Il nuovo Cile di Gabriel Boric. Intervista ad Alberto Cuevas

Gabriel Boric

Le elezioni presidenziali cilene, vinte dal giovane candidato di sinistra, Gabriel Boric segnano un momento di svolta per il Cile. Come sarà il nuovo Cile di Gabriel Boric? Che ripercussioni avrà sull’America Latina? Ne parliamo con un importante interlocutore cileno, fuggito dalla dittatura fascista di Pinochet, che da molti anni vive in Italia: Alberto Cuevas. Alberto Cuevas è un Dirigente d’Azienda in pensione avendo operato negli ultimi vent’anni a Italia Lavoro, oggi ANPAL. E’ stato Direttore delle riviste “Progetto”, “Andes” e “Alamedas. Docente di Storia dell’America latina all’Università di Trieste e di Politiche migratorie all’Università di Urbino. Attualmente è consulente e collabora alla Convenzione Costituente che elabora la nuova Costituzione in Cile. Ha numerose pubblicazioni, l’ultimo volume appena uscito in Cile “La crisis del Trabajo” è stato pubblicato dall’Università Miguel De Cervantes e di prossima pubblicazione in Italia.

Alberto, la sorprendente vittoria di Gabriel Boric nelle elezioni Presidenziali cilene, per molti osservatori internazionali segna una svolta per il Paese latinoamericano.  Perché?
In Cile sta finendo un ciclo. Un ciclo che è durato trent’anni e che ha fatto del Cile un paese virtuoso per molti aspetti. In questi anni il paese ha visto crescere la “classe media” dal 23 al 58 per cento. Il Pil è superiore del 60 per cento alla media dei paesi del subcontinente americano. È il primo paese per reddito per capita. La povertà in Cile è passata in questi trent’anni dal 38 all’8 per cento. La denutrizione infantile da molti anni non è più un problema (ma lo è invece l’obesità infantile). Insomma finisce quindi un ciclo che ha visto aumentare lo sviluppo, ma in questi anni sono cresciute, in modo esponenziale, anche le disuguaglianze.
Nell’ottobre 2019 una vera e propria rivolta sociale sconvolse il paese. Erano soprattutto i giovani e gli studenti che contestavano l’aumento di 30 pesos della metropolitana di Santiago. Il conflitto dilagò anche di fronte alle mediocri e provocatorie risposte del governo di Sebastian Pinera. Nacque così lo slogan “Non sono trenta pesos ma trent’anni”. Si contestava così tutta la transizione alla democrazia iniziata nel 1990 trascinando con sé anche il fiorente periodo di grande sviluppo economico e sociale precedente.
Il paese aveva vissuto una lunga fase di progresso, sì, ma era cresciuta anche la consapevolezza che la crescita e lo sviluppo economico non possono andare a scapito del clima e del rispetto alla natura. Con la pandemia sono emersi con grande forza molti problemi: l’indebitamento delle famiglie, la disoccupazione e la precarietà del lavoro, i problemi dell’immigrazione incontrollata, la sicurezza urbana, la salute diventata una merce privata, la scuola anch’essa privata e disperatamente disuguale. Gabriel Boric propone di cambiare registro, una sorta di rivoluzione gentile di stampo socialdemocratico. È questo il compito più impegnativo del nuovo governo, provare cioè a cambiare il modello economico, dare vita ad un nuovo paradigma, con idee e programmi nuovi che puntino a costruire un modello economico meno invasivo, con più attenzione alla transizione ecologica. E la sfida è soprattutto per questa nuova generazione che si affaccia alla politica con freschezza e nuove idealità. Vedremo. Io sono ottimista.

Cosa significa per l’America Latina? L’anno prossimo vi saranno l’elezioni in Brasile…
Da molti anni il Cile è un modello per il resto dell’America latina. Lo fu con la Rivoluzione nella libertà di Eduardo Frei negli anni ’60, poi con Salvador Allende con la Unidad Popular e l’idea del socialismo nella democrazia. A suo modo anche la brutalità di Pinochet e la sua dittatura con la sua ferocia, con i desaparecidos, con la sua sequela di morte, tortura ed esilio dei dissidenti, costruì una traccia che seguirono le altre dittature militari latinoamericane negli anni ’70 del secolo scorso. Ma è soprattutto il Cile del dopo Pinochet che ha colpito l’immaginario collettivo delle nuove generazioni dell’America latina. Oggi il 67 per cento dei cileni dice che sta meglio rispetto a trent’anni fa. Il 76 per cento dei bambini che si ammala di cancro guarisce, un dato non molto lontano dei paesi industrializzati (che arrivano all’80 per cento). Oggi c’è una macchina ogni quattro abitanti, 25 anni fa c’era una macchina ogni 15 abitanti. Ma questo modello oggi è in crisi. Boric rappresenta un progetto che prevede il rovesciamento di quel modello, porre cioè fine al modello neo liberista, regolare il mercato, rafforzare il controllo e la presenza dello Stato nell’economia, la scuola e la salute. Ma soprattutto intervenire nella transizione ecologica per decarbonizzare il paese. E ancora una volta il Cile segna il cammino del futuro per il subcontinente. Ma questo è tutto da vedere.

Facciamo un piccolo identikit del nuovo presidente, che è il più giovane Capo
di Stato dell’America latina. Qual è la sua storia?
Gabriel Boric è nato a Punta Arenas nell’estremo sud del Cile australe, nel 1986. Ha studiato giurisprudenza ma senza laurearsi. Da dirigente studentesco passa alla Camera dei Deputati dove viene eletto in rappresentanza della sua Regione, cioè Magallanes, Tierra del Fuego e Antartide cilena per il periodo 2018- 2022.
Da studente è stato assistente alle cattedre di Storia istituzionale del Cile e Teoria della giustizia e Diritto internazionale dei diritti umani.
All’Università di Santiago si è unito al gruppo politico Izquierda Autónoma. Nel 2016 ha fondato il Movimento Autonomista e poi Convergencia Social.
Egli ha avuto soprattutto dopo la rivolta dell’ottobre del 2019 un eccezionale ruolo di mediatore e di negoziatore molto propositivo neutralizzando la rivolta sociale attraverso l’elezione di una Convenzione Costituente per scrivere la nuova Costituzione al posto di quella ancora vigente di Pinochet.
Oggi questo leader cerca di dimostrare che per governare è necessaria un’alleanza politica ampia, che bisogna incontrarsi con il centrosinistra e con i settori progressisti che hanno già avuto esperienze di governo in Cile. In questo senso, Boric ha costruito la sua leadership proponendo un percorso di cambiamento e di trasformazioni per il Cile nella consapevolezza però che tutto questo è possibile attraverso un modello graduale e con ampie alleanze politiche e sociali.

Parliamo del partito “Convergencia Social”. Come nasce e che tipo di programma propone?
E’ sorprendente, ma Convergencia Social è un piccolo partito che fa parte del Frente Amplio, un raggruppamento questo che raduna diversi gruppi, movimenti e partiti della sinistra radicale cilena. Convergencia Social si definisce un partito femminista, ecologista, socialista e di emancipazione sociale, ma pone al centro della sua politica e delle sue proposte il rapporto con i territori, con le regioni in un paese come il Cile estremamente centralizzato. Propone anche un rapporto diverso tra lo Stato e i Popoli originari. Bisogna ricordare che in Cile il 12 per cento della popolazione è di origine indigena.

Sappiamo che non era favorito. Quali sono state le ragioni politiche che hanno consentito la vittoria? L’allargamento della coalizione?
Credo che la chiave fondamentale della vittoria di Boric sia stato il rapporto con i territori, con le regioni, cioè la forza della novità che rappresenta un leader che proviene dalla periferia, dal sud, con una forte idea di decentralizzare il paese.
Un contributo essenziale alla leadership e alla campagna di Boric è poi venuta dalle donne, impersonate dalla presidente del Collegio Medico del Cile, e cioè il sindacato corporativo dei medici cileni, la dottoressa, Izkia Siches, che in questo periodo di pandemia ha avuto un enorme successo con le sue analisi e proposte
per affrontare l’epidemia del Covid.
La vittoria poi è stata possibile grazie a larghe maggioranze che si sono mobilitate al di fuori dei partiti. Sono soprattutto i giovani che hanno visto in un Governo di Boric uno spazio vero di trasformazioni e di cambiamenti.

Sul piano sociale da chi era sostenuto?
Giovani, donne e territori regionali sono il capitale elettorale che ha consentito una vittoria, due mesi fa del tutto inattesa. Non trascurabile poi è la sensibilità ecologica in un paese che porta avanti un modello estrattivo e di forte consumo della natura. Infine credo abbia avuto un ruolo importante il rispetto e le proposte verso le varie identità e diversità sessuali.
Diverso è il caso del mondo del lavoro, con sindacati molto deboli, con forti vincoli normativi che poco incidono nella vita sociale ed economica del paese. La disoccupazione e la precarietà del lavoro tuttavia
sicuramente hanno agevolato l’apertura e l’ascolto alle proposte di Gabriel Boric.

In Cile c’è una importante comunità ebraica e una Chiesa cattolica con una
storia importante. Come si sono schierati?
Ufficialmente nessuna si è sposta apertamente, la trasversalità è in Cile, come altrove, un fenomeno della modernità, tuttavia non è un mistero che importanti settori del cattolicesimo cileno si è schierato apertamente con il candidato del cambiamento. José Antonio Kast, il candidato delle destre, proponeva una revisione della legge, già estremamente limitata, dell’aborto; proponeva il sostegno alle famiglie “regolari”, non solo escludendo le famiglie non tradizionali (gay, trans, etc) ma anche quelle non regolarmente registrate come matrimonio, in un paese dove il 92 per cento dei bambini nasce fuori dal matrimonio. La stessa dinamica ha coinvolto la Comunità ebraica dove importanti istituzioni comunitarie, ad esempio l’Associazione Diana Aron hanno dato appoggio esplicito al candidato della sinistra.

Il Cile è un paese pieno diseguaglianze economiche e sociali. Qual è il dato più drammatico?
Credo che le sfide più importanti che Gabriel Boric dovrà affrontare sono fondamentalmente cinque: 1. la terribile situazione della salute pubblica in cui alla pandemia si è aggiunta la crisi irreversibile del modello di sanità privata che dovrà essere profondamente rivisto e trasformato; 2. La scuola e l’Università, anch’esse soggette al modello americano della supremazia del privato, fonte profonda e primaria di disuguaglianze. In Cile 8 su 10 studenti universitari appartengono alla prima generazione che arriva agli studi superiori. Ma i giovani escono dall’Università con il peso di un mutuo di 20/30 anni che limita il loro orizzonte di vita; 3. La questione dell’immigrazione. Come l’Europa, anche il Cile è un paese soggetto a forti flussi immigratori e come l’Italia di vent’anni fa non ha oggi le strutture, né le istituzioni, né la cultura per accogliere migliaia di immigrati che arrivano come turisti e poi rimangono nel paese. Il Nord del Cile e il deserto di Atacama sono poi frontiere impossibili da controllare, Ecco una sfida di grande rilievo per il nuovo presidente. 4. La riforma della previdenza. Il paradosso è che il paese che inventò il Sistema contributivo che prevede la determinazione di calcolo delle prestazioni basata sull'intera vita assicurativa di un individuo, oggi è costretto a rinnegarlo. E questo per averlo fatto e concepito in forma ideologica, avendone fatto quasi una bandiera nazionalistica. 5. La Questione Mapuche. L’occupazione incessante delle terre a sud del fiume Bío-Bío annettendo le terre dei Mapuches che, per secoli, avevano avuto una notevole autonomia dal potere centrale, oggi è insostenibile. Da anni c’è un conflitto, anche militare, con le popolazioni indigene che diventa via via sempre più grave. Finora è mancato dialogo e risposte credibili. Forse la sfida più impegnativa.
A queste cinque sfide aggiungerei i temi della sicurezza urbana, il narco traffico, la decentralizzazione amministrativa, il tutto nel quadro di un paese che con la Convenzione Costituente sta cercando di darsi una struttura istituzionale diversa e con una pandemia ancora in atto.

Adesso si dovrà cambiare la Costituzione. In che direzione cambierà?
E’ difficile dire oggi in che direzione cambierà la nuova costituzione. Alcune cose però saranno sicuramente chiare nella nuova Costituzione: i costituenti cileni stanno cercando eliminare tutte le “trappole” che, con lo scudo del “diritto di proprietà”, impediscono ogni trasformazione del paese. Un esempio, la vecchia costituzione impedisce la Negoziazione collettiva per categoria produttiva. Non sappiamo ancora, perché il dibattito è appena iniziato, se ci sarà un regime presidenziale, semi presidenziale o parlamentare. I prossimi mesi saranno determinanti ma il fatto che ci sia un governo non ostile alla nuova costituzione è sicuramente un fatto di grande importanza. E non è poco.

Tu sei un ex esule cileno, fuggito dalla dittatura criminale di Pinochet come è stata accolta nella comunità cilena europea la notizia della elezione di Boric?
Direi molto bene. E’ una piccola comunità dove Gabriel Boric ha ottenuto 389 voti contro 178 di José Antonio Kast.