“La collaborazione di Grande Aracri può aprire scenari ampi per combattere la ‘ndrangheta”. Intervista a Claudio Cordova

Nicolino Grande Aracri (ANSA/UFFICIO STAMPA CARABINIERI)

Nicolino Grande Aracri (ANSA/UFFICIO STAMPA CARABINIERI)

Nella settimana scorsa è arrivata la notizia, clamorosa, della collaborazione con la giustizia di un importante boss della ‘ndrangheta. Stiamo parlando di Nicolino Grande Aracri, detto “mano
di gomma”, boss indiscusso di Cutro e della ‘ndrangheta in Emilia. Killer spietato, è stato condannato a diversi ergastoli. Non è solo un feroce assassino, ha dimostrato anche una capacità di infiltrazione nei centri di potere importanti come la Massoneria e a tessere
rapporti importanti con ambienti politici e con quelli vaticani. Insomma, ci troviamo di fronte ad un personaggio di elevato spessore criminale. Cerchiamo di approfondire quali potranno essere le conseguenze di questa collaborazione. Lo facciamo con Claudio Cordova, coraggioso Direttore della testata on line “il Dispaccio” di Reggio Calabria. Cordova è autore di un importante saggio, “GOTHA” (pubblicato dalla casa editrice del “Fatto Quotidiano”). Per la sua attività di giornalista investigativo gli è stato assegnato, nel 2019, il premio “Paolo Borsellino” per il giornalismo. Per il suo impegno di denuncia è stato più volte minacciato dalla ‘ndrangheta. 

 

Claudio Cordova (Facebook)

Claudio Cordova (Facebook)

 

Claudio, nella settimana appena passata, tra le notizie più clamorose c’è stata quella della collaborazione di Nicolino Grandi Aracri. Cerchiamo di approfondire  il possibile significato di questa collaborazione. Innanzitutto di quale cosca era il capo e perché è importante questa cosca?
Quella di Nicolino Grande Aracri può essere una collaborazione che segna una svolta nella lotta giudiziaria alla ‘ndrangheta, perché da anni è ai vertici di una delle cosche più importanti della criminalità organizzata calabrese, capace di muoversi sia sul territorio d’origine, ma con importanti proiezioni anche al Nord. In generale, Grande Aracri può essere inserito sicuramente ai primi posti in una ideale classifica sull’importanza dei boss della ‘ndrangheta. E avere una collaborazione di tale portata è insolito per un’organizzazione chiusa ermeticamente come la ‘ndrangheta, che raramente ha avuto dei capifamiglia tra chi ha deciso di collaborare con la giustizia. Quindi può aprire scenari molto ampi, non solo sugli affari dell’ala militare, ma anche sui rapporti con i “colletti bianchi”.

Grande Aracri è un killer spietato ma è anche un uomo d’affari. In quali
ambiti faceva affari?

La cosca Grande Aracri si arricchisce grazie alle attività “tradizionali” della ‘ndrangheta. Estorsioni e traffico di droga, in particolare, rappresentano il core business illegale del clan. In Calabria, in particolare, sono pressanti le richieste estorsive che gli uomini del clan effettuano soprattutto sulle attività ricettive, quali i resort, gli alberghi, i villaggi vacanze. Questo è molto grave perché, ovviamente, rappresenta una enorme zavorra per lo sviluppo turistico della regione. Con riferimento, invece, alle attività “lecite”, quello dell’edilizia è uno dei settori di maggiore interesse per il clan. Ma non solo. Una recente inchiesta della Dda di Catanzaro ha fatto emergere la capacità della cosca anche di sfruttare il mercato dei farmaci, anche attraverso connivenze istituzionali.

Oltre a Cutro, e il Crotonese, dove si estendeva il suo potere? In quali gangli del potere locale si annidava la sua influenza?
Già dagli anni ’80, Grande Aracri ha delocalizzato molte delle proprie attività economiche e illecite al Nord. Prima all’ombra della famiglia Dragone, poi, anche con una scia di sangue lasciata alle spalle, autonomamente. E’ ovviamente l’Emilia Romagna la regione dove Grande Aracri ha accumulato maggiore potere e più ingenti ricchezze. Non a caso, la sua figura è emersa in maniera prepotente con la maxi-inchiesta e il successivo processo “Aemilia”. Ma i grandi boss e le famiglie importanti non perdono mai il contatto con la casa madre calabrese.

Questo boss aveva rapporti con personaggi del Vaticano, faceva parte dell’Ordine dei templari (chi lo ha fatto entrare?), e con la massoneria. Della massoneria diciamo dopo. Parliamo un attimo del Vaticano, Come è possibile che la ‘ndrangheta abbia collegamenti con persone del Vaticano?
Il legame tra ‘ndrangheta e mondo ecclesiastico è storico. E’ lo stesso Grande Aracri, intercettato, a parlare di Templari, di Cavalieri di Malta. Quindi i riferimenti, che vengono dalla sua viva voce, sono ulteriormente genuini. Nelle conversazioni captate si fa riferimento un monsignore, nunzio apostolico e, nel 1995, “cappellano di sua Santità”. Un prelato che sarebbe capace di smuovere cardinali e non solo. In generale, la ‘ndrangheta da sempre vuole legarsi al potere, che sia politico, che sia imprenditoriale, che sia informativo. E il Vaticano, oltre agli aspetti di natura spirituale, è notoriamente un luogo dai grandi intrecci, sia sotto il profilo economico, sia sotto quello relazionale, che poi permette agli uomini di ‘ndrangheta di entrare in contatto con mondi e ambienti apparentemente inaccessibili.

Di quale loggia Massonica faceva parte?
Sempre richiamando le intercettazioni a cui facevo riferimento prima, Grande Aracri parla della massoneria di Genova. Il meccanismo è quello che nasce con la Santa. Grazie alla massoneria, alcuni soggetti, pur se non affiliati alla ‘ndrangheta, sono in grado di assicurare al sodalizio entrature nelle sedi istituzionali più disparate come quelle della Chiesa e della magistratura, per garantire, per esempio, pressioni e capacità di intervento circa le vicende processuali degli affiliati. E dalle indagini sul conto di Nicolino Grande Aracri emerge proprio il tentativo di condizionare persino l’operato della Suprema Corte di Cassazione.

Approfondiamo un poco la questione Massoneria. Tu hai scritto un libro bellissimo su questo tema, “Gotha”.Come è continuato, in questi ultimi anni, il rapporto Ndrangheta e Massoneria? La Magistratura è intervenuta?
Rispondo citando un parere molto più autorevole del mio. Nella prefazione alla mia inchiesta, il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, scrive: “È la massoneria il ponte per raggiungere quella “zona grigia” in cui convergono istituzioni, imprenditoria e criminalità organizzata. È soprattutto con i “pezzi” dello Stato, con gli infedeli appartenenti alle istituzioni che la ’ndrangheta assume un nuovo livello organizzativo”. Credo sia una sintesi perfetta per dimostrare come la massoneria deviata sia, almeno da 50 anni, una camera di compensazione, dove possiamo ritrovare le figure più disparate a dialogare con la criminalità organizzata. E’ sbagliato considerare la ‘ndrangheta “solo” un’organizzazione criminale. La ‘ndrangheta è quasi una setta, che si alimenta di ritualità e che non è “antistato”, ma “stato parallelo”. All’azione violenta preferisce il depistaggio, il vuoto di indagine, l’attacco ai magistrati impegnati, l’aggiustamento di processi; privilegia le relazioni con le istituzioni, ma anche con avvocati, commercialisti, medici, ingegneri, per penetrare negli ambienti in cui vengono assunte le decisioni.  La magistratura è ciclicamente intervenuta su questi legami, attualmente in corso a Lamezia Terme c’è il maxiprocesso “Rinascita-Scott”, che indaga anche questi rapporti. Ma essendo legami così occulti è molto difficile avere un quadro unitario e, per il momento, dobbiamo “accontentarci” di flash che vanno a illuminare questi rapporti oscuri.

Torniamo a Grande Aracri. Come reagirà la ‘ndrangheta? Qualcuno lo ha paragonato a Buscetta. È corretto il paragone?
Non è corretto paragonarlo a Buscetta, perché la collaborazione di Buscetta aprì dei mondi totalmente oscuri persino a magistrati capaci come Giovanni Falcone. Prima della collaborazione di Buscetta, noi non conoscevamo nemmeno l’appellativo “Cosa Nostra” per indicare la mafia siciliana. Grande Aracri è un boss di primissimo livello, che certamente potrà aggiungere un patrimonio conoscitivo importante, ma che dovrà essere capace di fornire riferimenti precisi al proprio narrato. Perché, soprattutto se si vogliono aggredire i livelli più alti del crimine, non può e non deve bastare l’approssimazione. Difficile dire quale potrà essere la reazione della ‘ndrangheta, che raramente ha adottato comportamenti eclatanti, ma di certo penso che, più che sull’ala militare dell’organizzazione, a essere colpita potranno essere soprattutto i legami imprenditoriali e politici.

Ultima domanda. Nella politica calabrese vedi qualche novità?
Purtroppo no. Vedo un’approssimazione imbarazzante e il modo di gestire l’attuale pandemia è emblematico della carenza qualitativa, non solo della politica, ma direi della classe dirigente calabrese. E ciò che appare all’orizzonte non sembra incoraggiante, anche per la mancanza di volontà di rinnovamento. L’incompetenza crea enormi danni e, cosa ancor più grave, anche sotto il profilo morale, è che la poca qualità spesso coincide con una maggiore permeabilità alla corruzione e agli accordi tra istituzioni e ‘ndrangheta. Se un tempo era la ‘ndrangheta a ricercare il politico, per chiedere favori, forse anche per “nobilitarsi”, oggi assistiamo al meccanismo opposto, con politici che, non appena firmano la propria candidatura vanno a consegnarsi mani e piedi ai boss pur di ottenere il risultato. La Calabria è stata per anni un “laboratorio criminale”, anche perché tradita da chi, invece, doveva tirarla fuori dalle secche con il proprio agire.

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