L’ islam radicale balcanico torna ad impensierire i Servizi di Segreti dell’Europa occidentale. Infatti è notizia di questi giorni del ritorno “a casa”, dalla Siria, di molti mujaheddin balcanici andati a combattere, nelle file più estremiste, contro il dittatore Assad. Ne parliamo con Ennio Remondino, già inviato di guerra per la Rai nei Balcani.
Remondino, i servizi segreti di Bosnia, Serbia e Macedonia sono in allarme. Pericolo terrorismo?
La preoccupazione che coinvolge un po’ tutti i servizi di sicurezza, i servizi segreti dell’Europa , è che vi sono i mujahidin balcanici, combattenti già sperimentati in Bosnia nella guerra del 1990, i “figli” forse di quei mujahidin che si sono mischiati nei Balcani, altre zone di presenze estremistiche jiadiste, ma è un problema che riguarda anche altri molti paesi d’Europa, l’Inghilterra, la Francia, da dove i cittadini di quei paesi convertiti all’Islam si sa che avevano scelto di partecipare ai combattimenti in Siria. Sono militari con l’esperienza e la manualità idonea a compiere eventuali atti di terrorismo.
E’ possibile fare una stima dei “guerriglieri di Allah” balcanici?
La valutazione che ne danno i servizi di sicurezza dell’area parla di oltre 1500 persone, ovviamente non sono dati certi, nel senso che ci sono delle assenze registrate, tu hai dei cittadini di cui non si ha più traccia, teoricamente potrebbero essere emigrati in cerca di lavoro al Nord, in Germania, oppure, come ritengono loro, ed è più plausibile, potrebbero essere finiti in Siria, nelle formazioni jadiste, vicine ad Al Qaeda.
Andiamo più in profondità: In Bosnia, secondo alcuni osservatori, c’è un “pericoloso tango” tra Islam e Nazionalismo. Ovvero l’islam politico, in Bosnia, è visto come un pericolo dagli altri partiti laici e per i non musulmani. Insomma “l’equilibrio” bosniaco sarà ancora più precario?
L’equilibrio bosniaco resterà precario per almeno due ragioni: una, intrinseca alla Bosnia, nel senso che la Bosnia multietnica e multireligiosa, che ha, ad esempio garantito, una univocità di resistenza nella Sarajevo assediata, dove la maggioranza della popolazione è musulmana, ma vi erano tra i combattenti resistenti i serbi ed i croati, quindi un’unità di popolo che rifiutava l’identità di appartenza etnica e religiosa per dire :noi siamo jugoslavi, difendiamo la nostra autonomia, difendiamo la nostra città assediata e martirizzata” . Purtroppo le scelte politiche del partito islamista di Izetbegovich andavano presi con più attenzione e con le molle da noi occidentali ha estremizzato le posizioni di identità. E ,dopo i quattro anni di massacri, a Sarajevo c’è stata la vera e pesante pulizia etnica. L’espulsione delle componenti urbane, non maggioritarie nelle singole zone e quindi tu hai oggi una Sarajevo monoetnica e monoreligiosa. Tutto ciò favorisce l’identitarismo di appartenenza: io musulmano, tu bosniaco, tu serbo-ortodosso, quindi in conflitto anche con l’altro cristiano, ma romano.
L’altro aspetto della crisi è legato alla disparità scelta dalla comunità internazionale per il Kosovo. In Bosnia ha impedito alle varie identità nazionali di crearsi uno Stato, un’autonomia loro, agli albanesi ha consentito la creazione di uno staterello etnico autonomo. A quel punto, dentro la Jugoslavia si sono create due situazioni diversificate, disparità che saranno foriere di qualche problema.
Come si sa all’origine della comunità wahabita in Bosnia Erzegovina, la centrale della diffusione dell’estremismo islamico, c’è la Brigata militare El Mudzahid (composta da combattenti arabi e asiatici). Quanto è diffuso il Wahabismo in Bosnia Erzegovina?
Era estraneo nella tradizione dell’islam assolutamente laico, parlando della Bosnia Jugoslava, nella Bosnia, dopo il conflitto, c’è stato l’intervento dei mujaidein in guerra, io ho memoria della presenza di questi combattenti islamici, io ho visto per la prima volta il cappellino afgano di lana pesante, quello delle fotografie tradizionali, quindi una presenza non solo dell’islam della legione araba, ma dello stesso bin laden, che fu chiamata in europa al quaeda per sostenere gli allora buoni in quella partita. Successivamente arrivarono “gli aiuti umanitari” che poi sono il sostegno sia dell’Arabia saudita sia di quella wahabita. La parte wahabita, e anche la parte sciita, ha dato diversi sostegni dal punto di vista finanziario, per creare scuole e via via Sarajevo, dove non ho mai visto una donna indossare il velo, oggi tu vedi molte, molte donne velate, nel pieno rispetto delle loro scelte personali e religiose, ma è un segnale.
I Balcani sono anche l’area dove si incrociano le mafie, il narcotraffico, il traffico d’armi. Anche questi fattori incrociano il terrorismo islamico?
Vi è qualche segnale, ma non è uno degli elementi, non è nel nostro mestiere andare ad investigare, ma per la Bosnia non è uno degli aspetti dominanti, l’asse criminale è più concentrato nel “triangolo delle Bermuda”, Kosovo-Albania-Montenegro. Questa è l’area dove il passaggio del fronte balcanico per la distribuzione della droga, per esempio dell’oppio dall’Afghanistan. Ma oggi forse c’è una merce ancora più micidiale della droga e delle armi, più crudele e più remunerativa, il traffico di carne umana, gli esseri umani vengono trafficati e seguono le stesse rotte di quella che è stata la strada della droga e delle armi.
Non c’è solo la Bosnia Erzegovina, c’è anche la giovane Repubblica del Kosovo. Anche qui la situazione è molto fluida e per nulla stabilizzata. C’è un pericolo islamista anche in Kosovo?
Direi che, in questo caso, rovescio la risposta rispetto a prima, credo che sia più un problema criminale che di matrice yiahdista, nella cultura della popolazione albanese, c’è un laicismo profondo, direi che è un popolo che difficilmente lo vedi, lo immagini, per quanto li ho conosciuti, frequentati, non li vedo come persone estremamente impegnate sul fronte della fede, sono sostanzialmente dei miscredenti, non vedo questa minaccia, almeno per quanto era nei dati in mio possesso fino a qualche anno fa. Sono tre anni che non frequento più quelle aree, ma dubito che sia cambiato qualcosa.