“Cossiga interprete drammatico di Aldo Moro. A modo suo”. Intervista a Giampiero Guadagni

Quirinale, il Presidente Emerito della Repubblica Francesco Cossiga

Su Francesco Cossiga, come si sa, ci sono luci e ombre (per qualcuno, forse, sono di più le ombre). Eppure la figura di Cossiga, come afferma, in questa intervista, il giornalista Giampiero Guadagni, “è un motore di ricerca ineludibile e inesauribile per capire la storia repubblicana italiana. Una figura politica unica, non solo per le cariche che ha ricoperto – tutte le più importanti- ma per come le ha ricoperte”. Questo libro, dal titolo curioso, cerca di offrire una possibile chiave di lettura della vicenda politica di Francesco Cossiga. Il Libro ha suscitato, tra i cronisti politici, molto interesse. Con l’autore, in questa intervista, approfondiamo alcuni punti del libro. Giampiero Guadagni è caporedattore di “Conquiste del Lavoro”.

 

Intanto, perché un libro su Cossiga?

Perché Francesco Cossiga è un motore di ricerca ineludibile e inesauribile per capire la storia repubblicana italiana. Una figura politica unica, non solo per le cariche che ha ricoperto – tutte le più importanti- ma per come le ha ricoperte. È stato il più giovane ministro dell’Interno, il più giovane Presidente del Consiglio, il più giovane Presidente del Senato, il più giovane Presidente della Repubblica. Un uomo di vastissima cultura, capace al tempo stesso di altissimi confronti e di polemiche molto ruvide con personalità di Stato così come con personaggi dello spettacolo. Senso delle istituzioni e istinto per la trasgressione: aspetti diversi della propria personalità tenuti assieme sempre con grande fatica. Anche in questo senso la sua non è solo la storia di un uomo ma la biografia di un Paese che non ha mai del tutto chiuso i conti col proprio passato. Peraltro, sia da vivo sia da morto Cossiga è stato trasversalmente ammirato e detestato. E proprio questo a mio giudizio ci permette di valutare la sua vicenda e tutta una stagione politica senza il filtro dell’ideologia: un esercizio di libertà che ci obbliga a nuove domande più di quante risposte siamo in grado di dare.

 

Perché questo titolo?

Tre minuti 31 secondi è il tempo della durata dell’ultimo messaggio di fine anno di Cossiga Presidente della Repubblica. Il più breve nella storia di questi messaggi.

Siamo nel 1991, anno molto aspro per lui. A giugno manda un messaggio alle Camere sulla necessità delle riforme istituzionale, messaggio che rimane inascoltato. Il 6 dicembre viene presentata in Parlamento la richiesta di impeachment con addirittura 29 capi di accusa: che riguardano ad esempio lo scontro con la magistratura e la legittimità della struttura Gladio; e più in generale toni e contenuti delle sue picconate. Ecco quel 31 dicembre 1991 Cossiga parla agli italiani e sostanzialmente non dice nulla. Spera che quel suo silenzio faccia più rumore ottenendo più risultati delle sue esternazioni. Non sarà così. Riprenderà a picconare. E si dimetterà con qualche settimana di anticipo rispetto alla scadenza del Settennato.

 

 

 

Il libro parte da un tuo articolo su Conquiste del Lavoro per gli 80 anni di Cossiga in cui esponi una tesi che lo stesso Cossiga, nella sua breve risposta, definisce “oggettiva”: una rielaborazione del rapporto politico e umano con Aldo Moro. Ci riassumi questa tesi?

Io mi sono fatto l’idea che le picconate sono state il tributo dell’allievo al Maestro. Cossiga ha cioè detto con forza, spesso in modo esasperato, quello che secondo lui avrebbe detto Aldo Moro se fosse uscito vivo dalla prigione delle Brigate Rosse. Cossiga ha vissuto con tormento interiore e anche fisico quella vicenda, quei 55 giorni tra marzo e maggio del 1978, spartiacque della storia italiana. Nel tempo, forse anche per metabolizzare il dolore, ha reso esplicita una sorta di sentimento di correità, arrivando a dire: io sono responsabile almeno quanto le Brigate rosse della morte di Moro. “Tra Moro e lo Stato io scelsi lo Stato”, scriverà Cossiga su Repubblica nel ventennale della morte del Presidente Dc. Secondo la mia ricostruzione – sulla quale nel libro mi confronto con autorevoli giornalisti e politici – in qualche modo e in più momenti Cossiga interpreta Moro per restituirgli la vita che da ministro dell’Interno non era stato in grado di salvare. “Io ci sarò ancora come un punto irriducibile di contestazione e di alternativa”, scrive Moro prigioniero delle Br nella lettera a Zaccagnini del 24 aprile, quella nella quale chiede che ai suoi funerali non partecipino né autorità dello Stato né uomini di partito. “Io ci sarò ancora” sembra essere la frase bandiera che Cossiga ha voluto raccogliere.

 

In particolare, quando e in che modo Cossiga ha “interpretato” Moro?

Penso, intanto, al Messaggio alle Camere sulla necessità per i partiti politici di riformare sé stessi e le regole istituzionali. Ma quel Messaggio arriva troppo tardi, quando ormai i rapporti con il Parlamento erano deteriorati. E comunque è un messaggio dal contenuto importante. Per Cossiga bisognava andare oltre il bipolarismo imperfetto che assegnava alla Dc la cura del governo e al Pci il monopolio dell’opposizione Cossiga si riallaccia al pensiero di Moro, che sempre dalla prigione delle Br aveva scritto: “Un partito che non si rinnovi con le cose che cambiano, che non sappia collocare ed amalgamare nella sua esperienza il nuovo che si annuncia, il compito ogni giorno diverso, viene prima o poi travolto dagli avvenimenti, viene tagliato fuori dal ritmo veloce delle cose che non ha saputo capire ed alle quali non ha saputo corrispondere”. Parole rivolte alla Dc ma che evidentemente valevano per tutti.

 

I fatti che citi riguardano l’ultimo scorcio del Settennato. Cossiga ha dunque maturato nel tempo questa “rielaborazione” del rapporto con Moro?

Certamente le picconate sono diventate il marchio di fabbrica di Cossiga una volta finita la stagione politica legata ai blocchi contrapposti e alla logica di Yalta. Però io mi sono fatto l’idea che Cossiga abbia iniziato ad interpretare Moro anche prima della caduta del Muro di Berlino. Emblematico quanto accade nel marzo 1986. Sono i primi mesi di Cossiga al Quirinale. In quei giorni gli Usa hanno affondato una nave libica in reazione a un lancio di missili verso aerei statunitensi sul Golfo della Sirte. Cossiga, critico rispetto alla pretesa dei libici di estendere la propria sovranità su una zona di acque internazionali, sostiene però anche che il dittatore libico Gheddafi non va “vittimizzato”, obbligando gli arabi moderati a difenderlo; e che la Marina americana non deve mostrare i muscoli verso Tripoli su navi partite da basi in Italia. Il 28 marzo Cossiga riceve al Quirinale il Segretario di Stato americano George Schulz. Un incontro descritto dal capo ufficio stampa di Cossiga Presidente, Ludovico Ortona nel suo “Diario del Settennato”. Cossiga “giunge volutamente tardi al colloquio, già irritando Schulz”.  Spiega per tre quarti d’ora le sue ragioni a Schulz senza dare spazio a repliche
in un clima che Ortona definisce “assolutamente agghiacciante”.
E attenzione: Cossiga era un politico molto accreditato a Washington, soprattutto perché nel 1979 da Presidente del Consiglio aveva autorizzato gli euromissili. Al contrario, è nota la diffidenza americana nei confronti di Aldo Moro a causa delle sue posizioni giudicate troppo filoarabe. È nelle cronache politiche l’incontro del 25 settembre 1974 a Washington con il Segretario di Stato di allora, Henry Kissinger, che con toni diciamo perentori chiede allo statista italiano di cambiare linea. Ecco: in quel marzo 1986, Moro avrebbe con tutta probabilità rivendicato uno spazio d’azione autonoma nella gestione dei rapporti con la Libia.

 

Abbiamo parlato delle picconate di Cossiga. Nel sottotitolo, accanto al fragore metti i silenzi: perché al plurale?

Silenzi al plurale, perché c’è il Cossiga degli omissis legati alla ragione di Stato. Per molti ha detto solo alcune cose di quello che sapeva, lui ha sempre assicurato che nella tomba non si sarebbe portato segreti. C’è un silenzio dove l’aspetto politico si intreccia alla sofferenza personale: in tutti i 55 giorni del sequestro Moro, come ricorda nel
libro Marco Damilano, Cossiga non rilascia un’intervista televisiva, nemmeno semplici dichiarazioni. Una cosa inimmaginabile pensando ai politici di oggi; ma pensando anche
allo stesso Cossiga, insaziabile comunicatore a tutto campo, radioamatore e fruitore dei social. Poi però ci sono anche i silenzi dell’allontanamento volontario dalla vita pubblica, quelli legati alla riflessione, agli spazi interiori della preghiera, agli spazi verdi d’Irlanda, suo luogo dell’anima. Dove Cossiga, uomo di fede salda, ha tempo per dedicarsi ai
“suoi” santi: Newman, Rosmini e Thomas More. Figure che hanno in comune il concetto del primato della coscienza. Tema molto sentito e sofferto dal laico cristiano Cossiga, che da Presidente della Repubblica aveva condiviso la decisione del governo italiano di partecipare alla coalizione che intervenne contro l’Iraq, conoscendo la ferma contrarietà di Papa Giovanni Paolo II.

 

Tra i tanti aneddoti che racconti, quale ritieni quello più
significativo?

Ce n’è uno in particolare che rende l’idea del senso anche esasperato di Cossiga per lo Stato. Me lo ha raccontato Francesco Bongarrà, giornalista dell’Ansa, che ha seguito da vicino gli ultimi anni del Picconatore. Cossiga nel marzo 2006 restituisce il ‘Collare della Giarrettiera’ alla Regina Elisabetta per una questione di principio”. Due elementi per intendere la portata del fatto. Il primo: il Collare della Giarrettiera è la massima onorificenza che il regno concede, rende cugini della Regina. Il secondo: Cossiga era un malato di onorificenze. Cosa accade allora? Cossiga vuole andare in Inghilterra per partecipare al Consiglio mondiale della Società per il dialogo tra cristiani e musulmani, e notifica che partirà con la scorta armata come ex Presidente della Repubblica. Le competenti autorità britanniche, diplomatiche e di polizia, oppongono un rifiuto. In Inghilterra la scorta non ce l’ha nessuno, tranne la Regina, il primo ministro, il ministro dell’interno, forse ai tempi lo scrittore Salman Rushdie. Cossiga annulla la partecipazione all’evento. Prende una scatola in cui mette il Collare e la affida al capo scorta perché restituisca il regale contenuto. “La scorta non era per la mia persona, ma era per il rispetto che si deve allo Stato italiano”.

Il libro: Giampiero Guadagni, Tre minuti trentuno secondi.
Francesco Cossiga: il silenzio e il fragore, Marcianum Press,
2020, pagg. 176. € 17,20.

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