Cyberbullismo, una piaga in crescita. Un libro per combatterlo

“Il 50% dei ragazzi che subisce fenomeni di cyberbullismo pensa di suicidarsi, mentre l’11% cerca di farlo”. A dirlo, in una recente intervista, a Cyber Affairs è la senatrice Elena Ferrara (Pd), prima firmataria del disegno di legge a prevenzione e contrasto del cyberbullismo che adesso tornerà la prossima settimana in discussione alla Camera, nella Commissioni riunite Giustizia e Affari Sociali, in quarta lettura. Si spera davvero di poter approvare il testo prima dell’estate. Una legge necessaria per poter contrastare efficacemente questa piaga. I dati, diffusi dalla Polizia Postale, sono impressionanti e fanno paura: lo scorso anno sono stati 235 i casi di cyberbullismo trattati dalla polizia postale, cioè le denunce in cui i minori sono risultati essere vittime di reato. In particolare, sono stati segnalati 88 casi di minacce, ingiurie e molestie; 70 furti d’identità digitale sui social network; 42 diffamazioni online; 27 diffusioni di materiale pedopornografico; 8 casi di stalking. Inoltre sono stati 31i minori denunciati all’autorità responsabile perché ritenuti responsabili di reati: 11 per diffamazione online; 10 per diffusione di materiale pedopornografico; 6 per minacce, ingiurie e molestie; 3 per furto d’identità digitale sui social network; 1 per stalking. Altro dato preoccupante è che, secondo un’indagine sull’hate speech dell’Università di Firenze, l’11% dei giovani approva gli insulti sui social. 

Come sta reagendo il nostro Paese?
Ne parliamo con tre esperti, autori del libro – -pubblicato dall’Editore Reverdito -“Cyberbullismo. Guida Completa per genitori, ragazzi e insegnanti”:  Mauro Berti (Sovrintendente Capo della Polizia di Stato, impiegato presso il Compartimento della Polizia Postale e delle Comunicazioni di Trento, è responsabile dell’Ufficio Indagini Pedofilia), Serena Valorzi (Psicologa e psicoterapeuta cognitivo comportamentale, esperta in dipendenze da comportamento, assertività e di impatto emotivo, cognitivo e relazionale delle tecnologie di comunicazione),  Michele Facci (Psicologo, Consulente Tecnico presso il Tribunale di Trento, esperto in pericoli e potenzialità di internet, autore di numerosi interventi sui principali media nazionali. http://www.michelefacci.com). Il libro sarà presentato, questa sera a Torino, nell’aula magna del Liceo classico “Cesare Alfieri”. E’ previsto un tour di presentazioni in altre città italiane.

Dottor Facci come è nata l’idea di questo “libro- manuale” ?
Il libro nasce dalla volontà di esprimere in un breve testo l’esperienza dei recenti anni di lavoro dei tre autori, con lo scopo di fornire aiuti concreti a genitori e docenti. Nel tempo infatti, abbiamo incontrato decine di migliaia di ragazzi in diverse scuole di tutto il territorio nazionale, ci pareva importante valorizzare questa esperienza e creare una piccola guida per genitori e insegnanti. Di fatto, dobbiamo ringraziare i ragazzi stessi che con le loro domande e il loro interesse ci hanno sempre motivati nel nostro lavoro quotidiano.

Nel volume ci sono nozioni e casi pratici, episodi reali con nomi di fantasia, a chi si rivolge il libro ?
Il libro è pensato per genitori, insegnanti ed educatori in generale. Anche i ragazzi però possono trarre vantaggio dalla lettura del testo in quanto vengono riportati episodi concreti e modalità pratiche per uscirne e per imparare a chiedere aiuto. Il libro non è solo pensato per favorire consapevolezza e fare quindi prevenzione, ma è anche un ottimo strumento di aiuto per le vittime e le loro famiglie.

Sovrintendente Berti . Il libro parla di cyberbullismo e di crimini informatici legati ai giovani. Lei ha voluto apportare la sua esperienza lavorativa nella stesura di questo libro. Quali sono i suoi consigli circa la vita on line dei nostri ragazzi ?
Studi, approfondimenti ed esperienze lavorative hanno la fortuna di incontrarsi nei contenuti del libro. Certo è che incontrando, sotto l’aspetto lavorativo, molti giovani che fanno parte della generazione dei nativi digitali, si ha il privilegio e l’opportunità di riconoscere con chiarezza quali sono i limiti dei nostri figli. Ecco allora che elementi quali la solitudine e l’impulsività digitale sono riconoscibili in giovani che non hanno avuto l’opportunità di vivere l’era pre – tecnologica. Il consiglio principale è quello di inserire i valori della vita ordinaria anche in quella on – line.

Nel libro si parla di OSINT. Di cosa si tratta ?
OSINT un acronimo inglese che sta per Open Source INTelligence. Si tratta dell’attività di ricerca e analisi delle informazioni tramite la consultazione di fonti di dominio pubblico presenti, sia nella vita ordinaria che in rete. È facilmente intuibile, proprio per la mole impressionante di dati che contiene il mondo di Internet, che quest’ultimo sia ormai diventato la primaria fonte di ricerca.

Dott.ssa Valorzi come è nata la sua collaborazione alla stesura del libro ? Quale è stato il suo apporto?
Mi occupo da più di 15 anni di dipendenze da comportamento e la pervasività di internet e l’impatto che ne consegue a livello emotivo, cognitivo e relazionale sono davanti ai miei occhi ogni volta che incontro nelle scuole o in studio persone, grandi o piccole, che soffrono o si interrogano su come migliorare la loro qualità di vita. Questo è il secondo lavoro congiunto con Mauro e Michele e, anche in questo caso, ci anima fortemente il desiderio di condividere le nostre esperienze con chi ha a cuore i nostri ragazzi e vuole agire con coscienza e consapevolezza profonde.

Perché il Cyberbullismo è più pericoloso di quello tradizionale?
I comportamenti vessatori del bullismo classico non erano così estesi. Potevi tornare a casa e sentirti protetto, ora internet espande e rende immortali commenti immagini, espone alla vergogna che sembra non avere soluzioni, di giorno e di notte, un mondo in cui molte relazioni si limitano alle emoticons. Se noi adulti e gli amici non interveniamo prontamente in aiuto, è facile che i ragazzi si sentano disperati e soli per sempre e, a volte pensino anche di scappare via per sempre.

Nel libro emergono i concetti di “vittima”, “persecutore” e “salvatore” . I genitori si rendono  conto di avere a che fare con fattispecie penali ?
Spesso i genitori non si rendono conto, non hanno più occhi, nel vortice delle nostre vite accelerate, per vedere il disagio. Parliamo spesso troppo poco con i nostri ragazzi chiusi nelle loro stanze. Ma altrettanto rischioso é vestire, impulsivamente, i panni dei salvatori perché, se si accettano soluzioni ipersemplificate di buoni e cattivi, si rischia di diventare altrettanto aggressivi (persecutori a propria volta). Fermiamoci, esercitiamo le nostre capacità di gestione emotiva, di comprensione, di intervento efficace e non punitivo, e daremo modo ai nostri ragazzi di fare altrettanto. Noi siamo, e rimaniamo, i loro modelli.

E’ in discussione alla Camera, in quarta lettura, un DDL sul Cyberbullismo. Ci sono, secondo voi, buone novità ?
Speriamo sia la volta buona. Nell’attuale stesura si è ritornati al testo originale, quello voluto fortemente dalla Senatrice Elena FERRARA. In questa versione il Cyberbullismo non viene trattato come una vera e propria fattispecie delittuosa fine a sé stessa, ma come un fenomeno al quale bisogna guardare con attenzione proponendo modelli educativi e di recupero. La stessa scuola viene investita con nuovi compiti formativi e di controllo.

Il caso Mattei

Per la prima volta le prove dell’attentato nella ricostruzione del magistrato che ha condotto l’inchiesta. Un libro di Chiarelettere.

 

“Nonostante siano passati tanti anni a qualcuno la verità dà ancora fastidio…

Tutto chiaro fin dal primo momento, tutto incerto, coperto, inconfessato, depistato per i decenni a venire.” (Giorgio Bocca)

 

 




IL LIBRO

 

Sono passati oltre cinquant’anni da quel 27 ottobre 1962, quando l’aereo su cui viaggiava Enrico Mattei precipitò nella campagna pavese. Cinquant’anni di omissioni, bugie, depistaggi di Stato che hanno visto anche la stampa in gran parte schierata a confondere fatti e prove anziché contribuire a cercare la verità, così come dimostra questo libro, secondo la drammatica ricostruzione di Sabrina Pisu e del pm Vincenzo Calia, titolare dell’inchiesta avviata nel 1994 e conclusa

nel 2003.

Non si trattò di un “tragico incidente”, fu “un omicidio deliberato”, qualcuno sabotò l’aereo che precipitò in seguito a un’esplosione. Calia offre un quadro completo dei motivi per cui molti volevano fermare Mattei. Le ipotesi costruite su una documentazione vastissima, raccolta in anni di ricerche, sono rivelatrici.

Come scriveva Bocca, “la verità dà ancora fastidio”, troppi gli interessi in gioco. Il giornalista Mauro De Mauro, sollecitato dal regista Francesco Rosi a collaborare alla lavorazione del film “Il caso Mattei”, scomparve nel nulla subito prima delle rivelazioni che si apprestava a fare. Chi nel tempo provò a indagare sulla sua morte fu ucciso: il commissario Boris Giuliano, il pm Pietro Scaglione, il generale Dalla Chiesa, il colonnello Ninni Russo, il giudice Terranova. Anche Pasolini, che stava scrivendo il romanzo “Petrolio” con protagonista il successore di Mattei, Eugenio Cefis, fu ammazzato. Vite sacrificate per servire lo Stato e che lo Stato, incapace di processare se stesso, non ha difeso.

 

GLI AUTORI

 

Vincenzo Calia, magistrato, ha lavorato in procura a Pavia e come pm ha condotto la terza inchiesta sulla morte di Mattei. Attualmente è sostituto procuratore generale a Milano.

 

Sabrina Pisu, giornalista e inviata, lavora per Euronews, canale internazionale all news con sede a Lione. Con Alessandro Zardetto ha scritto il libro “L’Aquila 2010, il miracolo che non c’è” (Castelvecchi).

 

 

 

 

Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un estratto del libro

Questo libro
di Sabrina Pisu

La storia di Enrico Mattei finisce, come ha scritto Enzo Biagi, «in cinque secondi, sommersi dal silenzio e dal buio, il 27 ottobre 1962, a Bascapè di Pavia». L’inchiesta della Procura di Pavia, avviata nel 1994, chiusa nel 2003 e poi archiviata nel 2005, ha stabilito che il velivolo Morane Saulnier della Snam partito dall’aeroporto di Catania, su cui viaggiava il presidente dell’Eni, è stato sabotato. Fu una bomba a mettere Mattei fuori gioco per sempre: oltre alla procura pavese, con l’indagine del pm Vincenzo Calia, lo ha stabilito, in seguito, la Corte d’assise di Palermo nel procedimento sulla scomparsa di Mauro De Mauro. Il processo sul sequestro del giornalista de «L’Ora», avvenuto il 16 settembre 1970 e il cui corpo non fu mai ritrovato, è stato riaperto, infatti, nel 2003, quando il pm Calia ha trasmesso copia degli atti dell’inchiesta su Mattei alla procura del capoluogo siciliano, intravedendo un legame tra l’uccisione del presidente dell’Ente nazionale idrocarburi e la scomparsa del cronista. De Mauro è finito nel nulla proprio mentre stava indagando sulle ultime ore trascorse in Sicilia dal numero uno dell’Eni, incaricato dal regista Francesco Rosi, che stava lavorando a sua volta al film Il caso Mattei. La Corte d’assise di Palermo, con la sentenza del 10 giugno 2011, confermata in appello, ha assolto Totò Riina, l’unico imputato ancora in vita, per non aver commesso il fatto ma, dopo aver ripercorso in modo minuzioso le indagini svolte a Pavia, ha giudicato «acclarata, a onta del tempo trascorso dalla consumazione del delitto, la natura dolosa delle cause che determinarono la caduta dell’I-Snap», ritenendo «che la conclusione rassegnata dalla procura pavese sia pienamente condivisibile, in quanto suffragata da un compendio davvero imponente di prove testimoniali, documentali e tecnico-scientifiche».

Nonostante i due accertamenti giudiziari, sono ancora in molti a ritenere che si sia trattato di un «incidente» o che «sul sabotaggio restano ancora dubbi». L’ultimo in ordine di tempo è stato Paolo Mieli nel corso della prima puntata di Mille lire al mese. Storie di uomini che hanno fatto grande l’Italia (Andata in onda il 14 marzo 2016 su Orizzonti Tv), in cui, parlando di Mattei, ha sostenuto: «L’incidente di Bascapè, non sappiamo neanche se si possa chiamare incidente o non fu un attentato, toglie di mezzo Mattei nel 1962 quando è ancora nel pieno delle sue forze e sta dispiegando la sua politica. È un danno terribile per l’Eni, per l’Agip e per l’intera economia italiana e anche per la politica italiana». Anche in occasione del centodecimo anniversario della nascita del suo fondatore, l’Eni, in un comunicato ufficiale diramato e ripreso dalle agenzie di stampa, ha continuato a definire «misteriosa» la morte di Mattei, ignorando completamente gli accertamenti giudiziari. La stessa Ansa ha rilanciato il comunicato scrivendo: «Il 27 ottobre 1962 muore in un misterioso incidente aereo in provincia di Pavia. Le autorità giudiziarie non hanno mai stabilito se si trattasse di morte accidentale o omicidio». Mattei è stato ucciso e non è stato vittima di un incidente aereo, non si conoscono i nomi dei colpevoli, una verità completa non c’è, almeno in via giudiziaria, ma ci sono sufficienti elementi per definire gli scenari e i fantasmi che aleggiano sul suo cadavere. Il dibattito storico non può e non deve essere archiviato come un caso giudiziario, perché l’attentato all’allora capo dell’ente apre un periodo nero per l’Italia, oscuro come il petrolio: nel 1969 c’è piazza Fontana, l’anno dopo, il 16 settembre, un’automobile preleva, appunto, Mauro De Mauro sotto la sua abitazione fagocitandolo in una Palermo che non lo restituirà mai. Nel 1975 a essere ucciso è Pier Paolo Pasolini: sul suo corpo, massacrato nella notte tra il 1° e il 2 novembre 1975 e trovato senza vita alle prime luci dell’alba, adagiato sulla spiaggia di Ostia, si è tentato di mascherare la verità. E cinque anni dopo, il 2 agosto 1980, una deflagrazione nella sala d’aspet to della stazione ferroviaria di Bologna ferma per sempre l’orologio alle 10.25 del mattino e con esso la vita di ottantacinque persone. Una lunga scia di sangue, silenzio e menzogne, da parte di uomini spesso appartenenti a uno Stato non in grado di processare, quando necessario, parti di se stesso.

Processo al silenzio

Il libro indaga e ricostruisce un aspetto ancora inedito della vicenda giudiziaria legata al caso Mattei, un lungo e sistematico sabotaggio della verità: i depistaggi intentati subito dopo l’incidente, durante le indagini in maniera «indiretta» e anche in seguito, quando, a verità accertata dalla Procura di Pavia sulla natura dolosa dell’accaduto, si è continuato a parlare di incidente; la stampa italiana ha schierato una parte delle sue migliori (e anche insospettabili) penne per evitare che venisse fuori una verità diversa dalla versione ufficiale o anche solo per scongiurare che qualunque tipo di ombra si allungasse sulle cause della morte di Mattei e si facesse luce sui mandanti. La parola «bomba» non piace innanzitutto all’Eni, ieri come oggi; nella pagina web ufficiale dell’ente, dedicata a Enrico Mattei, la sua biografia termina così: «Il 27 ottobre 1962 il suo aereo proveniente da Catania e diretto a Linate precipita a Bascapè (Pavia). Muoiono il presidente dell’Eni, il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista americano William McHale». «Gli aerei non precipitano senza un motivo» scriveva Giorgio Bocca parlando sempre dell’episodio. La verità, infatti, passa anche attraverso la scelta delle parole giuste, scelta basata sulla reale conoscenza dei fatti. Tullio De Mauro, il 12 giugno 2011, in un’intervista rilasciata al «Corriere della Sera» ammonisce il quotidiano stesso: «Suggerirei caldamente in futuro di non scrivere mai più “tragico incidente” parlando di Mattei. Sarebbe una pia finzione. Fu omicidio deliberato. Questa è la corretta definizione». Indignazione per i continui lapsus della stampa viene anche dimostrata dalla nipote del presidente dell’Eni, Elisabetta Mattei, che scrive una lettera al quotidiano di via Solferino, pubblicata nello spazio interventi e repliche del 16 giugno 2011. «Come il “Corriere” può parlare di “morte misteriosa” del presidente dell’Eni? Misteriosi sono i mandanti dell’attentato, non la morte. O scrivere “l’incidente le cui cause non furono mai chiarite”? È un insulto alla memoria di mio zio Enrico Mattei e all’operato encomiabile del giudice Vincenzo Calia che portando la prova dell’esplosivo collocato sull’aereo ha dimostrato che fu un attentato.»

Convinzione di chi scrive è che l’Italia debba continuare a interrogarsi sul lato oscuro della sua storia a partire proprio dall’attentato a Mattei, perché si tratta di fatti che ne hanno cambiato per sempre il volto e il corso. È un dovere civile servirsi delle «schegge di verità», come le definiva Leonardo Sciascia, di cui disponiamo, riconoscendole come tali, per mettere nero su bianco dinamiche e responsabilità, evitando così che un altro aereo cada per un «incidente» dovuto al cattivo tempo o che delle nuove penne autorevoli si spendano su qualche giornale, magari su comando, per depistare, omettere e insabbiare.

Il mio incontro con il magistrato

A Vincenzo Calia scrissi per la prima volta nel 2011 per un reportage che stavo facendo per Radio 24, durante il programma di Daniele Biacchessi L’Italia in controluce, sull’omicidio di Pier Paolo Pasolini. Mi interessava saperne di più sulla correlazione che lui per primo aveva individuato tra l’ultimo lavoro incompiuto del poeta e regista, Petrolio, e il libro Questo è Cefis di tale Giorgio Steimetz  (Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente, Agenzia Milano Informazioni, Milano 1972) alias Corrado Ragozzino.

Il grande romanzo sul potere, che Pasolini non riuscì a finire perché brutalmente ammazzato, prendeva le mosse proprio da quel volume che, gettando pesanti ombre sulla figura di Eugenio Cefis, il successore di Mattei alla guida dell’Eni, ricostruiva il pericoloso intreccio politico-affaristico-criminale dell’epoca che porterà, come si capirà solo dopo, alle bombe fasciste. In quell’occasione Calia gentilmente declinò la mia richiesta a fargli un’intervista suggerendomi, qualora avessi voluto sapere qualcosa di più, di visionare i documenti della sua inchiesta sul caso Mattei, archiviata sei anni prima. Conoscevo l’indagine per averne letto sui giornali e su alcuni libri, ma restai sorpresa dal lavoro impressionante svolto dal pm: oltre 5000 pagine, 13 faldoni, 614 testimoni e 12 consulenze tecniche. Mi colpì subito un ampio fascicolo fotografico di circa 350 immagini. Si tratta di istantanee raccolte e realizzate da polizia, carabinieri, agenzie fotografiche e redazioni di giornali, un materiale storico di grande valore e quasi del tutto sconosciuto. Ci sono i rottami dell’aereo dispersi nella campagna di Bascapè, dall’ala al serbatoio, e i rappresentanti delle istituzioni dell’epoca accorsi sul luogo della sciagura; si vedono chiaramente gli inquirenti al lavoro, gli operatori della Croce rossa che recuperano ciò che resta dei corpi delle vittime e ci sono gli scatti di alcuni oggetti personali di Mattei, come l’anello e l’orologio: tutti elementi centrali per ricostruire le modalità e le cause della caduta del velivolo – lo stato dei luoghi, la condizione e l’ubicazione dei resti dell’aereo –, e per accertare la natura del disastro.

Queste fotografie costituiscono le prove, insieme agli accertamenti tecnici e alle numerose testimonianze raccolte, che l’aereo è stato dolosamente abbattuto. Pensai subito che questo apparato meritasse di essere conosciuto e così scrissi a Calia chiedendogli se quelle immagini fossero mai state esposte. Mi rispose di no. Cominciai a lavorare, allora, a un progetto per realizzare una mostra per la quale lui si rese disponibile a fornirmi una consulenza, qualora ce ne fosse stato bisogno. Iniziai allo stesso tempo a sfogliare i documenti dell’indagine rendendomi presto conto che solo parte di essi era stata in precedenza pubblicata da scrittori e giornalisti. Molto materiale era ancora inedito. Così contattai di nuovo il magistrato, proponendogli di lavorare alla stesura di un libro sul caso Mattei. Vincenzo Calia è un professionista riservato, di poche parole, lascia che siano le sue  inchieste a parlare per lui; all’epoca delle indagini, quando veniva raggiunto dai cronisti, si chiudeva sempre dietro un «no comment», senza rilasciare mai una dichiarazione. Così, in linea con il suo rigore, mi rispose: «Lo scriva lei». «No – replicai – l’inchiesta è la sua, solo lei può raccontarla.» Così, lentamente, è nato questo volume: un progetto univoco nelle sue due parti; la prima scritta in presa diretta dal pm, che ripercorre tutte le fasi dell’indagine e che rappresenta un documento giudiziario e storico incredibile. La seconda, scritta da me, sul ruolo avuto dalla stampa nel manipolare o, nel migliore dei casi, ignorare la verità.

Il lavoro svolto negli anni dalla procura pavese, grazie all’instancabile impegno di Calia, ha squarciato il velo su un grande mistero italiano; le carte processuali, che sono alla base di questo libro, hanno un valore straordinario al di là degli esiti giudiziari, perché ci consegnano il nitido disegno politico-affaristico di un’epoca e le battaglie spietate di potere che si sono giocate sul corpo di Mattei. Solo seguendo la lunga scia di sangue che parte da allora e arriva fino a oggi possiamo realmente capire l’Italia che siamo diventati e quella che saremmo potuti diventare se alcune teste non fossero state fatte cadere. Prima tra tutte quella di Mattei, che voleva industrializzare e modernizzare il paese, come in parte è riuscito a fare, per renderlo capace di competere con le maggiori potenze mondiali. Un uomo orgoglioso della propria nazione, che sognava coraggiosa e ambiziosa, con un ruolo internazionale. La sua figura è stata e resta al centro di acute discussioni sotto il profilo dell’eticità e dell’opportunità della sua azione, tra chi la loda e chi la demonizza: questo dibattito rimane fuori dal nostro libro. Qui si perseguono la ricerca della verità e il rispetto di quella che è stata stabilita durante l’inchiesta: ed è un dovere che non esclude nessuno. Obiettivo di queste pagine è anche quello di arginare il rischio di non sorprendersi più.

Quando Mauro De Mauro sparì, Sciascia scrisse che la gente a Palermo aveva preso la sua scomparsa (era il trentesimo uomo a venire inghiottito nel nulla in dieci anni nel capoluogo siciliano) «come prende la siccità, il temporale, come un fastidioso fatto di natura». E, poi, perché i volti e le storie dei nostri grandi uomini uccisi non devono essere dimenticati. E sono tanti, con vicissitudini diverse, ma tutti legati da una vita spezzata all’improvviso; una morte «che non ha volto», come disse Moravia a proposito dell’assassinio di Pasolini nel corso del suo funerale. «L’immagine che mi perseguita è quella di Pasolini che fugge a piedi, inseguito da qualche cosa che non ha volto, è quello che l’ha ucciso, questa immagine è emblematica di questo paese.» Diamo un nome e una fisionomia a questo volto.

 

Vincenzo Calia e Sabrina Pisu, Il caso Mattei. Le prove dell’omicidio del presidente dell’ENI dopo bugie, depistaggi e manipolazioni della verità, Ed. Chiarelettere, Milano 2017_Collana: Principio Attivo_Pagine: 384_Prezzo: 18 euro

 

 

 

Ecco chi e perché nel mondo perseguita i cristiani. Intervista a Nello Scavo

 

Nello Scavo, giornalista dinchiesta per il quotidiano cattolico Avvenire, in

questo libro, Perseguitati, ci offre un documentatissimo reportage di chi in ogni angolo del mondo viene perseguitato per la sola ragione di pregare il Dio di Gesù Cristo.

I dati sono impressionanti: ll  75% delle violenze che, oggi, una minoranza religiosa subisce riguarda i cristiani. Quali le ragioni di tanto odio? Ne parliamo, in questa intervista, con lautore del libro. Il libro verrà presentato a Roma, presso il Palazzo della Cancelleria, il prossimo 28 marzo. Alla presentazione sarà presente, tra gli altri, mons. Silvano Maria Tomasi (Segretario della Pontificia Commissione Giustizia e Pace).

 

Come nasce questo libro?


Dal desiderio di conoscere e di raccontare. Dalla necessità di andare a fondo. Non mi bastavano infatti le risposte preconfezionate sulla “guerra al cristianesimo” per ragioni strettamente religiose, come se l’essenza di una religione, sia essa l’islam o certe derive del buddismo nel sudest asiatico, così come l’induismo e lo stesso cristianesimo (laddove i cristiani venivano accusati di non essere vittime ma carnefici), contenessero nel loro Dna il germe dell’odio. Così ho provato a raccontare una delle ricadute della “terza guerra mondiale a pezzi” tante volte denunciata da Papa Francesco.

Il tuo libro è davvero un grido di allarme per le enormi violazioni della  libertà religiosa che investe, ormai quotidianamente, il 60% degli Stati a livello mondiale. Puoi farci una piccola mappa dove, secondo la tua esperienza sul campo, maggiori sono le violazioni?

Secondo Open Doors International la Corea del Nord per il 15° anno di fila è il luogo peggiore al mondo dove essere cristiani. La Chiesa è interamente clandestina. C’è poi la Somalia dove gli islamici che si convertono al cristianesimo, se scoperti vanno incontro a morte certa La Chiesa è pressoché totalmente clandestina o fortemente ostracizzata anche in Paesi come Afghanistan, Pakistan, Sudan, Iran ed Eritrea. La pressione anticristiana cresce rapidamente nelle regioni del Sud-Est Asiatico e dell’Asia Meridionale. Ma fenomeni anticristiani si registrano anche alle porte d’Europa, dove centinaia di profughi cristiani incontrano enormi difficoltà a raggiungere i Paesi Ue ai quali intendono chiedere asilo.

ll  75% delle violenze che, oggi, una minoranza religiosa subisce riguarda i cristiani. Un dato impressionante. Qual è il fattore scatenante di tanto odio?

Ci sono molte ragioni, ma in generale possiamo dire che si tratta di scontri per difendere un interesse. Sia esso di tipo economico, culturale, sociale, o di “supremazia religiosa”. Il cristianesimo, infatti, non è mai privo di ricadute sociali e la novità che esso rappresenta viene spesso vissuto come una minaccia per chi ha fatto del sopruso, sotto qualsiasi forma, anche quelle apparentemente più innocue, una regola di vita.

Colpisce, nel libro, il racconto delle umiliazioni , e le violenze, che subiscono le donne cristiane…Ce ne puoi parlare?

Ho cercato di ricostruire il tariffario delle schiave sessuali cristiane, le “condizioni contrattuali”, nella compravendita delle donne, le angherie che molte sopportano spesso per proteggere i propri bambini. Ci sono casi di donne rimaste vedove e che avrebbero voluto togliersi la vita, una volta “comprate” da qualche miliziano, ma che hanno accettato il quotidiano martirio solo per non abbandonare i figli nelle mani dei mujaheddin. I maschietti vengono avviati alla “guerra santa”, quanto alle femminucce non serve immaginazione per sapere quale futuro le aspetterebbe.

Hai scritto nel libro che hai raccolto testimonianze, documenti  e atti “top secret” che confermano l’esistenza di piani per la sistematica eliminazione di comunità di credenti perché, secondo il regime, creano destabilizzazione nella società. A chi ti riferisci in particolare?

Ho rovistato nel passato dell’America Latina, trovando molte conferme sui piani anticristiani delle dittature militare spalleggiate dagli Usa. Uno spartito che non è cambiato al giorno d’oggi in molti Paesi africani, in Asia, nella penisola araba, solo per fare alcuni esempi.

Per scrivere questo libro hai attraversato le “trincee della fede”, dalla Cambogia alla Somalia, ti sei imbattuto anche negli “007 della Fede”, così li hai definiti questi uomini coraggiosi, chi sono e cosa fanno?

Si tratta di cristiani, sia cattolici che protestanti, i quali affrontano enormi rischi per far arrivare il sostegno delle comunità di credenti ai gruppi perseguitati. Tra essi persone che mettono a repentaglio la loro vita per contrabbandare copie della Bibbia da far giungere alle chiese relegate nel silenzio.

Tra tanto dolore c’è stato un episodio che ti ha destato una speranza per il futuro?

Sono molti gli episodi che danno speranza e proprio alcuni di questi mi hanno spinto a continuare nell’inchiesta e scrivere il libro. Penso ad alcuni imam che nei Balcani hanno dato accoglienza a tanti profughi cristiani provenienti dalla Siria. Penso anche a quegli islamici che in Siria stanno proteggendo i loro amici cristiani, insomma a quei “samaritani” che non si girano dall’altra parte, ma si soffermano senza fare calcoli.

Ultima domanda: In questa tuoi incontri nel dolore come viene percepito Papa Francesco? Te lo chiedo perché nei “circoli” tradizionalisti Bergoglio viene accusato di fare poco per i cristiani perseguitati. Una accusa mostruosa….
Ovunque il pontefice è percepito dai cristiani, anche da tante comunità protestanti, come un vero difensore dei diritti umani e l’unico leader in grado di agire a sostegno dei martiri del nostro tempo. Sapere che c’è qualcuno che chiede di pregare per loro, non è solo di grande consolazione, ma gli conferma di essere parte di una comunità universale.

Nello Scavo, Perseguitati, Edizioni Piemme, Milano 2017, pagg. 300. € 18, 50

Medicine e bugie. Un libro-denuncia di Chiarelettere sulle truffe mediche

Più medicine, più salute. Siamo ossessionati dal benessere e abbiamo talmente paura delle malattie (anche quelle inventate) che siamo disposti a ingerire qualsiasi pillola, e a credere a truffatori e guaritori senza scrupoli.

Bombardati da pubblicità ingannevoli, compriamo integratori di ogni specie senza sapere che per la maggior parte non servono a nulla, siamo disposti a sottoporci a esami più volte all’anno con costi elevatissimi anche quando non ce n’è bisogno, ci affidiamo a qualsiasi prodotto che sia naturale e biologico sicuri della sua efficacia, anche quando non provata scientificamente, e siamo in balia della prima novità farmaceutica che ci prometta di farci diventare più belli e più giovani. Poveri ingenui.

Ecco un libro che ci può aiutare. Di Grazia, medico di professione, combatte da anni contro truffe e ciarlatani. Riporta casi di farmaci inutili o addirittura dannosi spacciati per miracolosi, dal nuovo prodotto contro l’Alzheimer allo scandalo dell’Oscillococcinum, o di certi psicofarmaci o antidolorifici causa di morte e disturbi gravissimi. Tutto provato e documentato.

Essere informati è l’unica cura che può salvarci da facili illusioni e aiutarci a essere cittadini e pazienti più sani e consapevoli.

L’AUTORE
Salvo Di Grazia è un chirurgo specialista in Ginecologia e Ostetricia, medico ospedaliero e divulgatore scientifico. Appassionato di musica e internet. Scrive per diverse testate e siti, collabora con “Le Scienze” e “il Fatto Quotidiano”. Ha fondato nel 2008 e gestisce il blog MedBunker che è diventato con il tempo punto di riferimento sulla medicina e contro i ciarlatani della salute. Nel 2014 ha pubblicato il libro SALUTE E BUGIE (Chiarelettere) sulle terapie truffaldine.
http://medbunker.blogspot.it

Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un estratto del libro.

La truffa degli integratori alimentari
Fin da piccoli ci hanno convinto che, per stare meglio (ma se si sta già bene, perché dovremmo stare meglio?), è necessario (quasi obbligatorio) assumere vitamine, pillole e bustine. Un integratore, per legge, non può vantare effetti terapeutici (ovvero non può sostenere di «curare» o «guarire» da una malattia) e per questo ha una procedura di approvazione molto più semplice rispetto a quella dei farmaci standard. Questi ultimi, per essere venduti, devono superare molti test e autorizzazioni. Devono dimostrare di essere sicuri ed efficaci, bisogna presentare degli studi che ne attestino gli effetti e che vengono passati al vaglio degli enti preposti (in Italia l’Aifa, Agenzia italiana del farmaco, in Europa l’Ema, European Medicines Agency, negli Stati Uniti la Fda, Food and Drug Administration) e solo dopo diverso tempo possono essere messi in commercio. Gli integratori non sono sottoposti a un iter così rigoroso: basta dimostrare che siano innocui. Quando li compriamo, quindi, sappiamo semplicemente che non fanno male, ma non abbiamo alcuna certezza della loro efficacia: la maggioranza degli integratori in vendita non serve a niente. Ma allora perché hanno tanto successo? Per il solito motivo: siamo alla continua ricerca di un rimedio per i nostri problemi, veri o ipotetici che siano. Prendiamo per esempio gli antiossidanti. Non mi dite di non aver mai sentito parlare dei loro benefici, ne discutono ovunque in maniera quasi martellante. Esperti e medici sono d’accordo: per sconfiggere i radicali liberi (che tra le altre cose ci fanno invecchiare e ammalare) gli antiossidanti sono un’autentica panacea. Sono contenuti in molti alimenti (economici, come la frutta e la verdura) ma possiamo anche assumerli in pratiche capsule (acquistandole a caro prezzo, s’intende). Ma i prodotti della terra non esercitano sui consumatori lo stesso fascino di una pillola colorata, sono troppo semplici, ordinari, neanche ci sembra credibile che possano contenere sostanze capaci di contrastare l’invecchiamento e la malattia. Meglio assumere una piccola compressa che si manda giù con un sorso d’acqua, che magari contiene ingredienti dai nomi altisonanti e che evocano effetti portentosi. Noi non vogliamo stare meglio, vogliamo il miracolo. Non si spiegherebbe altrimenti il successo immotivato degli innumerevoli prodotti inutili venduti come fondamentali per la salute, e che troviamo sia in farmacia sia al supermercato. Si stima che il mercato statunitense degli integratori ammonti a oltre 30 milioni di dollari, in Italia è ovviamente più contenuto ma solo perché la nostra popolazione è numericamente molto inferiore a quella americana. Il dato è sorprendente, visto che in assenza di malattie o carenze specifiche un integratore non serve a nulla: né a stare meglio né tantomeno a guarire da qualcosa che non abbiamo. Vitamine, sali minerali, sostanze e derivati vegetali rappresentano un mercato enorme che ormai anche le grandi aziende farmaceutiche si vogliono accaparrare, e non a caso le due classi di integratori più vendute sono quelle relative ai dietetici e agli stimolanti sessuali, seguite dai prodotti per palestre. In molti di questi sono addirittura contenute sostanze tossiche e proibite, come i derivati delle anfetamine. Il pericolo si scopre solo quando si effettuano controlli mirati sul prodotto, cosa che, come abbiamo detto, non avviene prima del rilascio sul mercato. Una recente indagine giornalistica del «New York Times» ha dimostrato che molti integratori presenti sul mercato americano contenevano componenti non permesse, e peraltro non elencate tra gli ingredienti, che hanno causato gravi effetti collaterali, e che in tre quarti degli integratori a base di olio di pesce (venduti per i loro presunti, ma per niente accertati, effetti positivi sul sistema nervoso e sull’intelligenza) non era contenuto il quantitativo di omega-3 (la molecola che avrebbe l’effetto positivo) dichiarato in etichetta. Il boom dell’olio di pesce è legato anche alla prevenzione delle malattie cardiache ma, ancora una volta, non sembra esserci alcuna evidenza dei suoi effetti benefici. Non è così scontato che l’assunzione o l’integrazione (non necessaria) di una vitamina possa essere utile alla salute, anzi. Si è visto, per esempio, che l’assunzione di calcio, alla quale spesso si ricorre per prevenire i problemi ossei, non è soltanto inutile perché meno efficace di altre terapie, ma può essere anche dannosa, visto che sembra aumentare di circa il 20 per cento il rischio di problemi cardiovascolari (ictus, infarti). Lo stesso discorso si può fare per gli antiossidanti. Quelli contenuti negli alimenti sono utili, contrastano la degenerazione delle cellule e riescono persino a prevenire alcune malattie, ma quelli assunti come «medicina» non sembrano avere gli stessi effetti, anzi, alcuni studi hanno evidenziato pericolose controindicazioni: nelle cavie, per esempio, l’assunzione di antiossidanti ha causato il peggioramento del melanoma, un tumore cutaneo. Alcuni medici prescrivono integratori a base di glucosamina e condroitina, due sostanze ritenute benefiche per certe malattie osteoarticolari come l’artrite o per dolori alle ossa e altri disturbi delle articolazioni. Nonostante qualche evidenza positiva, non mancano certo prove della loro assoluta inutilità, come quelle notate nei confronti dei dolori dell’artrite: mentre un antinfiammatorio li riduceva, gli integratori di glucosamina o condroitina sortivano quasi lo stesso effetto di un placebo (ovvero una sostanza neutra, priva di qualsiasi effetto). Altri studi hanno rilevato un miglioramento lieve o moderato. Persino i noti fermenti lattici, se presi a sproposito, possono essere inutili, quando non dannosi. Si tratta infatti di batteri di vario tipo (si chiamano «probiotici») che vivono nel nostro intestino aiutandone le funzioni e che possono avere un ruolo positivo anche dal punto di vista immunitario. Sono contenuti in molti alimenti (come lo yogurt o i formaggi) e spesso sono prescritti per prevenire o curare la diarrea (come quella causata dall’uso di antibiotici). Alcuni studiosi hanno fatto notare che i benefici vantati dai probiotici presenti in alcuni alimenti sono annullati dall’eccessivo contenuto in zucchero degli stessi, che anzi finirebbe per renderli nocivi. Inoltre uno studio pubblicato sul «Lancet» ha constatato che la diarrea da antibiotici ha avuto gli stessi identici (piccoli) benefici sia dai probiotici sia da un placebo (un flaconcino di acqua zuccherata), negli individui oltre i sessantacinque anni. Questi esempi possono farci capire che se alcune vitamine o sostanze possono avere un’utilità in certe condizioni, in altre (e nella maggioranza dei casi) non servono a nulla. Pensate poi al business degli integratori in gravidanza. Alle donne in attesa viene consigliata l’integrazione con acido folico perché in grado di prevenire un grave problema alla colonna vertebrale del feto, anzi, dovrebbe essere assunto già prima del concepimento e fino all’undicesima settimana di gestazione, dopodiché la sua efficacia è trascurabile, anche perché lo assumiamo già normalmente con la nostra alimentazione. Utile può essere anche l’integrazione di vitamina D. Tutte le altre vitamine e sostanze che servono in gravidanza sono assunte con la normale dieta quotidiana che, ovviamente, deve essere ben bilanciata e varia. Eppure sono prescritti alle donne incinte svariati multivitaminici, prodotti che integrano decine di vitamine e sali minerali, componenti essenziali per la vita ma che, in una donna in salute e che si alimenta bene, non hanno necessità di integrazione o maggiore consumo. Da non sottovalutare il costo di questi prodotti, in genere elevato. Un affare per chi li produce. Eppure gli integratori rappresentano un richiamo irresistibile per il consumatore e per procurarseli non serve neanche una prescrizione, esattamente come se acquistassimo un gioco, un panino o un frutto: semplice e veloce. E sono spinti da un marketing aggressivo proprio perché prevedono un investimento molto basso a fronte di un guadagno (per il produttore) sicuramente interessante che punta sull’illusione del benessere di tutti noi. Tra i prodotti che hanno un inspiegabile successo di mercato ci sono anche le acque oligominerali (che contengono pochi sali minerali, come il magnesio, il sodio, il potassio e altre componenti normalmente presenti nelle acque potabili e fondamentali per la nostra salute). Ora, oltre al fatto che i sali minerali sono utili e non dannosi (e quindi non c’è alcun motivo per preferire un’acqua con pochi sali minerali rispetto a quella normale di rubinetto), spesso chi assume gli integratori lo fa con l’acqua oligominerale, sciogliendovi le bustine solubili o bevendone un sorso per mandar giù una pillola. Avviene dunque un fenomeno curioso: compriamo un integratore che ci fornisca sali minerali, evidentemente considerandoli utili, e lo assumiamo con un’acqua povera di sali minerali. Non siamo proprio strani noi consumatori?

Il Vocabolario di Papa Francesco, 50 voci per capire il suo pontificato

Vocabolario di Papa Francesco

Cosa ci sta dicendo Papa Francesco? A questa domanda, apparentemente presuntuosa e quasi blasfema per il Pontefice che tutti indicano come ‘mago della comunicazione’ e che punta molto sulla forza esplosiva del gesto e della testimonianza, prova a rispondere il secondo ‘Vocabolario di Papa Francesco’ pubblicato da Elledici e curato da Antonio Carriero. E’ un libro particolare per almeno due motivi: perché lo si può leggere come un vocabolario, scomponendo e ricomponendo un ordine di parole, e perché , un po’ come nelle opere enciclopediche degli illuministi, ognuna delle 50 voci è affidata ad un autore diverso, a scrittori e giornalisti che seguono il Santo Padre. Il Papa dei gesti, che sale in aereo con la valigia, che si muove su un’utilitaria, che vive a Santa Marta e festeggia gli 80 anni facendo colazione con 8 barboni di Roma, che vuole sacerdoti che ‘conoscono l’odore delle loro pecore’, cosa dice quando parla?
Per capire le sue parole, spiegano il rabbino Abraham Skorka e il pastore evangelico Marcelo Figueroa, bisogna entrare nella sua logica di dialogo, confronto, apertura, più che in un’ottica di indottrinamento ex cathedra. E’ il suo uno sforzo maieutico che non ha paura di sfidare le convenzioni e le tradizioni, che non guarda all’incasso immediato ma investe nel futuro e si spinge fino ai confini che può raggiungere l’erede di Pietro.
Confini che a qualcuno, anzi, sembrano già pericolosamente valicati, come dimostrano – per restare agli ultimi tempi – un altro libro molto interessante, quello di Aldo Maria Valli (266.Jorge Mario Bergoglio. Franciscus P.P Liberlibri, 2016) e la lettera dei cardinali Brandmueller, Burke, Caffarra e Meisner al Pontefice dopo la Amoris Laetitia e il sinodo sulla famiglia.
Dunque, il Papa al quale alcuni chiedono se è davvero cristiano, vuole, per dirla con l’arcivescovo di Manila Antonio Tegle “comunicare con tutti, senza esclusione”, “non spezzare mai la relazione e la comunicazione”, “generare una prossimità che si prenda cura” ( Il decalogo del buon comunicatore secondo Papa Francesco, Alessandro Gisotti, Elledici, 2016).

Sì, ma questo Papa che si concede ai selfie, che piace ai divorziati e ai gay, agli ambientalisti e perfino ai vegani, non riceve troppi applausi? Non è, da buon gesuita, troppo innamorato del mondo? Troppo poco rigoroso nel separare il Bene dal Male? Alla voce ‘Peccato’, Matteo Liut ci ricorda che per Francesco chi “ostenta un peccato oggettivo come se facesse parte dell’ideale cristiano, o vuole imporre qualcosa di diverso da quello che insegna la Chiesa, non può pretendere di fare catechesi o predicare, e in questo senso c’è qualcosa che lo separa dalla comunità”. Per il Papa il peccato individuale introduce un elemento di degenerazione nella società. “Insomma – scrive Liut – la verità è un bene irrinunciabile che illumina e guida la realtà concreta”. Ma il punto è che per Papa Francesco una delle verità più importanti del Vangelo è che “Dio è più grande del peccato”. Questa è la bussola di Bergoglio anche nel governo della Chiesa che, spiega Andrea Tornelli alla voce ‘Chiesa’, “non è al mondo per condannare, ma per permettere l’incontro con la misericordia di Dio”. Un’altra parola del Vocabolario, ‘Carrierismo’, di Pierluigi Mele, svela come per Francesco l’egoismo e la degenerazione dell’ambizione nel conformismo e nell’opportunismo “camminano insieme alla malattia dell’indifferenza verso gli altri”. “I recenti scandali della Chiesa sono frutto di questa logica antievangelica”. Da qui la durezza di Francesco “contro i vescovi che vivono come faraoni” e che non testimoniano la diversità del Vangelo “in un mondo dove ciascuno si pensa come la misura del tutto” e “dove non c’è più spazio per il fratello”. Nell’era della comunicazione immediata globale, dei risultati a portata di click, dei capitali senza limiti d’azione e senza confini, Papa Francesco invita a diffidare delle scorciatoie. Anche nella Fede, con la trasformazione di Maria in “capoufficio delle Poste che invia messaggi tutti i giorni”. E’ la pazienza, spiega Enzo Romeo, “l’altra faccia della misericordia, anzi la base su cui poggia”.

Altre voci del Vocabolario aiutano nella comprensione della portata della svolta impressa dal Pontificato di Francesco. Che talvolta nei telegiornali, sui giornali, perfino su Twitter ormai, sembra flirtare con il mondo così secolarizzato, lontano dall’ideale evangelico, con il relativismo che abbraccia eutanasia, aborto, maternità surrogata. E’ Francesco il Papa di una Chiesa del ‘ma anche’ che rischia, sporcandosi con la storia quotidiana, di dimenticare la Storia, la missione senza tempo del suo messaggio evangelico necessariamente netto, deciso sui ‘valori irrinunciabili’ richiamati con maggior ortodossia teologica da Papa Benedetto secondo Giuliano Ferrara?
Non servirebbero, insomma, altre parole da un Papa?
Francesco, ricorda alla voce ‘Umanesimo’ Chiara Giaccardi, continua a guardare al volto di Gesù. “Perché quello che Gesù ci mostra è un Dio ‘svuotato’: ‘Il volto di Gesù è simile a quello di tanti nostri fratelli umiliati, resi schiavi, svuotati. Dio ha assunto il loro volto. E quel volto ci guarda…Non vedremo nulla della sua pienezza se non accettiamo che Dio si è svuotato. E quindi non capiremo nulla dell’umanesimo cristiano e le nostre parole saranno belle, colte, raffinate, ma non saranno parole di fede. Saranno parole che risuonano a vuoto”. (Paolo Cappelli)

IL VOCABOLARIO DI PAPA FRANCESCO – 2

Parole profetiche per il nostro tempo

A cura di Antonio Carriero

Presentazione di Greg Burke

Prefazione di Mons. Nunzio Galantino

Postfazione di Mons. Domenico Pompili

(Editrice Elledici – Pagine 350 – € 9,90)