Il grande bivio di Giorgia Meloni. Intervista a Fabio Martini

Giorgia Meloni (Ansa)

Nel centrodestra si sta imponendo la figura di Giorgia
Meloni. Sarà lei la leader della coalizione? Ne parliamo
con Fabio Martini inviato e cronista parlamentare del
quotidiano “La Stampa”.

Fabio Martini, sempre più Giorgia Meloni sta facendo
parlare di sé. Sicuramente un dato è certo, almeno
stando ai sondaggi: il suo partito è in crescita (supera
abbondantemente il 13%, e insidia da vicino il
Movimento 5stelle). Domanda: a parte il tradizionale
voto di destra (cui anche la Lega beneficia) sembra di
capire che l’espansione di questo partito stia
avvenendo grazie a quella parțe di società arrabbiata
che ha votato per i 5stelle e la lega, senza dimenticare
il voto borghese di forza Italia (mettendo, in questo
ambito, il voto cattolico tradizionalista). È così?

Fabio Martini (AUGUSTO CASASOLI/A3/CONTRASTO)

Oramai viviamo in una sondocrazia, con sondaggi più o meno attendibili che misurano qualsiasi evento, e quindi da una decina di mesi sappiamo che è in atto un’escalation di intenzioni di voto
a favore dei Fratelli d’Italia. Nessuno ci ha spiegato ancora e in modo analitico le ragioni di questo boom, ma se guardiano ai numeri reali e non virtuali, capiremo qualcosa in più. Nelle elezioni Politiche del 2018 la Lega di Salvini raccoglie il 17,3% dei consensi, Fratelli d’Italia di Meloni il 4,3%. Totale: 21,6%, percentuale che a leggerla oggi ci stupisce per le sue dimensioni circoscritte. Ma un anno dopo, al culmine di scelte politiche ben mirate e di un’efficace presenza sui media vecchi e nuovi,
Salvini raddoppia la percentuale (34,3%) strappando voti ai Cinque stelle, mentre Meloni resta sostanzialmente al palo (più 2,1%). Passano tre mesi, Salvini calcola male le sue mosse, gli altri fanno un nuovo governo e dall’autunno inizia l’escalation di Meloni. Tutta ai danni della Lega, tutta dentro il perimetro del centrodestra e intercettando in gran parte quel voto di protesta indistinto che era passato dai Cinque stelle alla Lega.

In questi ultimi mesi la leader di Fratelli d’Italia ha cercato
di crearsi un profilo “repubblicano” (diciamo così), cercando
di distanziarsi dall’altro sovranista che è Matteo Salvini. Per
esempio questo è avvenuto sul Recovery Fund. Però
nell’ultimo dibattito parlamentare, sulla proroga dello “stato
d’emergenza”, i toni del suo intervento sono stati assai
virulenti. A me sembra che  il suo profilo “repubblicano” sia
più forma che sostanza. Qual è il tuo pensiero?
Un intervento assai significativo perché ha segnato l’immagine
di Giorgia Meloni: per le argomentazioni («deriva liberticida,
siete pazzi irresponsabili»), assai più hard di quelle usate dagli
altri esponenti del centrodestra, ma anche per il linguaggio del
corpo: viso trasfigurato e decibel alti. Un’immagine “tosta” che
propone il bivio assai importante che riguarderà Meloni nei
prossimi mesi: concentrarsi sul voto di “pancia”, continuando ad
erodere la Lega, oppure rafforzare il profilo di “destra
repubblicana”, bipartisan sulle questioni di interesse nazionale?
In altre parole: leader di un partito-coalizione o di un partito
nella coalizione? O per capirsi ancora meglio: leader di un
partito o leader della coalizione? L’ultima Meloni fa pensare ad
una scelta più concentrata sul successo dei Fratelli d’Italia ma la
politica italiana è molto mobile e un ulteriore incremento dei
consensi per il suo partito, potrebbe indurre Meloni a riprendere
il progetto avviato e non concluso da Gianfranco Fini: una destra
nazionale potenzialmente capace di parlare al Paese e non solo
ad una fetta di elettorato.

Sul piano dei rapporti internazionali Giorgia Meloni, per
esempio nei potentissimi  circoli ultraconservatori americani
ed europei,  offre maggiore “affidabilità” caratteriale
di  Matteo Salvini. Ma questa “affidabilità” è sufficiente per
proporsi come leader di una destra moderna?
In alcuni circoli internazionali, oltre all’affidabilità caratteriale, è
richiesta soprattutto l’affidabilità atlantica. Che Matteo Salvini
non ha garantito. Nel momento della sua ascesa, si è appoggiato
a circoli che puntano a destabilizzare l’Europa e in particolare a
Vladimir Putin, rispetto al quale la Lega non è stata in grado di
mantenere le promesse, che erano quelle di un’azione politica
volta ad allentare le sanzioni. Meloni si è collegata invece ai
circoli della destra conservatrice americana (quella che guardò
con simpatia a Fini) ed europea. L’ancoramento atlantico
sicuramente può aiutare l’ascesa di Giorgia Meloni.

E sempre per rimanere in ambito internazionale il partito
della  Meloni fa parte del Gruppo dei “Conservatori e
Riformisti Europei”, un gruppo euroscettico e
antifederalista. Anche qui siamo lontani dall’idea di una
destra europea sognata da Gianfranco Fini, per cui il suo si
al “recovery fund” sembra più dettato dall’interesse
nazionalistico che dallo spirito di condivisione europeistico.
Cosa ne pensi?
Dopo il risveglio dell’Europa, i sovranisti – per dirla con
Romano Prodi – hanno preso una bella “botta”. Meloni, che è
sempre stata border line, ci resterà. Ma certo siamo lontani anni
luce dalla scelta fatta da Gianfranco Fini, che rappresentò l’Italia
– assieme a Giuliano Amato – nella Convenzione chiamata a
scrivere la Costituzione europea.

Tutti sanno che Giorgia Meloni viene dal Msi, quanto di quel
partito è rimasto nella cultura politica di Giorgia Meloni?
Quando l’Msi per la prima volta si presenta alle elezioni
politiche col simbolo di Alleanza nazionale, Giorgia Meloni
aveva 17 anni. Ma sicuramente An, il partito nel quale lei è
cresciuta, aveva le sue radici nell’Msi.  Un partito che, dal 1946
al 1995 ebbe leader forti e dialettica interna vivacissima: quella
vivacità oggi si è spenta, comanda Giorgia. An e Msi erano
partiti stimolati da intellettuali non conformisti: diradati. I tratti
principali della cultura politica missina sono quasi tutti
scomparsi e perciò assenti in Giorgia Meloni. Il nostalgismo:
assente. Il presidenzialismo: assente. La rivendicazione delle
mani pulite come conseguenza dell’emarginazione politica:
assente. Meloni però ha ereditato da Msi e An un bene
immateriale: la scuola politica. Quel dna che le consente quasi
sempre di restare nell’ambito del “politicamente corretto”. E in
ogni caso vengono dall’Msi i “colonnelli” che, pur indotti a stare
un passo indietro, restano gli unici che tra i Fratelli d’Italia
possano vantare professionismo politico: Ignazio La Russa,
Adolfo Urso, Francesco Storace, Fabio Rampelli.

Giorgia Meloni ha una visione della politica ”muscolare” .
E  per sua natura tendente alla semplificazione (vedi il tema
dell’immigrazione), in questo non si distingue molto da
Matteo Salvini. Domanda   perché alcuni settori moderati (o
supposti tali) sono attratti da lei?
Lo dicevamo prima: avere o meno come interlocutori anche
elettori moderati è l’enigma dei prossimi mesi. Per ora non sono
gli elettori in cima ai pensieri di Giorgia Meloni.

Quanto pesa il populismo nella prassi, diciamo nell’estetica
politica di Giorgia Meloni?
Se c’è una differenza tra lei e i leader della destra del passato sta
proprio in una certa “estetica populista”: Almirante e Fini sono
stati capi che hanno espresso una forza demagogica e
contestativa, naturali per un partito rimasto ai margini per
mezzo secolo, ma entrambi accompagnavano la forza
d’urto con quella che Giovanni Sartori gravitas. Un
approccio che, per ora, sembra difettare alla leader di
Fratelli d’Italia:

Ultima domanda: come si svilupperà il rapporto, destinato a
diventare molto conflittuale, con Salvini?
Le diversità, le divergenza e i contrasti sono destinati ad
aumentare. Già oggi l’affetto reciproco è basso ma occorre dare
atto ai due di aver finora soffocato con notevole abilità questa
diffidenza.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *