I segreti di Bologna. La verità sull’atto terroristico più grave della storia d’Italia.

“La verità non ha tempo: non è mai troppo tardi per raccontarla. Non è mai troppo tardi per mettere insieme tutti i tasselli di un mistero di Stato.”

IL LIBRO
E’ uscito oggi nelle librerie, per Chiarelettere, questo libro-inchiesta sulla strage di Bologna avvenuta il 2 Agosto 1980. È arrivato il momento, dopo trentasei anni, di spiegare fatti rimasti finora in sospeso. Gli italiani hanno assistito inermi ad attentati di ogni genere: omicidi di militanti politici, poliziotti, magistrati. E stragi crudeli, terribili, come quella alla stazione di Bologna dell’agosto 1980 che causò 85 morti e 200 feriti e che, nonostante la condanna definitiva dei tre autori, continua a essere avvolta nel mistero. Dopo interminabili indagini giudiziarie e rinnovate ipotesi storiografiche, gli autori di questo libro, esaminando i materiali delle commissioni Moro, P2, Stragi, Mitrokhin, gli atti dei processi e degli archivi dell’Est, e documenti “riservatissimi” mai resi pubblici, hanno tracciato una linea interpretativa sinora inedita, restituendo quel tragico evento a una più ampia cornice storica e geopolitica, senza la quale è impossibile arrivare alla verità. La loro inchiesta chiama in causa la “doppia anima” della politica italiana, le contraddizioni generate dalla diplomazia parallela voluta dai nostri governi all’inizio degli anni Settanta e, in particolare, lo sconvolgimento degli equilibri internazionali provocato dall’omicidio di Aldo Moro, vero garante di un patto con il Fronte popolare per la liberazione della Palestina finalizzato a evitare atti terroristici nel nostro paese. Senza questo viaggio a ritroso nel tempo è impossibile capire la stagione del terrorismo italiano culminata nell’esplosione del 2 agosto 1980.

GLI AUTORI
Rosario Priore è stato uno dei magistrati più impegnati a ricercare la verità sul terrorismo in Italia, soprattutto nelle sue matrici internazionali. Molte le inchieste da lui condotte: Ustica, Moro, l’attentato a papa Giovanni Paolo II, le stragi di stampo mediorientale. Ha fatto parte di commissioni internazionali sul terrorismo e la criminalità organizzata. È autore di libri di successo, tra cui “Intrigo internazionale” (con Giovanni Fasanella, Chiarelettere 2010), “Chi manovrava le Brigate rosse?” (con Silvano De Prospo, Ponte alle Grazie 2011), “La strage dimenticata” (con Gabriele Paradisi, Imprimatur 2015). Valerio Cutonilli, avvocato, da anni è impegnato a ricercare la verità sulla strage di Bologna. è autore di “Acca Larentia. Quello che non è stato mai detto” (con Luca Valentinotti, Trecento 2010) e di “Strage all’italiana” (Trecento 2007).

Per gentile concessione dell’Editore un estratto del libro.

La pista dimenticata di Rosario Priore
La verità non ha tempo: non è mai troppo tardi per raccontarla. Non è mai troppo tardi per mettere insieme tutti i tasselli di un mistero di Stato. Sollevare il velo sulla strage di Bologna è un dovere soprattutto per chi, come me, ha indagato a lungo sulle vicende più torbide della storia dell’Italia repubblicana e conosce bene i limiti della verità giudiziaria. È arrivato il momento, dopo trentasei anni, di spiegare cose che ancora rimangono in sospeso. E per farlo, per tessere il filo sottile ma tenace che collega questo eccidio al contesto nazionale e internazionale dell’epoca, è di vitale importanza che il lettore tenga a mente alcune date e luoghi che spesso torneranno in questo libro. Veniamo ai fatti. Al momento dell’arresto a Roma, la notte del 9 gennaio 1982, il terrorista rosso Giovanni Senzani viene trovato in possesso di un appunto, scritto di suo pugno, che riassume i contenuti di un colloquio avuto a Parigi con Abu Ayad, capo dei servizi segreti dell’Olp, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina. Quest’ultimo confida al leader brigatista che le recenti azioni terroristiche avvenute in Europa celano la regia dell’Urss, intenzionata a sanzionare la politica dei paesi europei in Medio Oriente. Senzani annota uno dei tre attentati elencati da Ayad con la sigla «Bo», che io – in qualità di giudice titolare dell’inchiesta, che indagava sulle azioni compiute a Roma dalle Brigate rosse a partire dal 1977 –, non senza sorpresa, interpreterò come un evidente riferimento alla strage avvenuta alla stazione ferroviaria di Bologna il 2 agosto 1980. Invio copia del documento ai colleghi emiliani che stanno indagando sul la carneficina. La notizia, tuttavia, non si rivelerà di alcuna utilità. A riconoscerne l’importanza sarà invece Carlo Mastelloni, il magistrato del Tribunale di Venezia che condurrà in modo esemplare l’istrut toria sul traffico di armi tra l’Olp e le Brigate rosse. Altro fatto saliente. Poche settimane dopo, interrogo Roberto Buzzatti. Il brigatista pentito riferisce di aver assistito a un in contro tra Senzani e un certo Santini, un uomo del Kgb vicino ai servizi segreti italiani e legato a una persona che conosce gli indicibili retroscena della strage di Bologna. L’identikit di Santini mi lascia sgomento per l’incredibile somiglianza con Pietro Musumeci, l’ufficiale del Sismi in seguito condannato per il depistaggio dell’inchiesta bolognese. Ma la differenza di altezza tra i due soggetti porta a escludere che Musumeci sia realmente l’uomo descritto da Buzzatti. E anche quella pista si rivela infruttuosa. Sempre nel 1982, all’aeroporto di Fiumicino, viene arrestata Christa-Margot Fröhlich. La terrorista tedesca trasporta una valigia contenente un potente esplosivo e alcuni detonatori. Chiamato a condurre anche quell’inchiesta, appuro i rapporti tra la donna e l’Ori, il gruppo filopalestinese di «Carlos lo Sciacallo», un pericolosissimo terrorista venezuelano legato agli apparati dell’Est, attualmente detenuto in Francia dove sta scontando l’ergastolo. Nessuno però mi avvisa che un dipendente del Jolly Hotel di Bologna, vista la foto della Fröhlich sul giornale, aveva segnalato ai magistrati bolognesi una forte somiglianza con una signora tedesca presente in albergo il giorno della strage. Può sembrare strano, ma apprendo il fatto solo nel 2005, dopo che la commissione parlamentare Mitrokhin acquisisce copia del verbale con le sommarie informazioni testimoniali. I commissari di maggioranza della Mitrokhin, infatti, stanno vagliando un’ipotesi investigativa sulla strage alla stazione, ignorata per venticinque anni, che rende finalmente comprensibili gli indizi emersi nelle mie vecchie istruttorie. La nuova pista nasce dopo una clamorosa scoperta effettuata da Gian Paolo Pelizzaro, giornalista e consulente della stessa commissione. Pelizzaro rinviene presso la Questura di Bologna alcuni documenti da cui risulta la presenza in città, la mattina del 2 agosto 1980, di Thomas Kram, un altro terrorista tedesco sospettato di militare proprio nel gruppo filopalestinese di Carlos lo Sciacallo. Secondo i commissari di maggioranza, la presenza di Kram è correlata all’attentato, concepito e realizzato dal Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp), gruppo filosovietico affiliato all’Olp, per punire l’Italia. All’inizio degli anni Settanta, infatti, il nostro governo aveva stipulato un’intesa segreta con le organizzazioni della resistenza palestinese – il cosiddetto «lodo Moro» – che consentiva a queste ultime di trasportare armi nel nostro territorio in cambio dell’impegno a non compiere attentati. Il patto viene violato nel novembre del 1979 con l’arresto, a Bologna, di Abu Anzeh Saleh, esponente dell’Fplp coinvolto nel traffico dei missili terra-aria Strela scoperto dai carabinieri a Ortona nei giorni precedenti. Il libro comincia proprio da questo evento, frutto della situazione tesa tra Usa e Urss, negli anni della Guerra fredda, che non risparmia il nostro paese e, seguendo l’iter di quelle armi, svela l’intrigo internazionale allora in atto. La condanna dell’espo nente palestinese, nonostante gli inviti alla clemenza rivolti dal Sismi ai magistrati di Chieti e il pubblico disconoscimento dell’accordo da parte del premier dell’epoca, Francesco Cossiga, potrebbe aver indotto l’Fplp a formulare reiterate minacce e poi a compiere l’attentato ritorsivo alla stazione di Bologna. Come accade spesso in Italia, purtroppo, il confronto sulle nuove risultanze cede subito il passo a polemiche di natura politica. La pista palestinese viene contestata dai commissari di minoranza della Mitrokhin, che invitano i colleghi a rispettare le sentenze sulla strage. Nel 1995, infatti, i terroristi neri dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar) Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro vengono condannati in via definitiva quali autori materiali dell’attentato. Nel 2007 passa in giudicato anche la condanna di un terzo neofascista, Luigi Ciavardini, processato a parte in quanto nell’agosto del 1980 era addirittura minorenne. Sempre nel 2005 la Procura della Repubblica di Bologna riapre l’indagine sulla strage per verificare la pista della ritorsione palestinese. Nel 2011 il pm Enrico Cieri iscrive nel registro degli indagati Kram e Fröhlich, ma l’inchiesta viene archiviata dal gip Bruno Giangiacomo il 9 febbraio 2015. Nella richiesta di archiviazione, motivata dall’insufficienza probatoria, il pm Cieri rileva «la persistente ambiguità di un elemento di fatto, storicamente accertato e non compiutamente giustificato: la presenza a Bologna del terrorista tedesco Thomas Kram, esperto di esplosivi, la mattina del 2 agosto 1980». In quell’esatto momento nasce l’idea del libro, che volutamente abbiamo suddiviso in due parti: una prima in cui vengono illustrati la genesi del lodo Moro tra l’Italia e i palestinesi e il ribollente contesto geopolitico internazionale prima della strage; e una seconda che ha per punto focale la strage con le relative indagini e le eclatanti scoperte. Abbiamo scelto questa formula cosicché il lettore arrivi al 2 agosto 1980 con tutti gli elementi a disposizione per capire e, dunque, giudicare.

Valerio Cutonilli – Rosario Priore, I segreti di Bologna.
La verità sull’atto terroristico più grave della storia d’Italia,
Edizioni Chiarelettere, Milano 2016

Il volto sinistro della globalizzazione. Intervista a Paolo Borgognone

51R8eDvs38L

La Brexit si sta rivelando per quello che è: un inganno populista. E purtroppo l’Europa è attraversata dall’inganno populista. E questo inganno ha il volto di Farage, Orban, Le Pen, Salvini, Grillo (Con le sue specificità). Insomma questa “internazionale” euroscettica si sta facendo largo nel dibattito politico europeo. Per dirla con Bauman l’Europa sta vivendo una “meta crisi”che tocca il suo modo d’essere. In questo scenario s’ inseriscono le forze populiste con il loro “sovranismo”. E’ il loro grimaldello usato per scardinare l’Unione Europea. Un grimaldello deleterio. Per capire cos’è il “sovranismo”, quale radici ha e quali sono le sue “ricette”, abbiamo intervistato un giovane studioso piemontese Paolo Borgognone. Potremmo definirlo uno studioso ad indirizzo “putiniano”(da Vladimir Putin) . L’intervista può essere considerata come documento utile per comprendere certi radicalismi politici.

Borgognone, incominciamo dal titolo del suo libro: “L’immagine sinistra della globalizzazione”. Lei un po’ gioca sulle parole, infatti la sua opera è una critica alla Sinistra che, secondo lei, si è piegata al radicalismo liberale. E’ cosi?

La sinistra, nei Paesi dell’Europa occidentale è, per un definizione, l’apparato duale affidabile di gestione dei processi di modernizzazione capitalistica, a livello culturale, politico ed economico. La sinistra liberaldemocratica o socialdemocratica è il versante dominante di questo apparato, la sinistra che nel libro definisco movimentista e bobo-chic ne costituisce invece il versante dominato e subalterno. Nell’ambito di un capitalismo liberale culturalmente ispirato a una retorica che trae i propri spunti direttamente dalla filosofia della “fine capitalistica della Storia” e dall’antropologia del desiderio illimitato quale surrogato postmoderno della precedente mancata realizzazione delle promesse di emancipazione cosmopolitica vagheggiate dal comunismo storico novecentesco, è del tutto naturale e comprensibile che la sinistra connoti se stessa come la parte politica più propensa a propugnare un surplus di modernizzazione in fatto di “libertà” individuali al consumo e al desiderio vendendo tutto ciò a un’opinione pubblica di ceto medio (peraltro ormai ampiamente addomesticata al Verbo politically correct) quale sorta di nuova palingenesi “democratica” foriera di perpetuo “progresso” e imminente “emancipazione” individuale attraverso il consumo e, soprattutto, il desiderio. La sinistra politically correct è, oggi, il braccio politico della “società radicale dei consumi e dei desideri di massa”, così come il polo berlusconiano lo fu, in larga parte, della “società dello spettacolo” televisivo. E’ ovvio che queste fazioni politiche rappresentino le due facce della stessa medaglia.

 

Veniamo alla sua critica al globalismo (o mondialismo). Chi è dotato di un minimo di senso critico sa perfettamente che la globalizzazione produce diseguaglianze insopportabili (però anche opportunità). Quindi si vede il volto “sinistro” della globalizzazione. Ma il punto fortemente critico, per me assolutamente inaccettabile, è la soluzione che lei propone per contrastare il “mondialismo”: ovvero il così detto “sovranismo” (patriottico, ecc.). In Europa è quello delle destre xenofobe, le destre dei muri contro gli immigrati, le destre che vogliono il ritorno alle monete nazionali… Il sovranismo è il rimedio peggiore della malattia… Insomma applicato all’Europa il sovranismo porterebbe solo disastri…

 

La globalizzazione liberale produce alienazione, nomadismo e fine delle identità tradizionali dei popoli, identità che il capitalismo odierno vuole abbattere in quanto i precedenti retaggi culturali comunitari (dall’idea di patria, alla religione e fino al criterio di organizzazione dell’economia su basi socialiste e non liberali) sono avvertiti come un ostacolo al dispiegarsi inarrestabile dei processi di omogeneizzazione cosmopolitica funzionali alla dittatura dell’economia di “libero mercato”. Anche la famiglia tradizionale è oggi sotto attacco, per motivazioni analoghe. Si vorrebbe una società articolata più sullo stereotipo relazionale veicolato dai serial tv americani che non sui valori cavallereschi che hanno edificato il mito e la realtà dell’antica e originaria civiltà europea. Per quanto riguarda le destre, non bisogna correre il rischio di unificare in un unico discorso di aprioristica condanna forze politiche assai diverse. Per esempio, in Serbia il Partito Radicale Serbo è l’unico movimento che si batte apertamente contro la globalizzazione liberale, la Ue, il Fmi e la Nato. Si tratta di un partito culturalmente di destra che però ha compiuto un percorso di avvicinamento alla sinistra per quel che concerne i temi dell’economia e della battaglia (internazionalista) anticoloniale. Lo stesso ha fatto, più recentemente, in Francia, il Front National. Io, sulla scorta di pensatori di indiscusso spessore, come Jürgen Elsӓsser, credo che i partiti di destra siano, di per sé, espressione di un mito incapacitante e che potranno assumere connotati anticapitalistici e di effettiva originalità antisistemica e autenticamente “sovranista” nel momento in cui abbandoneranno qualsivoglia nostalgismo e tentazione alla retorica grettamente anticomunista (peraltro, dopo il 1989, in totale assenza di comunismo) per intavolare una seria e fattiva ipotesi di collaborazione, in chiave anti-liberale ed eurasiatista, con la parte più consapevole (e intellettualmente non agorafobica) della sinistra politica.  

 

Apriamo una parentesi: ho trovato esagerato il peso che ha dato al Partito Radicale nell’essere tra le cause della crisi della sinistra (PCI) italiana. Non trova che sia più profonda la causa? Insomma per lei Sinistra e diritti umani non devono andare di pari passo?

 

Il Partito Radicale, con l’ideologia che ha sempre propugnato, non fu la causa della crisi della sinistra italiana bensì l’agente catalizzatore che agevolò e accelerò la metamorfosi della sinistra dal comunismo al radicalismo liberale, senza transitare dalla stazione intermedia della socialdemocrazia. La metamorfosi della sinistra in partito radicale di massa fu diagnosticata, in passato, con estrema lungimiranza, da intellettuali ideologicamente eterogenei tra loro ma indubbiamente inscrivibili a livello di vertice nel novero del panorama culturale italiano, come Augusto Del Noce, Costanzo Preve e Maurizio Blondet. Nel mio libro, mi sono limitato a constatare il decesso politico e ideologico della sinistra, gli intellettuali che ho menzionato più sopra invece, con largo anticipo diagnosticarono la malattia che nel tempo avrebbe condotto la sinistra a questa ingloriosa fine, ossia a morire di overdose autoindotta di liberalismo, di “pannellismo” e di “dirittumanismo”. Il decesso della sinistra è altresì riconducibile alla propria totale (e ostinatamente perseguita da un certo frangente in avanti, direi almeno dal Sessantotto, ma sostanzialmente già da prima) nonché congenita assenza di anticorpi spirituali, patriottici e religiosi nel senso tradizionale del termine. Laddove, come in Russia, la sinistra possedeva questi anticorpi e non era corrotta dal liberalismo, dal settarismo e dal soggettivismo anarchico, non solo è sopravvissuta ma si attesta, ancora oggi, attorno al 20 per cento dei voti popolari.

 

Torniamo ancora alla sua analisi: lei critica le mire espansive dell’atlantismo (Nato) e prova a delineare una “alternativa” chiamata “euroasiatismo”. Sulla base di questa ideologia pone come “player” principale Vladimir Putin. Putin, per me, è l’emblema di un “sovranismo estremo” con tutto quello che ne consegue sul piano della concezione dello stato e della democrazia. Se l’Europa deve essere riformata, e deve esserlo pena la sua morte, la strada maestra è quella di Spinelli ovvero il federalismo europeo. Insomma Putin e la sua “democratura” non può essere il futuro dell’Europa… Lei pensa invece di si?

 

Non definirei “democratura”, un termine coniato ad arte dal mainstream liberale a scopo palesemente diffamatorio, il modello politico della Russia odierna. Questo sistema politico è definibile invece come «democrazia sovrana» o «democrazia governante» e si connota, al netto dei limiti che pure contempla, come infinitamente più democratico rispetto alle decrepite liberaldemocrazie occidentali, dove il voto popolare non ha più alcun significato perché, come disse a mo’ di esempio nel 2013 Mario Draghi, l’Italia «ha il pilota automatico» per cui, a prescindere da chi vinca le elezioni, la direzione economica, liberista (e quella politica, liberale), cui il Paese avrebbe dovuto sottostare, sarebbe stata decisa altrove, ossia fuori dal contesto parlamentare elettivo, da parte di una ridda di banchieri e tecnocrati rappresentanti interessi speculativi privati e non la volontà generale dei cittadini. Peraltro, cinquant’anni di retorica cosmopolita e filo-capitalista da parte di pannelliani e sodali di ambo gli schieramenti in gara per l’occupazione delle poltrone parlamentari ha favorito un processo di riconfigurazione neoliberale delle mentalità per cui oggi i banchieri internazionali e tutto il loro circo politico-mediatico di complemento vengono effettivamente percepiti come il “meno peggio” che ci si possa aspettare da parte di un ceto medio di ex baby boomers viziati e totalmente adagiati sulle sponde della cultura della liberalizzazione sociale integrale. Per quanto riguarda la rifondazione dell’Europa sulle spoglie della Ue, al federalismo liberale di Spinelli preferisco, personalmente, il federalismo identitario proposto da Alain de Benoist.  

 

L’“alternativa sovranista” non è credibile nemmeno sul fronte dei diritti umani. Anzi si pone agli antipodi della società aperta. Lei non vede questo?

 

La società aperta è un’utopia liberale divenuta, nel momento in cui si è concretizzata attraverso il consolidamento delle strutture politiche, economiche, sociali e mediatiche che ne costituiscono l’involucro burocratico e amministrativo per il controllo, la colonizzazione e la produzione sociale di massa (Ue, Nato, Fmi, Wto, sistema internazionale di banche e aziende private finanziarizzate, partiti politici liberali sistemici, sindacati collaborazionisti, Generazione Erasmus, ecc.), terrorismo imperialista all’esterno e compressione dei diritti dei popoli a una vita propria all’interno. Per cui, se si vuole salvare l’ecologia e ciò che rimane dell’etica tradizionale delle società umane abitanti il pianeta occorre stabilire un’alternativa politica, economica e culturale alla società aperta. Questa alternativa, ossia un movimento antiglobalista che ripristini la sovranità dei popoli e il primato delle culture di appartenenza di ciascuna nazione nei confronti dell’omologazione cosmopolitica, non può basarsi sulla stanca retorica dei diritti umani, che è poi la retorica a giustificazione, in nome della promozione, su larga scala, dei diritti di “libertà” al consumo, alla mobilità e al desiderio (ovvero, la “libertà” intesa come “liberazione” individuale dalle precedenti appartenenze identitarie collettive) di un individuo tanto astratto quanto, in definitiva, americanocentrico, delle guerre coloniali euro-atlantiche del XXI secolo.

 

Ho trovato sorprendente (ma fino ad un certo punto, date le sue premesse) che in più di mille pagine del suo libro non abbia speso una riga su Papa Francesco. Un critico duro dell’attuale globalizzazione finanziaria, della globalizzazione dell’indifferenza. Un Papa che dialoga con i movimenti popolari dell’America Latina. Un Papa alternativo ed è certamente un Papa antisovranista che vuole abbattere i muri di ogni tipo (dall’economia alla religione). Perché questa dimenticanza?

 

Perché la critica mossa da papa Francesco alla globalizzazione liberale è una critica che definirei buonista e in assoluto compatibile con i postulati culturali, appunto liberali, della globalizzazione e dell’imperialismo. Se penso alle “aperture” nei confronti della moda gay friendly, delle politiche obamiane e addirittura del protestantesimo operate da papa Francesco, arrivo a sostenere che il cittadino Bergoglio sia in qualche modo possessore della “doppia tessera”, di Propaganda Fide e del Partito Radicale, ma che sia quest’ultima a esercitare una sorta di primato nell’orientamento più schiettamente politico del papa… Oggi in Italia da papa Francesco a Bertinotti abbiamo un ventaglio molto ampio di personalità politiche pseudo-antagonistiche in realtà fautrici di una critica talmente compatibile della globalizzazione da risultare, in buona sostanza, un’apologia indiretta dell’esistente e, dunque, una legittimazione dell’esistente. L’elogio sperticato pronunciato da papa Francesco nei confronti della cosiddetta democrazia americana, individualista, edonista e protestante, al Congresso Usa, è lo specchio perfetto dell’abisso di “paura della verità” mascherata da ecumenismo in cui è sprofondato il cattolicesimo progressista. Personalmente, la dissoluzione del cattolicesimo non mi lascia indifferente, sebbene io sia spiritualmente più legato all’Ortodossia e all’Islam sciita rivoluzionario, perché oggi la religione dovrebbe rappresentare un baluardo contro la deriva nichilista della società e un tratto culturale fondante per costruire una prospettiva socialista orientata in chiave non materialistica e non settaria.

 

Ovviamente non condivido  assolutamente questo giudizio su Papa Francesco. Definire “buonista” la critica alla globalizzazione non è corretto anzi è sbagliatissimo. Si legga,  per fare un esempio, l’ultima enciclica del Papa la Laudato si. Una Enciclica assolutamente alternativa alla logica del sistema economico imperante. La invito ad approfondire l’opera rivoluzionaria di Francesco. E qui mi fermo . Cambiamo argomento. Da “sovranista” cosa pensa di Trump?

 

Non ho simpatia politica per Donald Trump e per molto di ciò che la sua cultura rappresenta. Donald Trump è un miliardario liberal-populista americano con fare borioso e spaccone tipico dello sceriffo dell’ultima e insignificante contea del Texas. Tuttavia, la sua avversaria alle presidenziali d’autunno, Hillary Clinton, è assai peggio e mi auguro fortemente che venga sconfitta, senza naturalmente esultare per un’eventuale vittoria di Trump. Una storica di rango, Diana Johnstone, in un suo recente e pregevolissimo libro, ha definito Hillary Clinton «la regina del caos», sottolineando gli aspetti più confacenti all’imperialismo e alla dottrina politica del cambio di regime nei Paesi non allineati al consenso di Washington del candidato “democratico” alla Casa Bianca rispetto agli esponenti repubblicani “paleoconservatori”. Hillary Clinton è la stratega politica delle guerre “umanitarie” e dei colpi di Stato postmoderni attuati con la scusa di «tutelare i diritti umani» nei Paesi renitenti all’ordine di Washington e una simile opzione geopolitica, fondata sulla promozione della dottrina del «caos costruttivo», condurrà inevitabilmente, con Hillary Clinton presidente, allo scontro finale tra l’Occidente a guida Usa e la Russia. Nel libro che ho citato, Hillary Clinton regina del caos, Diana Johnstone scrive apertamente che fu proprio l’allora first lady a convincere, nel 1999, Bill Clinton a bombardare la Serbia e oggi la squadra dei falchi liberali russofobici a guida Hillary Clinton si accinge a preparare, nel Baltico, il terreno per lo scontro frontale con la Russia.

 

Una parola sulla Brexit. Ha scritto, recentemente sul Corriere della Sera, Bernard-Henri Levy: «La “Brexit” non è la vittoria di un’“altra” Europa, ma di una “assoluta mancanza di Europa”. Non è l’alba di una rifondazione, ma il crepuscolo di un progetto di civiltà. Significherà, se non ritorna sé, la consacrazione della grigia internazionale degli eterni nemici dei Lumi e di chi ha sempre avversato la democrazia e i diritti dell’uomo». Penso che il filosofo francese abbia ragione. Alla fine il “sovranismo” diventa l’ideologia della paura dell’altro e dell’integrazione dei popoli. Lei non vede questo pericolo?

 

Una parola, prima, su Bernard-Henri Levy, che non stimo come filosofo ma che reputo un eccellente propagandista dell’imperialismo della Nato sotto copertura ideologica ultraliberale. Ricordo, due anni or sono, Bernard-Henri Levy a Kiev, intento a galvanizzare la folla televisiva dello show di piazza Maidan, uno spettacolo violento foriero di un successivo colpo di Stato anti-russo e anti-ucraino (ma rigorosamente filo-Usa) la cui manovalanza armata venne fornita da milizie indiscutibilmente scioviniste, etnonazionaliste e finanche neonaziste. Bene, laddove si colloca Bernard-Henri Levy, teorico del globalismo imperialista contemporaneo, ogni critico responsabile e radicale, nel senso di profondo, di originario, della mondializzazione, si pone sul versante opposto. Sulla Brexit: personalmente sono favorevole all’uscita della Gran Bretagna dalla Ue e al ripristino della sovranità nazionale di questo Paese. Mi fa sorridere riscontrare il cambio di paradigma di 180 gradi dei giornalisti che nel 2014 si schierarono fieramente contro il referendum scozzese sulla fuoriuscita dal Regno Unito e oggi si sono invece repentinamente convertiti a strenui sostenitori dell’“indipendenza” della Scozia, ovvero della permanenza di Edimburgo nella Ue. Ci sono secessionismi buoni e secessionismi cattivi, dunque? Perché l’indipendenza della Scozia nel 2014 era avversata dal 100 per cento dei media televisivi e della carta stampata mentre oggi è sostenuta all’unanimità dal circo mediatico? Infine, una nota sui “giovani”, disincantati e privi di coscienza infelice: hanno votato in maggioranza per il Remain, ma ha votato soltanto il 36 per cento dei giovani aventi diritto. Ciò significa che, sostanzialmente, alla maggioranza dei teenagers frega nulla della Gran Bretagna e poco o niente della Ue, a loro interessa soltanto la perpetuazione, a oltranza, della “società del divertimento” illimitato. Fortunatamente, votando Leave, i buoni padri di famiglia britannici hanno salvaguardato il futuro dei loro figli dediti alla sottocultura dello “svago”, banalmente cosmopoliti e politicamente disimpegnati.  

Gli aforismi di Casaleggio in un libro di chiarelettere

71c94107-1faf-48cc-b6bd-ab9989534a29“Era un uomo di una conoscenza straordinaria, faceva collegamenti molto acuti fra i vari testi e aveva un modo di esprimersi riguardo alle diverse situazioni mai banale e prevedibile.” (DARIO FO)

“Ho visto poche persone cercare di cambiare il paese con il tuo stesso entusiasmo. Felice di averti conosciuto, Gianroberto.” (FEDEZ)

“Visionario apparentemente ruvido e diffidente, si svela pensatore dal cuore generoso nel condividere intuizioni sorprendenti. Casaleggio pone sempre l’uomo al centro di ogni scelta, nelle responsabilità e nei diritti. E da qui si riparte, tutti.” (GIANLUIGI NUZZI)

“Un uomo unico nel pensiero così come nel parlare, questo libro ne è la prova.” (ANTONIO DI PIETRO)


IL LIBRO

Questi sono alcuni giudizi, espressi da alcuni personalità di rilievo, su Gianroberto Casaleggio scomparso pochi mesi fa a causa di una brutta malattia. Casaleggio è stato un personaggio atipico nel panorama politico italiano. Non sempre è stato facile comprenderlo. Un visionario? Un innovatore? Sicuramente un innovatore. Questa raccolta di aforismi aiuta a comprenderlo. Casaleggio amava la creatività, l’innovazione, la profondità di pensiero e nello stesso tempo la chiarezza e la semplicità.

Lettore instancabile di generi diversi (dalla fantascienza al saggio storico ai classici), usava l’aforisma come chiave per esprimere in modo sinteticamente preciso riflessioni elaborate.


Un modo di comunicare che rispondeva anche al suo carattere.

Il libro è diviso in due parti. Nella prima sono raccolte le frasi e le dichiarazioni che Casaleggio ha concepito nel corso degli anni sotto varie forme, dal libro all’intervista, o durante la sua esperienza di lavoro, con i colleghi. Nella seconda è invece presente una raccolta di aforismi che Casaleggio apprezzava particolarmente e che usava a seconda delle circostanze. Tutti insieme questi testi brevi aiutano a capire l’armatura concettuale di un personaggio atipico, che si è imposto all’improvviso all’opinione pubblica e che in pochi anni ha segnato il modo di far politica del nostro paese. E questo va riconosciuto, quale che sia il giudizio politico sua “creatura” (il movimento 5Stelle).


Gli autori

Gianroberto Casaleggio (Milano 1954-2016) è stato un manager, studioso e stratega della Rete, ed esperto di dinamiche web. Inizialmente progettista di software per la Olivetti, nel 1985 è direttore generale e amministratore delegato di Logicasiel, società partecipata da Logica Plc e Finsiel, e dal 2000 al 2003 esercita la carica di amministratore delegato di Webegg Spa, partecipata da Telecom Italia e Olivetti. Ha ricoperto il ruolo di consigliere di amministrazione in varie aziende. Nel 2004 fonda la Casaleggio Associati, società di consulenza per lo sviluppo di strategie di Rete per le imprese. Dal 2005 è stato curatore del blog di Beppe Grillo, con il quale nel 2009 ha fondato il Movimento 5 Stelle.

Ha pubblicato diversi libri. Per Chiarelettere: “Siamo in guerra. Per una nuova politica” (con Beppe Grillo) e “Il Grillo canta sempre al tramonto. Dialogo sull’Italia” (con Dario Fo e Beppe Grillo).

Maurizio Benzi è un socio di Casaleggio Associati, esperto di strategie Internet e innovazione digitale. Laureato in Economia all’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano, si occupa professionalmente di Internet dal 1998. È specializzato nella definizione delle strategie online per le imprese e nei progetti di comunicazione e Digital marketing. Nel 2000 è entrato a far parte del team Digital Strategy di Webegg. Dal 2004 collabora con Casaleggio Associati, dove attualmente gestisce i progetti di consulenza nell’ambito delle strategie Internet di alcuni dei principali clienti della società.

PER GENTILE CONCESSIONE DELL’EDITORE PUBBLICHIAMO LA POSTFAZIONE DI LUCA EULETERI (AMICO E SOCIO DI CASALEGGIO).

 

Lettera a un amico
di Luca Eleuteri*

Caro Roberto, non è passato poi così tanto tempo dall’ultima volta che ci siamo visti. Più si è lontani e più il tempo trascorre velocemente, dicono. Al tuo funerale c’era molta gente. Non so se ti ha fatto piacere, conoscendoti avresti voluto solo gli amici e magari neanche quelli. Ma loro sarebbero venuti comunque, proprio perché sono i tuoi amici. C’erano tante persone, parlamentari, ex colleghi, amici, conoscenti e gente qualunque. Andartene così, a sessantuno anni, mollandoci con tutto quello che c’era ancora da fare. Non puoi fare ’sto casino e poi chi s’è visto s’è visto. Con chi converso io per ore e ore del senso della vita, del futuro, del business, dei miei problemi e dei tuoi? Se ti rileggi in questo libro capirai che uno come te non lo si può trovare dietro l’angolo. Nella vita l’unico problema è il tempo, e il tempo che abbiamo è poco, pochissimo. Troppo poco per avere pentimenti o per sciuparlo. Mi ripetevi sempre questa solfa quando pensavo di essere all’angolo. Sarà, ma quel 12 aprile 2016 non riesco a buttarlo alle spalle. Intanto passo di fronte alla porta chiusa del tuo ufficio, la guardo e non la apro. Sai perché? Perché già basta a illudermi che, se avessi bisogno di te, potrei bussare e trovarti ancora lì. Un’illusione di qualche istante, è vero, ma non eri tu quello che si accontentava di poco?
Un abbraccio amico mio.

Socio di Casaleggio Associati.
Gianroberto Casaleggio, Aforismi, A cura di Maurizio Benzi – ED.Chiarelettere, Milano 2016. Prefazione di Davide Casaleggio

Matteo Renzi. Il prezzo del potere. Un libro di Chiarelettere

Matteo renzi il prezzo del potereIL LIBRO

Questa è la “storia” della carriera di un presidente, la fotografia di come funziona oggi il potere in Italia. Una storia in ombra. Dentro e dietro la cronaca, questo libro, appena uscito nelle librerie, supportato da documenti e testimonianze inediti, racconta tradimenti, retroscena, intrighi di palazzo che hanno segnato la scalata di Matteo Renzi. Dal gennaio del 2014 fino a oggi.

Le trame finora mai rivelate che hanno portato alle dimissioni di Enrico Letta. Incarichi, poltrone, appalti distribuiti come un conto da pagare. Le manovre per difendere gli indifendibili. I segreti e le carte più scottanti dello scandalo Banca Etruria, che ha visto coinvolti il padre dell’attuale ministro per le Riforme istituzionali Maria Elena Boschi e l’intero governo. I rapporti tra Boschi senior e l’onnipresente “buon amico” Flavio Carboni. La longa manus di lobbisti come Gianmario Ferramonti. Le strategie per coprire e ammorbidire la vicenda del padre, Tiziano Renzi, che ancora oggi resta misteriosa. La storia mai rivelata di Marco Carrai, il Richelieu del governo, con un ventaglio di società all’estero che a lui fanno riferimento e soci che risultano avere importanti interessi da difendere in Italia.

Ma il prezzo del potere non è pagato solo con favori e premi. Molti sono gli uomini eliminati. Amici diventati ingombranti o inutili e per questo fatti fuori. Storie che sembrano la trama di una fiction ma sono tutte documentate. Sono il ritratto della politica italiana.

L’Autore

Davide Vecchi, inviato de “il Fatto Quotidiano”, si occupa da anni di cronaca giudiziaria e politica e ha seguito tutte le principali inchieste che hanno riguardato il premier e l’attuale classe politica al potere. I suoi articoli sono stati ripresi dai principali media italiani. Per Chiarelettere ha scritto L’INTOCCABILE. MATTEO RENZI, LA VERA STORIA (2014), più volte ristampato, un libro di riferimento per chiunque voglia conoscere l’ascesa di Renzi fino all’arrivo alla presidenza del Consiglio. MATTEO RENZI. IL PREZZO DEL POTERE è il racconto più completo di come il premier ha gestito e sta gestendo il governo del paese. Un ritratto nitido e impietoso, un documento importante per scavare dentro il brusio della cronaca e ricavarne una fotografia indispensabile per capire la politica di oggi.

Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo la prefazione di Marco Travaglio

Questa è la storia del prezzo che Matteo Renzi ha dovuto pagare per sedersi a Palazzo Chigi. Una storia in ombra che per la prima volta viene svelata grazie a intercettazioni, inchieste e documenti inediti, alcuni dei quali sono pubblicati in appendice. È la storia delle manovre di Palazzo ordite anche grazie alla complicità di imbarazzanti avversari politici poi lautamente ricompensati. È la storia degli intrighi, dei sotterfugi, delle strategie politiche attuate dal premier. La storia di incarichi, poltrone, appalti che ha distribuito in poco più di due anni di governo all’insegna di un incessante do ut des. È la storia di personaggi a lui fedeli e quindi premiati, a partire da Luca Lotti, passato da allenatore della squadra di calcio femminile di Montelupo Fiorentino a potente sottosegretario della Presidenza del Consiglio con delega all’Editoria, il ruolo giusto per tenere a bada i giornali e tutta l’informazione. È la storia degli uomini eliminati perché d’intralcio, dall’aspirante sindaco di Firenze Graziano Cioni, costretto a ritirarsi dalle primarie del capoluogo toscano per uno stato di famiglia che avrebbe dovuto rimanere segreto ma che stranamente viene fatto pervenire alla moglie nelle ore cruciali della campagna elettorale, fino a Massimo Mattei, l’assessore nonché spin doctor di Renzi poi diventato «superfluo» ed escluso dall’entourage del premier in seguito a un’inchiesta della magistratura sulle escort a Palazzo Vecchio in cui non è mai stato indagato.

È la storia dei ricatti, del Renzi privato che smentisce sistematicamente il Renzi pubblico. Basti citare l’episodio in cui, all’inizio di gennaio del 2014, poche settimane prima di far cadere l’esecutivo di Enrico Letta, il «rottamatore» proclama a tutto il paese l’intenzione di ricandidarsi come primo cittadino a Firenze nascondendo la sua reale aspirazione: la presa del governo senza passare dalle urne. In un colloquio telefonico col generale della Guardia di finanza Michele Adinolfi, Renzi spiega le mosse in atto per dare lo sfratto all’allora inquilino di Palazzo Chigi coinvolgendo anche l’ex capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Ma non sa di essere intercettato. Di quella conversazione privata pubblichiamo alcuni passaggi esclusivi e rivelatori. Questo libro mostra tutta la spregiudicatezza di un premier che lotta senza tregua per rimanere in sella al governo, e dei suoi più stretti e fidati collaboratori, come il ministro per le Riforme costituzionali e i Rapporti con il parlamento Maria Elena Boschi, che cerca i voti perfino dei leghisti quando deve scalzare la mozione di sfiducia ricevuta a causa del padre, indagato per bancarotta fraudolenta dopo il fallimento della Banca popolare dell’Etruria e del Lazio. Alla corte del «capo» sono ammessi tutti purché siano utili allo scopo: conservare il potere. Ciascuno ha un prezzo. Renzi lo conosce ed è sempre pronto a pagarlo.

 

Davide Vecchi, Matteo Renzi. Il prezzo del potere. Prefazione di Marco Travaglio, Ed.Chiarelettere, Principio Attivo, pagine 192, € 13,00

 

Yes Web Can: come candidarsi alla Casa Bianca dall’Italia. Intervista ad Antonino Caffo

foto autoriUn libro sul clamoroso caso di “Alex Anderson” , la mega bufala che ha fatto discutere il web.

Alex Anderson ha preso in giro migliaia di americani fingendosi un repubblicano in corsa alle presidenziali. In realtà è un ragazzo di Como che da qualche giorno è anche in libreria Social network e politica, un binomio apparentemente poco funzionale ma che negli ultimi tempi si sta dimostrando più fruttuoso del previsto. Anche in Italia i politici, con qualche eccezione, hanno imparato a sfruttare l’onda lunga di post e tweet per esprimere il loro pensiero e divulgarlo alla massa di fan e sostenitori. Persino Hillary Clinton ha perentoriamente invitato l’opponente Donald Trump a “chiudere l’account Twitter” dopo che questi si era scagliato contro la decisione di Obama di appoggiare la corsa a Washington della donna.

Proprio la Clinton e Trump sono due degli avversari che uno sconosciuto cittadino della rete ha incontrato sul suo cammino. Si tratta di Alex Anderson, account da oltre 26 mila follower che da 8 mesi twitta i contenuti di un presunto vero programma politico e di una campagna sul microblog dai 140 caratteri. Cosa c’è di strano? Nulla se si trattasse di un vero americano aspirante congressman e non di un ragazzo italiano, nella fattispecie di Como.

Dietro Anderson c’è infatti Alessandro Nardone, romanziere e creativo che ha passato tante notti a dibattere sui temi cari agli americani, fingendosi appunto un candidato. Un gioco, uno scherzo che sarebbe potuto finire dopo qualche settimana, magari con un paio di retweet e che invece è andato avanti creando su un bel po’ di consensi e qualche dubbio agli elettori, tanto che del suo caso se ne è occupata addirittura la BBC, le testate internazionali DeMorgen e Globo e in Italia la trasmissione di Magalli “I fatti vostri”.

Lo strano caso del concorrente “fake” italiano alla Casa Bianca è oggi un libro dal titolo “Yes Web Can” (YouCanPrint, 2016) , scritto dallo stesso Nardone e dai giornalisti Carlo Cattaneo e Antonino Caffo, con prefazione di Luca Rigoni di TGCom 24. È curioso dunque capire, proprio da uno di loro, il giornalista di Panorama Antonino Caffo, come è riuscito Nardone/Anderson ad ottenere tutto questo successo in rete.

“Sembrerà ovvio, ma alcuni meccanismi che governano il web, e nello specifico i social network, possono risultare ancora dirompenti per molti. Attraverso l’impegno, la costanza e la determinazione, Anderson è riuscito ad ottenere non solo l’attenzione di una parte dell’elettorato statunitense ma anche la loro fiducia. Non si spiega altrimenti il perché sia stato invitato, realmente, a sedersi in talk show e tribune politiche televisive negli States, a partecipare in diretta a trasmissioni radio americane o a rilasciare interviste in giro per il mondo, proprio come i candidati reali. Quello specchio magico che è rappresentato dallo schermo del computer o del cellulare rappresenta l’evoluzione di un certo intrattenimento televisivo, con la differenza che qui si può andare ben oltre i 15 minuti di popolarità profetizzati da Andy Warhol” – dice Caffo.

Esistono delle regole o delle strategie ben precise usate per costruire il personaggio online?

“Nel libro ne ho individuate almeno cinque che sottendono, più in generale, le logiche del web 2.0. Si tratta dell’aumento, portato da piattaforme come Facebook e Twitter, al flusso delle informazioni, che rende spesso difficoltoso verificare la fonte. Ciò può permettere quel passaparola mediatico che da vita a vere e proprie star, come succede per i blogger e gli youtuber.

Poi la rimozione delle barriere sociali, grazie ad un contatto semplice e stimolante con i VIP che si trovano dall’altra parte e che, spesso, rispondono ai loro fan. Si tratta di una modalità impossibile ed estremamente limitata quando in giro c’erano solo televisione e radio. La creazione di nuovi leader è la dinamica che permette ai social di porre alcuni utenti come portatori di interesse di certi argomenti mentre il rinforzo degli altri media e la semplificazione delle conversazioni sono la diretta conseguenza della trasformazione dei processi comunicativi e sociali verso tipologie di linguaggio più vicine alle persone comuni”.

Possiamo dire che Anderson ha avuto successo perché incarna le ambizioni e le aspettative di ognuno di noi?

“Proprio così; solo riconoscendosi in una delle persone da votare si mettono in moto dinamiche di attrazione da parte degli elettori. Il cambiamento di paradigma introdotto anni fa da Twitter non è banale: nel mondo reale esistono ancora classi e gerarchie ben definite, mentre in rete vige una sorta di democratizzazione delle apparenze, grazie alla quale siamo tutti sullo stesso livello”.