
Armeria (Photo by Samuel Corum/Anadolu Agency/Getty Images)
L’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo – IRIAD ha pubblicato nei giorni scorsi un interessante studio sulle armi negli Stati Uniti. Il quadro che emerge è molto preoccupante. Ne parliamo, in questa intervista, con Maurizio Simoncelli, Vicepresidente e cofondatore dell’Istituto di Ricerche InternazionaliArchivio Disarmo.
Professore, nei giorni scorsi, come istituto avete pubblicato un interessante studio sull’uso delle armi negli USA. Per prima cosa le chiedo: quanto è dipendente la società americana dalle armi da fuoco? Quali sono le “radici” di questa dipendenza?
La diffusione delle armi da fuoco negli Stati Uniti presso i privati cittadini affonda le sue radici nella storia di quel paese, dapprima nella rivolta armata contro la madrepatria inglese, poi nell’espansione dei coloni europei in territori immensi popolati da tribù di nativi che sono state spesso brutalmente espropriate della loro terra ed anche in una dura lotta per la sopravvivenza in aree dove non esistevano istituzioni adeguate a far rispettare la legge: la grande epopea del Far West narrataci da Hollywood ha delineato molto bene quelle vicende. La necessità di possedere un’arma fu codificata poi nel secondo emendamento della Costituzione, proprio in connessione alla resistenza popolare contro le truppe inglesi, tant’è che vi si parla di “milizia armata”.
Possiamo dare qualche numero su questa dipendenza?
Le vendite totali di armi da fuoco già nell’agosto 2020 avevano superato le vendite totali del 2019. Si calcola che circa il 30% degli americani detenga almeno un’arma, mentre il 66% ne possieda più d’una. Secondo la National Shooting Sports Foundation, un gruppo commerciale del settore, oltre 50 milioni di persone partecipano agli sport di tiro negli Stati Uniti e nel 2020 sono state vendute 20 milioni di pistole, di cui 8 milioni effettuate da acquirenti per la prima volta.
Quanto incide la lobby delle armi sul Pil statunitense?
Nell’intera industria della difesa statunitense (militare e civile) si valuta un’occupazione di circa 1.400.000 addetti (dati 2019) e si parla di cifre intorno ai 240 miliardi di dollari annui. Complessivamente settore delle armi leggere e relative munizioni si stimano 54.000 addetti nel in 790 industrie con un mercato che vale 19 miliardi di dollari (dati Ibisworld.com). Nella sola industria della Smith & Wesson (pistole, revolver e fucili) si contano 2.240 occupati, presso la Colt 19.700. Le entrate per l’industria delle armi da fuoco e delle munizioni sono cresciute del 13,4% solo nel 2020, quindi del 13,7% nel 2021 poiché l’industria è classificata come infrastruttura critica essenziale e autorizzata a continuare a operare dal Dipartimento della sicurezza interna.
Sappiamo che tra gli obiettivi del Presente Biden c’è quello di ridurre drasticamente la vendita di armi da assalto e i caricatori a capienza elevata (che sono le armi più usate nelle sparatorie). È un obiettivo possibile?
Il presidente Biden, sin dall’inizio del suo mandato, ha dichiarato la sua volontà di contrastare il massacro annuale dovuto alla diffusione di un’enorme varietà di armi, dalle pistole ai fucili d’assalto e oltre. Le ragionevoli proposte di limitare la vendita di armi da assalto e di caricatori a capienza elevata purtroppo trovano una forte resistenza da parte della lobby armiera, che con la sua influenza sui membri del Congresso e su un’ampia fetta della società statunitense riesce a bloccare ogni tentativo di seppur minima regolazione.
Attualmente come funziona la regolamentazione della vendita di armi da fuoco?
Non esiste un sistema di raccolta dati a livello federale. Il National Instant Criminal Background Check System (NICS), facente capo all’FBI, è ad oggi l’unica fonte attendibile, peraltro ancora approssimativa. Il sistema, complesso e lacunoso, prevede che l’eventuale acquirente debba compilare un modulo, dichiarando di essere in regola per possederla. I negozianti devono controllare, collegandosi ad una agenzia federale, che il potenziale compratore non abbia precedenti penali o sia per qualche ragione segnato come “inabile” (disturbi mentali comprovati, tossicodipendenti, coloro che hanno commesso violenze domestiche e sospetti terroristi) a possedere un’arma, attraverso il meccanismo di “background check”. Tuttavia, è difficile che l’FBI possa accedere alle cartelle cliniche. Per i terroristi, invece, la legge è bloccata al Senato dal 2016. Nel modulo non si specifica quante armi si vogliono comprare e, se il controllo da parte dell’agenzia federale non avviene entro tre giorni, l’acquirente può comprare l’arma, Inoltre non tutti i negozi di armi usano esclusivamente il sistema NICS, mentre rimane aperta la questione dei venditori presso le fiere e i negozi di pegni, soprattutto online, o tra privati, dove per l’acquisto serve solo la patente di guida. Infine in molti Stati non viene richiesta la registrazione.
Il famoso secondo emendamento della Costituzione non è possibile eliminarlo?
Il Secondo Emendamento della Costituzione statunitense (promulgata nel 1789) afferma che «essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben organizzata milizia, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto». La Corte Suprema nel 2008 si è espressa a favore di questa detenzione, considerando l’importanza della difesa dello Stato e il conseguente diritto del cittadino ad avere un’arma per adempiere a questo scopo. Anche se ci sono state imponenti manifestazioni popolari dopo ogni mass shooting, la potenza della lobby armiera, cioè la NRA National Rifle Association, riesce ad impedire ogni tentativo di maggior controllo del settore.
Volendo approfondire un po’ di più quanti americani possiedono armi e chi sono i possessori?
Si parla di 393.347.000 armi possedute su una popolazione di 327
milioni di persone. Di queste ultime si calcola che il 40% di esse detenga in casa almeno un’arma. E’ interessante ricordare che, secondo una ricerca del PEW Center del 2017, il possesso di armi è più comune tra gli uomini (soprattutto bianchi) rispetto alle donne. Il 46% della popolazione rurale dichiara di possedere armi, rispetto al 28% degli abitanti della periferie e al 19% di quelli delle aree urbane.
Chi sono le vittime delle armi da fuoco? E le maggiori cause
Si parla di quasi 40.000 morti all’anno, uccisi sia in sparatorie d massa (le cosiddette mass shooting), sia in situazioni di violenza privata, sia (e in misura maggiore) per suicidi. Nel 2014 le vittime di mass shooting erano 271, nel2021 606. Agli inizi di novembre 2021 ben 17.000 persone sono state uccise con armi da fuoco, 34.000 ferite e 20.000 suicidatesi. Dato che ogni mese questo bollettino di “guerra silenziosa” vede nuove vittime, possiamo aspettarci altre migliaia di vite umane falciate di qui alla fine dell’anno in corso. E’ comunque opportuno ricordare che la legislazione in merito al possesso delle armi da fuoco varia da stato a stato, con il risultato che quelli con maggiori restrizioni in merito hanno mediamente un minor numero di vittime. In Texas risulta in mano ai privati più di un milione di armi, oltre mezzo milione in Florida e oltre 400.000 in Virginia e California, mentre in quello di New York 92.000 e in Massachusetts 45.000.
Anche la Pandemia ha giocato un ruolo devastante nell’aumento della vendita delle armi… Perché?
Incredibilmente la diffusione della pandemia ha aumentato l’insicurezza dei cittadini statunitensi, che, per timore di disordini connessi a conseguenti scarsità di risorse alimentari o crisi occupazionali, hanno pensato bene di garantirsi con acquisti massicci di armi per difendersi da assalti di eventuali malintenzionati, di fatto ritenendo incapaci le forze dell’ordine di gestire una possibile situazione del genere.
Rispetto agli USA il nostro Paese è più rigoroso?
Da diversi anni il nostro Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo IRIAD monitora queste vicende statunitensi, dato che quel grande paese spesso ha precorso con largo anticipo tappe che poi la società italiana ha raggiunto, nel bene o nel male. La legislazione italiana in questo campo è più rigorosa, tanto che la licenza per il porto d’armi per difesa personale è concessa con estrema attenzione dalle autorità competenti (appena 18.000). Altro discorso è quello relativo alle armi da caccia, che possono richiedere appunto i cacciatori (738.000): possono avere un numero illimitato di fucili da caccia a due o tre canne con un calibro non superiore ai dodici millimetri e un massimo di 1.500 cartucce.
Il vero, grosso problema è quello del porto d’armi per uso sportivo: l’impennata di questi “sportivi” appare quanto meno sospetta. Infatti la cifra si è quadruplicata in pochi anni passando dalle 125.000 persone del 2002 all’oltre mezzo milione di adesso; peraltro, risultano circa solo 100.000 tesserati presso le unioni sportive. E’ verosimile che questo sia un modo per aggirare le norme stringenti del porto d’armi per uso personale. Non esiste un controllo che i detentori di armi per uso sportivo pratichino effettivamente tale disciplina e frequentino i poligoni di tiro delle unioni sportive. In generale non risultano richiesti frequenti esami psichiatrici e tossicologici. Per di più, tra il 2017 e il 2019 un omicidio su 10 è stato commesso con armi regolarmente detenute.
Nel nostro Paese, nonostante il reale e significativo decremento degli omicidi volontari (469 nel 2015, 318 nel 2019 – dati ISTAT), negli ultimi anni è andata aumentando la richiesta di armi ad uso civile, in relazione ad una narrazione allarmistica da parte di alcuni mass media e di forze politiche che molto hanno puntato sull’insicurezza riuscendo ad ottenere l’approvazione in Parlamento delle nuove norme del porto d’armi (decreto n. 104/2018) e sulla legittima difesa (legge n. 36 del 26 aprile 2019). Anche in Italia, le armi da fuoco, tra l’altro, emergono come mezzo nel caso di suicidio maschile (13,5 per cento), mentre nel caso dei condannati il rapporto uomini/donne nel caso di violazioni delle norme in materia di armi, munizioni ed esplosivi è addirittura del 95,3 per cento (ISTAT 2019).