Si è tenuto ieri pomeriggio un vertice al Ministero dello Sviluppo Economico a cui hanno preso parte il Ministro Patuanelli e i sindacati. Dagli elementi che sono emersi, anche in virtù di alcune dichiarazioni di chi era presente, la vicenda Ilva sembra giunta ad un punto di svolta. Anche perché, in assenza di un vero cambio di marcia, ArcelorMittal potrebbe lasciare Taranto dal 1 dicembre 2020. Inoltre, la notizia diffusasi in serata relativamente all’incarico affidato a Eni – da parte di Mittal – per la progettazione delle bonifiche di suoli e falda a Taranto, suona come una novità importante. Ne abbiamo parlato Giuseppe Sabella, direttore di Think-industry 4.0, che dall’inizio segue le vicende della ex Ilva.
Sabella, ieri sera – al termine del vertice al Mise – i sindacati hanno deciso di sospendere lo sciopero dei lavoratori dello stabilimento siderurgico ArcelorMittal di Taranto previsto per oggi. Si tratta indubbiamente di un segnale positivo. Come sta evolvendo la situazione?
I sindacati ieri hanno avuto rassicurazione da parte del Governo soprattutto in relazione al confronto che dal primo ottobre si aprirà con ArcelorMittal relativamente al nuovo piano industriale e agli assetti proprietari del gruppo, in modo da chiudere presumibilmente la trattativa entro il mese di ottobre. Del resto non vi è alternativa: o il Governo si accorda con Mittal o la multinazionale franco-indiana lascerà l’Italia. Personalmente, come anche in altre occasioni ho avuto modo di dire a RaiNews, non ho mai creduto a questo scenario che sarebbe oltremodo funesto per la nostra industria.
Qual è intanto la situazione nella ex Ilva, in particolare a Taranto?
Com’è noto, recentemente è partita un’altra massiccia dose di cassa integrazione. Solo nel sito di Taranto vi sono quasi 5.000 lavoratori in cig per 9 settimane. La produzione di acciaio sta viaggiando a livelli molto bassi, si stima che a fine anno raggiungerà 4 milioni di tonnellate rispetto agli 8 previsti. Da una parte incide senza dubbio il rallentamento del commercio mondiale anche se i mesi di marzo e aprile – quelli con il lockdown più pervasivo – sono quelli in cui Arcelor Mittal è ricorsa meno agli ammortizzatori sociali, evidentemente sfruttando il fermo di qualche competitor diretto. Dall’altra, restano i problemi relativi alla crisi del settore auto – aggravatasi con la pandemia – e alla concorrenza cinese e turca. Ciò spiega le difficoltà che il colosso della siderurgia ha incontrato nel 2020. Vi sono però responsabilità del Governo che ne hanno rallentato la ripresa.
A cosa si riferisce in particolare?
Intanto, a marzo di quest’anno veniva finalmente risolto il contenzioso esploso con la revoca dello scudo penale: Mittal ritirava la sua volontà di recedere e il Governo si impegnava a realizzare investimenti green. Siamo quasi a ottobre e nessuno ha ancora contezza di cosa intende fare il governo. Addirittura, tra lunedì e martedì di questa settimana, a tal proposito il ministro Roberto Gualtieri ha rilanciato l’idea della produzione a gas (idrogeno, tecnologia DRI), molto costosa – è ciò in cui il Governo si è impegnato – ma in grado di avviare la grande fabbrica verso un vero percorso di sostenibilità ambientale. Poco dopo, il responsabile del Mise Stefano Patuanelli diceva che la produzione a gas non è un’ipotesi concreta. È evidente che al governo non hanno le idee chiare. Ed è grave, perché è ovvio che in questo contesto l’azienda ha tutto da guadagnare – scaricando i costi del personale sulle casse dello Stato con la cig – e a farne le spese sono i lavoratori.
Perché Mittal potrebbe lasciare l’Italia e perché secondo lei non lo farà?
Perché l’accordo del marzo scorso prevede che senza gli investimenti che il governo si è impegnato a fare – a cui seguirà un nuovo assetto societario con la partecipazione dello Stato in ArcelorMittal Italia – dal 1° dicembre 2020, Mittal potrebbe lasciare l’Italia esercitando una clausola rescissoria di 500 milioni di euro. Fino a quando il Governo non presenterà una proposta concreta a Mittal – che investimenti vuole fare, quanto vuole investire e che quota vuole di Arcelor Mittal Italia – il player franco-indiano farà sempre più rallentare lo stabilimento, producendo acciaio altrove e andando verso il recesso a dicembre. È auspicabile che non si verifichi questo scenario perché non sarà semplice trovare un altro player privato. A ogni modo, come dicevo, sono convinto che questo resterà solo un pericolo perché l’operazione che è alle porte sarà molto conveniente per ArcelorMittal.
Perché secondo lei questa operazione risulterà conveniente e interessante per ArcelorMittal? E se mai non lo fosse e Mittal lasciasse, esiste un altro investitore che potrebbe subentrare?
Non credo che possa esistere un altro investitore che, al punto in cui è giunta la vicenda, decida di immolarsi su una strada così patologica e complessa. E lo Stato non è in grado di gestire la situazione da solo, già lo abbiamo visto negli anni del Commissariamento (2012-2018). L’expertise del privato è fondamentale, il pubblico non riesce nemmeno a fare politiche per l’industria 4.0 tanto è il deficit di innovazione che registriamo in Italia figuriamoci a gestire uno dei siti più complessi che abbiamo. Quindi, bisogna che il Governo faccia di tutto per non perdere Mittal. A ogni modo, ieri sera Patuanelli ha dato queste rassicurazioni ai sindacati.
Nello specifico, cosa ha reso noto il Ministro ai sindacati?
Sulla base di qualche indiscrezione, possiamo dire che Patuanelli ha detto loro che a breve dovrebbe arrivare a conclusione la due diligence avviata da Invitalia e finalizzata al possibile coinvestimento in ArcelorMittal. Quanto agli investimenti, il titolare del Mise avrebbe parlato di un fondo da 3 miliardi di euro, risorse che in gran parte arrivano dall’Europa per riprogettare e modernizzare la grande fabbrica. Lo stabilimento dell’ex Ilva va indirizzato verso una sua evoluzione green. A Taranto vi è uno dei distretti industriali più importanti d’Europa, con vicino un porto strategico. Non solo va rilanciato con le risorse del Recovery Fund – il cui fine è il rilancio delle produzioni anche in un’ottica green – ma potrebbe anche diventare una delle operazioni più interessanti del Green New Deal tanto caro a Ursula von der Leyen e a Giuseppe Conte. La portata dell’operazione spiega da sé perché per ArcelorMittal sia conveniente.
Intanto, nelle ultime ore si è diffusa la notizia che Mittal ha incaricato Eni per la progettazione delle bonifiche di suoli e falda dell’ex Ilva a Taranto. Pare elemento dirimente, lei cosa ne pensa?
Sono d’accordo con lei. Questa è una notizia importantissima. Eni Rewind, società ambientale di Eni e centro di eccellenza nel risanamento e nella valorizzazione delle risorse naturali in ottica circolare, si occuperà di assistere ArceloMittal nella progettazione degli interventi di bonifica dell’area ex Ilva a Taranto. L’accordo tra Mittal ed Eni contempla anche l’assistenza specialistica nell’iter autorizzativo finalizzato all’approvazione da parte degli enti preposti del progetto di messa in sicurezza operativa dello stabilimento ArcelorMittal Italia a Taranto. Insomma, la scadenza elettorale alle spalle permette ora al Governo di dedicarsi ai dossier urgenti. Questo è uno di quelli. È l’ultima chiamata per la ex Ilva e, questa volta, non si può sbagliare.