Una intensa meditazione, questa di Padre Zundel, sulla Resurrezione. Anche
quest’anno siamo in piena pandemia. Le parole di Maurice Zundel, teologo e mistico
svizzero, possono offrirci, in questo tempo doloroso, spunti interiori per la Pasqua. Di
seguito pubblichiamo il Sermone di Zundel, tradotta dal francese da Mario Bertin.
Una delle più grandi affermazioni della patristica sono queste parole di
sant’Ambrogio: “Il Verbo si è fatto carne affinché la carne si facesse Verbo”.
Queste parole sono il migliore commento al testo di san Paolo della prima
lettera ai Corinzi (15, 1-10). Che cosa vuol dire che la Resurrezione di Cristo è la
condizione della nostra? Che la nostra resurrezione è fondata su quella di Gesù?
Che cosa vuol dire per noi, uomini d’oggi? Che cosa vuol dire per l’uomo della
strada che siamo chiamati a resuscitare?
Le parole di sant’Ambrogio tracciano una direzione per scoprire nella
resurrezione di Gesù l’assicurazione della nostra e conseguentemente una ragione di
vivere oggi la nostra vita in pienezza, ciò che sarebbe impossibile senza la
prospettiva della resurrezione.
Sant’Ambrogio ce ne offre una chiave quando dice che “l’iconoclasta” (il Verbo
non rappresentabile attraverso alcuna immagine) “divenne il Verbo”. Egli
presuppone, dunque, una glorificazione della carne, presuppone una stupefacente
trasformazione in noi ora, oggi, nella vita di quaggiù, che è già una vita eterna,
presuppone che la nostra stessa carne si eternizzi.
E’ dunque impossibile immaginare la resurrezione universale se non la si radica
in una esperienza d’oggi che abbia di mira la trasfigurazione della nostra carne, la
glorificazione del nostro corpo.
E immediatamente intravvediamo che l’antropologia biblica non è
l’antropologia platonica. Mentre, infatti, per Platone il corpo è una tomba, è cioè un
ostacolo alla vita dell’anima, essendo per essa una prigione e una forma di
degradazione, la Tradizione biblica, al contrario, arricchita dalla esperienza cristiana,
assume l’Uomo nella sua interezza, senza dicotomizzarlo, senza dividerlo in corpo e
anima, in spirito e carne, perché tutto l’accento della novità cristiana è posto sulla
persona.
Ciò che è di ostacolo alla grandezza dell’uomo non è la sua corporeità, non è la
sua carne, non è il suo corpo, è lo spirito di possesso che lo inchioda a sé, è l’io nel
quale siamo tutti invischiati, l’io proprietario, l’io che si erge a centro di tutto, l’io
che vuole accappararsi tutto, l’io, infine, che non abbiamo scelto noi e che è
appiccicato a noi fin dal nostro concepimento, fin dalla nostra nascita, fin dalla
nostra infanzia.
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Siamo così dominati da un io che è semplicemente la proiezione e il risultato di
tutte le influenze cosmiche che hanno pesato su di noi o sui nostri antenati. E’ l’io
cosmico, l’io che subiamo, l’io che è la nostra vera prigione, che rappresenta
l’ostacolo allo sviluppo, alla libertà, alla grandezza, alla dignità della nostra vita,
anche nel caso in cui esteriormente si affermi.
Perciò, quando parliamo di vita interiore, non intendiamo opporre il visibile
all’invisibile, il tempo all’eternità, la carne allo spirito, ma opporre ciò che subiamo a
una creazione che sia il risultato della nostra iniziativa.
Sant’Agostino, quando parla della sua conversione, nei termini più semplici e
umani, universali, la descrive come un passaggio dal fuori al dentro: “Tu eri dentro di
me e io ero fuori”.
Naturalmente non si tratta di un fuori fisico. Si tratta di un fuori metafisico. Io
ero fuori, cioè straniero di me stesso, subivo cioè la mia vita, ero schiavo di tutto ciò
che mi era stato imposto dalla mia nascita, obbedivo ai miei nervi, ai miei umori, al
mio temperamento, alle mie ghiandole; non ero il creatore di me stesso, non ero
una sorgente e un inizio, né un’origine, né uno spazio: ero soltanto una cosa.
Invece di essere “qualcuno”, ero “qualcosa”; l’incontro con Dio, facendomi
passare dal fuori al dentro, mi ha fatto passare da qualcosa a qualcuno. Ed è così che
tutto il mio essere è stato portato al di dentro, cioè in quell’universo inviolabile che
sfugge ad ogni costrizione e che è l’universo della persona.
Ora, sapete bene che della vita dello spirito non se ne può disporre; la vita
dello spirito è inviolabile, non si può costringervi ad ammettere ciò che la vostra
intelligenza è incapace di percepire come vero. Non si può costringervi ad amare ciò
per il quale il vostro cuore prova una ripugnanza invincibile. Non si può imprigionarvi
entro alcun limite. Siete una capacità inviolabile e infinita.
Ed è proprio questo che il Vangelo vuole realizzare in noi; non opporre il
mondo a noi, ma, al contrario, liberarci da tutto ciò che ci rinchiude nel mondo
“decaduto”. Il mondo decaduto è semplicemente un mondo non assunto, un mondo
subito, un mondo dal quale ci si lascia condurre, invece di decidere da se stessi.
E ciò che Dio ci apporta: tutta la Sua ricchezza, tutta la Sua bellezza, tutta la
Sua grandezza, tutto il Suo amore, è per glorificare pienamente la nostra vita, per
trasfigurare in noi tutte le nostre fibre organiche in potenza spirituale.
Cerchiamo di capire. Non si tratta assolutamente di spegnere in noi la vita. La
parola mortificazione è la peggiore si possa usare. Si tratta, al contrario, di
rimuovere tutto ciò che impedisce alla nostra vita di avere una grandezza e una
dignità infinite.
Se consideriamo la nostra vita in questa luce, se pensiamo che siamo chiamati
ad essere il Tempio di Dio, il Santuario dello Spirito e il Corpo di Gesù, allora ci
troveremo di fronte ad un atteggiamento di rispetto che farà di noi l’altare, il
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tabernacolo in cui Dio si rivela, in cui Dio manifesta la Sua Vita, trasfigurando la
nostra affinché possa comunicare la Sua.
Se voi presentate un corpo non trasformato, non trasfigurato, non glorificato
dalla Presenza di Dio, la resurrezione non interesserà nessuno, non avrà alcun senso.
Ed è per questo che la Resurrezione di Nostro Signore è rimasta il segreto della
comunità.
E’ veramente notevole che, se Nostro Signore ha continuato ad essere morto
agli occhi della gente, voglio dire che, se chiunque ha potuto vederlo senza essere
motivato dalla Fede, così non è stato per la Resurrezione.
La Resurrezione ha una portata meno pubblica. Essa ha avuto per testimoni i
discepoli, gli uomini della Fede, gli uomini che erano capaci – o che presto sarebbero
stati capaci – di vivere interiormente questo evento per una trasformazione di loro
stessi che li avrebbe messi in grado di comprendere la vittoria di Gesù sulla morte,
che non vuol dire nulla per chi non ha vinto la morte, oggi, la morte dentro di sé.
L’ammirevole brano di san Paolo elenca tutta la catena dei testimoni della
Resurrezione per affermare la nostra (1Cor. 15, 4-8). Questo testo bisogna prenderlo
in spirito e verità, come un appello a fare della nostra vita d’oggi una realtà divina, in
un rispetto di noi che si rivolge a noi come al Santuario che siamo.
Perché, che cosa sono le magnifiche Cattedrali e le Basiliche di fronte alla
Cattedrale che siamo noi stessi, la quale, sola, è capace di vivere di Dio sia
interiormente che esteriormente? Non sono le pietre delle Cattedrali a vivere di Dio,
se non come simboli, anche se ammirabili. Siamo noi ad essere diventati vivi e
chiamati a comunicare questa vita a tutta la creazione, che non può nascere senza di
noi.
C’è dunque nel Vangelo della Resurrezione propostoci da san Paolo con tanta
fermezza una incidenza nella nostra vita di oggi che ci fa comprendere perché la
Resurrezione sia presente nel Credo cristiano.
Il Credo cristiano è essenzialmente realista. Emana da una esperienza umana
infinita nello stesso Gesù Cristo; esperienza che si perpetua attraverso il Corpo
Mistico di Gesù, che è la Chiesa, e che deve, oggi, diventare la nostra.
Si tratta, dunque, per noi di glorificare il nostro corpo, di tributargli tanta stima
e tanto onore, di trattarlo realmente come il Corpo del Signore e il Tempio dello
Spirito Santo così da non poter incontrare noi stessi senza incontrare Dio.
E’ il paradosso evangelico che esprime in maniera così perfetta sant’Ambrogio:
è di avere glorificato e divinizzato il corpo che a Platone appariva come l’ostacolo
essenziale alla vita dello spirito. No. Non si tratta di abbandonare la terra, non si
tratta di uscire dal nostro corpo, non si tratta di disprezzare la carne; si tratta, al
contrario di divinizzarla, di penetrarla della vita divina al punto che divenga
immortale oggi.
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Per questo possiamo leggere con gioia il salmo: “Ho chiamato il Signore ed è
venuto in mio aiuto, e la mia carne è rifiorita”.
Non si tratta dunque di rattristarsi e di diminuirsi, ma al contrario di costruire
la nostra vita sull’eterna giovinezza di Dio e dare ai nostri corpi lo splendore della
vita divina che ci glorifica e che fa di essi i testimoni e i precursori della universale
resurrezione.
Facendo nostri i testi della Lettera di S. Paolo ai Corinzi e di S. Ambrogio,
avremo un programma di vita quotidiana esaltante e magnifico.
Non si tratta di morire, ma di non morire, di trionfare della morte oggi,
lasciando che il nostro corpo respiri la Presenza Divina che ci abita e che è celata
come un sole invisibile nel più intimo di noi.
E’ dunque essenziale che intendiamo queste parole come parole vive rivolte
alla nostra vita. Invece di prenderle come se riguardassero un mondo inaccessibile,
irreale e privo di qualsiasi interesse, vi scopriremmo la verità appassionante di un
appello alla vita di oggi che deve risvegliarsi e magnificarsi liberandosi e lasciando
che la stessa carne si impregni totalmente della vita divina.
La carne, divenuta translucida nell’Amore, non è dunque più un ostacolo e ci
introduce al mistero della Persona.
Allora tutto il mondo potrà essere trasfigurato perché niente nel mondo si
oppone a tale divinizzazione e non ci sarà più un solo elemento, anche il più umile,
in questa trasfigurazione compiuta in noi che non sia chiamato a vivere della
Presenza, del Pensiero e dell’Amore di Dio.
E’ per questo che gli amanti degni di questo nome affronteranno l’universo
con infinito rispetto, lo affronteranno come una Persona perché avranno a guidarli
questa intuizione, che costituisce l’unica loro ricerca: una Presenza, Qualcuno che ci
permetta di passare da qualcosa a qualcuno.
Noi posiamo diventare qualcuno perché c’è Qualcuno che ci attende nel più
intimo di noi stessi per eternizzarci oggi stesso, in modo che possiamo – come dice
san Paolo – “glorificare Dio nel nostro corpo” (1Cor. 6,20 – Fil. 1,20).
(Traduzione dal Francese di Mario Bertin)