“Il dossier Viganò è un attacco ai fondamenti della Chiesa”. Intervista ad Andrea Tornielli

Il tentato “golpe” contro Francesco esplode come “bomba mediatica” a Dublino, durante la richiesta di perdono alle famiglie delle centinaia di minori e seminaristi abusati dal clero irlandese. È la denuncia dell’arcivescovo Viganò, che coinvolge gli entourage di ben tre Pontefici e che accusa Francesco di aver coperto il cardinale pedofilo McCarrick. Ma la bomba è solo la deflagrazione più forte e recente di una guerra intestina che si combatte fin dal primo giorno di elezione di papa Francesco: una battaglia senza esclusione di colpi tra  gruppi di potere, fra curia vaticana e conferenze episcopali del mondo, fra ultraortodossi e riformatori. Un libro scritto, appena uscito nelle librerie,  da due bravi vaticanisti, Andrea Tornielli e Gianni Valente, dal titolo “Il giorno del giudizio” (Ed. PIEMME, pagg. 288, euro 17, 90) smaschera la grande menzogna del dossier Viganò. Un’inchiesta esclusiva con testimonianze sorprendenti e “gole profonde”. Cosa sta accadendo in Vaticano? Ne parliamo, in questa intervista, con Andrea Tornielli, vaticanista del quotidiano La Stampa e coordinatore del sito “Vatican Insider”.

 Andrea Tornielli, il tuo libro, scritto insieme a Gianni Valente, smaschera il grande inganno che si nasconde dietro il famigerato dossier Viganò. Un documento scritto dall’ex Nunzio apostolico negli Usa,  l’Arcivescovo Carlo Maria Viganò, per screditare Papa Francesco accusandolo di aver coperto il cardinale americano Theodore Mc Carrick, pedofilo e abusatore sessuale seriale di giovani seminaristi. L’attacco di Viganò al Papa si spinge fino alla richiesta di  dimissioni per papa Francesco. Insomma quello di Viganò è un attacco “demoniaco” alla Chiesa?

Il demonio è il  “Grande accusatoreˮ della Chiesa e lavora quotidianamente per dividerla. Il dossier Viganò e tutta l’operazione politico-mediatica che lo sostiene, arrivando a chiedere l’impeachment del Papa (cosa che non ha precedenti nella storia recente della Chiesa) ha questa caratteristica. Un arcivescovo viola tutti i giuramenti che ha fatto e costruisce un dossier con elementi veri, ricordi labili e veri e propri omissis interessati al solo fine di mettere in stato d’accusa il Successore di Pietro. Mostrando così di non conoscere nemmeno il Codice di Diritto canonico: l’unica condizione perché la rinuncia di un Papa sia valida è che questa rinuncia sia data in modo assolutamente libero. Fare pressioni perché si dimetta è il modo per invalidare un’eventuale rinuncia. Inoltre è del tutto evidente l’assoluta strumentalità dell’operazione Viganò, che cerca di scaricare solo su Francesco ogni responsabilità sulla gestione del caso McCarrick, dimenticando che Papa Bergoglio è stato l’unico Pontefice a sanzionare in modo duro l’ormai ex cardinale togliendoli la porpora, come nella Chiesa non accadeva da ormai 91 anni.

Una piccola parentesi: perché questo titolo?

Perché crediamo che sia purtroppo in atto, in alcuni settori della Chiesa, una sorta di mutazione genetica, che porta persino vescovi a scambiare la Chiesa stessa con una corporation, con un’azienda, e a considerare il Papa come un amministratore delegato sottoposto al voto degli azionisti. Un segno preoccupante dei tempi che viviamo.

Torniamo al libro . Viganò nel costruire la “grande menzogna”, contro Papa Francesco, manipola la realtà dei fatti. Coinvolge, nel suo Dossier, anche gli immediati predecessori di Papa Francesco:  quelli di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Su di loro Viganò ha, però, un atteggiamento  diverso. È così?

Sì, e questo è sorprendente per chi cerchi di ricostruire i fatti senza pregiudizi, senza quei pregiudizi anti-Francesco di cui sono disseminati tanti articoli prodotti dalla galassia politico-mediatica antipapale negli Stati Uniti e in Italia. C’è un Papa, Giovanni Paolo II, che ha promosso per quattro volte McCarrick. C’è un altro Papa, Benedetto XVI, che di fronte ad accuse e denunce, ha accolto le dimissioni di McCarrick senza lasciarli completare la proroga di due anni e poi ha cercato di limitarne i movimenti con delle istruzioni che non erano sanzioni. McCarrick per tutto il pontificato di Benedetto XVI, nonostante le istruzioni ricevute, ha continuato a viaggiare, a presiedere celebrazioni, persino a visitare il Vaticano e a incontrare di fronte a tutti quel Papa che aveva dato il suo assenso alle istruzioni contro di lui. Dunque per non creare scandalo Benedetto XVI e i suoi collaboratori hanno deciso di non procedere con sanzioni vere e proprie, e soprattutto di non pubblicare alcuna istruzione o restrizione. E infine c’è un Papa, Francesco, che non ha modificato in alcun modo le istruzioni date dal predecessore, ma che ha tolto al quasi novantenne pensionato McCarrick la porpora, come non accadeva da 91 anni nella storia della Chiesa. Attenzione però: tutti questi fatti non significano affatto che si vuole gettare responsabilità sui Papi del passato. McCarrick è stato abilissimo e intelligentissimo nel difendersi al momento della nomina a Washington, è una personalità poliedrica, con grandi relazioni bipartisan nel mondo politico, ed è stato anche un grande fundriser, un grande raccoglitore di soldi. Giovanni Paolo II ha nominato migliaia di vescovi, in questo (come in altri casi) è stato indotto a commettere degli errori. Ma è davvero assurdo scaricare la colpa su Francesco, come fa Viganò, presentando Papa Wojtyla come un Pontefice molto malato e dunque succubo dell’entourage già cinque anni prima della morte: questo semplicemente non è vero. E anche Viganò lo sa bene. Stupisce poi che nell’elenco di persone coinvolte egli ometta il nome del più stretto e influente collaboratore di Giovanni Paolo II, il suo segretario, il vescovo Stanislao Dzwisiz.

Non mancano, nella diffusione della “grande menzogna” di Viganò, i complici quali sono?

 Viganò ha avuto il supporto previo e poi l’assoluto sostegno nell’operazione da parte di una galassia politico-mediatica, da TV, giornali, giornali online e blog antipapali, che in questi ultimi anni, si sono specializzati nell’attacco quotidiano al Pontefice, qualunque cosa faccia o dica, spesso mettendo in pagina un’immagine della realtà falsata e strumentale ignorando volutamente il magistero di Francesco. Si tratta, in alcuni casi, di media che sono sostenuti da ambienti i quali sono poco interessati alle questioni dottrinali ma sono molto impauriti dal messaggio dell’attuale Papa sui temi dell’economia, della finanza, del traffico di armi, dell’ambiente, delle migrazioni e della povertà. Non è nel mio stile fare nomi e dunque mi fermo qui.

Sappiamo che il documento di Viganò è stato  bene accolto dagli ambienti anti Francesco europei e americani . In particolare vi soffermate , giustamente ,su quelli Americani . Un mondo fatto di collusioni tra ambienti ecclesiali, politici e la grande finanza. Quali sono i loro obiettivi politici e non solo?

Questi ambienti non sopportano che ci sia un Papa divenuto un’autorità mondiale credibile sui temi della Dottrina sociale. Francesco con i suoi interventi e le sue encicliche – pensiamo alla Laudato si’ – ha posto una domanda seria sulla sostenibilità dell’attuale modello economico-finanziario, chiedendo a tutti di considerare dei rimedi. Ha indicato per la prima volta lo stretto collegamento che esiste fra problemi solitamente considerati slegati, quali la crisi ambientale e la difesa del creato, le guerre, la povertà, le migrazioni, il sistema economico-finanziario. Questo fa paura, perché certi poteri non sopportano che si sollevino queste domande e preferiscono farci credere che viviamo nel migliore dei sistemi possibili, anche per la fede cristiana, e che al massimo bisogna insegnare alla gente ad essere onesta. Francesco ha invece mostrato come esistano dei problemi strutturali. Ci sono quelle che già Giovanni Paolo II nella Sollicitudo rei socialis (1987) chiamava «strutture di peccato».

Nel libro prendete in esame l’inquietante “Red Hat Report” (“Rapporto berrette rosse”). Che cosa è esattamente e quali finalità si propone? Chi vuole colpire?

Il Red Hat Report è soltanto uno – il più inquietante al momento – dei fenomeni che mostrano come vi siano laici e anche vescovi, purtroppo, che confondono la Chiesa con una corporation pensando che pulizia e lotta alla corruzione verranno da norme aziendalistiche sempre più precise. Ma questa è soltanto la parte per così dire più “nobileˮ dell’operazione. C’è anche un evidente intento di pilotare il prossimo conclave sulla base di dossieraggi resi pubblici e che hanno già preso di mira il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato.

Nel libro ricordate le battaglie di Benedetto XVI e di Francesco contro la pedofilia. Un cancro mortale, la pedofilia, per la Chiesa.  Papa Francesco lega la sua lotta contro l crimine della pedofilia alla lotta contro il clericalismo . Perché? Si ha consapevolezza di questo nella comunità cristiana?

Manca ancora una coscienza diffusa. Francesco sostiene, a ragione, che ogni abuso sessuale commesso da un chierico su un minore o su un adulto vulnerabile ha un’origine nel clericalismo e si configura sempre prima come abuso di potere e di coscienza. Non servono chissà quali studi per comprenderlo: il prete abusatore esercita un’influenza sul minore o sull’adulto vulnerabile. Lo stesso McCarrick era il vescovo dei seminaristi e dei giovani preti (tutti adulti) che si portava alla casa al mare. Esercitava su di loro un potere e un’influenza. Non si possono presentare come «relazioni omosessuali» alla stregua di quelle tra due persone adulte, libere e consenzienti. Mi sembra persino lapalissiano. Eppure il dirlo scatena la reazione della galassia politico-mediatica antipapale, che ripete ossessivamente: il problema non è il clericalismo ma l’omosessualità.

Nella Chiesa cattolica c’è la grande questione dell’omosessualità. Un tema difficile per la Chiesa…E’ così? 

È un tema sensibile. Purtroppo la selezione nei seminari in questo senso ha lasciato molto a desiderare e si sono ordinati preti persone che non avevano una sessualità risolta e una capacità di vivere il celibato. Ma si stanno facendo dei passi significativi in questo senso. Mi colpisce un fatto: coloro che oggi gridano «al lupo!» per l’omosessualità nella Chiesa sono gli stessi che fino a qualche anno fa vedevano come fumo negli occhi il ricorso a psichiatri e psicologi nei seminari. Una delle accuse che qualcuno dal Vaticano faceva all’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio era di usare troppo gli psichiatri nel seminario di Buenos Aires. Colpisce che oggi siano proprio coloro che non volevano queste consultazioni ad accusare il Papa per l’omosessualità nella Chiesa.

Insomma il documento di Viganò non ha fatto che aumentare, in certi ambienti conservatori,  la mondanissima voglia di potere e di rivincita. Un pretesto per  una pesante operazione di lobbyng . Quella degli oppositori di Francesco assomiglia alla Chiesa del “Grande inquisitore” di Dostoevskij.  Una  Chiesa, questa si, rassicurante. Come pensi che si svilupperà il cammino di Francesco? Per gli oppositori non ha più niente da dire…. 

Non sono in grado di dirlo. Di certo c’è chi vuole trasformare la Chiesa in un grande unico tribunale; chi si mette sul piedistallo e accusa gli altri di essere corrotti presentandosi come l’unico puro (peccato anche nel caso di Viganò questo non sia poi così vero); chi cerca salvezza e riparo nelle norme di comportamento, nei codici etici e aziendali sempre più precisi. La risposta che ci offre Francesco e che prima di lui ha offerto Benedetto XVI è un’altra e ha a che fare con la fede cristiana: siamo tutti poveri peccatori, tutti bisognosi di aiuto, perdono, misericordia. La risposta più vera è quella della preghiera, della penitenza. Mi ha colpito che Francesco si sia rivolto al popolo di Dio invitandolo a pregare il rosario invocando anche san Michele arcangelo contro il demonio, il “Grande accusatoreˮ che vuole dividere la Chiesa. Per fortuna che per gli oppositori – ma anche per certi fan che hanno cercato e cercando di appiccicargli la loro agenda – Francesco non ha più niente da dire. Perché significa, invece, che ha davvero molto da dire e da testimoniare, riportandoci all’essenziale della fede cristiana

Lettera ai vescovi italiani perche’ intervengano contro il razzismo dilagante e xenofobia

(ANSA/ALESSANDRO DI MEO)

Un gruppo di presbiteri e laici ha scritto una lettera ai Vescovi italiani perché intervengano sul dilagare della cultura intollerante e razzista. Per aderire invia una mail a adesioni@cercasiunfine.it inserendo Nome e COGNOME, incarico e/o professione, Città.

Roma 14 luglio 2018

Eminenza Reverendissima Mons. Gualtiero Bassetti, presidente della CEI Eccellenze Reverendissime, Vescovi delle Chiese Cattoliche in Italia,
vi scriviamo per riflettere con voi su quanto sta attraversando, dal punto di vista culturale, il nostro Paese e l’intera Europa.
Cresce sempre più una cultura con marcati elementi di rifiuto, paura degli stranieri, razzismo, xenofobia; cultura avallata e diffusa persino da rappresentanti di istituzioni.
In questo contesto sono diversi a pensare che è possibile essere cristiani e, al tempo stesso, rifiutare o maltrattare gli immigrati, denigrare chi ha meno o chi viene da lontano, sfruttare il loro lavoro ed emarginarli in contesti degradati e degradanti. Non mancano, inoltre, le strumentalizzazioni della fede cristiana con l’uso di simboli religiosi come il crocifisso o il rosario o versetti della Scrittura, a volte blasfemo o offensivo.
I recenti richiami – in primis dei cardinali Parolin e Bassetti – al tema dell’accoglienza sono il punto di partenza; ma restano ancora poche le voci di Pastori che ricordano profeticamente cosa vuol dire essere fedeli al Signore nel nostro contesto culturale, iniziando dall’inconciliabilità profonda tra razzismo e cristianesimo. Un vostro intervento, in materia, chiaro e in sintonia con il magistero di papa Francesco, potrebbe servire a dissipare i dubbi e a chiarire da che parte il cristiano deve essere, sempre e comunque, come il Vangelo ricorda. Come ci insegnate nulla ci può fermare in questo impegno profetico: né la paura di essere fraintesi o collocati politicamente, né la paura di perdere privilegi economici o subire forme di rifiuto o esclusione ecclesiale e civile.
E’ così grande lo sforzo delle nostre Chiese nel soccorrere e assistere gli ultimi, attraverso le varie strutture e opere caritative. Oggi riteniamo che l’urgenza non sia solo quella degli interventi concreti ma anche l’annunciare, con i mezzi di cui disponiamo, che la dignità degli immigrati, dei poveri e degli ultimi per noi è sacrosanta perché con essi il Cristo si identifica e, al tempo stesso, essa è cardine della nostra comunità civile che deve crescere in tutte le forme di “solidarietà politica, economica e sociale” (Art. 2 della Costituzione).
Grati per la vostra attenzione e in attesa di un vostro riscontro, vi salutiamo cordialmente.

Firmatari in ordine alfabetico
Luigi ADAMI, parroco, già delegato diocesano per l’Ecumenismo, Verona luigi_adami@libero.it
Ambroise ATAKPA, docente Teologia Dogmatica, Pontificia Università Urbaniana, Roma k.atakpa@urbaniana.edu
Maria Cristina BARTOLOMEI, già docente Filosofia della religione, università statale di Milano; socia Coordinamento Teologhe Italiane; mariacristina.bartolomei@unimi.it

Fernando BELLELLI, parroco, già vicario foraneo, presidente dell’ass. Spei lumen, Modena-Nonantola
fernandobellelli@gmail.com
Renata BEDENDO, docente di Islam, ISSR San Pietro Martire, Verona renata.bedendo@teologhe.org
Lettera ai Vescovi italiani, luglio 2018 – 2
Andrea BIGALLI, docente di Cinema ISSR, riv. Testimonianze e Libera Toscana, Firenze andrea.bigalli@gmail.com
Carlo BOLPIN, presidente Associazione Esodo, Venezia carlo.bolpin@alice.it
Giorgio BORRONI, direttore diocesano Caritas e Pastorale Sociale, Novara direttorecaritas@diocesinovara.it
Alfonso CACCIATORE, docente di religione e giornalista pubblicista, consulta diocesana di Pastorale Sociale, Agrigento alfonso.cacciatore@gmail.com
Liberato CANADA’, direttore diocesano Pastorale Turismo e Tempo Libero, Melfi (Pz) liberato.canada@tiscali.it
Anna CARFORA, docente Storia della Chiesa, Facoltà Teologica Italia Meridionale, Napoli annacarfora@storiadelcristianesimo.it
Claudio CIANCIO, docente emerito di Filosofia Teoretica, Università del Piemonte Orientale, Torino claudio.ciancio@uniupo.it
Bruna COSTACURTA, docente di Teologia Biblica, Pontificia Università Gregoriana, Roma costacurta@unigre.it
Pasquale COTUGNO, direttore diocesano Pastorale Sociale e Migrantes, Cerignola-Ascoli S. (Fg) donpasqualecotugno@libero.it
Dario CROTTI, direttore diocesano Caritas, Pavia ddariocrotti@cdg.it
Mario CUCCA, docente di Teologia Biblica, Pontificia Università Antonianum e Pontificia Università Gregoriana, Roma mariocucca76@gmail.com
Elena CUOMO, docente di Filosofia Politica, università Federico II di Napoli, elena.cuomo@unina.it
Chiara CURZEL, docente di patrologia, Trento srchiara16@gmail.com
Rocco D’AMBROSIO, docente Filosofia Politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma r.dambrosio@unigre.it
Michele DEL CAMPO, direttore diocesano Pastorale Sociale, Prato, midelca@libero.it

Saverio DI LISO, docente di Filosofia, Facoltà Teologica Pugliese, Bari diliso.saverio8@gmail.com
Sergio DI VITO, docente, capo AGESCI, Caserta sergiodivito@hotmail.it
Simone DI VITO, direttore diocesano Ufficio Scuola e Pastorale Sociale, Gaeta (Lt) simonedvt@tiscali.it
Sergio DURANDO, direttore diocesano e incaricato regionale Migrantes, Piemonte e Valle d’Aosta, Torino sergidurando@hotmail.com
Franco FERRARA, presidente centro studi Erasmo, Gioia (Ba) piazzapinto17@virgilio.it

Franco FERRARI, presidente associazione Viandanti, Parma fferraripr@gmail.com Francesco FIORINO, direttore Opera di Religione G. Di Leo, Mazara del Vallo (Tp) francesco.std@gmail.com
Domenico FRANCAVILLA, direttore diocesano Caritas, Andria (Bt) andriacaritas@libero.it

Rita GARRETTA, comunità Orsoline casa Ruth, Caserta rut@orsolinescm.it
Graziano GAVIOLI, fidei donum Arcidiocesi di Manila, già direttore diocesano Pastorale Scolastica, Modena-Nonatola dongrazianogavioli@gmail.com
Paolo GASPERINI, vicario per la pastorale, Senigallia (An) donpaologasperini@virgilio.it Claudio GESSI, incaricato regionale Pastorale Sociale, Lazio, Velletri-Segni claudio.gessi@tiscali.it
Giorgio GHEZZI rel. sacramentino, volontario Centro Astalli, Roma jamboduana@libero.it Tommaso GIACOBBE, ingegnere, Torino famgiacobbe@gmail.com
Annalisa GUIDA, docente Sacra Scrittura, Facoltà Teologica Italia Meridionale, Napoli annalisaguida@storiadelcristianesimo.it
Luigi Mariano GUZZO, docente di Beni Culturali, Università Magna Graecia, Catanzaro lmguzzo@unicz.it
Domenico LEONETTI, direttore diocesano Caritas, Sorrento-Castellamare (Na) leonetti.mimmo@gmail.com
Lettera ai Vescovi italiani, luglio 2018 – 3
Flavio LUCIANO, direttore diocesano e incaricato regionale Pastorale Sociale, Piemonte e Valle d’Aosta, Cuneo flvlcn13@gmail.com
Pierangelo MARCHI, rel. sacramentino, resp. Casa Zaccheo, Caserta casazaccheo@gmail.com
Fabrizio MANDREOLI, docente di Teologia, Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna, Bologna mandreoli.fabrizio@gmail.com
Antonino MANTINEO, docente di Diritto ecclesiastico, Università Magna Graecia, Catanzaro mantineo@unicz.it
Gianni MANZIEGA, prete operaio, direttore redazionale della rivista Esodo, Venezia associazionesodo@alice.it
Luigi MARIANO, docente di Etica economica, Pontificia Università Gregoriana, Roma marianoluigi1@gmail.com
Pietro MARIDA, parroco emerito, Salerno pietro.mari@virgilio.it
Virgilio MARONE, direttore diocesano e incaricato regionale Ufficio Scuola, Nola (Na) virgiliomarone@libero.it
Stefano MATRICCIANI, parroco, Roma stefano.matricciani26@gmail.com
Roberto MELIS, direttore diocesano e incaricato regionale Centri Missionari, Piemonte e Valle d’Aosta, Biella (Bi) info@cmdbiella.org
Mario MENIN, docente Teologia sistematica, St. Teologico Interd., Reggio Emilia mario.menin@saveriani.it
Carmine MICCOLI, direttore diocesano Pastorale Sociale, diocesi di Lanciano-Ortona, carmine.miccoli@gmail.com
Luigi MILANO, già direttore diocesano ufficio Catechesi, Sorrento-Castellamare (Na) donluigimilano@gmail.com
Simone MORANDINI, vicepreside Istituto di Studi Ecumenici San Bernardino, Venezia morandinis@yahoo.it
Franco MOSCONI, monaco camaldolese, eremo S. Giorgio, Bardolino (Vr) francomo@libero.it
Mimmo NATALE, direttore diocesano Pastorale Sociale, Altamura-Gravina- Acquaviva (Ba) mimmo.nat@libero.it
Serena NOCETI, docente Teologia Sistematica, ISSR S. Caterina da Siena, Firenze serena.enne@gmail.com
Emilia PALLADINO, docente di Dottrina Sociale della Chiesa, Pontificia Università Gregoriana, Roma e.palladino@unigre.it
Giacomo PANIZZA, docente Scienze Politiche, Università della Calabria, vicedirettore Caritas, Lamezia Terme giacomopanizza@c-progettosud.it
Fabio PASQUALETTI, decano Facoltà Scienze della Comunicazione, Università Pontificia Salesiana, decano.fsc@unisal.it
Salvatore PASSARI, docente di Filosofia, Torino passariconsiglio@alice.it
Giovanni PERINI, direttore diocesano e incaricato regionale Caritas, Piemonte e Valle d’Aosta, Biella (Bi) giovanniperini@libero.it
Marinella PERRONI, docente Nuovo Testamento, Pontificio Ateneo S. Anselmo, Roma marinellaperroni@gmail.com
Enrico PEYRETTI, Centro Studi Sereno Regis, Torino enrico.peyretti@gmail.com Giannino PIANA, già docente di Etica cristiana, ISSR Libera Università di Urbino gianninopiana@virgilio.it
Vito PICCINONNA, direttore diocesano Caritas, Bari piccinonna.vito@gmail.com
Fabrizio PIERI, docente di Teologia Biblica, Pontificia Università Gregoriana, Roma fabriziopieri@yahoo.it
Giuseppe PIGHI, magistrato, capo AGESCI, Modena giuseppe.pighi@gmail.com

Elisabetta PLATI, vicedirettrice diocesana Caritas, Mazara del Vallo (Tp) platielisabetta@gmail.com
Lettera ai Vescovi italiani, luglio 2018 – 4
Francesco PREZIOSI, parroco, Modena-Nonantola, donfrancescopreziosi@gmail.com
Angelo ROMEO, docente di sociologia, università di Perugia angelo.romeo@unipg.it

Renato SACCO, coordinatore nazionale di Pax Christi, drenato@tin.it
Giorgia SALATIELLO, docente di Filosofia, Pontificia Università Gregoriana, Roma salatiello@unigre.it
Fedele SALVATORE, docente Religione, presidente cooperativa Irene 95, Marigliano (Na) fedele.salvatore@virigilio.it
Paolo SALVINI, parroco, Roma paolo.salvini@infinito.it
Francesco SANNA, docente di Statistica, La Sapienza e Pontificia Università Gregoriana, Roma francescomaria.sanna@uniroma1.it
Felice SCALIA, gesuita, rivista Presbyteri, Messina scalia.f@gesuiti.it
Giorgio SCATTO, priore della Comunità monastica di Marango, Venezia giorgio.scatto@gmail.com
Stefano SCIUTO, già ordinario di Fisica Teorica, Università di Torino stefanosciuto@unito.it Ettore SENTIMENTALE, vicario episcopale della zona jonica, Messina-Lipari-S. Lucia del Mela ettoresentimentale@gmail.com
Ettore SIGNORILE, vicario giudiziale Tribunale Ecclesiastico Regionale Piemontese, signorile@terp.it
Guido SIGNORINO, docente Economia Applicata, università di Messina, signorin@unime.it
Giuseppe SILVESTRE, vicario diocesano zonale, docente di Ecumenismo, Catanzaro- Squillace donpino12@libero.it
Cristina SIMONELLI, docente di Teologia Patristica, Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, presidente del Coordinamento Teologhe Italiane, Verona cristinasimonelli@teologiaverona.it
Stefano SODARO, direttore de Il Giornale di Rodafà, Trieste s.sodaro@virgilio.it

Bartolomeo SORGE, gesuita, già direttore de “La Civiltà Cattolica” e di “Aggiornamenti Sociali”, Milano sorge.b@sanfedele.net
Piero TANI, economista, Firenze piero.tani38@gmail.com
Sergio TANZARELLA, docente Storia della Chiesa, Facoltà Teologica Italia Meridionale, Napoli sergiotanzarella@storiadelcristianesimo.it
Maurizio TARANTINO, direttore diocesano Caritas, Otranto (Le) donmauriziotarantino@gmail.com
Debora TONELLI, docente di Filosofia Politica, Fondazione Bruno Kessler e CSSR, Trento deboratonelli24@gmail.com
Carmelo TORCIVIA, direttore diocesano Ufficio Pastorale, docente di Teologia Pastorale, Palermo ctorcivia59@gmail.com
Rita TORTI, curatrice del blog Il Regno delle donne – Il Regno, Parma rita.torti65@gmail.com
Marco VALENTI, parroco, Roma donmarcovalenti@gmail.com
Adriana VALERIO, docente di Storia del Cristianesimo, università Federico II, Napoli avalerio@unina.it
Marco VERGOTTINI, teologo, Milano mc.vergottini@gmail.com
Dario VITALI, docente di Ecclesiologia, Pontificia Università Gregoriana, Roma dondariovitali@gmail.com
Pio ZUPPA, docente di Teologia pastorale, Facoltà Teologica Pugliese, parroco Cattedrale Troia (Fg) piozuppa@gmail.com

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Francesco: il Papa della riconciliazione degli opposti. Intervista a Massimo Borghesi

Jorge Bergoglio, Una biografia intellettuale (Ed. Jaca book). Un libro denso, questo di Massimo Borghesi (Ordinario di Filosofia Morale all’Università di Perugia). La formazione intellettuale di papa Bergoglio viene analizzata e ripercorsa nella sua poliedrica ricchezza. Un libro che smentisce i pregiudizi dei denigratori di Papa Francesco.  Con Massimo Borghesi, in questa intervista, ripercorriamo, in sintesi, la riflessione originale di Papa Francesco.

 

 

 

 

Professor Borghesi, questa nostra intervista avviene in un contesto di forte polemica, inscenata dagli avversari integralisti, contro Papa Francesco accusandolo di essere debole “teologicamente e filosoficamente”. A lui , gli integralisti, contrappongono il Papa emerito (lui, per loro, vero teologo). Tutto questo è una manipolazione assurda e fatta in malafede. Il suo libro è la smentita a queste assurdità. Vuole dire una parola su questo pregiudizio.
La lettera di Benedetto indirizzata a Mons. Viganò era, per quanto possiamo capire, una lettera riservata. Essa contiene delle valutazioni che sono state poi messe in secondo piano grazie ad un vero e proprio polverone mediatico suscitato ad arte. Due i giudizi di rilievo. Nel primo Benedetto scrive che si tratta di uno <<stolto pregiudizio [quello] per cui Papa Francesco sarebbe solo un uomo pratico privo di particolare formazione teologica o filosofica>>.  <<Papa Francesco – afferma Benedetto –  è un uomo di profonda formazione filosofica e teologica>>. Nel secondo parla di  <<continuità interiore tra i due pontificati, pur con tutte le differenze di stile e di temperamento>>.  Si tratta di valutazioni di grande significato. In altre occasioni Benedetto aveva espresso pubblicamente la sua stima e la sua sintonia con Francesco. Nella sua intervista con il gesuita Jacques Servais, del marzo 2016, aveva messo in luce il filo rosso che legava gli ultimi pontificati, compreso quello di Giovanni Paolo II: la concezione di Dio inteso come Misericordia. <<Papa Francesco – affermava Benedetto –  si trova del tutto in accordo con questa linea. La sua pratica pastorale si esprime proprio nel fatto che egli ci parla continuamente della misericordia di Dio. È la misericordia quello che ci muove verso Dio, mentre la giustizia ci spaventa al suo cospetto>>. Già allora la continuità manifesta mirava a sconfessare quanti, dentro la Chiesa, tentavano di mettere in contrapposizione papa Wojtyla, e lui stesso, con il nuovo Pontefice. Una linea che ha visto il tradizionalismo cattolico superare di gran lunga il Rubicone con accuse fuori da ogni misura ed intelligenza. Ora, con la sua lettera indirizzata a Viganò, Benedetto torna a confermare questa “continuità interiore”, che non vuol dire psicologica ma ideale.  Personalmente non posso che essere profondamente contento di questi giudizi del Papa emerito. Essi confermano le tesi del mio volume: quella sulla profonda formazione intellettuale di Bergoglio e l’altra, sulla continuità ideale dei pontificati pur nella differenza di stile e di temperamento.

Veniamo al suo libro. Il suo saggio è  molto ricco di spunti e di approfondimenti. Una vera miniera. Il titolo è indicativo: “Jorge Bergoglio. Una biografia intellettuale”. Lei scava alla ricerca dei filoni di pensiero presenti nelle parole e nell’opera pastorale di Papa Francesco. L’idea che ne traggo, con la Lettura del suo libro, è quello di un Papa “dialettico” (e qui c’è una radice moderna e antica al tempo stesso ), di un uomo che si fa “ponte” tra la modernità latinoamericana, o più specificamente argentina, e quella europea. E’ così?
La scoperta del pensiero “dialettico”, antinomico, di Jorge Mario Bergoglio è, certamente, il nucleo fondamentale del volume. Le radici provengono dalla lettura de La dialectique des “Execices spirituels” d’Ignace de Loyola, un’opera del 1956 di Gaston Fessard che il giovane studente Bergoglio conosce attraverso il suo professore di filosofia, Miguel Angel Fiorito. Nel suo commento agli “Esercizi” di Ignazio, Fessard mostrava l’intima tensione polare, dialettica, che sta al centro della spiritualità ignaziana: quella tra il grande e il piccolo, tra la grazia e la libertà. Il cattolicesimo, dirà de Lubac, costituisce una sintesi paradossale che unifica gli opposti che, sul piano della natura, risultano inesorabilmente divisi. E’ l’idea della Chiesa come coincidentia oppositorum che sta al centro del pensiero di Bergoglio. Da qui deriva un modello sociale, agonico, per cui il bene comune risiede nel perseguire una una conciliazione che non elimina i poli opposti ma ne impedisce la contraddizione e la guerra. Il pensiero di Bergoglio è un pensiero antinomico, proprio di una dialettica cattolica, non hegeliana, che ha i suoi autori di riferimento in Adam Möhler, Erich Przywara, Romano Guardini, Henri de Lubac, Gaston Fessard. Il pensiero antinomico spiega quello che lei chiede, e cioè la concezione integratrice che Francesco ha, nel rapporto tra Europa e America Latina. Tutta la sua formazione, sul modello dei gesuiti, si muove “tra” Argentina  ed Europa. Bergoglio non è semplicemente un Papa “argentino”, come vogliono i suoi detrattori. E’ un Papa che intende il vero come tensione tra globalizzazione universalizzante e particolarità. L’immagine che egli suggerisce è quella del poliedro, del tutto che valorizza le parti.

Tra i cosiddetti opinionisti,”liberali” del nostro Paese, penso a Pera, Panebianco, e a storici come Zanatta, il difetto maggiore del Papa, tra gli altri, è quello di essere, secondo loro, un populista. E per questo di esprimere un anticapitalismo peronista. Non mi sembra che siffatti personaggi abbiano colto la radice,  mi scuso per il gioco di parole, del radicalismo di Bergoglio. Quali radici profonde ha la critica al capitalismo di Papa Francesco?
Coloro che vogliono colpire Francesco lo dipingono come un pericoloso sostenitore della teologia della liberazione latinoamericana degli anni ’70. un filo-marxista. In realtà il futuro Pontefice non ha mai appoggiato questa corrente. La sua Teologia del popolo è la riformulazione argentina, operata dalla Scuola del Rio de la Plata, della teologia della liberazione. L’opzione per i poveri implica il rifiuto del marxismo e della violenza. Il suo non è un populismo ideologico. Lo stesso rapporto con il peronismo è un rapporto critico. Queste distinzioni, vengono sistematicamente ignorate, non bastano agli avversari del Papa.  Così Panebianco, Zanatta, Pera, esprimono, con toni perentori, la distanza con cui l’area laica, liberal, guarda a Bergoglio. L’ideologia occidentalista, capitalista, liberista, vede nel Papa “argentino” un freno al pensiero unico che ha dominato nell’era della globalizzazione. Il Pontefice è un avversario e come tale va trattato. Zanatta ha scritto un articolo per “Il Mulino” in cui afferma che Bergoglio «è figlio di una cattolicità imbevuta di antiliberalismo viscerale, erettasi, attraverso il peronismo, a guida della crociata cattolica contro il liberalismo protestante, il cui ethos si proietta come un’ombra coloniale sull’identità cattolica dell’America Latina». È la critica che troviamo nel filosofo liberal Marcello Pera, il quale, da parte sua, afferma che  <<il Papa riflette tutti i pregiudizi del sudamericano verso l’America del Nord, verso il mercato, le libertà, il capitalismo». Secondo Pera «la sua visione è quella sudamericana del giustizialismo peronista, che non ha nulla a che vedere con la tradizione occidentale delle libertà politiche e con la sua matrice cristiana».  A questi critici vanno sommati i cattolici  conservatori di orientamento teocon, analoghi, nella mentalità a tanta parte del cattolicesimo USA. Torna, in essi, l’opposizione Occidente – America del Sud tipica della destra liberale laica. Questi cattolici, che pensano di combattere per l’intransigenza della dottrina morale,  sono, in realtà, gli strumenti inconsapevoli  di poteri che, a livello mondiale, non amano questo Pontefice.

Torniamo alla “dialettica” bergogliana. Un aspetto fondamentale è quella dialettica tra “centro” e “periferia”. Nella pubblicistica si è semplificato così: Bergoglio è il Papa delle periferie. E’ questo è vero però c’è una riflessione più profonda che sfugge alla semplificazione. Il Papa argentino non fa una operazione sociologica, nemmeno economica, ma compie un salto filosofico, sulla scia della filosofa argentina Amelia Podetti, quello dell’affermare la centralità dell’America Latina nella storia del mondo. Perché è importante questa centralità?
La reazione agli effetti negativi della globalizzazione sorge non da una ideologia ma dalla difesa del pueblo fiel, dalla lotta per conservare quei valori di solidarietà, di sacrificio, di dedizione che il relativismo individualistico e l’ateismo libertino irridono e dissolvono. Per questo il mondo va visto dalla “periferia”. Visto dal “centro” si è come dentro una bolla che non permette di vedere “fuori”, si è parte di una “sfera” in cui tutto è uniforme, senza smagliature. Solo dalla periferia appare il “poliedro”, la diversità dei valori e dei disvalori. Il cardinal Bergoglio ne parlerà nella messa celebrata nel santuario di Aparecida, nel maggio 2007 in Brasile,  durante la Conferenza della Chiesa latinoamericana. Qui ricorse a una straordinaria metafora quando parlò per la prima volta (almeno in un’importante arena pubblica) delle periferias existenciales, le periferie esistenziali. Quasi tutti i vescovi che parteciparono ad Aparecida vivevano in una città nelle cui periferie arrivavano costantemente masse di migranti, e la frase toccò molte corde: evocava non solo le bidonville, ma anche un mondo di vulnerabilità e fragilità, un luogo di sofferenza, brama e povertà, ma anche di gioia e speranza, il luogo dove Cristo aveva scelto di rivelarsi nell’America latina contemporanea. Bergoglio aveva imparato da Amelia Podetti la categoria delle “periferie”. Da lei aveva intuito che il mondo, visto dai suoi luoghi di “fragilità”, assumeva una prospettiva diversa. Era questa la direzione di Aparecida fatta propria da Bergoglio il quale, da vescovo di Buenos Aires, evangelizzò la città a partire dalle periferie. Da qui l’idea di un Vicariato, nato nell’agosto 2009 e coordinato dal P. José Maria Di Paola, padre Pepe, addetto all’impegno pastorale e sociale nelle baraccopoli. L’idea non sorgeva da un’ideologia pauperistica, che Bergoglio non ha mai avuto, ma dalla percezione di un’umanità intrisa di religiosità che costituiva una lezione anche per i quartieri alti della città. E questo anche se nelle villas miseria si rischiava la vita, come accadrà a P. Pepe per la sua opposizione ai trafficanti di droga.

Nel libro viene affrontato, in parte, il rapporto di Bergoglio con la teologia della liberazione, o meglio, con un parte di essa. Che tipo di rapporto è? E’ chiaro che Bergoglio non è un intellettuale astratto . E’ un mistico nell’azione. In questo ambito gioca un ruolo importante il “pueblo fiel”. E’ così?
Come accennavo prima, La “Teologia del pueblo” argentina accoglie, al pari di tutta la Chiesa latinoamericana, l’opzione preferenziale per i poveri. Rifiuta però, in modo categorico, il primato della prassi che la teologia della liberazione mutua dal marxismo. L’unione che il gesuita Bergoglio richiede tra contemplazione e azione è una unione antinomica. E’ la sintesi tra evangelizzazione e promozione umana che sta al centro della dottrina sociale di Paolo VI.  In Bergoglio il “pueblo” è, innanzitutto, il “pueblo fiel”, il popolo credente. In esso la lotta per la giustizia non è separabile dalla sua religiosità, dalla sua fede cristiana. Questo non è un residuo arcaico che deve essere, illuministicamente, spazzato via. E’ il terreno dove germoglia la giustizia, l’impegno comune, il senso di solidarietà. Lo stesso Gustavo Gutierrez, che è il padre della teologia della liberazione latinoamericana, riconoscerà, nel 1988, la verità della Teologia del pueblo. Questo lo porterà ad una autocritica della primitiva versione della teologia della liberazione, dipendente dal marxismo. Bergoglio, da parte sua, dipende dalla Teologia del pueblo, dai suoi maestri: Lucio Gera, Rafael Tello, Juan Carlos Scannone.

Un ruolo fondamentale nel pensiero e nell’azione di Bergoglio, ovviamente, c’è il suo ordine, quello dei gesuiti. Al di là del lato intellettuale, importantissimo, c’è anche la dialettica che l’ordine sviluppa con la modernità E in questo il Papa incoraggia la Compagnia ad essere al largo, in navigazione aperta. Ovvero ad avere un pensiero mai compiuto…Una bella sfida davvero…E questo fa paura alle cittadelle del pensiero unico….E’ così?
Alla conferenza di Aparecida, nel 2007, l’idea di fondo era data da una formula che Bergoglio trovava esemplarmente descritta nella Deus caritas est di Benedetto XVI: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva». E’ la formula riportata  nella lntroduzione del documento conclusivo di Aparecida. Essa verrà ripresa da Francesco nella Evangelii gaudium, al & 7.  Indica il punto d’inizio della fede, ieri come oggi, e, insieme, un giudizio storico sulla deriva “eticistica” che caratterizza il cattolicesimo nell’era della globalizzazione.  Terminata la stagione calda dell’impegno storico di sinistra, tipico degli anni ’70 caratterizzato dalle teologie politiche, della rivoluzione, della speranza, ecc., si assiste, a partire dagli anni ’80, ad una sorta di riflusso, di ripiegamento in un recinto protetto. L’impegno nel mondo è affidato alla difesa di un insieme, definito e selezionato, di valori discendenti dall’etica e dall’antropologia cristiana minacciati dall’onda relativistica che caratterizza il tempo nuovo. In parallelo viene meno l’attenzione per la questione sociale e si attenua fortemente la percezione di una Chiesa missionaria, proiettata, oltre i propri confini, nella dimensione dell’ “incontro”. Il processo di secolarizzazione determina, nel mondo cristiano, una reazione etica, la chiusura nella cittadella ecclesiale, l’indurirsi di un pensiero centrato sulle regole e timoroso di ogni confronto.  Con ciò l’idea di Alberto Methol Ferré, condivisa da Bergoglio,  sulla testimonianza cristiana vissuta come risposta adeguata all’ateismo libertino veniva a perdersi. La Chiesa si oppone ma non è in grado, positivamente, di porsi, di affermare una tipologia umana nella quale l ‘ “attrattiva Gesù” sia più forte dell’attrattiva estetica della società opulenta.  La deriva etica della Chiesa indica una strategia di resistenza, non un’era di rinascita. Questo sbilanciamento etico, per cui l’incontro cristiano cade in secondo piano, permette di chiarire la correzione che ne apporta Francesco nella Evangelii gaudium. Si tratta di rimettere in evidenza ciò che primerea: la grazia di un annuncio trasmessa da una testimonianza umanamente credibile.

Siamo alla fine, Professore, dell’intervista. Concludiamo con un autore caro a Papa Bergoglio: Romano Guardini. L’autore caro a Paolo VI, Benedetto XVI. Guardini è il filosofo dell’opposizione polare.  E la Chiesa è una complexio oppositorun. Se è così, nel tempo del fallimento della globalizzazione, la Chiesa si pone come luogo di riconciliazione. Papa Francesco allora si può definire come il pontefice della riconciliazione della famiglia umana. In fondo questa è la “dialettica” del Verbo…
La sua osservazione è assolutamente pertinente. La predilezione di Bergoglio per Romano Guardini, come dimostro nel mio libro, sorge dal fatto che la dialettica polare guardiniana è il modello che trova la sua manifestazione nella Chiesa come complexio oppositorum. Qui risiede il fulcro del pensiero di Bergoglio. Il Papa  è “strutturalmente” uomo di pace. Lo ha dimostrato in molteplici occasioni anche per il ruolo svolto a livello internazionale. La sua geopolitica della Misericordia è dettata da una concezione che vede nel dialogo, nel confronto, il metodo affinché le polarità odierne non degenerino in contraddizione. Il Papa non è irenico, ha una visione drammatica del tempo odierno segnato da una terza guerra mondiale a pezzi. Noi assistiamo al frantumarsi del disegno della globalizzazione. Il suo universalismo astratto, egemonico, portato avanti da una economia sacrificale, sta suscitando  reazioni di difesa che si chiudono nella particolarità. Per Francesco la vera universalità valorizza la particolarità e la vera particolarità non può  non aprirsi all’universale. Questa è la formula di Guardini, la formula della Chiesa, il modello di pace. Francesco è il testimone instancabile di questo modello in un mondo che torna alle grandi divisioni del passato.

Cinque anni di Francesco, il Papa del Kerigma. Intervista a Massimo Faggioli

 

Roma, Piazza San Pietro: Elezioni Papa Francesco (Photo by Peter Macdiarmid/Getty Images)

Siamo nel quinto anniversario dell’elezione al soglio pontificio di Jorge Bergoglio. Cinque anni intensi e rivoluzionari. Ne parliamo, in questa intervista, con il professor Massimo Faggioli, Professor of Historical Theology alla Villanova University (USA).

 

Professor Faggioli, lei ha appena pubblicato un libro, Cattolicesimo, nazionalismo, cosmopolitismo (Armando Editore) che arriva nel quinto anniversario dell’elezione al soglio pontificio di Jorge Mario Bergoglio. Quel cardinale, che veniva dalla “fine del mondo”, sorprese tutti. Non era dato tra i papabili, non in quel Conclave dove venne eletto. Proviamo ad offrire, in modo sintetico, alcune chiavi di lettura per comprendere il pontificato e vedere il suo sviluppo. Papa Francesco è un papa “kerigmatico”, cioè molto più legato all’annuncio del kerygma evangelico che alla dottrina. Questo gli ha creato non pochi problemi.

Certamente è così, anche perché Francesco viene eletto in un momento in cui in alcune zone del cattolicesimo mondiale, come gli Stati Uniti in cui vivo e lavoro dal 2008, c’erano segnali dell’inizio di un ritorno del tradizionalismo anti-conciliare, secondo il quale i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI erano la parola finale e definitiva sul cattolicesimo ed erano pontificati di “correzione” del Vaticano II e del post-concilio. Francesco è figlio del concilio come del post-concilio, ed è la prova che il cattolicesimo continua sulle traiettorie indicate dal concilio Vaticano II: la pastoralità della dottrina e la centralità dell’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo.

Il kerygma si annuncia con la misericordia. Ma la visione di Francesco non è solo spirituale è anche sociale. Come si sviluppa questo aspetto?

Francesco si oppone al rigetto della teologia della liberazione come rigetto dell’incarnazione dell’annuncio: la fede cristiana non è disincarnata e indifferente rispetto alle condizioni materiali ed esistenziali di chi riceve l’annuncio. Francesco riprende il magistero di Paolo VI sull’evangelizzazione nel senso di una evangelizzazione che non scarta l’importanza dell’umanizzazione dell’umano. Predicare il Vangelo agli uomini e donne del nostro tempo fingendo di non vedere i fenomeni sociali ed economici di disumanizzazione è blasfemo.

L’onda della misericordia di Francesco “investe” la Chiesa. Secondo lei questa logica è stata recepita nella struttura viva della Chiesa? Ovvero il “volto” della Chiesa è questo?

Non è ancora stata recepita in pieno dalla chiesa, ma questo non stupisce. Francesco non ha mai avuto un piano di riforma istituzionale della chiesa, ma ha una idea di riforma in senso congariano (da Yves Congar, il teologo più importante al Vaticano II) che prevede tempi lunghi, una conversione delle mentalità e della cultura. Dalla chiesa della misericordia non credo che si torni indietro: Francesco ha sviluppato un discorso che parte da Giovanni XXIII.

 

Questo è un Papa “politico”, e questo non è in contrasto con la sua figura kerigmatica che ha cercato di abbattere i muri per costruire “ponti”. Qual è   stato il risultato più bello di questa diplomazia della misericordia?

Direi il contributo dato alla fine dell’embargo americano contro Cuba. È stato il risultato di sforzi diplomatici durati molti anni, con un ruolo della chiesa cattolica molto delicato politicamente, non solo a Cuba ma anche negli Stati Uniti. Ma ci sono tante altre aree del mondo in cui la diplomazia vaticana gioca un ruolo importante e nascosto.

 

La prossima grande sfida per la diplomazia della misericordia sarà la Cina. È d’accordo su questo punto?

Credo di sì. La sfida più importante per la chiesa cattolica non è la dirigenza cinese o il partito comunista cinese, ma la Cina come paese e l’Asia come continente. Certamente le riforme costituzionali in corso in Cina (il presidente eletto a vita) potrebbe complicare i prossimi passi, ma la sfida è quella e credo che si faranno passi in avanti nel prossimo futuro.

Francesco è il Papa della critica al capitalismo. Oggi nemmeno nella Sinistra cosiddetta storica si sente parlare di critica al capitalismo. Invece è presente, come elemento antimoderno, nella destra populista. Tanto che tra i detrattori del Papa lo si accusa di pauperismo populistico. Qual è il   suo pensiero?

Anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno criticato il capitalismo, ma la critica di Francesco è più radicale perché viene da un’area del mondo che vede il capitalismo globale in modo diverso e meno positivo da come lo si vede in Europa o negli Stati Uniti. In questo Francesco parla una lingua che è quella della maggioranza dei cattolici al mondo, che non vivono in Europa o negli Stati Uniti. L’enciclica Laudato Si’, nella sua analisi dei rapporti tra politica ed economia oggi, è una delle pagine più interessanti e coraggiose del pontificato.

In quale ambito l’azione di riforma del papa ha incontrato e manifestato limiti?

La chiesa deve dare qualche tipo di risposta alla questione del ruolo delle donne nella chiesa: il diaconato femminile è una questione ormai matura sul piano teologico e da questa dipende molto del futuro della chiesa. Non c’è un piano di riforma istituzionale della Curia romana, perché non risponde alla visione bergogliana di riforma spirituale, ma anche per la difficoltà di riformare il governo della chiesa. All’inizio del pontificato c’era il progetto per una nuova “costituzione apostolica” che sostituisse la Pastor Bonus di Giovanni Paolo II (1988), ma poi, qualche mese fa, questo progetto è stato abbandonato. La riforma dei media vaticani lascia a desiderare: che il papa non abbia più un vero portavoce (e non per colpa dei direttori della Sala Stampa vaticana) è una cosa grave e pericolosa, come si è visto durante il viaggio in Cile per esempio.

 

Sull’ecumenismo ho la sensazione che il Papa sia più avanti del popolo di Dio. Esagero?

Non saprei: sull’ecumenismo verso l’oriente cristiano certamente sì, ma questo era vero anche per i suoi predecessori. Francesco ha meno familiarità con le chiese della Riforma e lo si vede da alcuni suoi documenti, dal modo in cui cita documenti di fonte non cattolico romana. Quello che è nuovo in Francesco è che il papa vede e sperimenta che ci sono dei “confini” e delle divisioni interne alla chiesa cattolica non meno dolorose che tra chiese diverse.

Proprio nell’anniversario del quinto anno di pontificato arriva una lettera del papa emerito. Benedetto XVI giudica come “stolto pregiudizio” le critiche sulla preparazione di Francesco, affermando che c’è una “continuità interiore” tra i due pontificati. Come giudica questa mossa di Benedetto?

È una mossa molto importante, che dice molto dell’alto “senso della chiesa” di Joseph Ratzinger. Temo però che questa lettera non verrà ascoltata da coloro che si dicono ratzingeriani senza averne titolo.

Se dovesse scegliere una immagine emblematica di questi intensi anni, quale immagine sceglierebbe?

Il papa coi carcerati e le carcerate, che si chiede: “Ogni volta che entro in un carcere mi domando: perché loro e non io”.

 

 

 

“Donne per la Chiesa”: un manifesto per valorizzare il femminile

(Stefano Dal Pozzolo/contrasto)

Sono una trentina di donne credenti di tutta Italia – non teologhe – impegnate in diversi ambiti sociali e ecclesiali, che si riuniscono nei social (il gruppo Facebook si chiama “Donne per la Chiesa”) interrogandosi sui principali problemi, ma anche sugli auspici e le intenzioni che vogliono portare all’attenzione nel dibattito sul ruolo della donna nella Chiesa: riflessioni che adesso, dopo un lavoro condiviso di mesi, vogliono «intraprendere con tutte le sorelle credenti che vi si riconoscono e offrire alla comunità cristiana», si legge in un comunicato stampa. Di qui l’elaborazione di un manifesto che sintetizza l’esigenza di «dare voce a un mondo femminile diverso da un certo modello tradizionale (nel quale la differenza tra maschile e femminile si declina nella sottomissione della seconda al primo), un mondo composto da donne credenti che hanno a cuore la possibilità di esprimere nella Chiesa ciò che sono, senza sminuirsi per compiacere alcuno e senza rinunciare ai propri talenti e alla propria assertività, che sono pronte a offrire il proprio servizio alla comunità ecclesiale con competenza e coscienza del proprio valore». Di seguito pubblichiamo il manifesto, per gentile concessione dell’Agenzia Adista, diffuso il 6 febbraio su Gli Stati Generali.

“D’altronde, nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo senza la donna. Infatti, come la donna viene dall’uomo, così anche l’uomo esiste per mezzo della donna e ogni cosa è da Dio” (1Cor 11, 11-12)

CHI SIAMO

Siamo donne credenti, siamo discepole di Gesù, innamorate della Chiesa, delle nostre famiglie, di chi è più fragile e più indifeso, ma innamorate anche della nostra forza, energia e intelligenza, doni di Dio. Alla Chiesa, come anche alla società e alle nostre famiglie, vogliamo portare tutto ciò che siamo e non sminuirci per compiacere qualcuno. Non sentiamo il bisogno di riconoscerci in modelli preconfezionati, ma rivendichiamo la possibilità di costruire ciascuna il proprio cammino unico e irripetibile: come persone, come donne, come sorelle, figlie, mogli e madri. Amiamo la maternità che il Creatore ci ha affidato, ma siamo consapevoli che è ben più grande e irradiante della maternità fisica, per questo cerchiamo di essere generative in ogni situazione della nostra vita, compresi i luoghi di lavoro, dell’impegno sociale e politico.

Rivendichiamo la nostra assertività come una ricchezza per le nostre comunità e non accettiamo di mostrarci deboli per lusingare la forza maschile. Amiamo gli uomini e siamo al loro fianco con amore, corresponsabilità, rispetto e stima. Allo stesso modo vogliamo offrire ai nostri Pastori una collaborazione fatta di reciprocità, valorizzazione delle differenze, rispetto e stima.

Pur consapevoli che in alcune realtà ecclesiali la situazione sia in movimento, come donne adulte sperimentiamo quotidianamente il ruolo subalterno della donna nella Chiesa, che ci fa sentire sempre più fuori luogo e inadeguate. Subiamo l’incapacità di essere viste e valorizzate nelle nostre competenze e specificità e questo ci priva troppo spesso di un reale riconoscimento. Vediamo che le donne nella comunità esistono nella misura in cui risolvono i problemi dei protagonisti uomini. Tutti uomini. Che si tratti dell’oratorio parrocchiale, di movimenti ecclesiali o di Facoltà teologiche, il modello femminile che viene proposto è sempre quello di “stampella” a sostegno delle figure maschili (presbiteri, docenti o mariti). Non ci sono spiragli per capacità femminili che vadano al di là della procreazione, dell’accudimento, o del sostegno agli uomini, a meno di pesanti rinunce alla propria femminilità.

Nel nostro cammino abbiamo visto come la fede stessa della donna e l’adesione a qualunque vocazione essa abbracci è considerata inferiore, di minore qualità di quella maschile, se non in casi eccezionali e astutamente propagandati.

Nelle comunità manca spesso un reale rispetto nei confronti delle donne, che siano single, sposate o divorziate: nel primo caso non sono risorse da sfruttare “tanto non hanno altro da fare”, nel secondo non sono “solo” mamme e mogli, nel terzo non vanno identificate per ciò che non sono, ma per ciò che sono e fanno.

Quando si tratta di prendere decisioni manca lo spazio per il contributo originale delle donne, la loro visione della Vita, la capacità di affrontare le situazioni in maniera creativa, dentro le relazioni, precludendo così la possibilità di rompere schemi di azione e relazione ormai logori e inefficaci per creare nuove opportunità di crescita delle comunità.

Quello che vogliamo dire è che in gioco non c’è affatto soltanto lo spreco di talenti, la mancanza di rispetto e il colpevolizzare tutte quelle che non si ritrovano nel quadretto della moglie/madre pia e devota (tutte cose assolutamente già gravi in sé), ma c’è soprattutto una profonda infedeltà al Vangelo, al modo scelto da Gesù per trattare le donne, alla forza di Maria, alla novità dell’annuncio di Maria Maddalena.

CHIEDIAMO:

Rispetto nei confronti del nostro impegno, la possibilità di esprimere un servizio coerente con le nostre competenze e capacità.

• Che i presbiteri ai quali le nostre comunità sono affidate conoscano e apprezzino il femminile, che abbiano un rapporto sano e sereno con le donne, che siano persone psicologicamente mature.

• Che si prenda in considerazione che la ricerca vocazionale femminile ha aperto nuovi e più articolati orizzonti, in una maturazione di prospettive che necessita di attenzioni e risposte.

• Che si riconosca la possibilità per le donne di avvicinarsi al cuore della vita ecclesiale e che si attribuisca il dovuto valore all’autentico desiderio di partecipare ad una ministerialità più attiva, compresa quella sacramentale. E che pertanto è legittimo e va nel senso del bene per la Chiesa intera iniziare a concepire risposte concrete in questo ambito.

Non siamo dei sostituti d’azione, ma possiamo “inventare” forme nuove che arricchiscono la chiesa.

Non chiediamo posti di potere, ma di essere pienamente riconosciute come figlie di Dio e membri della comunità alla pari degli uomini.

PER QUESTO SIAMO PRONTE A METTERCI AL SERVIZIO DELLA CHIESA CON TRE CRITERI:

Assertività: non temiamo di proporre, di chiedere riconoscimento per ciò che facciamo e portiamo alla comunità

Libertà: il nostro agire non è finalizzato a conquistare posti di prestigio e questo ci mette in condizioni di non ricattabilità

Alleanza femminile: là dove siamo e tra noi scegliamo di essere alleate delle sorelle che incontriamo e soprattutto di non cadere nella rivalità tra donne per ottenere l’approvazione maschile

PER QUESTO:

Abbiamo deciso di trovarci tra donne adulte, che hanno vissuto e vivono un percorso di fede per condividere e scambiare e siamo pronte ad accogliere quante decideranno di unirsi a noi.

Vogliamo dare un messaggio chiaro sul genere di femminilità di cui riteniamo che la

Chiesa abbia bisogno

Vogliamo farci conoscere per testimoniare che nella Chiesa ci sono donne che non si sottomettono e poter così avvicinare anche altre sorelle nella fede che si sentono disorientate da quest’ondata tradizionalista

Non rinunciamo a portare avanti istanze serie e grandi come anche forme di servizio presbiterale femminile.

Cagliari 6 febbraio 2018, memoria di San Paolo Miki e compagni

LE FIRME

Paola Lazzarini, Cagliari

Sara Milano, Torino

Iole Iaconissi, Villa Santina (Udine)

Anna Paola Loi, Cagliari

  Eleonora Manni, Terni

Carla Piras, Cagliari

Maria Adele Valperga, Torino

Alessandra Bonifazi, Roma

Esther Valerio, Bari

Barbara Serpi, Senigallia (Ancona)

Raffaella Zanacchi, Cremona

Fabiana Pagoto, Torino

Maria Nicoletti, Pavia

Alessandra Zambelli, Bologna

Claudia Cossu, Cagliari

Silvia Ferrandes, Viterbo

Giulia Casadio, Ravenna

Manuela Chessa, Cagliari

Tiziana Minotti, Meda (Milano)

Fulvia Caredda, Tribiano (Milano)

Maria Cristina Rossi, Torino

Lucia Bagalà, Gioia Tauro (Reggio Calabria)

Carmelinda Tripodi, Roma

Elena Savio, Padova

Giuseppina Bagalà, Gioia Tauro (Reggio Calabria)

Anna Gamberini, Torino

Eleonora Consoli, Santa Maria di Licodia (Catania

Dal sito : http://www.adista.it/articolo/58250