per gli americani. Stringendo però sulla sua domanda, e quindi sul Papa, direi che il recente documento della Santa Sede In cammino per la cura della casa comune: a cinque anni dalla Laudato sì è segno che, sul problema, l’attenzione del Pontefice e della Chiesa è molto alta. Del resto l’emergenza è tale e il messaggio biblico è chiaro: “il Signore pose l’uomo nel Giardino affinché lo coltivasse e lo custodisse” (Genesi 2.15). Oggi è l’ora, in particolare, della custodia del pianeta e della cura della casa comune, come dice Papa Francesco.