Abusivi. La realtà che non vediamo. Un libro di Chiarelettere

SeriesBAW06“Ma poi c’è un’altra cosa che fuori non la sa nessuno… a te ti abbiamo fatto noi altri, ma “a lui” chi l’ha fatto? … e chi l’ha autorizzato? Questi tutti abusivi sono!”

Giovanni Di Giacomo, boss ergastolano, irritato per la presenza di mafiosi privi di investitura

IL LIBRO

Siamo un Paese di Abusivi. Si resta a bocca aperta leggendo l’inchiesta del bravissimo  Roberto Ippolito, uscito ieri in libreria, e la lista infinita di comportamenti illegali e senza scrupoli degli italiani. L’abusivismo non guarda in faccia a nessuno. Balla e fa ballare tutta Italia: panettieri abusivi, macelli abusivi, studi medici abusivi, meccanici abusivi, benzinai abusivi, tassisti senza patente abusivi, perfino mafiosi e morti abusivi.

A Forlì e Cesena, estetisti e parrucchieri irregolari sono uno su tre, a Ivrea i carabinieri accertano che un quarantenne, che opera come fisioterapista, in realtà non è un medico, ma un musicista. A Ravenna un falso psicologo segue una settantina di pazienti e si fa pubblicità su internet, tariffario compreso. Grazie a minori costi, gli abusivi falsano la concorrenza. Prosperano e insieme a loro prosperano il lavoro nero e l’evasione fiscale.

Falsi venditori e parcheggiatori sono sempre più al centro di episodi di violenza. A loro guarda la grande criminalità. Nelle costruzioni l’abusivismo è sempre più sfacciato, come dimostrano la deviazione del torrente Modica-Scicli e i mille metri di porto a Ostia rigorosamente illegali. Né l’arte né i santi si salvano: al Circo Massimo è stata installata una scultura di tre metri per tre, del tutto illegalmente, mentre sulla scogliera di Serapo, la spiaggia di Gaeta, è stata cementata abusivamente una statua della Madonna.

Perché l’Italia è una lunga lista di irregolarità fai da te, che fa sorridere ma anche no.

L’AUTORE

Roberto Ippolito è un giornalista e scrittore. Autore dei bestseller EVASORI (Bompiani), IL BEL PAESE MALTRATTATO (Bompiani) e IGNORANTI (Chiarelettere). È direttore di festival letterari a Ragusa, a Cinecittà e al Maxxi a Roma. Dopo aver curato a lungo l’economia per il quotidiano “La Stampa”, è stato direttore della comunicazione della Confindustria, delle relazioni esterne dell’Università Luiss di Roma e docente di Imprese e concorrenza alla Scuola superiore di giornalismo della stessa Luiss. www.robertoippolito.it

Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un estratto del libro.

Di dentisti non abilitati a svolgere la professione ce ne sono così tanti che è possibile trovarne più di uno all’interno dello stesso nucleo familiare. I finanzieri della compagnia di Borgomanero, in provincia di Novara, scoprono all’inizio di marzo 2014 padre e figlio privi dei requisiti professionali e della laurea necessaria che condividono lo stesso studio odontoiatrico abusivo.

Il falso studio, sequestrato, dispone di veri strumenti e apparecchiature. Ed è frequentato da veri clienti, oltre ottanta quelli individuati, che sopportano vere estrazioni. Padre e figlio, pur non essendo abilitati, somministrano anestesie locali, fissano protesi e capsule, effettuano devitalizzazioni. E mettono in tasca tanti soldi veri dei quali i carabinieri ricostruiscono il cammino con impegnative indagini bancarie.

Una quindicina di giorni prima, due pazienti in attesa del proprio turno sono presenti all’arrivo della polizia in un altro studio dentistico abusivo, a Forio, sull’isola di Ischia. Uno di loro mostra agli agenti un preventivo di 2000 euro per la sostituzione della protesi dell’arcata dentale superiore. Il dentista ha 51 anni e non ha mai ottenuto l’abilitazione alla professione.

Di anni ne ha 66 un romano che ne ha trascorsi ostinatamente quasi quaranta da dentista benché privo della laurea necessaria. Non perde la sua determinazione nello svolgere indebitamente l’attività neanche dopo le due condanne del 1974 e del 1997 per esercizio abusivo della professione. Continua imperterrito a ricevere pazienti nel suo studio con la targa sulla porta, vicino l’Eur.

Ma un intervento non riuscito e la successiva infiammazione «endo-parodontale con fistolizzazione vestibolare» provocano la denuncia di una donna. E la condanna del dentista abusivo in primo grado, il 3 maggio 2014, a quattro mesi di reclusione e 5000 euro di multa.

A volte è il (vero) dentista a consentire in uno studio non in regola a un odontotecnico di andare molto oltre i propri compiti previsti. Il dentista autentico compiacente di Argenta, nel Ferrarese, può essere più che soddisfatto dell’odontotecnico all’opera nel suo studio: dalle indagini della finanza di Comacchio risulta che i suoi pazienti sono almeno un centinaio. Una delle quali, nel momento dell’intervento dei militari, nell’ottobre 2013, è a bocca aperta per le cure in corso. E resta a bocca aperta rendendosi conto della mancata qualificazione di chi sta armeggiando con i suoi denti.

Nel 2012 i dentisti abusivi denunciati sono 181 e i medici 476, per un totale di 657. Nel 2013 sono rispettivamente 269 e 334, per un totale di 603: quasi ogni giorno, dunque, vengono scoperti un dentista e un medico. E nel 2014 si registra un ulteriore peggioramento. È possibile stimare l’esistenza di 15.000 dentisti abusivi. Al Nord la metà.

Roberto Ippolito, Abusivi.La realtà che non vediamo. Genio e sregolatezza degli italiani, Ed. Chiarelettere, Milano 2014, pagg.16, € 13.00

“Io so e ho le prove. Così le banche imbrogliano il correntista”. Confessioni di un ex manager bancario, un libro di Chiarelettere

SeriesBAW08ALTIl Libro

Io so e ho le prove. Non sono la vittima di un sistema ma quel sistema ho contribuito
a costruirlo. Questo libro racconta le tante irregolarità che i funzionari di banca hanno praticato e continuano tutt’oggi a praticare. È una testimonianza dall’interno, affinché non esistano più segreti, alibi o ipocrisie”.

È la prima volta che un ex manager bancario racconta tutto. Vincenzo Imperatore è stato per vent’anni nelle direzioni operative di alcuni tra i più blasonati istituti di credito italiani. Prima e dopo la crisi economica. La sua testimonianza svela i segreti, le strategie e i maneggi delle banche a danno del correntista.

I costi eccessivi caricati sui conti correnti (“almeno il 20 per cento di quello che il correntista paga non dipende dal tasso d’interesse”, scrive Imperatore). La moltiplicazione delle commissioni. Il ricatto psicologico dietro le richieste di rientro. L’anatocismo e l’usura. Le cosiddette manovre massive, aumenti quasi impercettibili dei tassi che più del 90 per cento dei correntisti non vede e che producono incassi d’oro per gli istituti. Le procedure di calmierazione reclami per i clienti che si accorgono di movimenti strani sul conto e minacciano di chiuderlo (“Noi lo chiamavamo sistema 72H”, ricorda Imperatore). Le tecniche per piazzare un diamante, una polizza assicurativa o un derivato (“Ci garantivano una redditività enorme”). E ancora centinaia di irregolarità e leggerezze nella redazione dei contratti. Questo libro rappresenta finalmente uno strumento unico e imprescindibile dalla parte del correntista.

L’autore

Vincenzo Imperatore (Napoli 1963), laureato con il massimo dei voti in Economia e commercio, dopo un master in Business administration a Roma è stato quadro direttivo addetto alla gestione delle risorse umane, poi direttore di filiale, direttore Centro piccole e medie imprese e direttore di area nelle piazze più importanti del Meridione. Nel 2012 sceglie la strada della libera professione e fonda InMind Consulting, società di consulenza aziendale che tra le altre attività assiste i propri clienti nelle ristrutturazioni dei debiti bancari.

Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un estratto del libro:

Io so e ho le prove. Io so e ho le prove della gigantesca truffa operata dalle banche ai danni dei correntisti. Io so e ho le prove perché sono un fuoriuscito. Sono stato per anni il più allineato tra gli allineati, tra i migliori venditori nazionali di polizze e strumenti finanziari. Io so e ho le prove perché ero uno di loro, consapevole della spazzatura che vendevamo quotidianamente a schiere di cittadini e imprenditori che firmavano fiduciosi e ignari.
Io so e ho le prove perché ero talmente schierato e interno al sistema da ricevere costanti attenzioni da parte delle organizzazioni sindacali. Io so e ho le prove delle decine di irregolarità formali praticate dalle banche. Io so e ho le prove di come con incredibile superficialità e consapevole leggerezza abbiamo generato profitti pazzeschi e ottenuto premi di produzione da capogiro per gli obiettivi raggiunti. Io so e ho le prove perché ho partecipato in prima fila alle riunioni operative per decidere la strategia da adottare dopo lo scandalo Lehman Brothers e la crisi dei subprime. Io so e ho le prove di come si muovono le banche di fronte a quei correntisti e a quelle aziende in crisi che rischiano di non riuscire più a onorare la propria posizione debitoria: propongono una ristrutturazione del debito, una rinegoziazione che nasconde la manleva da ogni responsabilità per irregolarità in contratti precedenti, e la presentano al correntista come un’opportunità dilatoria. Io so e ho le prove di come le banche mettono a posto i conti a ridosso delle chiusure trimestrali di bilancio attraverso «manovre massive sugli interessi», quando i manager devono relazionare ai soci sullo stato di salute dell’istituto. Io so e ho le prove di come le banche hanno piazzato e continuano a piazzare polizze assicurative e strumenti finanziari ad alto rischio, spacciati per strumenti di maggiore tutela per il cliente che riceve un prestito. Io so e ho le prove di come le banche fanno cassa «piazzando» televisori, tapis roulant e biciclette ai clienti che richiedono finanziamenti. Io so e ho le prove di come le banche hanno ideato procedure lampo di calmierazione reclami per accontentare e invitare al silenzio quei correntisti che scoprono qualche trucchetto o maneggio sul conto. Io so e ho le prove di come le banche hanno aggirato l’eliminazione per legge della commissione di massimo scoperto sostituendola con due nuove commissioni ancora più onerose per il correntista. Io so e ho le prove dei «deliri di onnipotenza», dei privilegi e degli sprechi dei top manager, tutti pagati dai clienti. Io so e ho le prove di come le banche utilizzano la filantropia e la solidarietà solo come «strumento» per migliorare la loro reputazione. Io so e ho le prove. Non sono la vittima di un sistema ma quel sistema ho contribuito a costruirlo e alimentarlo. Questo libro racconta la mia storia di manager bancario ai vertici delle direzioni operative di alcuni tra i più importanti istituti italiani. Racconta le tante irregolarità morali e materiali che i funzionari di banca hanno praticato e continuano tutt’oggi a praticare. È un racconto tutto dall’interno, affinché non esistano più segreti, alibi o ipocrisie. Non pareggerà i conti, ma adesso posso finalmente dire di aver fatto qualcosa dalla parte del correntista.”

Vincenzo imperatore, Io so e ho le prove. Così le banche imbrogliano il correntista. Confessioni di un ex manager bancario, Ed. Chiarelettere, Milano 2014, pagg. 160, € 12,00

“Io, killer mancato”. Il giornalista cresciuto con i mafiosi un libro di Francesco Viviano

SeriesBAW08ALTIl Libro

ll ragazzo sta per ammazzare un uomo. È in un vicolo di Palermo e deve vendicare suo padre. Quel ragazzo poco più che adolescente ha imparato a sopravvivere nel cuore nero della Sicilia e ora è a un bivio. Io,killer mancato è la storia di Francesco Viviano, cresciuto tra i mafiosi e diventato uno dei più importanti inviati italiani.

“Nel mio quartiere – scrive Viviviano – c’erano personaggi legati a diverse famiglie mafiose: Madonia, Riccobono, Scaglione, Troia, Liga Nicoletti, Di Trapani, Davì, Pedone, Gambino, Bonanno, Micalizzi e Mutolo, la crema di Cosa nostra. Vivevamo fianco a fianco.”

È la storia di un ragazzo che ce l’ha fatta. Che non si arrende ai soldi facili, che non cede alla vendetta: non vuole fare come i suoi amici e diventare il braccio destro dei boss della Piana dei Colli.

Cameriere, marmista, pellicciaio, muratore, commesso. Poi la svolta, fattorino e telescriventista per l’Ansa, quindi giornalista. Prima all’Ansa, poi a “la Repubblica”. È qui che Francesco Viviano tira fuori tutto quello che ha imparato tra i vicoli di Palermo, perché lui sa come muoversi e dove trovare le notizie, sa con chi deve parlare e come farlo.

Attraverso il suo sguardo, il lettore rivive gli anni folli delle guerre di mafia, il maxiprocesso nell’aula bunker dell’Ucciardone, gli omicidi Falcone e Borsellino, le grandi confessioni dei pentiti, l’arresto di Brusca, la caccia al papello di Riina, le prime rivelazioni sulla trattativa tra mafia e Stato. Viviano vuole i nomi e sa da chi ottenerli.

IO,KILLER MANCATO è anche la storia dell’amicizia con Peppe D’Avanzo, Mario Francese e Attilio Bolzoni, di chi ha fatto giornalismo cercando insieme gli scoop o strappandoseli di mano. È il ritratto della Sicilia e delle sue contraddizioni attraverso gli occhi di uno dei suoi migliori giornalisti.

L’autore

Francesco Viviano, cresciuto nel quartiere Albergheria di Palermo e inviato de “la Repubblica”, ha seguito i principali processi di mafia, analizzando l’evoluzione di Cosa nostra dalle stragi a oggi. Inviato in Iraq e in Afghanistan, è stato insignito di numerosi riconoscimenti e nominato più volte Cronista dell’anno (2004, 2007, 2008, 2009 e 2010). Per Aliberti ha pubblicato MICHELE GRECO, IL MEMORIALE (2008), MAURO DE MAURO, UNA VERITÀ SCOMODA (2009); con Alessandra Ziniti: I MALEDETTI E GLI INNOCENTI (2010), MOTI E SILENZI ALL’UNIVERSITÀ (2010), I MISTERI DELL’AGENDA ROSSA (2010), CAPACI,VIA D’AMELIO (2012) e VISTI DA VICINO (2012). Per Flaccovio, ANNETTA E IL GENERALE (2005).

Per gentile concessione dell’Editore pubblichiamo un breve estratto del libro

 Vicolo Arena 12

La casa di mio nonno era composta da una sola stanza con il pavimento in cemento; una tenda separava la cucina da un gabinetto rudimentale. Il tappo sul water scavato nella roccia non riusciva a bloccare gli odori della fogna a cielo aperto che scorreva all’esterno. In quella casa-stanza in vicolo Arena 12 vivevamo in sette: mio nonno Francesco Viviano detto “don Ciccio”, mastro muratore, mia nonna Giovanna Spano, mia madre Enza Bruno, io, due sorelle e un fratello di mio padre. Altri tre zii dormivano dai parenti che abitavano nello stesso vicolo. Due di loro facevano i cordai vicino a casa, sotto

le mura di cinta di piazza Montalto. Io mi divertivo a guardare la ruota che attorcigliava i filamenti mentre i miei zii, con una saccoccia sulla pancia come quella dei canguri, sfilavano la canapa camminando all’indietro.

All’angolo del vicolo c’era via Albergheria, che finiva dritta dritta, fra case diroccate e distrutte dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, nella piazza principale del mercato di Ballaro, nel cuore della vecchia Palermo. Il nostro era un quartiere popolarissimo, abitato prevalentemente da poveracci, borsaioli, scippatori, rapinatori, ricettatori, ma anche da persone perbene che riuscivano a sbarcare il lunario in maniera onesta.

Chi cercava un lavoro fisso si rivolgeva alle due uniche aziende del quartiere, quella per la lavorazione del pesce e delle olive, della famiglia Amodeo, e quella per l’inscatolamento del pomodoro, della caponata di melanzane e dei preparati di finocchietto per il condimento della pasta con le sarde, della famiglia Pensabene.

Io ero cresciuto li e ci stavo bene. Giocavo in strada con i ragazzi della mia eta, ben protetto da mia madre e soprattutto da mio nonno. Fra i suoi nipoti diretti e indiretti, che erano una quarantina, io ero il suo preferito perche ero il “figlio della buonanima”. Quando tornava dal lavoro, sporco di calce anche in faccia, mi portava con se nelle taverne del quartiere. All’ingresso ricevevamo sempre la stessa accoglienza: “un quarto di vino per don Ciccio e un bicchiere di passito per il figlio della

buonanima. Tutto pagato nostro”. Per non far bere i suoi clienti a stomaco vuoto, il taverniere portava una cesta di fil di ferro piena di uova sode e una pentola di coccio con “fave a coniglio” cotte in un brodo saporitissimo. Il venerdi c’era sempre un vassoio di baccala fritto.

Restavo li fino a quando il taverniere annunciava con molto tatto che era ora di chiudere, ma prima che la

saracinesca si abbassasse c’era sempre tempo per l’ultimo quarto di vino. Qualche volta per strada mio nonno barcollava, ma mi teneva sempre stretto per mano. Non diceva mai una parola, comunicavamo con gli sguardi. Lo adoravo, e lui adorava me. Tornati a casa trovavamo la cena pronta e il fuoco acceso

nella cardarella, il secchio di metallo che don Ciccio usava per impastare la calce. Per riscaldare quella piccola stanza non c’era bisogno di molta legna. La tavola quadrata poteva ospitare appena quattro persone per volta, perciò si mangiava a turno: prima i miei zii (i fratelli e le sorelle di mio padre), poi mia madre, i nonni e io. Non ho mai patito la fame. Divoravo le minestre di fagioli o quello che passava il convento, e chiudevo sempre il pasto con un po’ di pane e olio. Il secondo non c’era quasi mai. La domenica ci si trattava meglio: pasta al sugo con tritato, cotoletta di carne di cavallo, che costava meno di quella di vacca, oppure polpette con le “sarde a mare”,cioè niente sarde e molta mollica, pinoli e finocchietto di montagna. Si andava a letto prestissimo. Il primo era sempre mio nonno, che appena si stendeva sul materasso cominciava a russare, e mia nonna lo seguiva poco dopo. Quando c’era bel tempo ci si attardava sull’uscio di casa con i vicini, che in gran parte erano nostri parenti. Tutti sedevano fuori a chiacchierare. Si rideva, anche se molti non sapevano come avrebbero sbarcato il lunario il giorno dopo e se sarebbero riusciti a mettere in pentola qualcosa da mangiare. Per strada passavano i venditori che offrivano castagne bollite o piedini di agnello e di porco bolliti, e urlavano in dialetto: “Se non li vendo me li mangio”.

Ogni volta che qualcuno usciva di galera, e accadeva spesso, si organizzava u triunfo, una festa di vicinato. Si facevano gli schiticchi (pasti in compagnia) e una piccola banda suonava il violino, il contrabbasso e la fisarmonica.

Si restava in strada fino a tardi per festeggiare l’ex detenuto, che il piu delle volte finiva per tornare in prigione di li a breve.

Eravamo poveri, poverissimi, ma dignitosi. Mio nonno era molto rispettato nel quartiere. Nei vicoli, nei cortili e nei chioschi don Ciccio raccoglieva di continuo saluti deferenti. Molti andavano a trovarlo a casa per esporgli qualche problema da risolvere. Non era un mafioso, altrimenti non sarebbe stato cosi povero, ma era rispettato dai boss, che lo invitavano alle loro scampagnate

domenicali. In qualità di ≪figlio della buonanima≫, ero l’unico bambino ammesso a quelle tavolate, dove il vino non mancava mai. Bevevo sempre il passito, una sorta di gassosa colorata. Gli adulti parlavano tranquillamente, a bassa voce. Non ho mai assistito a risse o alterchi. Mio nonno era amico dei boss ma non faceva affari con loro.

Francesco Viviano, Io Killer Mancato. Il giornalista cresciuto con i mafiosi, Ed. Chiarelettere, Milano 2014, pagg. 160.

Guerriere, La resistenza delle nuove mamme italiane. Un libro di Elisabetta Ambrosi.

guerriere_Sovra_SeriesBAW08ALTGUERRIERE,“La resistenza delle nuove mamme italiane” è un libro di Elisabetta Ambrosi con la prefazione di Lia Celi, uscito per la casa editrice “Chiarelettere”, getta lo sguardo su una realtà dimenticata nel nostro Paese.

Ovvero su quelle donne che con il cuore in gola, telefonino all’orecchio, orologio sotto gli occhi, sono le mamme acrobate di oggi che inseguono un equilibrio tra lavoro, famiglia, figli e se stesse. Donne abituate a salti mortali, a silenziose battaglie quotidiane su mille fronti, mentre lo Stato sembra dimenticarle.
Queste combattenti sono le nuove mamme italiane di cui ci parla Elisabetta Ambrosi.
Come riuscire a sopravvivere in mezzo agli ostacoli? Se lo Stato promette servizi che non mantiene, vara leggi sulla tutela delle madri lavoratrici che poi non fa rispettare, mentre il lavoro dà sempre meno reddito, l’innovazione più radicale deve partire dalla piccola repubblica rappresentata dalla famiglia. Non resta che rimboccarsi le maniche, trovare strategie alternative, scegliere bene le battaglie da combattere per indirizzare al meglio le energie.
La prima a farlo è stata proprio Elisabetta Ambrosi che ha deciso di indagare le tattiche di sopravvivenza quotidiana di amiche e donne conosciute attraverso il blog “Sex and (the) stress”, alle quali ha chiesto di raccontare le loro giornate, la ripartizione dei carichi in famiglia, la divisione dei ruoli con il padre, il percorso professionale, il lavoro attuale, lo stipendio e ciò che vorrebbero dallo Stato. Ne nasce un libro fatto di voci femminili, precarie, autonome, partite Iva, dipendenti, per le quali avere un figlio non è più una scelta normale, è un lusso. Ma anche un vademecum alla sopravvivenza, fisica e mentale, fatto di consigli da mettere in pratica per far quadrare i conti.

Chi è l’autrice?
Elisabetta Ambrosi è nata Roma e ha conseguito una laurea e un dottorato in Filosofia politica. Giornalista professionista, ha collaborato con varie testate nazionale. Oggi scrive per “Il Fatto” e Vanityfair.it, dove cura il blog “Sex and (the) stress”. È autrice di NON È UN PAESE PER GIOVANI (con Alessandro Rosina), INCONSCIO LADRO. MALEFATTE DEGLI PSICOANALISTI, CHI HA PAURA DI NICHI VENDOLA?,MAMMA A MODO MIO. GUIDA PRATICA ED EMOTIVA PER NEOMAMME FUORI DAL CORO e SOS TATA 6–9 ANNI.

Per gentile concessione dell’Editore pubblichiamo un estratto del libro

La mia giornata

Mi alzo alle sei e mezzo senza bisogno di sveglia: il mio Super-io mammesco-lavoratore fa tutto da solo. Sguscio fuori dal letto cercando di non fare rumore e tentando in ogni modo di non urtare la sagoma di mio figlio Paolo che ogni notte, quando la paura di crescere si fa acuta, si alza come un sonnambulo scavalcando le pile di giocattoli – incredibilmente non inciampa mai – per venire nel lettone, nonostante i vani e ripetuti tentativi di applicare il metodo Estivill sui letti separati: la vita è sempre un’altra cosa.
Ingurgito un caffè e realizzo che il latte in frigo non basterà a riempire il biberon e che mi toccherà fare un’aggiuntina di acqua sentendomi per l’ennesima volta una madre sciagurata e, approfittando del pochissimo tempo di solitudine che mi resta, leggo veloce i giornali, dove si racconta di quello strano mondo parallelo che si svolge tra Palazzo Montecitorio e i salotti tv.
Un passo felpato mi avvisa che il quattrenne si è alzato: eccolo arrivare in pigiama spaiato e ciuffo barbarico a reclamare come suo diritto acquisito, da cui è impossibile retrocedere pena il ricorso alla corte costituzionale dei bambini, biberon e cartoni animati.
Mentre scorrono i barbatrucchi dei Barbapapà, e il loro mondo fantastico dove tutto è facile da ottenere perché ci si può trasformare a piacimento (chissà come sarebbe bello il sesso avendo un barbacorpo), ho già il computer acceso e consulto l’Ansa in cerca di notizie da commentare sui miei due blog: per quello pop scelgo il tradimento, argomento facile che tira sempre, per il blog politico l’ultimo rapporto Istat, dove si racconta che nessuno fa più figli perché costano troppo.
Questo con gli occhi, perché le mie orecchie sono tese a intercettare la pubblicità e cambiare canale, ma non solo per Paolo: l’insopportabile réclame di Sofia la Principessa alle sette del mattino può rovinare la giornata persino al più caparbio sostenitore dei ruoli tradizionali (lei è una principessa che sta nel castello e deve sedurre un principe avventuroso che se la spassa per il mondo).
Ecco che inizia la girandola di aerosol mattutino, lotta per la vestizione del pargolo alla ricerca di una terza via tra gli abiti preparati (un paio di semplici calzoni e un golf ) e quelli che lui vorrebbe (tuta e per sempre tuta, più la maglietta di Superman che ormai gli va troppo piccola), preparazione della merenda – oddio non c’è nulla, afferro i soliti cracker e succo di frutta con il senso di colpa di chi sa che, secondo il nuovo bio-Zeitgeist alimentare, sta avvelenando il figlio –, infine l’affannosa ricerca del pupazzo per dormire il pomeriggio, che però ha una manica rotta che non ho fatto in tempo a cucire (in realtà non so cucire ma evito di dirlo perché ancora, in Italia, a una moglie è richiesta competenza in materia).
Via in macchina, anzi no, prima alla ricerca della macchina, poi, cronometro alla mano, count down per arrivare all’asilo, trovare un parcheggio di fortuna sperando che i vigili siano al bar, accompagnare il bambino dentro la classe per poi salutarlo con circa dieci minuti di riti di saluto, abbracci, promesse di programmi paradisiaci per il dopo scuola, doppio bacio a lui e bacione al pupazzo. Anche una fan dell’asilo nido precocissimo come me – ricordo che lo iscrissi, mai scelta fu più lungimirante, col pancione, per poter partorire sapendo di avere un alleato – in quei minuti deve scacciare l’immagine di terroristi in agguato fuori dalla scuola pronti a far incursione quando mi sarò allontanata.
O quella del prosciutto del panino che si incastra nella gola, unita al timore che le maestre non abbiano mai fatto quel corso sulla manovra di Heimlich che pure campeggia sul muro dell’asilo sopra un tranquillizzante cartello.
Allontanati dalla mente gli scenari catastrofici, in fondo oggi c’è il sole e stranamente non c’è sciopero dei mezzi né manifestazioni, torno a casa senza intoppi e tento di fare ordine, raccogliendo calzini e briciole, ascoltando la rassegna stampa alla radio, con l’iPad che mi segue per le stanze con la voce del barboso notista politico di turno. Poi salto in motorino e raggiungo il mio ufficio in coworking: qualche anno fa ho affittato uno spazio con altre persone per sfuggire alla solitudine della casa e ricordarmi che oggi lo status bisogna darselo da soli.
Sono le nove e la giornata può iniziare.

L’Italia dei veleni, un libro inchiesta sul “Biocidio” italiano

cop.aspxUn libro duro, curato da due bravi giovani giornalisti d’inchiesta (Andreina Baccaro, tra l’altro, ha vinto il premio di giornalismo “Ilaria Alpi”), che ci porta nell’inferno ambientale italiano: da Taranto a Napoli, da Rosignano a Brescia, passando per il Lazio e la Sicilia, senza dimenticare Porto Marghera.

Un vero e proprio atto di accusa nei confronti della cultura “industrialista” italiana (ovvero dell’Industrialismo fine a   se stesso).

Il volume, dunque, “non è tanto una controstoria dello sviluppo industriale italiano, ne è piuttosto la storia narrata dal versante che, per tutta un’epoca,  è stato rimosso e negato”. Ne libro sono analizzati i costi umani e ambientali settore per settore e sito  per sito come detto sopra che riguarda tutto il territorio italiano.

In Italia vi sono 57 siti di interesse nazionale (i cosidetti  Sin) definiti in relazione alla quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, all’impatto ambientale sull’area circostante in termini di rischio sanitario, ecologico e di pregiudizio dei beni culturali e ambientali. Di questi, 44 sono aree industriali, come Taranto, Gela, Priolo, Bagnoli, Marghera,  Porto Torres, Sulcis. Complessivamente, insieme ai siti potenzialmente inquinati di competenza regionale, rappresentano il 3% dell’Italia, una estensione enorme che coinvolge 6 milioni di persone. Senza contare, poi, le innumerevoli vittime del Biocidio.

Ne esce fuori, dall’analisi del libro, un panorama desolato. Il così detto “miracolo” italiano è  stato in realtà un disastro.  Il miracolo italiano ha un lato “oscuro”: dietro la facciata del benessere e del lavoro per tutti, ha nascosto una realtà fatta di scorie e rifiuti tossici, di diossine e di benzoapirene, piombo e arsenico. Insomma uno sviluppo che ha creato la crescita esponenziale di malattie cronico-generative (dai tumori alle malattie cardiocircolatorie, da quelle  neurodegenerative al sistema immunitario). Insomma il “virus del benessere” ha colpito duro nel nostro Paese.

Il libro ci impone una riflessione radicale sul senso dello sviluppo italiano e ci offre quel carico di memoria necessario per cambiare la visone globale del nostro Paese.

Andreina Baccaro-Antonio Musella (a cura di),  Il Paese dei Veleni. Biocidio, viaggio nell’Italia contaminata, Ed. Ruond Robin, Roma 2013,

pagg. 115, € 13,00

(dalla Rivista AREL 1/2014 numero interamente dedicato alla parola Progresso. Con scritti ,  tra gli altri, di Andreatta, Bassu, Caroppo, Colimberti, Gratteri, Toso, Treu)