L’incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill è una nuova tappa della “geopolitica della misericordia”. Intervista a Francesco Peloso

Papa Francesco durante l'udienza generale del 10 febbraio 2016 in piazza San Pietro in Vaticano (FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images)

Papa Francesco durante l’udienza generale del 10 febbraio 2016, Piazza San Pietro in Vaticano (FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images)

Domani, nella mattinata, Papa Francesco lascerà Roma per recarsi in Messico. Un viaggio importante. Durerà una settimana. Farà tappa all’Avana dove, all’aeroporto “Josè Martì”, incontrerà , nel pomeriggio, il Patriarca Russo Ortodosso Kirill. L’incontro durerà due ore. Alla fine ci sarà la firma di una dichiarazione congiunta dei due leader religiosi. Un incontro storico, che segnerà una svolta nei rapporti tra la Chiesa Cattolica e l’Ortodossia. Una svolta che viene da lontano. Come si è arrivati a questo incontro? Quali sono le possibili conseguenze a livello religioso e politico? Ne parliamo, in questa intervista, con Francesco Peloso, giornalista  vaticanista del sito d’informazione religiosa, del quotidiano “La Stampa”, “Vatican insider”. Peloso è  anche collaboratore dell’Unità e del settimanale “Internazionale”.

L’incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Ortodosso Kirill, che avverrà all’aeroporto dell’Avana, è un fatto di enorme portata storica. Non è un fatto episodico. Ovviamente ha una sua storia, quella dei rapporti con l’ortodossia. Quali sono le “radici” di quest’incontro ?

Il dialogo fra la Chiesa di Roma e il mondo ortodosso va avanti dagli anni del Concilio Vaticano II, ma di certo – considerato che le le chiese d’oriente fra di loro non sono tutte uguali – la svolta nel dialogo con il patriarcato di Mosca inizia dopo la caduta del Muro di Berlino e il ripristino della libertà religiosa in Russia. Si tratta per altro delle due maggiori confessioni cristiane del mondo fra le quali, nei secoli passati e fino a tempi recenti, non sono mancante le incomprensioni, le diffidenze, le rivalità. Da quando però il processo ecumenico ha preso piede, il possibile incontro fra Roma e Mosca rappresentava di certo il coronamento agognato di questo percorso.

La scelta del luogo non è causale…..Perché proprio all’Avana?

Per motivi politici prima ancora che religiosi, o comunque per un mix di queste due componenti. Bisogna considerare infatti che Cuba continua ad aver buone relazioni con Mosca, ben oltre la stagione della guerra fredda. Certo sono mutate molte cose, e tuttavia si tratti di due nazioni, entrambe protagoniste di primo piano della storia contemporanea che, per varie ragioni, si collocano in modo antagonista o quanto meno interlocutorio rispetto agli Stati Uniti, e questo indubbiamente le lega, non sono insomma alleati degli Usa, anzi ne hanno contestato in questi decenni il primato di unica superpotenza. D’altro canto Cuba è entrata – anche grazie alla formidabile mediazione del papa e del Vaticano – in una nuova e originale fase nei rapporti con Washington, è iniziato il disgelo, sono caduti i muri, riprese le relazioni diplomatiche, ed è solo l’inizio. E qui bisogna sottolineare che anche il presidente Obama è uno degli attori da considerare in quanto sta avvenendo; la rinuncia dell’attuale capo della Casa Bianca ad essere ‘gendarme del mondo’, ha insomma avuto un peso in questa vicenda, e il dialogo fra lui e il papa è nato proprio a partire da questa scelta. Il regime castrista, d’altro canto, sotto la guida di Raul Castro, si sta aprendo un po’ alla volta al mondo, anche alla presenza della religione. La Chiesa cattolica ha fatto da apripista, quella ortodossa sta seguendo la stessa strada. Cuba è quindi un po’ certamente ‘casa’ del papa, quale leader morale, religioso e in parte politico riconosciuto da tutta l’America Latina, e sicuramente è un partner importante per Mosca, sia a livello politico che religioso.

Quali saranno, nelle due ore di colloquio, i principali “dossier” che affronteranno?

Quelli di cui si è già detto in questi giorni: in primo luogo il senso del cammino ecumenico, il valore dell’incontro fra il papa e il patriarca per la pace; qui mi aspetto qualcosa di più che una dichiarazione solo formale. Poi certamente la vicenda ucraina con i contrasti fra ortodossi e greco-cattolici, il Medio Oriente, il problema dei cristiani perseguitati, il no al fondamentalismo religioso, a chi usa il nome di Dio per uccidere o promuovere guerre sante, la libertà e la convivenza religiosa, il tema dell’ambiente, il contributo del cristianesimo alle relazioni pacifiche fra gli Stati, i governi, i popoli…vedremo.

L’incontro con il Patriarca Kirill avrà delle conseguenze sui rapporti con gli Uniati (i cristiani di rito greco fedeli a Roma), che, come si sa, sono una comunità molto presente in Ucraina (altro luogo di conflitto). Con questo incontro crollerà un altro muro (quello tra “uniati” e Patriarcato di Mosca), con possibili conseguenze politiche?

Non credo che crollerà un muro, il conflitto ucraino ha infatti già prodotto un fiume di vittime del quale forse ci siamo accorti solo in parte. Senza contare i profughi, gli sfollati interni, le lacerazioni sociali, gli opposti e intransigenti nazionalismi alimentati da Mosca e da Kiev, il problema dell’applicazione di accordi internazionali, da parte di Putin in particolare. I greco-cattolici e i fedeli al patriarcato di Mosca sono dentro questo schema terribile, in parte ne sono protagonisti. Certo, l’abbraccio fra Francesco e Kirill può dire qualcosa: soprattutto in termini di una convivenza possibile, facendo compiere un primo passo importante in direzione di un superamento di una contrapposizione storica fra la Chiesa ucraina fedele a Roma e quella russa. D’altro canto il nodo Ucraina è sempre stato il vero ostacolo al l’incontro fra il papa e il patriarca; vediamo fino a che punto ci sarà coraggio di venirsi incontro.

Insomma con questa mossa Francesco si conferma un “player” di livello planetario. Forse l’unico che ha un carisma che gli consente massima libertà dli movimento… La “geopolitica della misericordia” ha messo a segno diversi successi. Possiamo fissare i punti fermi della “geopolitica” di Francesco?

Mi pare un’impostazione corretta della questione, tuttavia i punti fermi sono troppi da elencare. Parlerei però, piuttosto, di una diplomazia in movimento, una diplomazia dinamica, che ha nel multilateralismo e poi ancor di più nel multipolarismo, la sua bussola. Qui non si tratta di capire chi sono i ‘nuovi’ alleati della Santa Sede, come qualcuno seguendo vecchi schemi prova a fare, ma di comprendere il metodo: è questo “camminare insieme nella differenza” che conta. Cioè la necessità di accettare l’interlocutore, di comprenderne la sua visione, per lavorare insieme tutte le volte che questo è possibile, sapendo che restano -allo stesso tempo – delle distanze. Solo così, nel metodo Francesco, si può puntare a obiettivi di fondo come la fine dei conflitti, l’allargamento del principio di cittadinanza a chi ne è escluso (gli ‘scartati’ spesso richiamati dal papa), la rinuncia a interessi di potere in nome di un aiuto ai deboli, o di politiche in favore del genere umano e delle generazioni future, come nel caso della salvaguardia ecologica, del Creato. Per fare questo non si può stilare la classifica dei cattivi, dire: tu non ti puoi sedere la tavolo del negoziato, con te non ci parlo. Il riconoscimento dell’altro implica un approccio nuovo, multipolare appunto, e di pari dignità. Il che non significa rinunciare alle proprie ragioni, alle critiche, al contrario vuol dire dare una chance in più a principi che, altrimenti, sarebbero rifiutati a priori; si pensi alla libertà religiosa in Cina o nei Paesi islamici, per non dire degli squilibri sociali ed economici fra nord e sud del Pianeta.

Il prossimo muro che cadrà sarà la Cina?

Il dialogo con la Cina prosegue in modo positivo, la diplomazia vaticana è al lavoro, ma i tempi di queste cose sono sempre incerti, mille ostacoli possono frapporsi.

Ultima domanda: Dopo l’ Avana il Papa andrà in Messico. Un paese dilaniato dalle bande criminali dei Narcos e dalla corruzione. Quali sono gli obiettivi di questa visita?

Il discorso sul Messico sarebbe lungo. Di certo il papa vuole portare una parola di speranza ai più deboli, agli offesi, ai migranti, ai poveri, che sono le vere vittime della violenza tremenda e disumana dei cartelli della droga, della corruzione degli apparati statali, della ‘tratta’ di esseri umani da una parte all’altra del confine con gli Stati Uniti. E poi di certo nei pensieri del pontefice ci sono le popolazioni indigene. Il Messico, con papa Francesco, credo che possa riscoprire un cristianesimo ispirato, profetico, capace di parlare di pace, di fratellanza, di giustizia e di perdono, parole non retoriche, ma che toccano la carne viva di un popolo.

“Il Family day non è il modo migliore per mettersi nella stessa lunghezza d’onda di Papa Francesco”. Intervista a Massimo Faggioli

Massimo Faggioli (Foto da  www.ferraraitalia.it)

Massimo Faggioli (Foto da www.ferraraitalia.it)

Domani a Roma, al Circo Massimo, si svolgerà il “Family Day”. Organizzato dal “Forum delle famiglie” per contrastare il ddl Cirinnà sulle unioni civili. “Il ddl va riscritto, perché – secondo loro – non tiene conto dell’elemento più fragile, il bambino”. Ovviamente tutto questo avrà un suo influsso nel dibattito politico che si aprirà la prossima settimana, al Senato, quando si aprirà la discussione per  l’approvazione del ddl. Questo è il secondo “Family Day”, dopo quello del 2007, da allora sono cambiate molte cose. In modo particolare nel mondo cattolico. Ne parliamo, in questa intervista, con lo storico del cristianesimo Massimo Faggioli. Faggioli è Associate Professor della University of St. Thomas (a St Paul nel Minnesota – Usa).

Professor Faggioli, domani il forum delle famiglie organizza il cosiddetto “Family Day” per riaffermare i valori della famiglia tradizionale contro il ddl sulle Unioni Civili. Nel Paese è in corso una discussione con diverse prese di posizione trasversali. Anche la Chiesa cattolica, attraverso i suoi pastori, ha preso una posizione. Vede novità, rispetto al 2007, nelle gerarchie cattoliche e nel laicato cattolico? 

La novità maggiore è che c’è papa Francesco e quindi quella compattezza fittizia sulle parole d’ordine che c’era nel 2007 oggi non esiste più: molti veli sono caduti nella chiesa italiana come in quella globale. I vescovi sono alle prese oggi con una difficile transizione dall’unanimismo del trentennio precedente a una nuova era, quella di Francesco, in cui le questioni di morale sessuale non sono più l’elemento dirimente nel linguaggio del magistero pontificio. Questo provoca delle tensioni interne all’episcopato, che si vedono anche dalle parole caute di Bagnasco circa il “Family Day”, più caute rispetto al 2007. Ma anche tra il laicato cattolico vi sono posizioni molto diverse che sono oggi evidenti: il sostegno da parte dei movimenti cattolici al “Family Day” è minore rispetto al 2007, e a loro volta i movimenti sanno che devono ricostruire il loro rapporto con un papa che è diverso dai due predecessori sulla ecclesiologia. È chiaro che il “Family Day” non è percepito come il modo migliore per mettersi sulla stessa lunghezza d’onda di papa Francesco, che nei discorsi ai movimenti li ha esortati chiaramente a non rinchiudersi in una idea limitata di chiesa e di mondo.

Parliamo di Papa Francesco. Alcuni laici sono rimasti delusi dalle sue affermazioni, fatte durante l’udienza ai giudici della Sacra Rota, sulle unioni diverse dal matrimonio. Per altri come Antonio Socci, critico feroce di Bergoglio, si è trattato quasi di un “miracolo”. Secondo lei queste affermazioni di Papa Francesco devono essere prese come un appoggio alla manifestazione di sabato? Oppure sono parole che sono state strumentalizzate?

Papa Francesco è conscio più di altri del tentativo di manipolare o strumentalizzare le sue parole. Ha parlato di matrimonio con le sfumature giuste, dicendo che gli altri tipi di unioni sono una cosa diversa. Non ha parlato di valori non negoziabili, né della manifestazione di sabato. E se anche avesse parlato del “Family Day”, questo sarebbe stato comunque molto diverso dal fare appello ai parlamentari cattolici a votare secondo le indicazioni del magistero della chiesa – cosa che abbiamo visto nel recente passato in Italia. Francesco non crede nello scontro tra culture. Il problema è che alcuni dirigenti del cattolicesimo italiano (laici e chierici) sembrano credere al ricorso alle piazze e non avere più opzioni alternative allo strumento della piazza – che peraltro non ha servito bene la chiesa nel decennio passato.

Una parola sui cattolici del PD. Vede dei limiti nella loro azione?

La stessa espressione “cattolici del PD” evidenzia che c’è un problema di collocazione politica di una cultura, quella del cattolicesimo politico, che si è impoverita all’interno del PD ma anche nel paese in generale e in tutta Europa – e la crisi del cattolicesimo politico in Europa è parte della crisi dell’Unione Europea. Si tratta di una questione tanto di contenuti (come la questione dei corpi intermedi e della Costituzione) quanto di stile (imbarcare dentro il PD personaggi che non hanno nulla a che fare con le culture che hanno fondato quel partito). Il PD (e il governo) abbondano di cattolici, ma il loro linguaggio, azione, stile, rete di rapporti sociali e culturali è totalmente diverso da quello della generazione precedente – tanto che si fa fatica a vedere delle continuità tra le due generazioni. È un cattolicesimo che pare essere privo di una sua cultura teologica e spirituale, priva di testimoni e di testi di riferimento. Al confronto della nuova generazione giovane di cattolici del PD, un politico cattolico liberal come il vicepresidente americano Joe Biden sembra quasi una specie di De Gasperi.

Siamo in una fase storica del rapporto “Chiesa – politica”, come lei dice, nuova rispetto al 2007. Una fase caratterizzata dalla fine del “ruinismo” e del “prodismo”. Due posizioni che si scontrate in modo duro negli anni passati. Siamo, lei dice, in una fase post-adulta. Può spiegarci meglio? Vuol dire che si aprirà una nuova stagione per il cattolicesimo politico?

Alla fine del ruinismo corrisponde in un certo senso anche la fine del prodismo. Che cosa rimane di quel cattolicesimo politicamente adulto? La nuova generazione del cattolicesimo italiano si è emancipata dai vescovi, ma anche da coloro che si erano emancipati dai vescovi. La nuova generazione da una parte non si fa problema a disobbedire ai vescovi, ma dall’altra parte sembra obbedire allo “spirito del tempo” in modo acritico. Non è chiaro quale sarà la prossima fase del cattolicesimo politico – né se ci sarà un futuro per il cattolicesimo politico. Questa questione va inquadrata da una parte nella crisi del paradigma occidentale del cattolicesimo, che ora è sempre più globale, e dall’altra nella crisi epocale di fede nella politica.

Ultima domanda: sullo sfondo dei diritti civili c’è il grande confronto scontro, come lo definiva lo storico francese Emilé Poulat, chiesa-modernità. Il Concilio Vaticano II ha detto parole definitive, ovvero la scelta del dialogo. Qual è lo sforzo innovatore di Papa Francesco su questa frontiera?

Il Vaticano II ha solo iniziato un discorso che 50 anni fa è ancora aperto, anche perché Francesco lo ha riaperto. Bergoglio ha una visione complessa della modernità coi suoi aspetti negativi, come si vede nell’enciclica Laudato si’. La cosa importante di Francesco è che non guarda mai indietro con nostalgia, ma è sempre proiettato nel futuro. Questo atteggiamento è di per sé moderno.

“Voi siete i nostri fratelli e le nostre sorelle maggiori nella fede”. Il testo del discorso di Papa Francesco alla comunità ebraica nella Sinagoga di Roma

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Grande emozione ha suscitato  la visita di Papa Francesco alla Sinagoga di Roma. Emozionante per il clima veramente fraterno della comunità ebraica nei confronti del Papa. Il Papa ha ricambiato con la sua grande umanità, pronunciando parole indelebili. Ma aldilà delle parole, importanti quelle del Rabbino capo, sono stati i segni, i comportamenti , che hanno segnato la visita. Il clima di fraternità dominava il tutto. IRREVOCABILITÀ’ dell’alleanza di Dio con il Popolo d’Israele, la chiave è tutta qui. Da questo discende tutto il futuro dell’impegno per la pace di ebrei e cristiani. La profezia del Concilio, il documento Nostra Aetate, dà il suo frutto. In questa visita non potevano mancare le PAROLE forti sulla Shoah. Ma ancora una volta sono stati i gesti a incarnare le parole. L’abbraccio di Francesco nei confronti dei sopravvissuti di Auschwitz è stato forte. Emblematico,così, è stato il canto finale, Ani maamin,: “credo in piena fede nella venuta del messia”, che cantavano gli ebrei mentre andavano a morire nei crematori, . un canto struggente, che ti toglie il respiro.

Una giornata indelebile per la storia millenaria dell’ebraismo e del cristianesimo.

Di seguito pubblichiamo il testo dell’intervento del Papa:

Cari fratelli e sorelle,

sono felice di trovarmi oggi con voi in questo Tempio Maggiore. Ringrazio per le loro cortesi parole il Dottor Di Segni, la Dottoressa Dureghello e l’Avvocato Gattegna; e ringrazio voi tutti per la calorosa accoglienza, grazie! Todà rabbà!

Nella mia prima visita a questa Sinagoga come Vescovo di Roma, desidero esprimere a voi, estendendolo a tutte le comunità ebraiche, il saluto fraterno di pace di questa Chiesa e dell’intera Chiesa cattolica.

Le nostre relazioni mi stanno molto a cuore. Già a Buenos Aires ero solito andare nelle sinagoghe e incontrare le comunità là riunite, seguire da vicino le feste e le commemorazioni ebraiche e rendere grazie al Signore, che ci dona la vita e che ci accompagna nel cammino della storia. Nel corso del tempo, si è creato un legame spirituale, che ha favorito la nascita di autentici rapporti di amicizia e anche ispirato un impegno comune. Nel dialogo interreligioso è fondamentale che ci incontriamo come fratelli e sorelle davanti al nostro Creatore e a Lui rendiamo lode, che ci rispettiamo e apprezziamo a vicenda e cerchiamo di collaborare. E nel dialogo ebraico-cristiano c’è un legame unico e peculiare, in virtù delle radici ebraiche del cristianesimo: ebrei e cristiani devono dunque sentirsi fratelli, uniti dallo stesso Dio e da un ricco patrimonio spirituale comune (cfr Dich. Nostra Aetate 4), sul quale basarsi e continuare a costruire il futuro.

Con questa mia visita seguo le orme dei miei Predecessori., Papa Giovanni Paolo II venne qui trent’anni fa, il 13 aprile 1986; e Papa Benedetto XVI è stato tra voi sei anni or sono. Giovanni Paolo II, in quella occasione, coniò la bella espressione “fratelli maggiori”, e infatti voi siete i nostri fratelli e le nostre sorelle maggiori nella fede. Tutti quanti apparteniamo ad un’unica famiglia, la famiglia di Dio, il quale ci accompagna e ci protegge come suo popolo. Insieme, come ebrei e come cattolici, siamo chiamati ad assumerci le nostre responsabilità per questa città, apportando il nostro contributo, anzitutto spirituale, e favorendo la risoluzione dei diversi problemi attuali. Mi auguro che crescano sempre più la vicinanza, la reciproca conoscenza e la stima tra le nostre due comunità di fede. Per questo è significativo che io sia venuto tra voi proprio oggi, 17 gennaio, quando la Conferenza Episcopale Italiana celebra la “Giornata del dialogo tra cattolici ed ebrei”.

Abbiamo da poco commemorato il 50º anniversario della Dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II, che ha reso possibile il dialogo sistematico tra la Chiesa cattolica e l’ebraismo. Il 28 Ottobre scorso, in Piazza San Pietro., ho potuto salutare anche un gran numero di rappresentanti ebraici, e mi sono così espresso: «Una speciale gratitudine a Dio merita la vera e propria trasformazione che ha avuto in questi cinquant’anni il rapporto tra cristiani ed ebrei. Indifferenza e opposizione si sono mutate in collaborazione e benevolenza. Da nemici ed estranei, siamo diventati amici e fratelli. Il Concilio, con la Dichiarazione Nostra aetate ha tracciato la via: “sì” alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo; “no” ad ogni forma di antisemitismo, e condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano». Nostra aetate ha definito teologicamente per la prima volta, in maniera esplicita, le relazioni della Chiesa cattolica con l’ebraismo. Essa naturalmente non ha risolto tutte le questioni teologiche che ci riguardano, ma vi ha fatto riferimento in maniera incoraggiante, fornendo un importantissimo stimolo per ulteriori, necessarie riflessioni. A questo proposito, il 10 dicembre 2015, la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo , ha pubblicato un nuovo documento, che affronta le questioni teologiche emerse negli ultimi decenni trascorsi dalla promulgazione di Nostra aetate. Infatti, la dimensione teologica del dialogo ebraico-cattolico merita di essere sempre più approfondita, e desidero incoraggiare tutti coloro che sono impegnati in questo dialogo a continuare in tal senso, con discernimento e perseveranza. Proprio da un punto di vista teologico, appare chiaramente l’inscindibile legame che unisce cristiani ed ebrei. I cristiani, per comprendere sé stessi, non possono non fare riferimento alle radici ebraiche, e la Chiesa, pur professando la salvezza attraverso la fede in Cristo, riconosce l’irrevocabilità dell’Antica Alleanza e l’amore costante e fedele di Dio per Israele.

Insieme con le questioni teologiche, non dobbiamo perdere di vista le grandi sfide che il mondo di oggi si trova ad affrontare. Quella di una ecologia integrale è ormai prioritaria, e come cristiani ed ebrei possiamo e dobbiamo offrire all’umanità intera il messaggio della Bibbia circa la cura del creato. Conflitti, guerre, violenze ed ingiustizie aprono ferite profonde nell’umanità e ci chiamano a rafforzare l’impegno per la pace e la giustizia. La violenza dell’uomo sull’uomo è in contraddizione con ogni religione degna di questo nome, e in particolare con le tre grandi religioni monoteistiche. La vita è sacra, quale dono di Dio. Il quinto comandamento del Decalogo dice: «Non uccidere» (Es 20,13). Dio è il Dio della vita, e vuole sempre promuoverla e difenderla; e noi, creati a sua immagine e somiglianza, siamo tenuti a fare lo stesso. Ogni essere umano, in quanto creatura di Dio, è nostro fratello, indipendentemente dalla sua origine o dalla sua appartenenza religiosa. Ogni persona va guardata con benevolenza, come fa Dio, che porge la sua mano misericordiosa a tutti, indipendentemente dalla loro fede e dalla loro provenienza, e che si prende cura di quanti hanno più bisogno di Lui: i poveri, i malati, gli emarginati, gli indifesi. Là dove la vita è in pericolo, siamo chiamati ancora di più a proteggerla. Né la violenza né la morte avranno mai l’ultima parola davanti a Dio, che è il Dio dell’amore e della vita. Noi dobbiamo pregarlo con insistenza affinché ci aiuti a praticare in Europa, in Terra Santa, in Medio Oriente, in Africa e in ogni altra parte del mondo la logica della pace, della riconciliazione, del perdono, della vita.

Il popolo ebraico, nella sua storia, ha dovuto sperimentare la violenza e la persecuzione, fino allo sterminio degli ebrei europei durante la Shoah. Sei milioni di persone, solo perché appartenenti al popolo ebraico, sono state vittime della più disumana barbarie, perpetrata in nome di un’ideologia che voleva sostituire l’uomo a Dio. Il 16 ottobre 1943, oltre mille uomini, donne e bambini della comunità ebraica di Roma furono deportati ad Auschwitz. Oggi desidero ricordarli con il cuore, in modo particolare: le loro sofferenze, le loro angosce, le loro lacrime non devono mai essere dimenticate. E il passato ci deve servire da lezione per il presente e per il futuro. La Shoah ci insegna che occorre sempre massima vigilanza, per poter intervenire tempestivamente in difesa della dignità umana e della pace. Vorrei esprimere la mia vicinanza ad ogni testimone della Shoah ancora vivente; e rivolgo il mio saluto particolare a voi, che siete qui presenti.

Cari fratelli maggiori, dobbiamo davvero essere grati per tutto ciò che è stato possibile realizzare negli ultimi cinquant’anni, perché tra noi sono cresciute e si sono approfondite la comprensione reciproca, la mutua fiducia e l’amicizia. Preghiamo insieme il Signore, affinché conduca il nostro cammino verso un futuro buono, migliore. Dio ha per noi progetti di salvezza, come dice il profeta Geremia: «Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo – oracolo del Signore –, progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza» (Ger 29,11). Che il Signore ci benedica e ci protegga. Faccia splendere il suo volto su di noi e ci doni la sua grazia. Rivolga su di noi il suo volto e ci conceda la pace (cfr Nm 6,24-26). Shalom alechem!

Dal Sito:  HYPERLINK 

“Il nome di Dio è Misericordia”. Il libro-intervista di Papa Francesco

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Saranno il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, l’attore Roberto Benigni, Padre Federico Lombardi e Jianqing Zhang Agostino (ospite del carcere di Padova) a presentare il  libro-intervista, scritto dal vaticanista della Stampa Andrea Tornielli, al Papa Francesco dal titolo «Il nome di Dio è Misericordia», domani, nella tarda mattinata, all’Augustianum di Roma situato a due passi da Piazza San Pietro. Anche Rainews24 seguirà la presentazione. Questo libro, scrive Tornielli, “è il frutto di un colloquio cominciato nel salottino della sua abitazione, nella Casa Santa Marta in Vaticano, in un afosissimo pomeriggio dello scorso luglio, pochi giorni dopo il ritorno dal viaggio in Ecuador, Bolivia e Paraguay”. Il libro-intervista, da domani in libreria per le edizioni Piemme, esce in contemporanea in 86 Paesi: tra gli editori ci sono, Verlag e Planeta.

Quello di Francesco è un vero e proprio inno alla Misericordia di Dio, una misericordia vissuta nella sua esperienza di Pastore nei luoghi delle periferie esistenziali e sociali dell’Argentina.

Dal libro esce un ritratto a tinte forti dell’ecclesiologia missionaria di Bergoglio, una sfida profetica per tutta la Chiesa cattolica.

Di seguito pubblichiamo un breve estratto, tratto dal sito http://www.lastampa.it/vaticaninsider/ita, del libro di Andrea Tornielli.

Troppa misericordia?  

La Chiesa condanna il peccato perché deve dire la verità: questo è un peccato. Ma allo stesso tempo abbraccia il peccatore che si riconosce tale, lo avvicina, gli parla della misericordia infinita di Dio. Gesù ha perdonato persino quelli che lo hanno messo in croce e lo hanno disprezzato. Dobbiamo tornare al Vangelo. Là troviamo che non si parla solo di accoglienza e di perdono, ma si parla di “festa” per il figlio che ritorna. L’espressione della misericordia è la gioia della festa, che troviamo bene espressa nel Vangelo di Luca: «Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione» (15, 7). Non dice: e se poi dovesse ricadere, tornare indietro, compiere ancora peccati, che si arrangi da solo! No, perché a Pietro che gli domandava quante volte bisogna perdonare, Gesù ha detto: «Settanta volte sette» (Vangelo di Matteo 18, 22), cioè sempre.

Al figlio maggiore del padre misericordioso (il riferimento è alla parabola del Figlio Prodigo, ndr.) è stato permesso di dire la verità di quanto accaduto, anche se non capiva, anche perché l’altro fratello, quando ha cominciato ad accusarsi, non ha avuto il tempo di parlare: il padre l’ha fermato e lo ha abbracciato. Proprio perché c’è il peccato nel mondo, proprio perché la nostra natura umana è ferita dal peccato originale, Dio che ha donato suo Figlio per noi non può che rivelarsi come misericordia. […]

Seguendo il Signore, la Chiesa è chiamata a effondere la sua misericordia su tutti coloro che si riconoscono peccatori, responsabili del male compiuto, che si sentono bisognosi di perdono. La Chiesa non è al mondo per condannare, ma per permettere l’incontro con quell’amore viscerale che è la misericordia di Dio. Perché ciò accada, lo ripeto spesso, è necessario uscire. Uscire dalle chiese e dalle parrocchie, uscire e andare a cercare le persone là dove vivono, dove soffrono, dove sperano. L’ospedale da campo, l’immagine con la quale mi piace descrivere questa “Chiesa in uscita”, ha la caratteristica di sorgere là dove si combatte: non è la struttura solida, dotata di tutto, dove ci si va a curare per le piccole e grandi infermità. È una struttura mobile, di primo soccorso, di pronto intervento, per evitare che i combattenti muoiano. Vi si pratica la medicina d’urgenza, non si fanno i check-up specialistici. Spero che il Giubileo straordinario faccia emergere sempre di più il volto di una Chiesa che riscopre le viscere materne della misericordia e che va incontro ai tanti “feriti” bisognosi di ascolto, comprensione, perdono e amore.

Andrea Tornielli, Il nome di Dio è Misericordia, Ed. Piemme, Milano 2016, pagg. 120, 15 €

 

 

SE NASCE UN BAMBINO,VUOL DIRE CHE DIO CREDE ANCORA NELL’ESSERE UMANO. Un testo natalizio di Leonardo Boff

San Jose, COSTA RICA: Brazilian Franciscan father Leonardo Boff, one of the greatest exponents of the Liberation Theology gives, an interview to an university newspaper 14 March, 2007 in San Pedro, east from San Jose. Boff said that the warning issued to Spanish Jesuit Jon Sobrino will stir the debate around the liberation theory, still pretty alive in the world. Sobrino's books, widely distributed in the heavily Catholic region, contain passages that are "either erroneous or dangerous and may cause harm to the faithful," the Vatican said, issuing a warning "notification" but stopping short of condemning him.   AFP PHOTO / Mayela LOPEZ (Photo credit should read MAYELA LOPEZ/AFP/Getty Images)

San Jose, COSTA RICA: l’ex frate francescano brasiliano, Leonardo Boff, in una foto del 2007 (MAYELA LOPEZ/AFP/Getty Images)

Pubblichiamo questa intensa riflessione natalizia del Teologo brasiliano della liberazione Leonardo Boff*

Siamo sotto Natale, ma non c’è atmosfera di festa. Piuttosto tira aria di venerdì santo.Tante sono le crisi, gli attentati terroristici, le guerre che, insieme, potenze bellicose e militariste (USA, Francia, Russia e Germania) scatenano contro lo stato islamico. Hanno semidistrutto la Siria, che ora affronta una spaventosa mortalità di civili e bambini come la stessa stampa ha fatto vedere. Atmosfera contaminata da rancori e spirito di vendetta nella politica brasiliana, per non dire dei livelli astronomici di corruzione: tutto questo spegne le luci di Natale, fa appassire gli alberi di Natale che dovrebbero creare   un’atmosfera di allegria e di innocenza infantile che ancora persiste in qualsiasi persona umana.

         Chi ha potuto assistere al film Bambini Invisibili, in sette scene differenti, diretto da famosi registi come Spike Lee, Katia Lund, John Woo tra gli altri, ha potuto rendersi conto della vita distrutta di bambini di varie parti del mondo, condannate a vivere di rifiuti e nei rifiuti; e anche così ci sono scene commoventi di cameratismo, di piccole gioie negli occhi tristi e di solidarietà tra di loro.

         E pensare che sono milioni oggi nel mondo e che lo stesso Bambino Gesù, secondo i testi biblici è nato in una grotta e messo in una greppia, luoghi riservati ad animali, perché Maria,  prossima a partorire, non aveva trovato posto in nessuna locanda di Betlemme. Lui si è mescolato al destino di tutti questi bambini maltrattati dalla nostra insensibilità.

         Anni dopo, questo stesso Gesù già grande dirà: “Chi riceverà questi miei piccoli fratelli e sorelle, riceverà me”. Il Natale si realizza quando avviene l’accoglienza come quella che il Padre Lancellotti organizza in S.Paolo per centinaia di bambini di strada sotto un viadotto e che ha potuto contare per molti anni sulla presenza del Presidente  Lula. In mezzo a questa ondata di disgrazie, nel mondo e in Brasile mi viene in mente un pezzo di legno con la scritta a fuoco che un malato di un ospedale psichiatrico dello Stato di Minas Gerais (BR) mi consegnò in occasione di una visita compiuta da me per incoraggiare il personale. Ci stava scritto:”Tutte le volte che nasce un bambino, è segno che Dio crede ancora nell’essere umano”.

         Ci sarà mai un atto di fede e di speranza più grande di questo? In alcune culture africane  si dice che Dio abita in forma tutta speciale nelle persone che noi chiamiamo “pazzi”. Per questo sono adottati da tutti e tutti  hanno cura di loro come se si trattasse di un fratello e di una sorella. Per questo sono integrati e vivono pacificamente. La nostra cultura li tiene isolati e non si riconosce in loro.

          Il Natale di quest’anno ci rimanda a una umanità offesa e a tutti i bambini invisibili le cui sofferenze somigliano a quelle del Bambino Gesù, che nell’inverno della campagna di Betlemme, adagiato nella greppia di una stalla, ebbe a tremare di freddo. Secondo un’antica leggenda fu riscaldato dal fiato di un bue e di un asinello che come premio ebbero in seguito restituita la loro piena vitalità.

         E’ bene ricordare il significato religioso del Natale: Dio non è un vecchio barbuto dagli occhi penetranti, che scrutano severi tutte le nostre azioni. E’ un bambino. E come bambino non giudica nessuno. Vuole solo vivere in compagnia e essere accarezzato. Dalla mangiatoia ci arriva questo messaggio:”Oh, creature umane, non abbiate paura di Dio. Non vedete che sua Madre ha fasciato le sue piccole braccia? Lui non minaccia nessuno. Più che aiutare ha bisogno di essere aiutato e portato in braccio”.

         Nessuno  meglio di Fernando Pessoa, il grande poeta portoghese ha compreso il significato umano e la verità del Bambino Gesù.

         “Lui è l’Eterno Bambino, il Dio che mancava. Lui è l’umano che è naturale. Lui è il Divino che sorride e che gioca. E per questo io so con tutta certezza che Lui è il Bambino Gesù vero. E’ la creatura umana così umana che è Divina. Andiamo così d’accordo noi due,in compagnia di tutto, che mai pensiamo l’uno all’altro….Quando io morirò, o Bambino, che io sia il bambino, il più piccolo. Prendimi in braccio e portami a casa tua. Spoglia il mio essere stanco e umano. Mettimi a letto. Contami una storia, che io mi sveglio, per poi dormire di nuovo. E dammi i sogni tuoi perché io possa giocare fino a che io nasca un giorno qualsiasi che tu sai qual 蔑

         Ce la facciamo a contenere l’emozione davanti a tanta bellezza? Per questo vale ancora, nonostante le difficoltà in contrario, celebrare sommessamente il Natale.

         Infine ha ancora un significato l’ultimo messaggio che mi incanta: ”Ogni bambino vuole essere uomo. Ogni uomo vuole essere re. Ogni re vuole essere ‘dio’. Solo Dio vuole essere bambino”.

         Abbracciamoci l’un l’altro come chi abbraccia la Creatura divina che si nasconde in noi e che mai ci ha abbandonato.

         E che il Natale sia ancora una festa sommessamente felice.

*Leonardo Boff, ecoteólogo e columnist del Jornal do Brasil on line

(Traduzione Romano Baraglia e Lidia Arato)

Dal Sito https://leonardoboff.wordpress.com/2015/12/25/se-nasce-un-bambinovuol-dire-che-dio-crede-ancora-nellessere-umano/

Il testo è apparso, anche IN LINGUA portoghese, nella edizione on line del Jornal do Brasil