Le quattro sfide di Biden

Come si muoverà Joe Biden nello scacchiere internazionale? Quali saranno i suoi rapporti con le potenze mondiali? Quali le sue priorità? Ne parliamo, in questa intervista, con il professor Vittorio Emanuele Parsi, Ordinario di Relazioni Internazionali all’Università Cattolica di Milano.
Professore, il risultato delle presidenziali americane, per qualche osservatore italiano, rappresentano una sorta di “25 Aprile per l’America e per il mondo” . Che mondo ci ha lasciato Trump?

Professor Vittorio Emanuele Parsi

L’effetto più devastante di quattro anni di presidenza Trump è stato aver legittimato e amplificato un clima di scontro permanente e di ridicolizzazione della verità. È la tossina peggiore che può essere inserita nel corpo di una democrazia, in grado di staccare la carne della società dallo scheletro delle sue istituzioni, come un botulismo della politica. Trump ne ha fatto un uso massiccio e crescente, a mano a mano che il dilettantismo e l’incompetenza della sua azione veniva amplificata dalla magnitudine dei problemi che non riusciva ad affrontare.
Veniamo al Presidente eletto, Joe Biden. Quale sarà la prima mossa, secondo Lei, che farà per ridare credibilità agli USA nello scenario internazionale? O pensa, invece, che per prima cosa proverà a pacificare la società americana?

Le due cose vanno insieme, per molti aspetti. Ma la priorità è ovviamente alla dimensione domestica. Se vorrà riuscire a essere il presidente di tutti gli americani, Joe Biden dovrà dimostrare di non essere “un uomo per tutte le stagioni”. Le sfide che lo attendono sono talmente gigantesche che soltanto una leadership salda ed efficace potrà produrre la riunione sotto una sola bandiera di una nazione lacerata. Queste sfide si chiamano, rispettivamente: disintossicazione della società dal mix esplosivo di sovraeccitazione e bugie che hanno caratterizzato questa stagione; gestione responsabile della pandemia; riequilibrio dell’economia; rilancio della leadership americana nel mondo.
Parliamo dei nodi strategici (Unione Europea, Russia, Cina, Medio Oriente, Israele e Africa). I leader europei (quelli non sovranisti) hanno tirato un sospiro di sollievo. C’è da sperare in un rilancio della alleanza con l’Europa?  Cosa potrà concedere?

Il problema non è la concessione, ma la consapevolezza che la grandezza di un Paese, come di un essere umano, dipende dalla qualità delle relazioni che ha con gli altri.

In che senso?

L’America è stata grande quando è stata la leader del mondo libero e un esempio per gli altri. Il recupero di questa “tradizione”, la tradizione del secolo americano per noi europei è la migliore garanzia.
Nei confronti del protagonismo di Putin come si porrà?

La Russia perde il suo miglior interlocutore. In ogni caso la tradizione democratica recente è di forte diffidenza verbo la Russia. Poi, intendiamoci, la Russia ha ben maggiori problemi. Il rinsaldarsi della relazione con UE e dentro la NATO ovviamente riduce lo spazio di manovra di Mosca.
Sulla Cina  ci sarà un approccio pragmatico?

Cina e USA sono ormai su una rotta di confronto. Ma si può impedire che questo degeneri in un conflitto (sia pure non armato). Certo la politica di Biden si attende meno erratica e provocatoria. Ma con i dazi, il deficit commerciale USA verso la Cina è aumentato…

Medio Oriente e Israele. Sappiamo che Trump era tutto schiacciato su Beniamin Netanyahu. Che con Trump si è reso protagonista della politica cosiddetta “Pace di Abramo”. Dimenticando, così, i palestinesi i. Ci saranno novità?

Questo è il quadrante più complicato. Netanyahu è ben consapevole di aver perso “il miglior amico di Israele”. Del “suo” Israele, intendiamoci. Ma Biden non potrà facilmente recedere dal trasferimento dell’ambasciata USA a Gerusalemme e dal riconoscimento della sovranità israeliana sulle alture siriane del Golan. Sugli insediamenti illegali e illegittimi dei coloni israeliani nei territori palestinesi occupati (dal 1967) potrebbe invece esserci un cambiamento. Così come sul finanziamento alle autorità palestinesi e alle agenzie ONU che consentono al popolo palestinese di sopravvivere.

Su Erdogan e Iran?  Su Erdogan sarà più duro?

Biden è stato l’artefice del JCPOA e della fine dell’ostracismo dell’Iran. Tenterà di ristabilire un accordo con l’Iran, sia pure a condizioni diverse dal vecchio trattato. Sarà probabilmente disponibile ad aiutare economicamente Tehran, in cambio  di maggiori rassicurazioni sui suoi programmi missilistici e tecno-nucleari. Con Erdogan possiamo aspettarci minor condiscendenza e maggior contrasto alla sua disinvolta politica di espansione regionale.

L’Africa può tornare ad essere strategica per gli Usa?

Non più di quanto lo sia stata negli ultimi anni. Sarà importante per stabilizzare il continente in chiave di contrasto all’islamismo estremista e all’espansionismo cinese.

All’Italia ridarà un ruolo di interlocutore privilegiato?

No. Ma l’Italia si può solo avvantaggiare di un. Presidente USA favorevole al multilateralismo, alle istituzioni internazionali, alla UE.  il ritorno degli USA a una politica dia attenzione transatlantica e non ostile alla UE semplifica la nostra politica estera.

Insomma con Biden torna il multilateralismo? 

Biden ha annunciato in un programma di interventi pubblici e di nuova regolamentazione dell’economia persino superiore a quelli presenti nel programma di Obama. È la sola rotta percorribile, per quanto ardua, affinché gli Stati Uniti possano tornare a essere il Paese leader delle democrazie. Le angosce che hanno gonfiato le vele di populismo e sovranismo rimangono tutte. E devono essere affrontate senza illudersi che un ritorno al passato sia la soluzione. Una globalizzazione meno selvaggia, un mercato più inclusivo ed equo, uno sviluppo più attento alla salvaguardia del pianeta, una società che non mortifichi qualità e aspirazioni della sua metà femminile: sono tutti obiettivi più a portata di mano con l’America che senza l’America o contro l’America. Ecco perché la vittoria di Joe Biden è stata accolta con tanta soddisfazione da tutti i leader europei. Da sola non basterà a rimettere in carreggiata multilateralismo e internazionalismo liberale, né risolverà magicamente i problemi ambientali. Neppure cambierà la realtà di una crescita relativa del ruolo cinese nel mondo o delle tensioni esplosive del Medio Oriente: ma ci fa guadagnare tempo, ci fornisce rassicurazioni sul metodo e sulla responsabilità con cui Washington si muoverà nei prossimi quattro anni. Ci offre, in sintesi, maggiori speranze di successo.

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