Guerriere, La resistenza delle nuove mamme italiane. Un libro di Elisabetta Ambrosi.

guerriere_Sovra_SeriesBAW08ALTGUERRIERE,“La resistenza delle nuove mamme italiane” è un libro di Elisabetta Ambrosi con la prefazione di Lia Celi, uscito per la casa editrice “Chiarelettere”, getta lo sguardo su una realtà dimenticata nel nostro Paese.

Ovvero su quelle donne che con il cuore in gola, telefonino all’orecchio, orologio sotto gli occhi, sono le mamme acrobate di oggi che inseguono un equilibrio tra lavoro, famiglia, figli e se stesse. Donne abituate a salti mortali, a silenziose battaglie quotidiane su mille fronti, mentre lo Stato sembra dimenticarle.
Queste combattenti sono le nuove mamme italiane di cui ci parla Elisabetta Ambrosi.
Come riuscire a sopravvivere in mezzo agli ostacoli? Se lo Stato promette servizi che non mantiene, vara leggi sulla tutela delle madri lavoratrici che poi non fa rispettare, mentre il lavoro dà sempre meno reddito, l’innovazione più radicale deve partire dalla piccola repubblica rappresentata dalla famiglia. Non resta che rimboccarsi le maniche, trovare strategie alternative, scegliere bene le battaglie da combattere per indirizzare al meglio le energie.
La prima a farlo è stata proprio Elisabetta Ambrosi che ha deciso di indagare le tattiche di sopravvivenza quotidiana di amiche e donne conosciute attraverso il blog “Sex and (the) stress”, alle quali ha chiesto di raccontare le loro giornate, la ripartizione dei carichi in famiglia, la divisione dei ruoli con il padre, il percorso professionale, il lavoro attuale, lo stipendio e ciò che vorrebbero dallo Stato. Ne nasce un libro fatto di voci femminili, precarie, autonome, partite Iva, dipendenti, per le quali avere un figlio non è più una scelta normale, è un lusso. Ma anche un vademecum alla sopravvivenza, fisica e mentale, fatto di consigli da mettere in pratica per far quadrare i conti.

Chi è l’autrice?
Elisabetta Ambrosi è nata Roma e ha conseguito una laurea e un dottorato in Filosofia politica. Giornalista professionista, ha collaborato con varie testate nazionale. Oggi scrive per “Il Fatto” e Vanityfair.it, dove cura il blog “Sex and (the) stress”. È autrice di NON È UN PAESE PER GIOVANI (con Alessandro Rosina), INCONSCIO LADRO. MALEFATTE DEGLI PSICOANALISTI, CHI HA PAURA DI NICHI VENDOLA?,MAMMA A MODO MIO. GUIDA PRATICA ED EMOTIVA PER NEOMAMME FUORI DAL CORO e SOS TATA 6–9 ANNI.

Per gentile concessione dell’Editore pubblichiamo un estratto del libro

La mia giornata

Mi alzo alle sei e mezzo senza bisogno di sveglia: il mio Super-io mammesco-lavoratore fa tutto da solo. Sguscio fuori dal letto cercando di non fare rumore e tentando in ogni modo di non urtare la sagoma di mio figlio Paolo che ogni notte, quando la paura di crescere si fa acuta, si alza come un sonnambulo scavalcando le pile di giocattoli – incredibilmente non inciampa mai – per venire nel lettone, nonostante i vani e ripetuti tentativi di applicare il metodo Estivill sui letti separati: la vita è sempre un’altra cosa.
Ingurgito un caffè e realizzo che il latte in frigo non basterà a riempire il biberon e che mi toccherà fare un’aggiuntina di acqua sentendomi per l’ennesima volta una madre sciagurata e, approfittando del pochissimo tempo di solitudine che mi resta, leggo veloce i giornali, dove si racconta di quello strano mondo parallelo che si svolge tra Palazzo Montecitorio e i salotti tv.
Un passo felpato mi avvisa che il quattrenne si è alzato: eccolo arrivare in pigiama spaiato e ciuffo barbarico a reclamare come suo diritto acquisito, da cui è impossibile retrocedere pena il ricorso alla corte costituzionale dei bambini, biberon e cartoni animati.
Mentre scorrono i barbatrucchi dei Barbapapà, e il loro mondo fantastico dove tutto è facile da ottenere perché ci si può trasformare a piacimento (chissà come sarebbe bello il sesso avendo un barbacorpo), ho già il computer acceso e consulto l’Ansa in cerca di notizie da commentare sui miei due blog: per quello pop scelgo il tradimento, argomento facile che tira sempre, per il blog politico l’ultimo rapporto Istat, dove si racconta che nessuno fa più figli perché costano troppo.
Questo con gli occhi, perché le mie orecchie sono tese a intercettare la pubblicità e cambiare canale, ma non solo per Paolo: l’insopportabile réclame di Sofia la Principessa alle sette del mattino può rovinare la giornata persino al più caparbio sostenitore dei ruoli tradizionali (lei è una principessa che sta nel castello e deve sedurre un principe avventuroso che se la spassa per il mondo).
Ecco che inizia la girandola di aerosol mattutino, lotta per la vestizione del pargolo alla ricerca di una terza via tra gli abiti preparati (un paio di semplici calzoni e un golf ) e quelli che lui vorrebbe (tuta e per sempre tuta, più la maglietta di Superman che ormai gli va troppo piccola), preparazione della merenda – oddio non c’è nulla, afferro i soliti cracker e succo di frutta con il senso di colpa di chi sa che, secondo il nuovo bio-Zeitgeist alimentare, sta avvelenando il figlio –, infine l’affannosa ricerca del pupazzo per dormire il pomeriggio, che però ha una manica rotta che non ho fatto in tempo a cucire (in realtà non so cucire ma evito di dirlo perché ancora, in Italia, a una moglie è richiesta competenza in materia).
Via in macchina, anzi no, prima alla ricerca della macchina, poi, cronometro alla mano, count down per arrivare all’asilo, trovare un parcheggio di fortuna sperando che i vigili siano al bar, accompagnare il bambino dentro la classe per poi salutarlo con circa dieci minuti di riti di saluto, abbracci, promesse di programmi paradisiaci per il dopo scuola, doppio bacio a lui e bacione al pupazzo. Anche una fan dell’asilo nido precocissimo come me – ricordo che lo iscrissi, mai scelta fu più lungimirante, col pancione, per poter partorire sapendo di avere un alleato – in quei minuti deve scacciare l’immagine di terroristi in agguato fuori dalla scuola pronti a far incursione quando mi sarò allontanata.
O quella del prosciutto del panino che si incastra nella gola, unita al timore che le maestre non abbiano mai fatto quel corso sulla manovra di Heimlich che pure campeggia sul muro dell’asilo sopra un tranquillizzante cartello.
Allontanati dalla mente gli scenari catastrofici, in fondo oggi c’è il sole e stranamente non c’è sciopero dei mezzi né manifestazioni, torno a casa senza intoppi e tento di fare ordine, raccogliendo calzini e briciole, ascoltando la rassegna stampa alla radio, con l’iPad che mi segue per le stanze con la voce del barboso notista politico di turno. Poi salto in motorino e raggiungo il mio ufficio in coworking: qualche anno fa ho affittato uno spazio con altre persone per sfuggire alla solitudine della casa e ricordarmi che oggi lo status bisogna darselo da soli.
Sono le nove e la giornata può iniziare.

L’Italia dei veleni, un libro inchiesta sul “Biocidio” italiano

cop.aspxUn libro duro, curato da due bravi giovani giornalisti d’inchiesta (Andreina Baccaro, tra l’altro, ha vinto il premio di giornalismo “Ilaria Alpi”), che ci porta nell’inferno ambientale italiano: da Taranto a Napoli, da Rosignano a Brescia, passando per il Lazio e la Sicilia, senza dimenticare Porto Marghera.

Un vero e proprio atto di accusa nei confronti della cultura “industrialista” italiana (ovvero dell’Industrialismo fine a   se stesso).

Il volume, dunque, “non è tanto una controstoria dello sviluppo industriale italiano, ne è piuttosto la storia narrata dal versante che, per tutta un’epoca,  è stato rimosso e negato”. Ne libro sono analizzati i costi umani e ambientali settore per settore e sito  per sito come detto sopra che riguarda tutto il territorio italiano.

In Italia vi sono 57 siti di interesse nazionale (i cosidetti  Sin) definiti in relazione alla quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, all’impatto ambientale sull’area circostante in termini di rischio sanitario, ecologico e di pregiudizio dei beni culturali e ambientali. Di questi, 44 sono aree industriali, come Taranto, Gela, Priolo, Bagnoli, Marghera,  Porto Torres, Sulcis. Complessivamente, insieme ai siti potenzialmente inquinati di competenza regionale, rappresentano il 3% dell’Italia, una estensione enorme che coinvolge 6 milioni di persone. Senza contare, poi, le innumerevoli vittime del Biocidio.

Ne esce fuori, dall’analisi del libro, un panorama desolato. Il così detto “miracolo” italiano è  stato in realtà un disastro.  Il miracolo italiano ha un lato “oscuro”: dietro la facciata del benessere e del lavoro per tutti, ha nascosto una realtà fatta di scorie e rifiuti tossici, di diossine e di benzoapirene, piombo e arsenico. Insomma uno sviluppo che ha creato la crescita esponenziale di malattie cronico-generative (dai tumori alle malattie cardiocircolatorie, da quelle  neurodegenerative al sistema immunitario). Insomma il “virus del benessere” ha colpito duro nel nostro Paese.

Il libro ci impone una riflessione radicale sul senso dello sviluppo italiano e ci offre quel carico di memoria necessario per cambiare la visone globale del nostro Paese.

Andreina Baccaro-Antonio Musella (a cura di),  Il Paese dei Veleni. Biocidio, viaggio nell’Italia contaminata, Ed. Ruond Robin, Roma 2013,

pagg. 115, € 13,00

(dalla Rivista AREL 1/2014 numero interamente dedicato alla parola Progresso. Con scritti ,  tra gli altri, di Andreatta, Bassu, Caroppo, Colimberti, Gratteri, Toso, Treu)

 

Confessioni di un trafficante di uomini. Un libro di Chiarelettere.

SeriesBAW08ALTAnche oggi nel Canale di Sicilia si è consumata l’ennesima tragedia . Trenta poveri immigrati hanno perso la vita, il rosario interminabile dei morti continua. L’impotenza dell’Europa è un macabro scaricabarile. Dietro alle decine di migliaia di migranti che ogni anno arrivano in Europa c’è un’industria fatta di grandi professionisti del crimine, gente in doppiopetto, uomini d’affari il cui fatturato mondiale è secondo solo a quello della droga. Un libro, uscito per i tipi di Chiarelettere, scritto da Andrea De Nicola e Giampaolo Musumeci squarcia il velo criminale di questo traffico immondo.

Nel libro, infatti, per la prima volta parlano gli uomini che controllano il traffico dei migranti. Un sistema criminale che gli autori di questo libro hanno potuto raccontare dopo aver percorso le principali vie dell’immigrazione clandestina, dall’Europa dell’Est fino ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Ecco cosa si muove dietro la massa di disperati che riempiono le pagine dei giornali. Una montagna di soldi, un network flessibile e refrattario alle più sofisticate investigazioni. La testimonianza dei protagonisti conduce dentro un mondo parallelo che nessuno conosce. Ora finalmente possiamo vedere in presa diretta la più spietata agenzia di viaggi del pianeta.

Per gentile concessione dell’Editore pubblichiamo un estratto del volume:

Marina di Turgutreis, distretto di Bodrum, Turchia meridionale.
Sono le 9.30 del mattino di un giorno di maggio del
2010. Al numero 26 di Gazi Mustafa Kemal Bulvarı c’è la
sede della Argolis Yacht Ltd, una società di gestione e affitto
natanti a vela e a motore. Le carte del Bavaria 42 Cruiser
– un monoalbero di tredici metri battente bandiera greca
ormeggiato al molo poco distante – attendono sulla scrivania.
Un uomo sulla quarantina, il viso abbronzato e un po’
segnato, le braccia forti e la stretta di mano vigorosa, si presenta
in agenzia con il passaporto e la patente nautica per
concludere il contratto. È uno skipper. Si chiama Giorgi Dvali,
di nazionalità georgiana. È nato a Poti e da anni lavora con i
turisti sulla costa turca. Organizza crociere nel Mediterraneo.
Data la loro lunga tradizione marinara, i georgiani, insieme
con gli ucraini, sono velisti assai apprezzati. I porti che
affacciano sul Mar Nero hanno cresciuto, nei secoli, esperti
navigatori. Dvali riferisce all’impiegata che i suoi prossimi
clienti sono una famiglia di americani di Seattle: una coppia
con due figli adolescenti che vuole passare un paio di settimane
tra le coste turche e le isole greche. Vogliono godersi la
mavi yolculuk, la «crociera blu», come la chiamano i pescatori
locali. Per un uomo di mare come lui è una rotta usuale di
rara bellezza, sicura attrattiva per tanti turisti.
Dvali paga in contanti quanto dovuto per l’affitto e l’assicurazione.
Poco dopo è già sul molo e osserva la barca.
Al suo fianco, i tradizionali caicchi turchi, costruiti nelle
marine di Bodrum e Marmaris, e yacht a vela di quindiciventi
metri. Andirivieni di skipper, turisti inglesi e tedeschi,
qualche greco: sul molo una babele di lingue diverse. Dvali
si guarda intorno, poi ispeziona lo scafo, quindi sale, va
sottocoperta e controlla che sia tutto in ordine. Tre cabine
attrezzate, sei posti letto in tutto, una capiente cambusa e
due bagni. Gli interni sono eleganti, ricchi di boiserie. La
barca ha non più di cinque anni; è seminuova. Sul mercato
dell’usato costerebbe intorno ai 120-130.000 euro. L’indomani,
alle prime luci dell’alba, si salpa.
Dvali decide di impostare fin da subito la rotta sul navigatore
Gps per verificarne il funzionamento: 40.1479 gradi
di latitudine, 17.972 di longitudine. Yacht come il Bavaria
42, da aprile a settembre, fra la Turchia e le isole greche e
poi fino al litorale italiano, tra Corfù e Vieste, tra Creta e
la Calabria, tra Adalia e Santa Maria di Leuca, ce ne sono a
centinaia. Lunghe crociere, lontane dalle spiagge affollate.
Turismo per pochi eletti. Sei giorni dopo, nelle prime ore
del mattino, l’imbarcazione è al largo di Porto Selvaggio,
provincia di Lecce. Sta navigando a motore e fende le onde
a circa sette nodi. La terra è a sole dieci miglia. Il guardacoste
della finanza affianca lo scafo: è un controllo ordinario,
uno dei tanti. Il libretto di navigazione è in ordine, Dvali
sembra un professionista del mare. I finanzieri salgono
a bordo. L’uomo a quel punto tradisce nervosismo. Alla
richiesta di notizie sulle persone a bordo, Dvali risponde
che sta accompagnando una famiglia americana in vacanza
nel Mediterraneo. Ora stanno dormendo, non vorrebbe
disturbarli. Il suo inglese non è stentato, eppure balbetta.
A insospettire le forze dell’ordine è soprattutto il suo sguardo, che corre più volte verso la porta chiusa della cabina. I finanzieri decidono di fare un controllo più approfondito.
Sottocoperta non c’è la famiglia americana appassionata
di vela. Non c’è la coppia con i figli adolescenti. Quando
gli uomini in divisa infilano il naso all’interno, accolti da
una zaffata di acido e puzzo di sudore, trovano quaranta
uomini afgani dai sedici ai trentadue anni. Tutti della provincia
di Herat. I loro sguardi sono smarriti, molti hanno il
mal di mare. Sono passati dalla Turchia: prima Istanbul, la
centrale di smistamento del traffico di uomini provenienti
da mezzo mondo, poi Smirne, da lì fino a Bodrum, dove
hanno incontrato Dvali. Mollati gli ormeggi, facile rotta
verso l’Italia, ultima destinazione le coste pugliesi.
Giorgi Dvali in realtà non si chiama così. Il suo vero
nome è un altro, ma i magistrati che hanno indagato sulla
vicenda e che ce la raccontano preferiscono non rivelarlo. È
uno scafista. Astuto e capace, utilizza l’ultimo stratagemma
per superare le barriere del Vecchio continente aggirando la
polizia internazionale che contrasta l’immigrazione clandestina.
Il suo è l’ultimo, formidabile chiavistello per violare
la «fortezza europea». Un trucco recente, che ha preso piede
non solo nel Mediterraneo ma anche nel Canale della
Manica. Gli yacht di lusso, a vela e a motore, non attirano
l’attenzione delle forze dell’ordine. I migranti possono essere
nascosti sottocoperta, invisibili dall’alto quando un aereo
o un elicottero sorvola i mari. L’unico segnale esterno, il
tallone di Achille, è il notevole abbassamento della linea di
galleggiamento di barche che, nate per portare al massimo
dieci persone, arrivano a contenerne quattro o cinque volte
di più.

Chi sono gli autori:

Andrea Di Nicola insegna Criminologia all’Università di Trento. Da anni conduce ricerche sulle migrazioni clandestine organizzate e sulla tratta di persone a scopo di sfruttamento.
Giampaolo Musumeci, giornalista, fotografo e videoreporter, si occupa di conflitti, immigrazione e questioni africane per radio, tv e giornali italiani e internazionali.

Il Libro:

Andrea Di Nicola e Giampaolo Musumeci, Confessioni di un trafficante di uomini, Ed.Chiarelettere, Milano 2014, pagg. 176, €12,00

L’avvocato del diavolo. I segreti di Berlusconi e di Forza Italia

SeriesBAW08ALTScrive l’autore : “Vent’anni dopo: è il titolo di un vecchio film e potrebbe esserlo anche di questo libro. Inizia infatti nel marzo del 1994 l’avventura politica di Silvio Berlusconi, e per un tratto di quel percorso sono stato al suo fianco. Nonostante sia finita male, quella mia esperienza piuttosto tormentata è rimasta dentro di me, e mi accompagna discretamente nei miei pensieri, nei miei giudizi, nella mia vita quotidiana. E’ per questo che, al compimento del ventesimo anno dal suo festante inizio, e stemperate nel tempo le sue asprezze, ho voluto con questo libro fissare il ricordo di quella breve stagione, e insieme il ricordo dell’intero mio rapporto con Silvio Berlusconi, di cui sono stato l’avvocato e uno degli amici piu assidui da ben prima della “discesa in campo”. Il mio non è quindi un libro “politico”, ma un libro su un rapporto umano, quello fra me e Silvio, durato oltre sedici anni e snodatosi in una miriade di situazioni, occasioni, eventi, non solo professionali, di cui, nella maggior parte dei casi, grazie forse al filtro del tempo, mi è grato il ricordo, pur non essendo affatto indulgente il mio giudizio sulla parabola politica (non ancora compiuta) di Silvio Berlusconi”.

Vittorio Dotti di Berlusconi conosce tutto: i segreti professionali, il carattere, le passioni, le debolezze. Lo ha visto in famiglia, forte e positivo sul lavoro, fantasioso e incontenibile in politica, ma anche fragile e impaurito di fronte ai ricatti dei faccendieri che lo hanno da sempre circondato, e docile preda di adulatori e carrieristi di ogni specie.

Ora, per la prima volta in questo libro pubblicato da “Chiarelettere”,  Dotti, suo avvocato e stretto collaboratore, lo racconta ricostruendo un pezzo fondamentale della sua storia: dal 1980 al 1996, l’anno delle dimissioni di Dotti da capogruppo di Forza Italia alla Camera e della fine dei loro rapporti. Dalla Milano da bere di Craxi e Pillitteri alla fine della Prima repubblica e l’inizio della nuova. Un cambiamento epocale.

Dalle acquisizioni della Standa e Mediolanum a quella clamorosa del Milan (dopo averci provato con l’Inter), al boom televisivo del Biscione con la felice espansione in Spagna e gli insuccessi in Francia e in Germania e l’avventurosa e impensabile esportazione della pubblicità tv in Russia negli anni della Perestrojka. Un mix sbalorditivo di audacia e spregiudicatezza come dimostra il caso Ariosto, quando il teste “Omega” squarcia il velo sugli scandali finanziari di Berlusconi e le tangenti pagate da Previti per il controllo della Mondadori (di qui la rottura tra Dotti e Berlusconi).

Attraverso aneddoti, ricordi, rivelazioni, ecco i particolari di questo incredibile, grottesco e italianissimo copione teatrale che a poco a poco ha costretto personaggi come Dotti a un progressivo allontanamento. Hanno vinto i falchi, non c’è posto, qui da noi, per un liberalismo democratico, onesto e socialmente responsabile. Questo libro lo dimostra. Insomma un “documento” importante per entrare più in profondità nel “modus vivendi” del berlusconismo.

Chi sono gli autori?

Vittorio Dotti è stato per sedici anni il legale di Silvio Berlusconi e della Fininvest. Ha curato le più importanti acquisizioni del gruppo: Standa, Milan, Mediolanum. Ha seguito la nascita del polo televisivo nazionale ed estero del Cavaliere, il caso Sme e la guerra di Segrate per il controllo della Mondadori. Eletto al parlamento nel 1994, ha ricoperto le cariche di vicepresidente della Camera dei deputati e di capogruppo di Forza Italia.

Andrea Sceresini è giornalista e autore di libri d’inchiesta. Tra gli altri, PIAZZA FONTANA. NOI SAPEVAMO e la biografia non autorizzata su Flavio Briatore, IL SIGNOR BILLIONAIRE, entrambi pubblicati da Aliberti. Ha realizzato inoltre numerosi documentari per le reti Rai. Collabora con “La Stampa”, Repubblica.it, “l’Espresso”, “Oggi” e “il Fatto Quotidiano”.

Vittorio Dotti (con la collaborazione di Andrea Sceresini), L’avvocato del diavolo. I segreti di Berlusconi e di Forza Italia, Ed. Chiarelettere, Milano 2014, pagg. 240, € 14,60.

L’Italia si cambia con la Politica 2.0. Un libro di Alessandro Rimassa

UnknownParlare di futuro, di progetto, di metodo, di “parole chiave”, di “visione”, di “cittadini attivi”, di “cocreazione”, di generazione sharing, in questo momento in Italia, con gli enormi problemi che assillano gli  italiani, è sicuramente un atto di grande coraggio morale e intellettuale rispetto all’Italia cialtrona che in questi giorni stiamo conoscendo attraverso le cronache sugli scandali di corruzione sull’Expo e sul Mose di Venezia.

Il libro di Alessandro Rimassa (che è direttore della Scuola di Comunicazione e Management di IED – Istituto Europeo di Design), che qui presentiamo, dal titolo, un poco provocatorio,E’ facile cambiare l’Italia, se sai come farlo” (Ed. Hoelpi, Milano 2014, pagg. 152, € 14, 90), fornisce tanti spunti per chi, dal politico al “cittadino attivo”, vuole rimboccarsi le maniche per rendere meno complicato, e più trasparente, questo nostro Paese. Un Paese che da decenni soffre, è l’accusa che fa l’autore a tutta la classe dirigente italiana,  di una mancanza di “visione” (ovvero la capacità delle elité di “tratteggiare” obiettivi di lungo periodo) e quindi di creare progetti carichi di futuro.

E la “visione” per creare futuro deve creare empatia, ossia creare immedesimazione nella costruzione di futuro. E’ chiaro che questo porta, per logica, ad una creazione di una pienezza della democrazia. Ed è proprio questa “pienezza”, a cui l’autore da un nome “Politica 2.0”, fatta di “progettazione partecipata” e “cocreazione” può rendere vitale quel tessuto sociale dove si compie il destino di ciascuno di noi.

C’è molto “renzismo” e del “Movimento 5 Stelle”, per certi versi sembra che su alcuni concetti, oggi in voga nel linguaggio politico, l’autore sia stato copiato da alcuni protagonisti. A parte questo, che sia o non sia così, l’autore si trova sulla stessa lunghezza d’onda di “quei” protagonisti sull’atteggiamento positivo, a volte un po’ troppo fideistico, nei confronti della “Rete”. Per Rimassa la “democrazia elettronica è il mezzo che permetterà la realizzazione di una nuova società relazionale e inclusiva, centrata sul cittadino: grazie a innovazione e tecnologia sta nascendo la human-centered-society”. Questa è una Lista dei sogni,Utopia, ingenuità o realismo? Certo alcune esperienze di “democrazia elettronica” suscitano fortissime perplessità, resta comunque un dato che per l’autore i  “media civici” non vogliono sostituire la democrazia a cui siamo abituati ma semmai è quella di favorire con questi strumenti nuovi una maggiore partecipazione dei cittadini. E quindi creare un vero potere democratico. Insomma una vera “rivoluzione copernicana” per il nostro Paese. Questa “rivoluzione” è ben sintetizzata in questo “Manifesto” che riprendiamo, qui sotto, per intero:

Manifesto del cambiamento



Metodo numero uno.
È facile cambiare l’Italia, se immaginiamo un futuro frutto di una visione chiara e inclusiva.

Metodo numero due.
È facile cambiare l’Italia, se sviluppiamo la cultura del progetto e dell’innovazione.

Metodo numero tre.
È facile cambiare l’Italia, se attiviamo meccanismi di condivisione e progettazione partecipata.

Metodo numero quattro.
È facile cambiare l’Italia, se scegliamo co-creazione e intelligenza collettiva al posto del potere del singolo.

Metodo numero cinque.
È facile cambiare l’Italia, se impariamo a ossigenare il cervello e azionare il pensiero laterale.

Metodo numero sei.
È facile cambiare l’Italia, se liberiamo l’energia dei giovani mettendoli al centro del sistema.

Metodo numero sette.
È facile cambiare l’Italia, se costruiamo una human-centered-society con lo sharing come nuovo modello socio-economico.

Metodo numero otto.
È facile cambiare l’Italia, se condividiamo che fondare una startup sia un forte gesto politico con valore sociale.

Metodo numero nove.
È facile cambiare l’Italia, se crediamo nel made in Italy come fattore di unicità del nostro Paese.

Metodo numero dieci.
È facile cambiare l’Italia, se trasformiamo lo Stato in una casa trasparente, aperta alla partecipazione attiva dei cittadini.