L’attualità di Papa Paolo VI. Intervista a Fulvio De Giorgi

UnknownIl 19 Ottobre,  a Roma, ci sarà la Beatificazione di Papa Paolo VI.  Il grande Papa    del Concilio, e del protagonismo dei laici nella Chiesa e nella Società. Per comprendere l’attualità della sua figura abbiamo intervistato il professor Fulvio De Giorgi, storico del Movimento Cattolico italiano, autore di un’opera su Paolo VI in uscita nel prossimo mese di Novembre.

Libro in uscita: F. De Giorgi, Paolo VI, Brescia, Morcelliana, 2014.

Professore, domenica prossima, in San Pietro, Papa Bergoglio proclamerà Beato Paolo VI. Qual’è  la lezione “perenne” , per tutta la Chiesa, del magistero di Papa Paolo VI?

Una valutazione storica complessiva del pontificato di Paolo VI e della sua lezione storica “perenne”, come Lei efficacemente la definisce, si lega indissolubilmente al Concilio Vaticano II. Il Concilio infatti, deciso e avviato profeticamente da Giovanni XXIII, rischiava di arenarsi e di fallire, anche per l’emergere di divisioni e contrasti. Fu dunque merito di Paolo VI avere condotto il Concilio alla sua meta, aver realizzato così un ‘corpus’ imponente (per qualità, ma anche per quantità) di documenti innovatori e aver ottenuto su questi documenti praticamente l’unanimità dei vescovi. Il Concilio Vaticano II fu veramente e in molti sensi il Concilio di Paolo VI. Pertanto il giudizio storico sul pontificato di Paolo VI si lega al giudizio storico che si dà del Concilio: se si pensa (come anch’io penso) che il Concilio abbia avuto un’importanza storica straordinaria, realizzando una svolta epocale (che non vuol dire una ‘rottura’) nella storia della Chiesa cattolica, allora pure il pontificato di Paolo VI  ha avuto un’importanza storica straordinaria. I fuochi principali furono, a mio avviso, due: la Chiesa dismise l’atteggiamento anti-moderno che aveva assunto da secoli e abbracciò un sereno dialogo con il Moderno; nel contempo la Chiesa smise di essere etnocentrica, eurocentrica, romanocentrica e divenne veramente una Chiesa mondiale, in cui le chiese locali di periferia non erano più terminali passivi, ma membra attive.

Per gli storici della Chiesa il pontificato di Papa Montini è stato il “pontificato del dialogo”, vedi l’Enciclica “Ecclesiam Suam”, ovvero l’apertura, confermata dal Concilio Vaticano II,della Chiesa al Mondo. Le chiedo: cosa lega l’attuale pontificato di Papa Francesco a quello di Paolo VI?

Sono molti i ‘fili storici’ che legano Bergoglio a Montini e fanno di papa Francesco un vero montiniano. Avrei bisogno di molto spazio e molto tempo per ripercorrere tutti questi fili (legami di Paolo VI con l’America latina e con l’Argentina; il card. Pironio; la conferenza di Medellin; il teologo Gera; e insieme i rapporti di Paolo VI con i Gesuiti, con Arrupe, con la XXXII Congregazione generale della Compagnia, che portò al decreto n. 4, così ‘montiniano’ e così decisivo per capire Bergoglio) e per indicare i documenti di Paolo VI che sono necessari per comprendere Francesco (sicuramente, come Lei osserva, “Ecclesiam Suam”; ma anche “Gaudete in domino” e “Evangelii Nuntiandi”: che sono quasi sintetizzate nella bergogliana “Evangelli Gaudium”). Ma mi devo limitare ad indicare il grande discorso di chiusura di Paolo VI al Concilio Vaticano II, più volte richiamato – esplicitamente e implicitamente – da Francesco. Allora Montini fece vedere come nei piccoli (poveri, sofferenti, bambini) il cristiano vede il volto di Gesù, ma chi ha visto Gesù ha visto il Padre: dunque dall’amore del povero e solo dall’amore del povero si giunge veramente a Dio.

Giovanbattista Montini, prima di diventare Papa, è stato un protagonista assoluto del cattolicesimo italiano. Infatti, la maggior parte della classe dirigente cattolica italiana della Prima Repubblica veniva dalla Fuci di Montini (es. Aldo  Moro).  Le chiedo: si può considerare Papa Paolo VI maestro di laicità?

Indulgendo per un momento alla ‘storia controfattuale’, immaginiamo che Giovanni Batista Montini fosse morto nel 1954 (prima di diventare arcivescovo di Milano e poi papa), ebbene sarebbe stato comunque uno dei grandi personaggi della storia della Chiesa contemporanea! Tra i suoi meriti vi fu pure, non piccolo, quello di aver formato la ‘classe dirigente cattolica’: non quella, come volevano alcuni, che doveva raccogliere l’eredità di Mussolini realizzando un fascismo cattolico, con un’ideologia nazional-confessionale; ma quella (formata nella Fuci e nei Laureati cattolici) di sentimenti antifascisti, ispirata al pensiero di Maritain, che avrebbe costruito la democrazia italiana, con uno spirito di vera laicità. La gran parte dei maggiori Costituenti e uomini politici italiani del secondo dopoguerra era legatissima a Montini: faccio solo i nomi di De Gasperi, La Pira e Moro. Tuttavia vorrei aggiungere che, davanti ad un uomo-mondo quale fu Montini-Paolo VI, non dobbiamo rimanere nell’orizzonte solo italiano. Se dovessi dire quali furono i politici che più si avvicinarono agli ideali montiniani direi, senz’altro, John e Robert Kennedy, che egli incontrò personalmente e stimò.

Anche nel magistero sociale della Chiesa Paolo VI è  stato un innovatore (vedi la Populorum Progessio e l’Octogesima Adveniens). Cosa resta di quel Magistero sociale?

I due grandi documenti, che Lei ha giustamente richiamato, ricollegandosi strettamente alla Costituzione conciliare “Gaudium et Spes” (da Paolo VI fortemente voluta) realizzarono una  ‘svolta’ di portata gigantesca: milioni di cattolici nel mondo che fino allora avevano prevalentemente coltivato ideali sociali e politico-civili di conservazione e di ordine si spostarono su posizioni democratiche avanzate, tendenti alla riforma, alla giustizia sociale e alla pace. Certo nel periodo che va dalla fine del XX secolo all’inizio del XXI, con l’egemonia mondiale del neo-liberalismo (e l’attacco alle politiche di Welfare) tutto questo è stato oscurato. Anche nella Chiesa sono emersi movimenti conservatori e neotradizionalisti che hanno o dimenticato Paolo VI o hanno cercato di dare una lettura conservatrice di quel pontificato: come se fosse stato una sorta di Pio XIII. Letture storiograficamente sbagliate e false. Ma con un chiaro intento ecclesiale: archiviare il Concilio. E con un altrettanto chiaro intento politico: archiviare il cattolicesimo democratico-sociale. Ma la drammatica crisi finanziario-economico-sociale, che ci angustia dal 2007, fa vedere i disastri del neo-liberalismo. E fin dal pontificato di Benedetto XVI si è visto che ciò ha portato ad uno ‘tsunami’ distruttivo anche nella stessa vita della Chiesa e della fede. Come rispondere alla desertificazione neo-liberale dei cuori? Non c’è dubbio: con il Concilio e con Paolo VI. Non parlo perciò del montinismo del passato, che è alle nostre spalle, ma di un necessario montinismo del futuro. È quello che papa Francesco sta cercando di fare. Spero che ci riesca.

Quella di Papa Montini è stata una spiritualità altissima. Che tipo di Spiritualità alimentava la sua fede?

La spiritualità di Paolo VI è insieme semplice – un cristocentrismo evangelico – ma anche complessa a volerne indagare in profondità le fonti bibliche, patristiche, intellettuali e spirituali (Pascal, Teilhard de Chardin, Charles de Foucauld, per esempio). Ma se devo limitarmi a poche battute, preferisco cedere la parola a lui stesso. Visitando, primo papa nella storia, la Terra santa, Montini così pregò:

Beati noi se, poveri nello spirito, sappiamo liberarci dalla fallace fiducia nei beni economici e collocare i nostri primi desideri nei beni spirituali e religiosi; e abbiamo per i poveri riverenza ed amore, come fratelli e immagini viventi del Cristo.

Beati noi se, formati alla dolcezza dei forti, sappiamo rinunciare alla potenza funesta dell’odio e della vendetta e abbiamo la sapienza di preferire al timore che incutono le armi la generosità del perdono, l’accordo nella libertà e nel lavoro, la conquista della bontà e della pace.

Beati noi se non facciamo dell’egoismo il criterio direttivo della vita, e del piacere il suo scopo, ma sappiamo invece scoprire nella temperanza una fonte di energia, nel dolore uno strumento di redenzione, e nel sacrificio la più alta grandezza.

 

Sarà il Sinodo della Speranza? Intervista a Massimo Faggioli

Massimo Faggioli “Per ricercare ciò che oggi il Signore chiede alla Sua Chiesa, dobbiamo prestare orecchio ai battiti di questo tempo e percepire l”odore’ degli uomini d’oggi, fino a restare impregnati delle loro gioie e speranze, delle loro tristezze e angosce. A quel punto sapremo proporre con credibilità la buona notizia sulla famiglia”. Così Papa Francesco si è rivolto ai fedeli in piazza San Pietro, durante la veglia di preghiera organizzata dalla Cei alla vigilia del Sinodo. “Conosciamo – ha aggiunto il Pontefice – come nel Vangelo ci siano una forza e una tenerezza capaci di vincere ciò che crea infelicità e violenza”.
Con queste parole molto forti Papa Francesco ha dato, praticamente, inizio al Sinodo straordinario sulla Famiglia. Quali le prospettive di questo evento molto atteso? Ne parliamo con il Professore Massimo Faggioli, Storico della Chiesa all’ University of St. Thomas (USA).

 

Professore, Lei ha definito, questo Sinodo straordinario sulla famiglia, come l’evento più importante, dal dopo Concilio Vaticano II, per la Chiesa Cattolica. Perché?
Perchè nel corso degli ultimi 50 anni, dalla fine del concilio in poi, nella chiesa cattolica si era pensato di poter fare a meno della dimensione collegiale, specialmente quando si trattava di discernere questioni morali e sociali. Papa Francesco è cosciente di questo deficit di collegialità: nel corso del pontificato ha parlato spesso ed esplicitamente di collegialità, e anche nel discorso in Piazza San Pietro della sera del 4 ottobre alla veglia pre-Sinodo organizzata dalla CEI.

Il tema è la Famiglia, che nella nostra società si declina in modi diversi (da quella tradizionale alle coppie omosessuali). Un tema che scotta per la morale cattolica. Le chiedo: Il Sinodo sarà all’altezza delle sfide?
Nessuno lo sa prima che inizi, ma quello che è nuovo è il fatto che il Sinodo, nei suoi membri di diritto e in quelli nominati dal papa, rappresenta voci diverse e quindi non c’è un copione già scritto, come è accaduto per tutti i Sinodi dal 1967 ad oggi. Ma non dimentichiamo che questo Sinodo è solo la prima parte dell’anno sinodale: nell’ottobre 2015 c’è un altro Sinodo sullo stesso tema e quindi quello che si apre domenica 5 ottobre sarà in un certo senso anche la preparazione dei prossimi 12 mesi e non darà soluzioni definitive a problemi (come le unioni omosessuali) di cui la chiesa non ha mai parlato in modo collegiale.

La vigilia è stata segnata da polemiche, da parte degli ambienti conservatori, nei confronti delle posizioni del cardinale Kasper, molto vicino a Papa Francesco, sulla riammissione dei divorziati risposati al sacramento eucaristico. Quanto è forte questa posizione?
Non è chiara la consistenza numerica delle posizioni, ma si ha l’impressione che gli oppositori di Kasper abbiano parlato di più e si siano organizzati meglio nella fase presinodale. Ma al Sinodo non ci saranno due fronti netti: su molte questioni ci saranno posizioni più sfumate. Le posizioni destra-sinistra a cui siamo abituati in Occidente non valgono per le chiese che non sono in Europa e Nord America.

L’impressione che si ha è che nel Sinodo si giocherà una partita, che va ben al di là del tema proposto, ovvero una sorta di “rivincita” di certi ambienti, sconfitti al Conclave, nei confronti dell’opera di rinnovamento di Papa Francesco. E’ così?
Da parte di alcuni c’è certamente voglia di rivincita, ma direi che quelle sono più che altro frange al di fuori dell’episcopato: il primo anno e mezzo di papa Francesco ha accreditato la sua capacità di interpretare i bisogni della chiesa nel mondo moderno presso tutti gli schieramenti, a parte quelli più ideologizzati.

Tornando al Sinodo: qual è la la posta in gioco dal punto di vista ecclesiologico e teologico?
Dal punto di vista ecclesiologico, la questione è se il Sinodo dei vescovi come istituzione è capace di essere espressione della collegialità episcopale (finora non lo è stato) e se i vescovi sono ancora capaci di dibattere tra di loro al fine di esprimere una teologia che sia anche pastorale. Dal punto di vista teologico, è la questione di come articolare dottrina e pastorale alla luce delle necessità delle anime del nostro tempo, specialmente di quanti non sono perfetti ma peccatori – cioè tutti.

Ultima domanda. Lei vive negli Usa ed insegna in una Università americana, quindi è a stretto contatto con il mondo cattolico statunitense. Il Papa Francesco sta usando, con fortissima determinazione, il pugno di ferro nei confronti di preti e vescovi che hanno commesso , o sono stati silenti, questo orribile crimine. Come sta reagendo la Conferenza Episcopale USA?
Dalla conferenza episcopale USA non ci sono state reazioni agli eventi delle ultime due settimane, ma in America l’azione di papa Francesco era attesa in modo particolare. Si potrebbe dire che “l’effetto Francesco” ha iniziato a farsi sentire solo adesso, dopo un anno e mezzo in cui molti americani temevano e altri speravano che Francesco non avrebbe avuto un impatto in America.

Alla vigilia del Sinodo scontro in Vaticano sulla Famiglia. Intervista a Marco Politi

Dal 5 al 19 Ottobre si svolgerà in Vaticano l’importante Sinodo sulla Famiglia. L’evento sta creando un forte dibattito all’interno della Chiesa Cattolica. Ne parliamo con Marco Politi, vaticanista del Fatto Quotidiano e autore di “Francesco tra i lupi” (ed. Laterza).

foto da www.lavanguardia.com

Politi, il “Corriere della Sera” oggi ha portato alla luce lo Scontro vaticano, alla Vigilia del Sinodo dedicato alla Famiglia che si aprirà il prossimo 5 ottobre a Roma, sulla pastorale familiare. La presa di posizione, con la pubblicazione “Permanere nella verità di Chiesa: Matrimonio e comunione nella Chiesa cattolica, di 5 Cardinali (tra cui Muller e Cafarra) contro    le aperture del Cardinale Kasper sulla comunione ai divorziati risposati e non solo. Insomma il fronte conservatore fa muro. Quanto è diffusa l’ostilità a questi tentativi di innovazione pastorale?

C’è una parte di Chiesa – non solo nella Curia, ma anche tra gli episcopati del mondo e tra i sacerdoti – che in  perfetta buona fede è rimasta ancorata ai veti del passato, chiudendo gli occhi  sul grande scollamento, che si è realizzato negli ultimi decenni  tra l’astratta dottrina dei vertici da una parte e lo stato d’animo dei fedeli e l’atteggiamento di misericordia di tanti parroci.

Il Sinodo ha avuto un’intensa preparazione, grazie anche alla consultazione con lo strumento del questionario diffuso a tutto il popolo cattolico, dove è emersa chiaramente tutta la problematica della famiglia nella sua realtà sociale (comprese ovviamente le nuove forme di famiglia). Le chiedo saprà il Sinodo essere all’altezza delle sfide?

Papa Francesco ha programmato ben due Sinodi sul tema della famiglia e della vita di relazione delle coppe e delle persone perché vuole rportare nella Chiesa il clima del libero dibattito conciliare. Come già al concilio Vaticano II assisteremo al Sinodo ad un confronto anche aspro tra le diverse opinioni.  Il libro  dei cinque cardinali, che respingono la possibilità di dare la comunione ai divorziati risposati,  è il segnale che l’opposizione alla nuova pastorale di Francesco si sta organizzando.

La Chiesa italiana come si è comportata nella preparazione al Sinodo? La mia impressione è che la Cei non ha brillato…

La Chiesa italiana finora sta andando a rimorchio del Papa. L’ “Avvenire” a suo tempo non ha pubblicato nemmeno on line  il sondaggio lanciato dal Vaticano sui problemi familiari e sessuali (lo ha confinato solo nell’inserto-famiglia). Ma, ricordando l’esperienza del Vaticano II, la libertà di dibattito voluta dal Papa finirà per dare coraggio anche a tanti vescovi che finora non si sono espressi.

Una domanda sul Prefetto della Congregazione sulla Dottrina della Fede, il Cardinale Muller.

Colpisce la sua apertura quasi totale sulla Teologia della Liberazione (in particolare sulla teologia di Gustavo Gutierrez) e colpisce pure questa rigidità estrema verso l’apertura ad “una teologia fatta in ginocchio” verso quei cristiani che hanno, per diversi motivi, fallito un percorso d’amore. Non trova contraddittoria la sua posizione?

E’ sempre sbagliato inchiodare una persona ad un’etichetta. Specialmente nella Chiesa.  Il cardinale Mueller,  a cui proprio Francesco ha voluto dare la porpora, come molti presuli può avere posizioni aperte su un problema e più tradizionali su un altro.  Ci sono presuli a favore di un atteggiamento misericordioso verso gli omosessuali ma contrari a dare posti di responsabilità alle donne nella Curia. Oppure aperti sulle questioni sociali e restii a cambiare la linea sul matrimonio.  La Chiesa è un mosaico e una stessa persona può avere un ventaglio di opinioni differenti.

Ultima domanda.  Come sta procedendo il cammino di Papa Francesco e la  sua opera di profondo rinnovamento?

Francesco è consapevole dell’opposizione al suo progetto di rinnovamento, specialmente quella nascosta e in particolare le varie forme di resistenza passiva. Ma, come ha detto sin dall’inizio, una Chiesa che non ha il coraggio di uscire dai recinti muore.

Marco Politi, autore di “Francesco tra i lupi” (ed.Laterza), vaticanista de Il Fatto Quotidiano

La lotta di Papa Francesco contro l’ndrangheta. Intervista ad Annachiara Valle

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Grande scandalo ha suscitato in questi giorni, nell’opinione pubblica italiana, “l’inchino” della Statua della Madonna, durante una processione a Oppidio, avvenuto di fronte all’abitazione di un boss dell’ndrangheta. Per capire di più abbiamo intervistato Annachiara Valle, vaticanista del settimanale “Famiglia Cristiana”. Autrice di un bel reportage sul ruolo della Chiesa in Calabria contro l’organizzazione criminale mafiosa. Il titolo del libro è “Santa Malavita Organizzata”, uscito per le Edizioni San Paolo.

 

 

Annachiara Valle, sono passate appena due settimane dalla scomunica del Papa Francesco, pronunciata nella Piana di Sibari, contro gli “adoratori del male” della “’ndrangheta”. Una scomunica forte contro le mafie. Eppure due episodi, avvenuti in questi giorni, hanno scosso la coscienza civile del nostro Paese: “l’inchino” della Statua della Madonna, durante una processione ad Oppido, avvenuto di fronte all’abitazione di un boss assassino, e lo “sciopero” della Messa di carcerati ndraghetisti nel carcere di Larino. Due episodi inquietanti che non possono essere derubricati e dimenticati…

Sono due episodi che dicono, in modo diverso, di quanto le parole del papa abbiano colto nel segno. La ‘ndrangheta non può fare a meno del consenso popolare e, dunque, non può fare a meno di utilizzare la religione per rafforzare le sue radici. L’inchino, a pochi giorni dalle parole del Papa dice di una sfida da parte delle ‘ndrine. Ma dice anche di una risposta che in passato era stata più tiepida. Gli inchini, infatti, ci sono sempre stati, ma una ribellione come quella alla quale abbiamo assistito è più rara. Per quanto riguarda il carcere di Larino, anche qui mi sembra di vedere il positivo. Finalmente c’è una presa di coscienza: si comincia a capire che non si può essere insieme buoni cristiani e ndranghetisti. Mi sembra che ci sia una presa di coscienza. Certo, sarebbe poi anche il caso di spiegare ai mafiosi che essere scomunicati significa non potersi accostare ai sacramenti prima di un pentimento vero, ma di certo si può partecipare alla messa. Anzi, forse proprio ascoltando sul serio la Parola di Dio si può cominciare un percorso di conversione.

Oltre a questi due episodi c’è n’è un altro : ed è quello del Parroco di Oppido, Don Roberto Rustico, che durante la messa ha invitato i parrocchiani a prendere a schiaffi un collega del Fatto quotidiano. Insomma l’impressione è che nella Calabria “profonda” le parole del Papa faticano a camminare. E’ così? Oppure è una impressione sbagliata ?

Credo che le parole del Papa aiutino quanti da tempo sono impegnati nella evangelizzazione vera. Per qualcuno che fa fatica ad accettare queste parole, ci sono tanti preti che invece attendevano da tempo. Dopo la visita di Papa Francesco si può camminare più speditamente.

Annachiara lei ha scritto “Santa Malavita Organizzata”, un bel reportage sul ruolo della Chiesa in Calabria contro l’ndrangheta . Un ruolo che in passato è troppo gravemente “distratto” . Quando è avvenuto il maggior protagonismo della Chiesa contro l’ndrangheta?

Sta avvenendo adesso. Io scrivo che si possono vedere tre fasi del rapporto tra chiesa e ndrangheta. Una prima di sottovalutazione se non di connivenza. Dall’ unità d’Italia fin verso il 1975 la Chiesa ha utilizzato e si è fatta utilizzare in chiave antistatale, per difendere i propri diritti,a nche forse per difendere certi “valori” tradizionali. Una seconda fase in cui la Chiesa si rende conto del male (da ricordare il bellissimo documento dei vescovi calabresi contro la ‘ndrangheta disonorante piaga della nostra società) e una terza che è quella che stiamo vivendo oggi dove, ad alcuni che continuano a essere collusi o comunque “impastati” da una certa mentalità mafiosa, si contrappongo i tanti che, con coraggio, fanno i preti veri. Credo che le parole del Papa, oltre che ai mafiosi, siano dirette soprattutto a incoraggiare la Chiesa che si sta spendendo per il bene di questa regione.

La Calabria, qualcuno ha scritto, è terra di meraviglie e di bassezze. Dove stanno nascendo e chi sono, nella comunità ecclesiale, i protagonisti di questo cammino di liberazione dalla ‘Ndrangheta?

Ci sono tanti protagonisti. Ne parlo diffusamente nel mio libro. Farei torto a qualcuno citando solo qualche nome. Gli esempi positivi, sia di singoli sacerdoti, ma soprattutto di tanti giovani, associazioni, comunità, gruppi che stanno lavorando per radicare quella che Gratteri chiama “la malapianta”, sono tantissimi. Cito un solo progetto che è quello delle 12 Caritas regionali. Si chiama “costruire speranza”. Ed è un progetto che mette insieme le forze positive e vive di questa regione. Facendo una cosa che in Calabria è molto difficile: lavorare in rete. Questa è la risorsa vera alla quale attingere, cioè lavorare insieme cercando di valorizzare il positivo e i progetti che stanno funzionando.

Ultima domanda: La CEI è all’ altezza di questa sfida di Papa Francesco?

Credo proprio di sì. È arrivato il tempo di dare continuità a quel bellissimo documento che è stato ed è Educare alla legalità. Credo che dopo il viaggio di Papa Francesco in Calabria si arrivato il momento di una denuncia ancora più dettagliata. Sono certa che i vescovi italiani non faranno cadere questa grande speranza che il Papa ha dato al popolo calabrese con le sue parole.

Due Papi, Due Santi? Intervista a Massimo Faggioli

imagesLa giornata del 27 aprile sarà un evento mondiale. Per la doppia canonizzazione di due Papi, Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II, sono attesi cinque milioni di pellegrini.  Per  capire un po’ più in profondità questo avvenimento abbiamo intervistato il professor Massimo Faggioli, Professor of History of Modern Christianity all’University of St. Thomas di Minneapolis (USA).

 

 

 

Professor Faggioli, questa della canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni-Paolo II è sicuramente un atto molto significativo di Papa Francesco. Qual è il significato “storico – teologico” di questa doppia canonizzazione ?

 

Sono due papi legati alla storia del concilio, specialmente Giovanni XXIII. Il messaggio è che la chiesa e  il papato di oggi non sono comprensibili senza il Vaticano II – specialmente senza Giovanni XXIII che ebbe l’idea di convocarlo. Ma la doppia canonizzazione serve a dare un equilibrio a due volti della chiesa contemporanea complementari ma diversi.

 

 

Ad un osservatore “malizioso”, però, non può sfuggire che da un lato si proclama Santo Giuseppe Roncalli, il Papa della tenerezza e del Concilio Vaticano II (Il Concilio dell’apertura della Chiesa al mondo), e dall’altra si proclama Santo Karol Woitjla, il Papa, per certi versi, della “restaurazione” (il termine è volutamente forte). Non si rischia una contraddizione ?

 

È anche una contraddizione, ma se vogliamo meno contraddittorio della prima coppia di papi santi a cui pensò Paolo VI nel 1965, ovvero Pio XII e Giovanni XXIII. La differenza tra i due è non al livello della santità personale, ma in termini di memoria di chiesa circa la loro azione sulla chiesa come papi. Da questo punto di vista non c’e’ dubbio che la canonizzazione di Wojtyla lascia perplessi alcuni, se si pensa ad alcuni casi ancora aperti e controversi (come la questione dei Legionari di Cristo).

 

Roncalli aveva una “sapientia cordis” capace  di rompere le barriere tra gli uomini. E’ questo il lato più immediato e popolare di Giovanni XXIII. Qual è il messaggio “perenne” per la Chiesa?

 

Due cose direi: la “medicina della misericordia” (che Roncalli imparò su se stesso dopo gli anni del seminario) e i “segni dei tempi” (la necessità per la chiesa di essere cosciente del mondo, perche’ la chiesa esiste per la salvezza del mondo). Non a caso sono elementi molto visibili anche in papa Francesco.

 

 

Wojtila è stato un uomo “drammatico” (ovviamente nel senso nobile del termine). Il suo era un cristianesimo  militante, molto “politico” (la sua battaglia epocale contro il comunismo) . Certamente un Papa che nella fase finale della sua vita ha testimoniato con forza la sua fede. Insomma il lungo pontificato di Wojtila ha le sue grandi luci  e le sue ombre (ad esempio l’incomprensione verso Monsignor Romero). Anche qui qual è il messaggio “perenne”  per la Chiesa?

 

Il messaggio perenne direi che è la volonta’ di un papa di reagire a grandi trasformazioni in corso nel mondo di fine novecento: la fine della guerra fredda, i mutamenti biotecnologici, la questione del gender. In questo senso il messaggio lasciato da Giovanni Paolo II e’ ancora difficile da giudicare storicamente: molto del suo insegnamento in materia morale non è (ancora?) stato recepito dalla chiesa e in certe parti di chiesa (come nelle Americhe) e’ accusato di essere la causa di molti problemi di oggi – non ultima, la repressione della teologia della liberazione in America Latina.

 

 

Insomma due “ecclesiologie” si confrontano. Von Balthasar, il grande teologo  svizzero, affermava che la “Verità è sinfonica”. C’è però, un punto critico nel cristianesimo wojtiliano: quello delle grandi adunate.  Eppure la secolarizzazione ha “galoppato” molto nel mondo contemporaneo.  Papa Francesco, che gode di immensa popolarità, è consapevole di questo “rischio”?

 

Credo che Francesco sia consapevole, anche se lo strumento che deve usare – il papato mediatico – non è diverso. Ma si vede che lo stile di Bergoglio è diverso da Wojtyla: certamente piu` roncalliano che wojtyliano.

 

Ultima domanda: Dal suo osservatorio americano come viene vissuta dai cattolici statunitensi questa duplice canonizzazione?

 

La figura di Giovanni XXIII e’ piu’ vicina ai cattolici laici di una certa generazione, quella del concilio e del primo post-concilio. Giovanni Paolo II e’ piu’ vicino al clero e ai vescovi di oggi, e alla generazione che lo vide in televisione e in terra americana tra gli anni ottanta e novanta. Ma per il cattolicesimo americano tutto Giovanni XXIII e’ l’ultimo papa veramente popolare, al di sopra delle polemiche. Per gli americani, dopo l’enciclica di Paolo VI “Humanae Vitae” del 1968 sulla contraccezione, il papa non e’ stato piu’ lo stes