LA GUERRA DIMENTICATA DEL SUD SUDAN. Intervista a Padre Daniele Moschetti

Nel Sud Sudan una guerra dimenticata sta producendo una immane catastrofe umanitaria, sociale ed economica. Secondo Amnesty International, «nel Sud Sudan è in corso una delle più gravi crisi umanitarie degli ultimi tempi: sono quasi un milione gli sfollati nella regione di Equatoria, mentre continuano impunite le uccisioni di civili e le violenze su donne e bambine». Secondo l’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu, «il numero totale di persone fuggite dal Sud Sudan verso le regioni circostanti è ora di 1,6 milioni. Il nuovo tasso di persone in fuga è allarmante e rappresenta un peso impossibile da sostenere per una Regione che è considerevolmente più povera e le cui risorse si stanno rapidamente esaurendo. Nessuno, fra i Paesi circostanti, ne è immune. I rifugiati fuggono verso il Sudan, l’Etiopia, il Kenya, la Repubblica Democratica del Congo e la Repubblica Centrafricana. Quasi la metà delle persone in fuga è arrivata in Uganda, nelle regioni settentrionali del Paese la situazione ora è critica». Per parlare di questa autentica polveriera africana abbiamo intervistato Padre Daniele Moschetti, che è stato per sei superiore provinciale della Congregazione dei Comboniani in Sud Sudan. Padre Daniele è in questi giorni in Italia per presentare il suo libro Sud Sudan. Il lungo e sofferto cammino verso pace, giustizia e dignità, introdotto da papa Francesco e appena uscito per le edizioni Dissensi. Padre Moschetti ieri era a   Roma, in Vaticano, per consegnare al Papa alcune copie del libro da lui introdotto.

Padre Daniele, il suo libro  è una viva testimonianza dell’opera preziosa della sua Congregazione, quella dei Comboniani, in un giovane Stato africano: quello del Sud Sudan. La vostra presenza è assai antica. Può dirci perché per voi, per la vostra Congregazione, è importante la presenza in quel territorio?

Proprio in questi giorni si è celebrata la festa di San Daniele Comboni, il nostro fondatore che ha dato tutta la sua vita per il Sudan con lo slogan “Salvare l’Africa con l’Africa” fin dal 1800. La terra del Sudan per noi è una sorta di “Terra Santa”. Dopo l’espulsione del 1964 da parte del governo islamico del nord tutti i cristiani sono stati mandati fuori, anche gli anglicani. Per noi è una lotta continua perché quest’area dell’Africa è sempre stata una terra martoriata, un popolo crocifisso dal 1800 con la schiavitù e il colonialismo dopo e poi la predominanza islamica con quarant’anni di guerra e questi quattro anni di guerra civile.

Come nasce questo nuovo Stato Africano? Quali sono le ragioni?

Ora abbiamo la guerra civile interna, ma ci sono stati quarant’anni di guerra precedente. Dal 56 il Sudan è diventato indipendente dagli inglesi, quindi nel 55 già c’erano dei gruppi di leader che potevano già avere una propria autonomia, ma gli inglesi decisero di dare il Sudan al governo di Khartum e quindi si creò subito una spaccatura tra il nord e il sud. Il nord fondamentalmente musulmano (fondamentalista), mentre il sud che era cristiano. La seconda guerra invece è stata soprattutto per il petrolio perché il nord non voleva mollare.

Il Sud Sudan è una terra ricca di risorse: Petrolio,acqua e “terre vergini”. Queste sono le vere cause, insieme al confitto etnico, della guerra ?

E’ diventato adesso un conflitto etnico nel 2013, perché le truppe paramilitari Dinka uccisero migliaia di persone Nuer nella capitale Giuba. Subito ci fu una guerra tra di loro nell’esercito regolare. Tuttavia non è solo una questione tribale, ma ci sono molte risorse, che vogliono dire soldi e potere. Quindi spartisci le risorse e dietro la parvenza legale del governo ci sono molte multinazionali.

Sappiamo, dunque, che, come diceva prima, vi sono potenze straniere, ed anche multinazionali, che hanno forti interessi in quel Paese. Quali sono queste potenze e quali multinazionali hanno interessi nel Sud Sudan?

Ci sono multinazionali di vari paesi (tedesche, canadesi, cinesi, americane, francesi). Dal 2005 al 2011 il 9% della terra del Sudan era già stata data a molte multinazionali sovranazionali, è il fenomeno del land grabbing, cioè l’accaparramento delle terre perché erano terreni molto fertili mai utilizzati. Per esempio l’Arabia Saudita, che è un paese deserto, prende tantissima terra dall’Africa per poter coltivare grano sia per i consumi interni sia per vendere sul mercato internazionale. Loro si accaparrano le terre attraverso una dimensione illegale perché c’è la corruzione e tutto il resto. La Petronas, quella che sponsorizza la Mercedes in formula 1, è una multinazionale della Malesia che sta pompando petrolio in Sud Sudan.

La vendita delle armi in quel Paese prolifica. Tanto che il governo del Sud Sudan ha speso, nel 2014, la cifra folle di un miliardo di dollari in Armi. Praticamente il governo ha ipotecato i pozzi di petrolio per comprare armi. Una follia assoluta. L’embargo sulle armi viene totalmente disatteso. Chi sono i complici di questa follia?

C’è un report di Amnesty International, di due settimane fa, che prova un coinvolgimento dell’Ucraina, che nel 2014 ha venduto illegalmente tantissime armi, ma come loro c’è la Cina, gli americani, che formano anche militari. Il governo ha ipotecato tantissimi pozzi inesplorati alla Cina in modo tale che in futuro queste nazioni avranno questi pozzi.

Riuscite ancora, voi missionari, ad operare in Sud Sudan? Qual è la frontiera della vostra opera?

Diventa sempre più difficile perché abbiamo già perso due missioni, una fra i Nuer e una proprio a gennaio 2017 perché la gente fugge, ci sono circa due milioni di profughi fuori. Inoltre ci sono altri tre milioni di persone che sono sfollate all’interno del paese e che hanno perso tutto; circa 300.000 nei campi interni del Sud Sudan. È veramente una situazione molto triste e povera. È uno dei paesi più poveri al mondo per quanto ricco di potenzialità, di risorse. Noi cerchiamo di operare per quello che possiamo, stiamo con la gente, siamo fuggiti anche con la gente, così come molti altri religiosi di tante altre congregazioni.Anche diverse Ong sono fuggite dal Paese..La gente oggi crede nelle Chiese perché i ribelli di un tempo sono diventati dittatori e quindi automaticamente credono nella chiesa, perciò è importante stare con loro, per dare speranza. Una cosa molto bella è che comunque sono loro che ci danno una testimonianza di fede e di futuro perché è un paese giovane, il 70% sono sotto i trent’anni.

In Sud Sudan si è manifestato, purtroppo, il fallimento dell’Onu. Cosa è mancato?

Ci sono tredicimila soldati dell’Onu divisi in vari battaglioni di varie nazionalità che rispondono al loro generale, però quello che è successo negli ultimi tre anni ci ha veramente deluso e soprattutto sorpreso perché quando ci sono stati gli attacchi del governo, ed anche dei ribelli, nelle varie città sono entrati nei campi e i soldati non hanno reagito, hanno lasciato fare e hanno ucciso centinaia di persone nei campi direttamente delle Nazioni Unite. Questo è ancora più grave. C’è ancora molto da fare, hanno perso molta credibilità.

I cristiani, o ancora meglio, le Chiese cosa stanno facendo per la Pace? Sappiamo che Papa Francesco segue molto da vicino la situazione, infatti era previsto un viaggio apostolico poi saltato per ragioni di sicurezza.

Papa Francesco voleva venire in Sud Sudan in questo mese di ottobre, invitato dalle chiese, non solo quella cattolica ma anche le chiese protestanti, anglicane, presbiteriana. Sarebbe andato con Justin Welby, il primate della chiesa anglicana; una visita storica perché non è mai successo, andavano per la gente, per dare speranza. Le chiese stanno lavorando insieme per la pace perché, come ho detto prima, è l’unica istituzione credibile in questo momento. Noi come religiosi cattolici avevamo aperto un centro per la pace non solo per programmi di pace, ma soprattutto per la guarigione dei traumi, perché si sono viste delle atrocità pazzesche. Migliaia di donne stuprate, bambini bruciati vivi, si è vista una disumanità totale. Continuiamo a fare programmi però se non c’è una stabilità diventa difficile. Vogliamo fare causa comune nei momenti difficili della gente.