“Bolsonaro è una minaccia globale”. Un appello dal Brasile di denuncia contro il folle operato del governo di Jair Bolsonaro di fronte alla pandemia

Luogo di sepoltura riservato alle vittime della pandemia COVID presso il cimitero di Nossa Senhora Aparecida a Manaus, nella foresta amazzonica in Brasile (GettyImages)

LA VITA PRIMA DI TUTTO

“Questo testo, elaborato da più persone, è frutto dell’impotenza. La pandemia sta uccidendo il popolo brasiliano. Non sappiamo a chi rivolgerci, poiché quelli che potrebbero fare qualcosa non lo fanno, per misteriosi disegni che sospettiamo quali possano essere. La decimazione del nostro popolo equivale a 6 guerre del Paraguay, in cui morirono 50.000 soldati brasiliani. Non possiamo assistere senza indignazione – scrive Leonardo Boff – e senza fare nulla di fronte a questa guerra interna, il cui nemico è nel nostro paese e occupa la più alta carica della nazione. Ma esiste un’umanità, che ancora ha “umanità", in nome della quale ci rivolgiamo. La nostra paura sta nel fatto che l’istinto di morte del nostro presidente possa, a partire dal Brasile, influenzare tutta l’umanità e, più direttamente, i nostri vicini con il virus amazzonico altamente pericoloso. Ha già invaso l'intero Paese ed è arrivato anche negli USA. Si tratta di salvare vite umane e l'umanità stessa rischia di non riuscire a rigenerarsi totalmente. È la ragione etica e umanitaria che ci ha spinto a pubblicare questo manifesto, tradotto in più lingue. Vi chiediamo di sottoscriverlo per creare le condizioni politiche per trovare qualcuno che valorizzi la vita, non esalti la violenza o sia indifferente di fronte alla morte di migliaia di nostri connazionali. Non ci sono più fazzoletti per asciugare tante lacrime, non c'è più la possibilità di un ultimo addio. Riprendendo un vescovo francescano scozzese del XIII secolo contro le troppe estorsioni fiscali: “non accettiamo, ci rifiutiamo e ci ribelliamo contro questa situazione nemica della vita” . L’appello ha già ricevuto l’appoggio di Mons. Mauro Morelli, Padre Júlio Lancellotti, Leonardo Boff, Chico Buarque de Holanda, Carol Proner, Zélia Ducan, Michael Löwy, Eric Nepomuceno, Ladislau Dawbor, Frei Betto, Yves Lesbaupin, Regina Zappa e di tanti esponenti della cultura e della società civile brasiliana. Lo pubblichiamo in una nostra traduzione dal portoghese.

 

Lettera aperta all’umanità

Viviamo in tempi bui, dove le persone peggiori hanno perso la paura e le
migliori hanno perso la speranza. Hannah Arendt

Il Brasile grida aiuto.

Brasiliane e brasiliani impegnati con la vita sono tenuti in ostaggio dal
genocida Jair Bolsonaro, che occupa la presidenza del Brasile con una
banda di fanatici guidati dall’irrazionalità fascista.

Quest’uomo senza umanità nega la scienza, la vita, la protezione
dell’ambiente e la compassione. L’odio dell’altro è la sua ragione
nell’esercizio del potere.

Il Brasile oggi soffre del collasso intenzionale del sistema sanitario.
L’abbandono della vaccinazione e delle misure preventive di base, lo stimolo
all’assembramento e alla rottura del confinamento, sommato alla totale
assenza di una politica sanitaria, creano l’ambiente ideale per nuove
mutazioni del virus e mettono a rischio i paesi vicini e tutta l’umanità.
Assistiamo con orrore allo sterminio sistematico della nostra popolazione, in
particolare dei poveri, degli afro-discendenti e degli indigeni.

Il mostruoso governo genocida di Bolsonaro è passato dall’essere solo una
minaccia per il Brasile a diventare una minaccia globale.

Ci appelliamo agli organismi nazionali – STF, OAB, Congresso Nazionale,
CNBB – e alle Nazioni Unite. Chiediamo urgentemente alla Corte Penale
Internazionale (CPI) di condannare la politica genocida di questo governo che
minaccia la civiltà.

La vita prima di tutto.
Per sottoscrivere l’appello: https://forms.gle/H8Y8pQMe3WhYjQrZA
(Traduzione dal Portoghese di Gianni Alioti)

“Europa beffata da Usa e Big Pharma. Ma alla produzione dei vaccini si doveva pensare un anno fa”. Intervista a Giuseppe Sabella

vaccino covid-19 (Ansa)

Mentre una nuova ondata del contagio sta stressando in maniera diversa l’Europa intera, la Commissione è stata travolta dai ritardi delle Big Pharma più volte venute meno agli accordi presi con l’Unione. La politica comunitaria dell’acquisto dei vaccini doveva essere un pilastro del corso Von Der Leyen ma qualcosa è andato storto, tanto che ora c’è chi procede in modo autonomo (vedi Austria e Danimarca che produrranno i vaccini insieme a Israele ma anche i Paesi dell’area Visegrad che acquistano il vaccino da Russia e Cina). In questo quadro, la Commissione sta lavorando per potenziare l’industria farmaceutica e la sua capacità produttiva, progetto che vede l’Italia in prima linea. Proprio oggi, il Commissario Europeo all’industria Thierry Breton è a Roma e ha incontrato il Ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Sabella, direttore di Think-industry 4.0.

Sabella, com’è andato questo incontro di stamattina tra Breton e Giorgetti?

Si è trattato di un incontro proficuo, del resto a Bruxelles c’è ampia contezza del ruolo importante che l’Italia può giocare a livello di riorganizzazione dell’industria europea, essendo il nostro Paese secondo solo dopo la Germania in termini di produzione manifatturiera e particolarmente eccellente proprio nel comparto della farmaceutica. A ogni modo, Giorgetti ha aggiornato Breton circa quello che concretamente potrà fare l’Italia, quanti impianti potrà attivare e in quanto tempo (informazioni ancora coperte da riservatezza). Il problema degli impianti per la produzione dei vaccini è un problema europeo e la mole di risorse del Recovery Fund serve proprio a ricostruire l’industria continentale con la finalità non solo di innovarla ma anche di rendere l’UE più indipendente da USA e Cina. Da questo punto di vista, Breton è stato infatti fra i primi a cogliere l’urgenza dell’autonomia vaccinale su scala europea, capendo le insidie della dipendenza dalle Big Pharma che oggi, ahimè, stiamo pagando.

Come si spiega questo incidente che oggi vede la Commissione Europea sotto scacco dalle Big Pharma?

Al di là del fatto che l’Unione in questa fase sta facendo una pessima figura perché questa è un’operazione che non doveva conoscere intoppi – cosa che ancora una volta alimenta come stiamo vedendo le spinte nazionaliste – non possiamo però non dire che Pfizer e Moderna sono inadempienti contrattualmente, al di là del fatto che qualcuno dica che non siano previste penali per le mancate consegne di vaccini. Io mi limito a dire che nessuno conosce quegli accordi perché sono secretati nei punti chiave. Il punto vero però è un altro ed è ciò che Breton ha capito benissimo: qui non è solo questione di Big Pharma, è questione che gli USA hanno investito 3,5 miliardi di dollari in finanziamenti per ricerca e preacquisti di vaccini. Come non vedere dietro questa inadempienza anche un aspetto politico? È ovvio che in questa fase complicatissima, gli USA – la cui campagna vaccinale sta funzionando meglio che in Europa – vaccinato il 15,8% della popolazione contro il 6,3% UE, fonte Ocse – pensino a loro. In questo senso, è ancora America First, al di là del fatto che Biden sarà più amico dell’Europa di quanto lo sia stato Trump. Chi prima uscirà dall’emergenza sanitaria, prima uscirà dall’emergenza economica. E in una fase di potente riconfigurazione della globalizzazione, nessuno fa favori a nessuno, se non per un interesse diretto. Come, per esempio, stanno facendo Russia e Cina.

Si riferisce ai vaccini Sputnik e Sinopharm?

Si, mi riferisco al fatto che Russia e Cina, che hanno meno problemi dell’Europa in capacità produttiva, attraverso la cessione dei loro vaccini proseguono nella loro politica di penetrazione in Europa.

Ma perché l’Europa si trova in questa situazione di scarsa capacità produttiva dei vaccini?

Perché nella sua politica industriale l’Europa non ha considerato che produrre vaccini era una cosa strategica. Non che l’industria farmaceutica in Europa sia debole, tutt’altro. Si pensi a colossi come Bayer, Novartis, Sanofi, ma anche alle nostre Menarini, Chiesi, Angelini, Dompé, Bracco, Zambon, etc. Il punto è che per produrre vaccini ci vogliono impianti specifici di cui al momento scarseggiamo. Ci stiamo pensando ora, meglio tardi che mai. L’errore vero è stato quello di non pensarci un anno fa. E le ragioni che dovevano spingerci a farlo sono diverse. Ma, sappiamo, l’Europa è una lenta burocrazia.

A cosa si riferisce in particolare?

Mi riferisco non solo al contingente problema della pandemia, non ne usciamo senza il vaccino. Ma, inoltre, il fabbisogno di vaccini potrebbe crescere anche in ragione di un mondo sempre più abitato dai microbi. A causa dello scioglimento dei ghiacciai, si stanno diffondendo virus debellati o sconosciuti: di recente, una ricerca condotta da scienziati statunitensi e cinesi ha infatti ritrovato virus sepolti nei ghiacci risalenti a circa 15 mila anni fa (studio pubblicato sulla rivista bioRxiv a gennaio 2020). Inoltre, ad aprile dell’anno scorso, la Società italiana di Medicina ambientale ha reso noto che tracce di coronavirus sono state ritrovate nelle polveri sottili: il particolato atmosferico trasporta quindi i microbi. Benché non sia rilevata l’efficacia del contagio per via aerea, a questo punto, in un mondo stressato dal problema dell’inquinamento, dobbiamo sempre più difenderci da virus e microbi. È questa la ragione per cui la ricerca in ambito farmaceutico negli ultimi 10 anni ha molto investito in questa direzione, cosa che ha probabilmente agevolato la realizzazione del vaccino per il Sars-Cov-2 a tempo di record.

Oltre che per aspetti di carattere sanitario, da un punto di vista industriale qual è l’importanza di questa operazione europea per il nostro Paese?

Intanto, predisporre impianti per la produzione del vaccino – ex novo o attraverso la riconversione degli stabilimenti che producono l’antinfluenzale – vuol dire non solo costruire un percorso di politica sanitaria ma generare condizioni per lo sviluppo di lavoro e occupazione. Pensiamo anche al fatto che sarà necessario produrre macchine come bioreattori e fermentatori, cosa che a loro volta genererà opportunità occupazionali. Questo significa rispondere ai bisogni emergenti. In questo quadro mi sembra interessante far notare anche che vi è un progetto del Cluster Alisei –
supportato da Farmindustria, Federchimica ed Eguaglia – di back reshoring (recuperò attività produttive) dalla Cina e dall’India che coinvolgerà circa 60 industrie e favorirà la creazione di 11.000 posti di lavoro (secondo i calcoli di Alisei), progetto che dà evidenza alla “riconfigurazione delle catene del valore” di cui si parla da tempo. in sintesi, la farmaceutica è l’inizio dell’attuazione del Recovery Plan in Italia, oltre che in Europa naturalmente.

Lettera al Presidente del Consiglio Mario Draghi: “Fare tutto quello che è necessario per la salute delle persone”.

Vaccinazione Covid-19 (Ansa)

Di seguito pubblichiamo l’appello di tre importanti esperti in salute pubblica, italiani ed europei, al Presidente Mario Draghi affinché l’Italia e l’Europa si impegnino a garantire l’accesso dei Paesi poveri ai vaccini derogando ai diritti di proprietà intellettuale. Gli autori dell’appello sono : Rosi Bindi, già ministro della salute, Nicoletta Dentico, della Society for International Devolopment e Silvio Garattini, Presidente dell’Istituto Mario Negri.

Esattamente un anno fa, a Codogno, la dottoressa Anna Malara decideva di assumersi la responsabilità di forzare i protocolli medici e fare il test diagnostico a Mattia Maestri,  intercettando così per la prima volta la presenza del virus SARS-CoV-2 in Italia. Di lì a poche settimane, la Lombardia sarebbe divenuta una delle aree clinicamente più colpite nella storia di COVI-19, e il nostro paese l’epicentro del virus a livello mondiale.

In tempi di pandemia occorre sempre sforzarsi di prevedere cosa possa succedere in futuro in rapporto con il peggior scenario possibile. Solo in questo modo è realistico avere un minimo di preparazione per affrontare i problemi. In Europa stiamo sperimentando i ritardi che non ci permettono di effettuare con tempestività l’utilizzo dei vaccini per realizzare l’immunità di popolazione perché non abbiamo produzioni autonome e dipendiamo da sorgenti estere che hanno interessi nazionalistici ed economici che non possiamo controllare. Una condizione che molte popolazioni del sud del mondo conoscono fin troppo bene. Ci troviamo evidentemente di fronte a una congiuntura mai sperimentata prima. Al netto dei numerosi errori commessi nella conduzione delle trattative con le case farmaceutiche da parte della Commissione Europea, e riconosciuti dalla presidente Von der Leyen, sfornare vaccini in quantità dell’ordine di centinaia di milioni di dosi in poche settimane o mesi, possibilmente a un ritmo tale da precedere eventuali ulteriori mutazioni del virus, è tutt’altro che scontato. Sia da un punto di vista tecnico, inerente al ciclo di realizzazione dei vaccini. Sia perché la produzione è concentrata nelle mani di pochissime case farmaceutiche. Si impone all’Europa riunita nel Consiglio europeo una seria riflessione sulla visione nel campo della salute e delle politiche farmaceutiche, non solo per far fronte all’attuale pandemia ma anche alle eventuali future crisi sanitarie – basti pensare alla resistenza dei batteri agli antibiotici, una pandemia silente con una mortalità annuale di circa 30.000 in Europa, un terzo delle quali solo in Italia.

Ma torniamo a SARS-CoV-2. Lo scenario che si prospetta è incerto ma si può prevedere che il virus continui a circolare nei Paesi ad alto reddito per almeno tutto il 2021, e per alcuni anni continui ad essere presente nei Paesi a basso reddito che non hanno a disposizione il vaccino. Una disuguaglianza urticante sotto il profilo epidemiologico, che i paesi ricchi non hanno ancora compreso. E poi c’è lo sviluppo di mutazioni del virus che comportano la circolazione di “varianti” più contagiose, una sorta di pandemia nella pandemia che può determinare una ridotta o completa insensibilità ad alcuni degli attuali e futuri vaccini.  Queste prospettive richiedono una nuova e urgente attenzione da parte dell’Europa alla necessità di essere parte attiva nella produzione di vaccini anti SARS-CoV-2. Usando appieno tutti gli spazi normativi esistenti, occorre uscire da false sicurezze e porre in atto un programma per realizzare nuovi stabilimenti e ampliare quelli esistenti, in Italia e negli altri paesi europei, sotto l’egida di una gestione strategica pubblica. Nel contempo, occorre acquisire tutte le conoscenze scientifiche che servono per riuscire a organizzare e diffondere quanto più possibile una risposta adeguata alla pandemia. Non c’è tempo da perdere. Nel Consiglio europeo è possibile far avanzare la nuova consapevolezza di sé che l’Europa ha sviluppato con questo virus, pedagogo irriducibile ma razionale.

In una lettera aperta pubblicata di recente sulla rivista medica The Lancet un gruppo di esperti in salute pubblica afferma che “la pandemia di COVID-19 non avrà fine finché non ci sarà un programma rapido di vaccinazione su scala globale per proteggere dalle forme gravi della malattia e preferibilmente puntare alla immunità di gregge”. L’Europa a questo punto deve spiegare a quale sottile forma di darwinismo politico e sanitario si ispira l’insistente opposizione alla richiesta di India e Sudafrica – in discussione da ottobre all’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) – di derogare ai diritti di proprietà intellettuale (IP Waiver) durante la gestione della pandemia. La proposta, perfettamente legale ai sensi della Convenzione di Marrakesh con cui è stata creata l’Omc, gode di un crescente consenso, man mano che si avvicina il termine per la decisione finale al Consiglio generale, il 1 e 2 marzo. Oltre cento stati membri si sono pronunciati a favore – ultimi, in ordine di tempo, i paesi del gruppo africano – e così hanno fatto alcune agenzie dell’Onu (Oms e Unaids), i rapporteur speciali delle Nazioni Unite, economisti del calibro di Joseph Stiglitz e Mariana Mazzuccato. Il 5 febbraio un gruppo di parlamentari europei è uscito allo scoperto per sostenere questa strategia, insieme alla campagna Diritto alle cure. Nessun profitto sulla pandemia.  Sulla scia di un appello lanciato a novembre da oltre 400 organizzazioni della società civile internazionale, il 16 febbraio il sud globale si è rivolto all’occidente, perché i paesi ricchi permettano di estendere e facilitare l’accesso alla conoscenza scientifica disponibile, largamente finanziata dal settore pubblico nel caso di COVID-19, per fermare il virus.

La sospensione dei diritti di proprietà intellettuale non riguarda evidentemente solo i vaccini, ma permetterebbe di diffondere l’accesso alla ricerca scientifica anche per la riproduzione e ideazione di dispositivi medicali indispensabili contro COVID, e per la ricerca nel campo delle terapie necessarie alla gestione dei pazienti, come abbiamo visto nelle corsie ospedaliere di tutto il mondo. A chi sostiene che la proprietà intellettuale non sia un problema, ricordiamo che le piattaforme tecnologiche per lo sviluppo dei vaccini contro COVID-19 sono state usate in precedenza per altri vaccini e sono blindate dai brevetti – più di 100 solo per la tecnologia mRNA. Almeno due brevetti coprono il vettore adenovirale recombinante e il metodo di composizione del vaccino Oxford/AstraZeneca, che è stato richiesto in almeno 13 giurisdizioni, con scadenza nel maggio 2037, o nel migliore dei casi nel 2031. Nel campo dei diagnostici, il Sudafrica ha avuto seri problemi per procurarsi i reagenti chimici (test cartridge) dei dispositivi GeneXpert a causa della azienda Cepheid, proprietaria delle macchine e dei reagenti. All’inizio della pandemia la svizzera Roche si rifiutò di accogliere la richiesta dell’Olanda di pubblicare le istruzioni per la preparazione dei reagenti chimici necessari alla produzione dei kit diagnostici, e dovette cedere solo dopo l’intervento della Commissione Europea. A Brescia, i giovani ri-produttori con la stampante in 3D della valvola necessaria a un ventilatore che ha salvato la vita a 10 pazienti hanno ricevuto minacce di denuncia per violazione di brevetto dalla azienda Techdirt, proprietaria del ventilatore che costa sul mercato 11.000 dollari. Sono esempi che ci fanno capire una cosa importante: la deroga ai brevetti serve al nord del mondo, non solo alle imprese localizzate nei paesi del sud globale.

Il nuovo coronavirus ha segnato il corso della storia europea, che ha scelto anch’essa di forzare le regole di cui si era dotata per interromperne la applicazione, riconosciuta come inefficace nel contesto della pandemia. E’ avvenuto con la sospensione del Patto di Stabilità. Il Consiglio europeo riunito in questi giorni può fare la differenza sospendendo le regole dell’Omc, inefficienti a contrastare una pandemia come non si è mai vista prima nella storia.

La dottoressa Malara ebbe a dire che  “l’obbedienza alle regole mediche è tra le cause che hanno permesso a questo virus di girare indisturbato per settimane”. Oggi, l’Europa ha la possibilità di bloccare il “virus dell’individualismo radicale” di cui parla Papa Francesco e impedire che la legge del mercato e dei brevetti abbia la precedenza sulla salute dell’umanità. Quanto a Lei, Presidente, nel suo primo discorso al Senato ha ricordato che l’espressione più alta della politica è quella di saper tradurre i tempi difficili “in scelte coraggiose, in visioni che fino a un attimo prima sembravano impossibili”. Faccia valere oggi questa responsabilità, con l’autorevolezza che ha saputo dimostrare in altre difficili congiunture internazionali.  Whatever it takes. Per la vita delle persone, e non solo della moneta.

 

Rosy Bindi, già Ministra della Salute

Nicoletta Dentico, Society for International Development 

Silvio Garattini, farmacologo, presidente e fondatore dell’Istituto Mario Negri

La “politica” sui vaccini della UE. Intervista a Nicoletta Dentico

Come sta andando la “politica” contrattuale sui vaccini della UE? Quali sono stati i limiti della gestione? Come giudicare il comportamento di “Big Pharma”? Come risolvere la questione dei brevetti? Ne parliamo con Nicoletta Dentico,

giornalista, esperta di cooperazione internazionale e salute globale. Dopo diversi anni di lavoro con la radiotelevisione giapponese NHK, dal 1993 ha guidato in Italia la Campagna per la Messa al Bando delle Mine, premio Nobel per la Pace nel 1997.

Dal 1999 ha diretto Medici Senza Frontiere (MSF), lanciando la mobilitazione per lAccesso ai Farmaci Essenziali, il dibattito sullazione umanitaria e poi le operazioni di MSF sui migranti nel sud dItalia. Dal 2005, ha coordinato con la Commissione Diritti Umani del Senato le attività di ricerca volte alla redazione del primo Libro Bianco sui Centri di Permanenza Temporanea ed Accoglienza (CPTA), lanciato nel 2008.

Nicoletta, ormai siamo a un anno di pandemia. Un virus che ha sconvolto tutto. Attualmente sono più di 100 milioni di persone sono contagiate e oltre 2 milioni sono state le vittime. Senza contare gli enormi costi Economici. Una pandemia devastante. Rispetto ad un anno fa, grazie alla scienza, abbiamo un arma che potrà aiutarci a sconfiggere : i 4, per ora, vaccini anticovid (fra poco arriva anche J&J) (in realtà sono 8 se aggiungiamo quello russo e i tre vaccini cinesi, che tuttavia non sono ancora stati validati dalle agenzie regolatorie occidentali – FDA edEMA) . Allora come prima domanda voglio chiederti: la pandemia sta cambiando in positivo l’UE, vedi il recovery fund, e sul fronte del contrasto al virus sta nascendo, con fatica, una risposta comune. È così?

Certamente Covid19, come tutte le epidemie della storia umana, cambia la storia, e nella fattispecie è destinato a cambiare profondamente l’Europa, la percezione che il nostro continente ha di sè. Sia come agglomerato di popoli diversi ma vicini, sia come assetto istituzionale. Covid19 ha potuto scuotere e riorientare l’Unione Europea come nemmeno la crisi finanziaria del 2008, che pure si abbattè su questa parte del pianeta con effetti traumatizzanti, è riuscita a fare. La disarmante fragilità dei nostri paesi di fronte all’ondata funesta del contagio  ha scatenato l’auspicabile ma in fondo inattesa tonicità di risposta delle istituzioni europee, dopo il primo shock. Certo, una potrebbe obiettare che c’è voluto un virus che attacca il respiro per direzionare le istituzioni europee in un direzione politica meno asfittica, dopo feroci somministrazioni di misure di austerity. Ma finalmente l’Europa grazie al virus ha acquisito una più sana consapevolezza di sè. Non è banale che il punto di svolta sia stato il corteo di camion militari che partivano da Bergamo con le bare nella notte, a far cambiare l’orientamento iniziale – da questo senso di totale baratro, che non possiamo in alcun modo rimuovere, possiamo ripartire con una nuova consapevolezza. La condivisione del debito tra paesi, la possibilità di un piano di ripresa e resilienza che appartiene alle generazioni future, si tratta di grandi passi che sono stati fatti. Accanto ad alcuni incespicamenti sui quali si potrà e dovrà lavorare per il futuro, come la capacità di negoziare con il settore privato e la costruzione di una politica europea nel campo – assolutamente fondamentale e tuttora assente – di una politica europea sulla salute.

Approfondiamo un poco la “politica” nei confronti della ricerca, produzione e distribuzione dei vaccini.  Sappiamo che questa politica contrattuale della UE ha avuto dei limiti. Quali sono stati, secondo te, questi limiti?

Va ricordato prima di tutto che il finanziamento dei governi ha agito da leva essenziale per attivare la rotta senza precedenti della ricerca scientifica su Covid19. Insieme alle nuove tecnologie, i fondi pubblici hanno rivoluzionato gli studi clinici e permesso l’accelerazione dei processi scientifici. Un rapporto pubblicato dalla kENUP Foundation, una non profit europea che monitora la ricerca in ambito sanitario, rivela che in 11 mesi di ricerca farmaceutica su SARS-CoV-2 il settore pubblico ha investito 93 miliardi di dollari. Di questo colossale impegno finanziario il 95% è stato destinato ai vaccini – 86,5 miliardi di dollari – e il 5% ai farmaci e diagnostici. Il 32% degli investimenti è arrivato dagli USA (tramite l’operazione WARP Speed), e il 24% dall’Unione Europea (tramite la Commissione), il 13% dal Giappone e dalla Corea del Sud. Quindi possiamo dire che l’Europa ha fatto la parte del leone in questa strardinaria mobilitazione, scientifica e finanziaria. Quello che è successo, però, è che nella frenesia di far presto, i governi europei hanno operato nel solco di un incomprensibile laizzez faire nei confronti delle industrie, a cui pure erogavano montagne di denaro.  Non hanno posto clausole di trasparenza, né hanno fissato ex ante le caratteristiche di accesso al vaccino secondo criteri di salute pubblica, con uno sguardo rivolto oltre i paesi occidentali. Si sono assunti le responsabilità nel caso di eventi avversi. Non hanno negoziato le limitazioni commerciali di tempo e prezzo del regime pandemico. Hanno distinto il vaccino dai programmi di vaccinazione. Ma con il prodotto serve la negoziazione di una strategia adeguata di accesso alle vaccinazione, che implica condizioni e tempi di fornitura certi, in un’ottica di sanità pubblica. Chi e quando immunizzare, e in quale ordine di priorità (se la disponibilità del vaccino è limitata), sono decisioni da prendere via via sulla scorta di informazioni epidemiologiche e sulle proprietà del vaccino suscettibili di modifiche a seconda della evoluzione della malattia e della eventuale presenza di altri vaccini, in una dinamica e mai scontata valutazione dei rischi e benefici. Soprattutto in uno scenario di emergenza pandemica come quello che Covid19 ha imposto. Eppure, questi essenziali obiettivi di salute pubblica rischiano di perdersi per strada nella gara a chi arriva primo nella registrazione e consegna del vaccino, nella concorrenza a chi vaccina di più, nella scomposta pratica degli accordi bilaterali con le aziende per avere dosi aggiuntive ad hoc. Questi accordi li hanno fatti anche i paesi europei, come sappiamo.

Quello che ha colpito l’opinione pubblica è stata la segretezza delle clausole contrattuali. Per qualcuno, la vice presidente dell’istituto Bruno Leoni, la “riservatezza dei contratti è un valore nella produzione farmaceutica, e protegge il pagante, cioè lo Stato, sulla possibilità di negoziare al ribasso i prezzi senza farlo sapere ai concorrenti”. È corretto tutto  questo?

Ma è esattamente il contrario!!!! La riservatezza nel negoziato è una trappola che è costata ai governi una quantità gigantesca di soldi. Se ne sono accorti finalmente anche in sede OMS. Nel 2019 fu proprio l’Italia, grazie alla visione della ministra Grillo e dell’allora direttore dell’AIFA, Luca Li Bassi, a proporre alla comunità internazionale una risoluzione sulla trasparenza nei negoziati tra stati e imprese nel settore farmaceutico. Il dibattito in seno all’OMS su questo tema è stato molto istruttivo. I governi, come buoni investitori di lungo periodo, devono pretendere trasparenza sui contratti e i prezzi proposti dalle aziende, sui risultati completi degli studi clinici, sull’origine dei finanziamenti e sullo stato dei brevetti. Tutte queste informazioni sono decisive a istruire un sano negoziato. Viceversa, la trattativa segretata,  il “prezzo riservato di favore” che poi nessun governo può rivelare all’omologo, nella fallace convinzione di avere il prezzo migliore, ha costretto i governi a sperperare inutilmente un sacco di soldi e alle aziende di lucrare. Questa scellerata segretezza non viene concessa a nessun altro settore industriale. Perché l si fa con l’industria farmaceutica? Intanto il prezzo esorbitante dei farmaci, che venti anni fa colpiva i paesi in via di sviluppo, oggi è un problema globale. Ricordiamo bene la vicenda del farmaco Sofosbuvir contro l’Epatite C, che non solo in Italia ha sbancato i bilanci sanitari pubblici. Nel 2018 la Norvegia ha rifiutato la approvazione del 51% dei farmaci innovativi lanciati sul mercato, per via del loro prezzo esorbitante a fronte della scarsità di dati clinici.

Oggi, solo Svizzera e Giappone hanno sistemi di trasparenza in vigore. Nel resto del mondo è la giungla. Purtroppo, i negoziati europei con le aziende sono stati condotti con questo regime giunglesco di segretezza, come se la risoluzione dell’OMS non fosse mai stata approvata nel 2019. Non me ne capacito. E mi chiedo chi l’Europa abbia mandato a negoziare una partita così decisiva. Secondo quali competenze e criteri. Sarà opportuno fare luce. In fondo, stiamo parlando dei soldi dei cittadini europei, e soprattutto delle loro vite!

Che idea ti sei fatta sul ritardo delle consegne?

Io credo che il ritardo in parte sia giustificato, visto che le aziende hanno dovuto mettere in piedi in pochi mesi una catena di produzione e distribuzione piuttosto ambiziosa. Processi  che – di solito – richiedevano tempi molto più lunghi sono stato costipati in fondo in poche settimane. E su una scala produttiva di centinaia di migliaia di dosi…..Non è uno scherzo fare vaccini. Si tratta di processi complessi. La scalabilità si costruisce nel tempo. Mi chiedo però per quale motivo le aziende abbiano dal canto loro sottoscritto tempistiche di consegna obiettivamente così incalzanti, se non ne esistevano le condizioni. Faceva parte della loro strategia di comunicazione e di ricaduta finanziara? Era una questione di geopolitica industriale?

L’UE minaccia azioni legali per il ritardo delle consegne. Addirittura  il blocco delle esportazioni dei vaccini prodotti in Europa. Sono efficaci questo tipo di azioni? O ci sono altre vie?

Io non credo molto in queste azioni legali, soprattutto quando sono i singoli stati a minacciarle. Questa è una partita che si gioca in sede eurpea ma la minaccia di azioni legali non è il giusto deterrente; le aziende sono abituate a pagare multe anche salate per le loro spregiudicatezze, accantonano voci di bilancio cospicue per poi continuare a perseguire le loro lucrose politiche commerciali. Viceversa, il blocco delle esportazioni è una misura scellerata, perché impedisce l’accesso ai paesi non produttori dei vaccini che servono a immunizzare le loro popolazioni, penso in particolare ai paesi a basso reddito. Le schermaglie non promettono niente di buono, ma le aziende hanno il coltello dalla parte del manico in questa storia, alla luce di quello che abbiamo detto prima. C’è da suppore che sapranno far valere il loro vantaggio competitivo, al momento giusto.

Veniamo all’altro tema strategico,ovvero alla questione dei brevetti. Tocca il rapporto con il bene comune. Un tema fondamentale per il futuro. Quali possono essere le vie per risolvere questo problema ?

La prima cosa che l’Europa  può fare per riprendere in mano un minimo di leva negoziale con le case farmaceutiche è adottare una licenza obbligatoria sui brevetti dei vaccini in produzione. In altre parole,  rilevare il brevetto a fronte del pagamento di royalties alle aziende, per affidare la produzione dei vaccini ad altre imprese europee, per esigenze di salute pubblica. La procedura è prevista ai sensi dell’Art.31 dell’ Accordo TRIPs sulla proprietà intellettuale, i brevetti insomma, normati all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC).  La licenza obbligatoria manda un messaggio politico inequivocabile, il solo che l’industria capisca, sempre che la funzione pubblica intenda esercitare appieno il ruolo di tutela del bene comune.

L’altra via per risolvere il problema? L’Europa dovrebbe accogliere la proposta avanzata da India e Sudafrica all’OMC, ovvero la temporanea sospensione di tutti i diritti di proprietà intellettuale sui vaccini, farmaceutici e prodotti medicali durante la pandemia di Covid19. Anche questa è una misura perfettamente legale, prevista dall’Art. IX comma 3 e 4 dell’Accordo di Marrakesh che ha dat vita all’OMC. La proposta gode del sostegno di molti paesi, di esperti e organizzazioni internazionali. La deroga temporanea ai diritti di proprietà  intellettuale permetterebbe a piccole e medie imprese di settore, sparse ovunque nel mondo, di accedere alla conoscenza scientifica esistente e replicarla, a fronte di necessari passaggi, per mltiplicare le produzioni dei rimedi, non solo vaccini, che servono a sconfiggere Covid19. Liberare la conoscenza sarebbe una svolta per l’accesso dei vaccini anche ai paesi del sud globale, visto che il mondo rischia un “catastrofico fallimento morale”, ha detto il direttore generale dell’Oms, se non dà seguito alla retorica del vaccino bene comune con iniziative credibili di equità. Il sud globale rischia di ricevere i vaccini alla fine del 2024, o addirittura nel 2025, ha denunciato qualche giorno fa The Guardian.

C’è una geopolitica del vaccino. Sappiamo che la Cina sta invadendo l’Africa del suo vaccino. La Russia sta facendo lo stesso in altri Paesi. Non c’è il rischio che si torni a logiche di influenza devastanti per il Pianeta?

La Cina sta cogliendo la grande occasione che Covid19 le offre. Mettere in campo una nuova serrata diplomazia del vaccino, dopo essere stata accusata di essere la nazione responsabile della pandemia. Con innegabile visione, sta portando avanti questo disegno almeno esplicitamente, lo ha dichiarato alla assemblea dell’OMS lo scorso maggio senza remore. Accordi sono stati fatti con molte regioni dei sul del mondo, anche se in Africa al momento i vaccini non li vede ancora nessuno. La Russia ugualmente sta facendo valere la sua scoperta in chiave geopolitica, certo. Ma l’uso dei vaccini cinesi e russi sarà dirimente pe sconfiggere Covid, lo scrive oggi il New York Times . Anche l’occidente finirà per ricorrere ai vaccini cinesi e allo Sputnik V, che del resto sono già in fase di esame preventivo da parte delle agenzie regolatorie.

Del resto i paesi ricchi – il 16% della popolazione globale – hanno già requisito il 60% delle dosi di vaccino disponibili con l’intento di immunizzare il 70% della loro popolazione adulta entro la metà dell’anno.   Gli USA hanno siglato accordi di acquisto per il 230%  della popolazione americana, e potrebbero a breve controllare 1,8 miliardi di dosi: un quarto di tutta la produzione mondiale. Il Canada ha accaparrato dosi in numero utile a vaccinare la popolazione sei volte. Le logiche di influenza non sono mai andate via, e sono logiche perseguite nn solo da Cina e Russia, ma anche dal mondo occidentale. Solo che magari l’Occidente lo fa tramite canali diversi. In questo caso, ad esempio, tramite il ptere di fuoco della filantropia.