Per un PD “liberal”. Intervista a Giorgio Tonini

Nel PD, in questi giorni, si discute molto di “Primarie”. Matteo Renzi, sindaco di Firenze, è già in pista da qualche giorno. Con il suo “camper” gira la penisola incontrando amministratori e simpatizzanti. Oltre al Segretario Bersani sono in campo altri esponenti del PD (Laura Puppato e Beppe Civati). Da segnalare la presenza in queste primarie di Bruno Tabacci e, quasi sicuramente (vuole garanzie che non siano un congresso “mascherato”), di Nichi Vendola. Altri, forse, se ne aggiungeranno (Rosi Bindi?). Insomma primarie affollate. Comunque saranno un’occasione di far conoscere la proposta di governo del centro-sinistra. E per il PD anche un modo per far emergere la sua anima riformatrice. Per parlare di questo abbiamo intervistato il Senatore Giorgio Tonini, esponente dell’area liberal del PD, autore- con il collega Enrico Morando – del libro, uscito in questi giorni edito da Marsilio, “L’Italia dei democratici”.

Senatore Tonini, anche sabato al Convegno delle Acli, il segretario Bersani ha riproposto l’alleanza “progressisti-moderati” con l’Udc. Lo schema prevede anche l’ingresso di Nichi Vendola. Come può reggere una alleanza così? La vostra componente (quella liberal) mi sembra fuori dalla partita…

A mio modo di vedere, la riorganizzazione del centro-sinistra attorno allo schema della “divisione del lavoro” tra “progressisti” e “moderati” è strutturalmente contraddittoria con l’idea che stava alla base della creazione del Partito democratico, ovvero la casa comune dei riformisti. Assomiglia molto di più allo schema del 1994: allora progressisti e moderati andarono al voto divisi e vinse Berlusconi. Oggi Bersani sembra riproporre un’alleanza organica (“progressista”) tra Pd e Sel, da completare dopo il voto con un patto di governo con i moderati aggregati attorno all’Udc. Un’alleanza pre-elettorale che vada da Vendola a Casini è infatti troppo eterogenea per risultare una proposta di governo convincente. Ma se pensiamo ad un’alleanza dopo il voto, che senso ha continuare a difendere il premio di maggioranza? E che senso ha fare le primarie per il candidato premier, quando è del tutto improbabile che, dopo il voto, l’Udc accetti come premier il nostro candidato?

Veniamo alle Primarie. Per Fioroni le primarie, se si dovesse andare verso una legge elettorale proporzionale, sono inutili e sarebbe più un Congresso (con tutto quello ne consegue in termini di ridefinizione della leadership). Renzi le vuole, tra l’altro, per rottamare l’antica “nomenklatura”. Insomma il rischio è che invece di parlare al Paese le primarie parlino al PD. Quale è la sua opinione?

Io penso e ho detto e scritto che si sarebbe dovuto rispettare lo statuto che ci siamo dati e che dice che il nostro candidato premier è il segretario. A Bersani va dato atto di aver accettato di mettersi in gioco, attraverso primarie aperte. Ma sarebbe stato molto più sensato e assai meno foriero di problemi fare il Congresso del Pd, che come è noto si articola in due momenti: il dibattito tra gli iscritti sulle diverse candidature e mozioni, e poi il confronto tra i candidati emersi come più forti dal voto dei circoli, nelle primarie di partito. I quattro anni del mandato di Bersani scadono nell’estate-autunno del 2013, cioè immediatamente all’indomani delle elezioni. Bersani ha avvertito il difetto di legittimazione e di questa sensibilità gli va dato atto. Ma che senso ha pensare di porre rimedio a questo problema con delle confuse primarie, al momento senza regole, di una coalizione della quale non si conoscono i confini? Detto questo, meglio queste primarie che niente: la voglia dei cittadini di dire la loro è così grande che non possiamo che farle queste primarie, nel modo migliore possibile.

Il suo collega di “area”liberal, Gentiloni, ha scelto di appoggiare Renzi. Renzi è l’erede del discorso del Lingotto di Veltroni? Non le pare una esagerazione? Lei cosa farà?

Con i due discorsi del Lingotto, Veltroni ha tracciato il profilo di un partito democratico, riformista, a vocazione maggioritaria. Questa piattaforma oggi non ha un candidato naturale a rappresentarla. Renzi si candida a raccogliere questa eredità, naturalmente in modo originale, come si conviene a chi è espressione di una nuova generazione. Sto cercando di capire se la sua proposta mi convince. Vedremo nelle prossime settimane.

Come spiega questo continuo apprezzamento di Berlusconi nei confronti di Renzi?

Berlusconi teme Renzi, soprattutto teme un Pd “a vocazione maggioritaria”, un Pd che punti a conquistare al suo progetto per l’Italia una parte dei voti che in questi anni erano andati al centrodestra e che ora vagano, delusi e arrabbiati, tra l’astensione e il voto di protesta. Il Pd più comodo per Berlusconi è quello che a portargli via voti non ci pensa e non ci prova neppure.

E proprio questo richiamo al discorso del “Lingotto” serve per toccare l’identità del PD. Ora nel vostro libro, suo e di Enrico Morando, “L’Italia dei Democratici” proponete alle due culture maggioritarie che hanno dato vita al PD, quella comunista e quella cattolica, di rompere con Gramsci e con Dossetti. Per scegliere Einaudi e De Gasperi. Ovvero che il PD assuma la liberaldemocrazia come sua “ragion pratica”. E allora la “cultura della liberazione”, cioè una idea di politica che ha cuore l’emancipazione umana come prioritario impegno della politica, che fine fa?

Se abbiamo deciso di dar vita ad un partito nuovo è perché abbiamo misurato l’insufficienza di quelli vecchi, più radicalmente ancora l’inadeguatezza delle culture politiche del Novecento, tanto più se prese ciascuna separatamente, rispetto alle grandi sfide del Duemila. Ma l’incontro tra tradizioni politiche diverse può dare vita ad un pensiero nuovo e non ridursi ad una operazione difensiva e regressiva, se è mediato da uno schietto orientamento liberale. In questo senso, il liberalsocialismo è più utile al Pd del gramscismo e il cristianesimo liberale di De Gasperi, con la sua spiritualità del limite e del conflitto, come la chiamava Scoppola, è più fecondo del dossettismo.
La questione dell’uguaglianza è centrale nella nostra proposta, perché noi riteniamo, sulle orme di Bobbio, che essa rappresenti il vero discrimine tra la destra e la sinistra. Ma solo il riformismo e non il radicalismo di sinistra ha consentito storicamente di far avanzare le ragioni dell’uguaglianza.

In questa vostra proposta qual è lo snodo fondamentale per una identità chiara del PD?

Un’Agenda per l’Italia, analoga a quella per la Germania con la quale il governo rosso-verde di Schröder e Fischer ha saputo porre le basi della rinascita del più grande paese d’Europa. Un’agenda che aggredisca contemporaneamente i tre grandi nodi che stanno soffocando il paese: un debito pubblico troppo pesante, una crescita troppo bassa, che anzi sta diventando recessione e declino, e una disuguaglianza intollerabilmente grave. Il nostro libro cerca di avanzare proposte per affrontare insieme questi tre grandi problemi e porre le basi per una ripresa di iniziativa dell’Italia in Europa. In chiara e netta continuità con le linee di azione del Governo Monti.

Francamente all’orizzonte non vedo leader, nuovi De Gasperi, che possono fare questa “rivoluzione”. Il PD progetto incompiuto?

Il Pd sarà un progetto incompiuto finché non vincerà la prova del governo del paese: vincendo le elezioni e poi dando vita ad un governo capace di durare e di affrontare i tre grandi nodi di cui abbiamo appena parlato. Quanto ai grandi leader, agli statisti, non si possono creare a tavolino. Ma si possono creare le condizioni che favoriscano l’emergere dei migliori, di quelli che hanno visione, anziché dei politicanti che si preoccupano solo di se stessi e delle loro carriere.

Proponete, nel vostro libro, anche una riforma “presidenzialista”. Un altro “rospo” da ingoiare per il PD…

Con le primarie il Pd ha già fatto proprio un modello presidenzialista. Forse sarebbe il caso di costruirlo davvero, e anche di dotarlo dei necessari contrappesi di carattere istituzionale e politico. La Francia ci insegna che si può convivere con la crisi dei partiti e le spinte populiste che ne conseguono, proprio avvalendosi di una forma di governo che impedisce alla crisi della politica di riversarsi nelle istituzioni. O, se preferisce, di mettere le istituzioni in condizione di far fronte alla crisi della politica.

Ultima domanda: Dopo Monti Chi?

Un governo di centrosinistra, guidato dal Pd, che assuma appieno l’Agenda Monti, per completarla e arricchirla, come solo un governo politico può fare.

Commenti (2)

  1. Pingback: Svariate ragioni per NON votare Giorgio Tonini « Verso un Mondo Nuovo

  2. sono dalla parte di renzi. quando all’inizio parlava tenendo la parte di silvio mi e’ caduto tutto ,ora mi accorgo che lo snobba e ho capito chi dovro’ votare al momento. l’unico neo e’ che nel 2018 faccio 40 anni di lavoro ,passando dal ghiaccio d’inverno ai 40 gradi d’estate ,quando piove si prende tutta ,gli impermeabili non contano niente sono distrutta fisicamente sollevo pesi e ho la sciena ormai disfatta . non si dovrebbe guardare di differenziare i settori di lavoro per la tipologia sarebbe una bella cosa … PENSACI …una donna speranzosa

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