Il cuore nero di Brescia.Intervista a Federico Gervasoni

 

Sempre più la cronaca ci racconta un fenomeno, molto preoccupante: la presenza di gruppi neofascisti nella provincia italiana. E’ il caso, ad esempio, di Brescia. Città antifascista per eccellenza, vittima di un criminale attentato, nel 1974 a Piazza della Loggia (8 morti e oltre 100 feriti), ad opera dei neofascisti Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte. Anche in questa città si sta sviluppando questo preoccupante fenomeno. Un giovane, e coraggioso , giornalista bresciano ha indagato a lungo sui neofascismo della città e della provincia. Il suo nome è: Federico Gervasoni. Per le sue inchieste è stato minacciato pesantemente da esponenti neofascisti. Federico, cui va la nostra solidarietà, ha pubblicato un libro-inchiesta su questo fenomeno, uscito da poco nelle librerie:Il cuore nero della città. Viaggio nell’antifascismo bresciano (Ed. liberedizioni). In questa intervista ci parla del suo libro. 

Federico, parliamo un po’ di te: sei giovane, quando ti è nata la passione per il giornalismo? 

Ho cominciato nell’estate 2010, avevo diciotto anni. Tutto è nato dalla voglia di far emergere le vicende poco raccontate e in aggiunta da una forte passione trasformata successivamente in professione. Certo, a distanza di tempo dall’inizio, i sacrifici sono ancora molti, essendo io un professionista freelance, vivo dei pezzi che scrivo, lontano dalle redazioni.  

È molto importante il legame che crei tra essere antifascista ed essere giornalista. Perché, per te, questo legame è così forte? 
 

Ha influito sicuramente ciò che ho studiato e imparato nel tempo. Mi sono diplomato nove anni fa al liceo Veronica Gambara, la cui meravigliosa biblioteca è dedicata a Clementina Calzari Trebeschi, la professoressa di italiano rimasta uccisa a 31 anni il 28 maggio 1974 nella strage nera di piazza della Loggia. Oggi Brescia è città medaglia d’argento per l’eroica resistenza al nazifascismo.  

Una piccola variazione sul tema: vedi messo in pericolo, nella coscienza degli italiani, l’antifascismo? 

Il problema sta nel fatto che gli stessi antifascisti si sono praticamente estinti. La cultura civile contro ogni forma di totalitarismo è sparita mentre i ha assistito a una vasta diffusione di un’ignoranza di massa. Mi preoccupa per di più chi davanti a certi episodi di violenza si volta dall’altra parte senza denunciare. A Brescia e in provincia, il neofascismo è evidentemente presente, chi ne racconta, dà molto fastidio.  
E il mondo giovanile, dal tuo osservatorio, su questo punto (dell’antifascismo), come lo vedi? 

Per ciò che ho potuto constatare in questi ultimi anni, il mondo giovanile è poco attratto dalla politica contemporanea. Non so se si tratti di una reazione dovuta a un sentimento di sfiducia generale.  

Parliamo del tuo libro – inchiesta. Un libro importante e interessante. Un libro che ci offre la mappa (nel senso proprio dei luoghi) e dell’azioni criminose del neofascismo bresciano. Prima vorrei chiederti : come è possibile che, a Brescia, città antifascista per eccellenza, che è stata vittima di un criminale attentato, la tua città tolleri una presenza sempre più preoccupante sotto molti punti di vista? 

Il discorso è più ampio. In Italia, da diverso tempo i fascisti hanno rialzato la testa. Sono infatti alla ricerca di una legittimazione da parte dell’opinione pubblica e in parte ci sono riusciti, riaffermando le proprie idee sia nelle piazze che sul web. Il nuovo fascismo si esprime in modo disomogeneo con forme nuove rispetto a ciò che la storia ci ha raccontato sebbene le idee siano le stesse. Davanti a ciò, da giornalista mi sento in dovere di informare i lettori, ovvero i cittadini, dal rischio che questo fenomeno può causare per la nostra democrazia.  
Sappiamo, invece, che la provincia ha atavici legami con il neofascismo. È così? 

In provincia ci sono una miriade di piccoli partiti, gruppi e associazioni che si differenziano da CasaPound e Forza Nuova anche per aspetti minimi. E se molti di loro nemmeno si presentano alle elezioni, a preoccupare sono invece i singoli episodi di violenza registrati. Ho detto registrati, perché l’elenco si arricchisce anche di pericolosi e controversi episodi mai denunciati.  

Approfondiamo alcuni aspetti del libro, per esempio c’è l’incredibile e preoccupante vicenda della ricostituzione del famigerato gruppo fascista Avanguardia Nazionale, con la presenza di Stefano delle Chiaie. Come è stato possibile? 

Avanguardia Nazionale si è ormai ricostituita da quasi tre anni nella più assoluta indifferenza. I dirigenti sono rimasti gli stessi, compreso il capo Delle Chiaie. Inoltre, a fare impressione sono i volti dei giovani. Abbiamo infatti tre generazioni diverse, tutte riunite sotto la stessa bandiera, quella di un’organizzazione neofascista sciolta per legge nel 1976.  

Chi sono i gruppi protagonisti del neofascismo bresciano? Che tipo di azioni hanno compiuto? 

Oltre ai già citati Forza Nuova e CasaPound, c’è una componente bresciana chiamata Brigata Leonessa e legata a Veneto Fronte Skinheads (blitz naziskin a Como, 28 novembre 2017) che proprio lo scorso settembre è rimasta coinvolta in un’aggressione ai danni di altri giovani nel centro storico di Brescia.  

Dove avviene il reclutamento giovanile: negli stadi? Anche sul Web? 

Spesso il calcio viene utilizzato come pretesto per costruire una rete di violenza più ampia. Sia le curve degli stadi che i concerti d’area sono entrambi terreni molto fertili per la costruzione di nuove leve mentre sui Social si moltiplicano le pagine dove si incita all’odio e alla violenza in nome dell’ideologia. Soltanto su Facebook sono centinaia le pagine che fanno propaganda fascista. Per questo propongo di aggiornare le leggi Scelba e Mancino in era digitale.  

Vi sono alleanze e azioni concordate con gruppi di altre città? 

A livello calcistico assolutamente sì. Nonostante Hellas Verona e Brescia siano divisi dai colori e da una rivalità storica, ci pensa l’estrema destra con Forza Nuova e Veneto Fronte Skinheads in testa a mettere tutti d’accordo. A dimostrazione che dove il pallone separa, l’ideologia (nera) unisce.  
 

La tua città come sta reagendo? 

Io penso che Brescia non abbia bisogno di queste cose. Brescia è diventata nel tempo la città dell’accoglienza e non dello scontro. Ciò che oggi più mi preoccupa e mi riferisco ai reduci delle cene di Avanguardia Nazionale è vedere delle persone che pur avendo vissuto in prima persona le violenze e il dolore degli anni Settanta esaltano oggi le proprie gesta senza fare una dovuta riflessione. Trovo questo concetto assolutamente preoccupante perché ci riporta indietro nel tempo e finisce per mettere in discussione i principi della convivenza civile. Personalmente ho ricevuto tanta solidarietà dalla sezione provinciale dell’Anpi, una delle pochissime realtà rimaste a vigilare sui rischi del neofascismo. Ringrazio inoltre i miei colleghi che mi sono stati vicini nei momenti più difficili.  

Pensi che tutto questo sia figlio di un clima politico, a livello nazionale, che ha sdoganato atteggiamenti xenofobi di chiusura verso il diverso? 
 

Certamente. In particolare, la banalizzazione dell’estremismo nero. Il nostro ministro dell’Interno Salvini, dopo aver allontanato la Lega dal Nord, ha permesso ai fascisti del terzo millennio di CasaPound di avvicinarsi e ad alcuni persino di confluire. Bossi, da antifascista convinto, non avrebbe mai tollerato questo comportamento.  

Ultima domanda : per il tuo lavoro di inchiesta hai ricevuto minacce, intimidazioni pesanti. Continuano? 

Le intimidazioni e le minacce sono un aspetto che considero poco piacevole del mio lavoro ma che al tempo stesso non mi turba. In Italia, chi si occupa di estrema destra, sa che non avrà vita facile. Ad esempio, penso al collega di Repubblica Paolo Berizzi (attualmente sotto scorta). La maggior parte dei gruppi neofascisti, da sempre adottano infatti il metodo di delegittimare e denigrare chi ne scrive. Nonostante l’età (ho ventotto anni) e la mia condizione di giornalista precario non voglio assolutamente fermarmi.  
 

 
 

 

 

 

 

 

“Il Cardinale Martini è stato un grande maestro perché sapeva ascoltare”. Intervista ad Alberto Guasco

E’ appena uscito nelle librerie, un saggio dello storico Alberto Guasco: Martini. Gli anni della formazione (1927-1962), (Il Mulino, 2019), un testo importante per conoscere le “radici” del pensiero e dell’azione del grande Arcivescovo di Milano. Il libro  verrà presentato, oggi pomeriggio a Roma, presso la sede di Civiltà Cattolica (via di Porta Pinciana, 1) con una tavola rotonda sul tema: “Carlo Maria Martini. Formazione ed eredità”. Interverranno : Gian Maria Flick, presidente emerito della Corte terv,costituzionale. P. GianPaolo Salvini S.I., direttore emerito de La Civiltà Cattolica. P. Carlo Casalone S.I., presidente della Fondazione Martini, p .Francesco Occhetta S.I., scrittore de La Civiltà Cattolica. Per l’occasione abbiamo intervistato l’autore del libro.

Alberto Guasco, il tuo libro è un documentatissimo saggio (ricchissimo di note e fonti inedite) sulla storia della formazione di Carlo Maria Martini. Alla fine della lettura esce fuori un “ritratto” di un uomo, che per qualità umane, spirituali e intellettuali, era “predestinato” ad essere un testimone importante della Chiesa contemporanea. Ho esagerato? 

Un pochino sì. Capisco il senso della domanda, ma a me è sempre parso difficile, a ogni livello, parlare di “predestinazione”. Certo, è indubbio, ciascuno di noi possiede talenti particolari, attitudini che a un dato momento si mostrano con più o meno evidenza.

Non è detto però che giungano a maturazione. Possono anche sfiorire. Perché non accada occorrono maestri in grado di intravederle e di farle crescere: Martini ne ha avuti molti, nominati nel libro. Ma occorre anche la disponibilità a mettersi alla loro scuola, e questa non poteva che mettercela il futuro arcivescovo. Ecco qui le radici, l’impasto di quell'”edificio umano” che è stato Martini.

Mi viene da fare , anche un’altra osservazione : senza la compagnia non ci sarebbe stato Carlo Maria Martini. Voglio con questo sottolineare il fatto che la compagnia, con il suo rigore spirituale e intellettuale, ha permesso a Martini di sviluppare la sua vocazione. Nel libro è ben evidenziato l’attenzione, particolare e severa, dei superiori nei confronti del giovane Carlo Maria… È così?

Nell’ottica di prima, è esattamente così. È la Compagnia, nella persona del padre Carlo Brignone, che a 9-10 anni, gli fa la proposta vocazionale. Sono i padri dell’Istituto Sociale, che fino a 17 anni gli “provano lo spirito” per verificare che quell’ embrione di vocazione sia autentico. È la Compagnia che lo forma, che si accorge delle sue capacità e dunque gli fa saltare tre anni di formazione, tanto che nel 1952, dopo sette anni da gesuita, è già prete. Ed è sempre la Compagnia, pur tra qualche contraddizione, che lo destina agli studi  biblici a Roma. Martini è “il prodotto” della Compagnia in transizione tra Vaticano I e Vaticano II e non potrebbe che essere così.

Il libro colloca, il nostro protagonista, nelle temperie del ‘900. La guerra e il fascismo. L’Istituto Sociale, scuola dell’ alta borghesia torinese, grazie anche ai suoi professori, la educato ad essere diffidente del fascismo. È così?

Direi che è anche così. Da cardinale, Martini avrebbe ricordato il fascismo come “una grande pagliacciata, fatta di molti discorsi roboanti privi di sostanza”.

Credo che quel giudizio sia maturato nel giovane Martini a partire da diversi fattori. La passione politica di suo padre Leonardo, uomo di sentimenti liberali. L’esperienza diretta della guerra come svelamento del fascismo come menzogna. La scuola di libertà propostagli da alcuni professori di liceo. L’ancoraggio, nel crollo di tutti i poteri, alla “roccia che non crolla” della fede. Tutto ciò dentro una realtà scolastica, quella del Sociale, tendenzialmente afascista, ma pure immersa nel mare della cultura concordataria di quel tempo.

 

Guardiamo alla spiritualità che ne plasma la personalità. In questo non si può non parlare del noviziato. Da lui definito come un periodo di “formazione austerissima e liberante”. Austerissima è facile da immaginare ma, mi permetto di fare una piccola provocazione, liberante un po’ meno. In che senso lo è stata?

Sì, è un punto difficile da capire, tanto più per chi vive in una cultura come la nostra.

Riferendosi al noviziato cuneese del 1944-1946, noviziato in tempo di guerra in cui o si mangiano rane e lumache o si fa la fame, è proprio “l’austerità” la via per la libertà interiore. Il noviziato, dice Martini, è una scuola “da cui si esce avendo messo sotto i piedi ogni pretesa d’indipendenza e ogni residuo d’orgoglio”.

È il paradosso del Vangelo, in cui l’obbedienza è via di libertà. Altrimenti, parafrasando Bonhoeffer,  è solo arbitrio.

Sappiamo quanto nella formazione di un gesuita sia importante la filosofia. E sappiamo quanto era duro il percorso dell’istituto di Gallarate. I suoi professori ne parlano come di giovane dotato di mente “filosofica”. Eppure lui, uomo della Parola rigorosa, non ne ha un buon ricordo. Perché?

In realtà dobbiamo distinguere due gradi di giudizio, quello formulato  dal Martini studente in filosofia, negli anni 1946-1949, e quello formulato dal Martini già anziano, che rimedita sulla sua formazione filosofica d un tempo.

Negli anni Quaranta, negli istituti di formazione la filosofia è Tommaso. Punto. Scrivendo a casa nel 1947, il giovane Carlo Maria mostra di apprezzare il sistema del dottore angelico, perché capace di dare una “comprensione sempre più chiara di tutta la realtà”. Non è che stia mentendo, probabilmente a quei tempi lo pensa davvero. Ma quel tipo di filosofia, quel clima di rinascita neotomista, non è ciò di cui è in cerca. E che trova più in là, mettendo insieme Bibbia ed Esercizi spirituali.

Poi c’è il Martini anziano, che nel 2006 – con tutto quel che c è stato in mezzo – ripensando a quel vecchio approccio filosofico non può che riconoscervi limiti fortissimi.

Fino a definire quegli anni “una perdita di tempo ben organizzata”.

La seconda metà degli anni cinquanta e primi anni sessanta sono gli anni della svolta per Martini e lo sono anche per la Chiesa cattolica (il Concilio Vaticano II). Martini diventa sempre più “uomo della Parola”, è professore al Biblico a Roma. Qual è il contributo al rinnovamento degli studi biblici?

Entriamo di nuovo nel campo del ruolo svolto dalla Compagnia, specie dal Pontificio Istituto Biblico di Roma, al grande rinnovamento degli studi biblici, rinnovamento che contribuisce a preparare il Vaticano II e che trova entro il Vaticano II – dopo scontri furiosissimi – definitiva legittimazione.

Martini è immerso in questa corrente, formandosi (a Chieri) alla scuola di un grande protagonista del rinnovamento biblico come Silverio Zedda e (a Roma) a quella di maestri come Lyonnet, Zerwich, Vaccari e Bea.

È proprio il cardinal Bea a  preparare il terreno ideale per la crescita di nuove generazioni di biblisti come Vanhoye, De La Potterie e Martini.

Il quale giunge a Roma nel 1962 formatosi alla scuola del Biblico, aperto dell’esegesi protestante dei Cullmann e degli Aland e pronto a sfornare, nel 1966, la tesi di dottorato e a diventare, nel 1969, rettore del Biblico. Veste in cui rivitalizza anche la sede gerosolimitana del Biblico stesso.

Con la nomina a Rettore dell’istituto Biblico si compie la maturità di Martini. Da lì in poi sarà un crescendo di responsabilità. Se tu dovessi sintetizzare il dato costante del suo percorso vita , alla luce delle tue ricerche, qual è?

Lo dico con le parole di Silvano Fausti, ultimo padre spirituale di Martini: il cardinale era un grande maestro che sapeva ascoltare, anzi, era un grande maestro perché  sapeva ascoltare. In tutto il volume, lo si sente più ascoltare che parlare. Ma è in quell’ascolto, sempre concreto e mai disincarnato, che si sente crescere l’uomo della parola, della parola di senso, del potere della parola con la P maiuscola. Che è tutto il contrario della parola del potere.

I “Buchi Neri” della Lega. Intervista a Giovanni Tizian

Giovanni Tizian (LaPresse)

Giovanni Tizian (LaPresse)

Che fine hanno fatto i 48,9 milioni di euro della truffa sui rimborsi elettorali architettata da Umberto Bossi e Francesco Belsito? Perché Matteo Salvini mente quando dice di non aver mai visto un euro di quel tesoro? Chi sono i nuovi finanziatori del partito oggi? E ancora, come mai il ministro dell’Interno per sfondare al Sud si è circondato di personaggi equivoci, riciclati, ex fascisti, condannati, indagati e con parentele su cui pesa il sospetto di contiguità con la mafia? Quali segreti si celano dietro le alleanze strette dal leader della Lega con Vladimir Putin e Donald Trump?
Un libro inchiesta svela per la prima volta le trame finanziarie e politiche del partito del ministro dell’Interno. È Il libro nero della Lega, una coraggiosa ricostruzione basata anche su importanti documenti fin qui inediti. Di questo libro, uscito per Laterza, ne parliamo con uno degli autori: Giovanni Tizian. Tizian è un giornalista d’inchiesta del settimanale “L’Espresso”.

Giovanni, con il tuo libro, scritto insieme all’amico Stefano Vergine, prendete in esame alcune opacità (dalla sparizione dei 48,9 milioni di Euro di finanziamento pubblico, che, dopo la sentenza della magistratura, deve restituire ai cittadini italiani, ai rapporti con alcuni personaggi riciclati del sud Italia, fino ai rapporti con degli emissari potenti, oligarchi, del Cremlino). Tutto è documentato. Partiamo, allora, da un evento che si svolgerà a Verona questo fine settimana. Evento che ha l’appoggio, tra gli altri, del ministro leghista   Fontana e del leader Matteo SALVINI. Ebbene tra i relatori previsti c’è Komov. Costui è un emissario del potente, e inquietante, oligarca Kostantin Malofeev. Lui è un miliardario amico intimo di Putin. Che ruolo gioca nei rapporti con La Lega?
Komov è da diversi anni il rappresentante russo del World Congress of Families, l’organizzazione protagonista dell’evento che si svolgerà a Verona. Komov era presente il 15 dicembre del 2013, a Torino, durante l’incoronazione di Salvini a segretario del partito. Inoltre Komov lavora alla San Basilio, la fondazione russa creata da Konstantin Malofeev. Malofeev è coinvolto nella trattativa per finanziare la Lega con soldi russi, quella che abbiamo raccontato nel libro. Nel luglio dell’anno scorso Gianluca Savoini – ex portavoce di Salvini, attualmente l’uomo che si occupa di gestire i rapporti tra il vicepremier italiano e la Russia – era in contatto con una società petrolifera collegata a Malofeev. Si chiama Avangard oil & gas e non compare nei registri commerciali ufficiali. La sede si trova però a Mosca, al civico 31 di Novinsky Boulevard, dove sono registrate due imprese che fanno capo ufficialmente a Malofeev. Nello stesso interno dove sono domiciliate queste due aziende, il numero 1, ha sede appunto la Avangard oil & gas. Il 24 luglio del 2018 Savoini ha inviato un’offerta commerciale al direttore generale della Avangard, Alexey Mustafinov. Oggetto: la compravendita di un grosso quantitativo di gasolio. Lo stesso affare che Savoini stava trattando tre mesi dopo, il 18 ottobre, all’Hotel Metropol di Mosca.

Il Congresso Mondiale della Famiglia che negli anni è diventato una specie di “Forum” del sovranismo estremo, partecipano esponenti della estrema destra mondiale (dai russi agli americani),  quali sono i finanziatori ? Qual è il ruolo della Lega? Ovvero come s’incastra con la sua strategia?
Non sappiamo chi sono i finanziatori diretti del Congresso Mondiale della Famiglia. Di certo la Lega sarà presente al Forum con diversi suoi esponenti, dal ministro della Famiglia Lorenzo Fontana al vicepremier Salvini. La presenza della Lega non sembra legata solo al sostegno delle tesi sulla famiglia tradizionale. Il senso della presenza di Salvini e di alcuni ministri leghisti è politico. Perché le tesi del Congresso Mondiale della Famiglia – contro l’aborto, contro l’eutanasia, contro l’omosessualità – uniscono molti dei partiti sovranisti europei, e uniscono soprattutto l’establishment putiniano alla destra estrema americana, quella rappresentata da Steve Bannon.

Nel libro raccontate gli incontri di Salvini, e di un suo emissario (Savoini), con personaggi dell’entourage putiniano. Prima hai parlato di viaggi per cercare fondi per la campagna Europea per Lega. Come sono andate le cose? ci sono state “triangolazioni” opache?
Non abbiamo prove per dire che la Russia ha effettivamente finanziato la Lega, ma abbiamo diverse prove per dire che c’è stata una trattativa per finanziare la Lega con soldi russi, e che la trattativa è durata perlomeno da luglio a ottobre dello scorso anno. Prima abbiamo ricordato dei contatti avvenuti a luglio dell’anno scorso, tra Savoini e una società russa molto vicina a Malofeev. Tre mesi dopo, il 18 ottobre, abbiamo visto e fotografato Savoini seduto nella hall dell’Hotel Metropol, a Mosca, insieme a due italiani e tre russi. Parlavano di finanziare la Lega, in vista delle elezioni europee di maggio, con un escamotage: una compravendita di gasolio, 3 milioni di tonnellate metriche, vendute dalla russa Rosneft all’italiana Eni attraverso una banca europea non meglio specificata. Il tutto con uno sconto del 4 per cento sul prezzo di mercato. Sconto del quale, alla fine, avrebbe dovuto beneficiare la Lega. Questo è quello che si sono detti Savoini e le altre persone presenti al tavolo della hall dell’Hotel Metropol. E questo, indipendentemente dall’esito della trattativa, è politicamente molto rilevante perché dimostra che un importante rappresentante della Lega ha negoziato un finanziamento milionario con un Paese straniero: un fatto che è in totale contraddizione con la narrazione nazionalista, sovranista di Salvini. Che cosa avrebbe ottenuto la Russia di Putin in cambio di quel finanziamento? La sovranità dell’Italia è garantita? Inoltre va ricordato – e anche di questo diamo conto nel libro – che il giorno prima della trattativa all’Hotel Metropol, Salvini era a Mosca per un incontro organizzato da Confindustria Russia, e anche in questa occasione è successo qualcosa di molto strano. Dopo la fine dell’evento organizzato da Confindustria, Salvini è sparito per 12 ore, nessun incontro sulla sua agenda ufficiale. Noi però sappiamo che in quelle ore, la sera del 17 ottobre, Salvini ha incontrato il vicepremier del Cremlino Dymitri Kozak, che ha la delega agli affari energetici. Il 16 gennaio, ben prima prima che finissimo di scrivere il “Libro Nero della Lega”, abbiamo chiesto conto via email a Salvini di quell’incontro con Kozak, ma lui non ci ha mai risposto. Quell’incontro assume una rilevanza ancora più importante alla luce del fatto che il giorno dopo Savoini era all’Hotel Metropol a trattare un finanziamento russo per la Lega.

Cambiamo quadro. Le opacità della Lega non si fermano solo ai possibili finanziamenti esteri. C’è un “buco nero” inquietante : quello della sparizione dei famosi 48,9 milioni di Euro ottenuti dal finanziamento pubblico . Sappiamo che il partito di Salvini è stato condannato a rimborsare il malloppo allo Stato in comode rate. Come sono andate le cose?
Stiamo parlando di 48,9 milioni che dovrebbero tornare allo Stato italiano, perché sono soldi dei contribuenti ottenuti con i rimborsi elettorali. La Lega deve restituirli perché, secondo una sentenza d’appello, ha ottenuto quei rimborsi elettorali falsificando i bilanci degli anni compresi tra il 2008 e il 2010. Il problema è che quando la guardia di finanzia è andata a effettuare il sequestro, dei 48,9 milioni ne ha trovati poco più di 3 milioni.

La truffa riguarda Bossi. E Maroni e Salvini? Quest’ultimo afferma di non averli visti. Per voi le cose stanno in maniera diversa. Perché?
La truffa riguarda solo Bossi, che infatti per questo è stato condannato insieme al tesoriere dell’epoca, Francesco Belsito. Maroni e Salvini sono coinvolti perché hanno usato parte dei 48,9 milioni di euro, e lo hanno fatto quando ormai era chiaro a tutti che la magistratura avrebbe potuto sequestrare quel denaro. Salvini, in particolare, ha sempre detto che lui dei soldi della truffa non ha mai visto un euro. Nel libro pubblichiamo dei documenti ufficiali che lo smentiscono, carte che dimostrano che lui quei soldi li ha usati sapendo che erano potenzialmente frutto di truffa.

In questa vicenda vi sono potenti commercialisti legati al “cerchio magico” leghista. Chi sono?
Salvini ha scelto come tesoriere del partito Giulio Centemero, commercialista che è stato suo assistente a Bruxelles per diversi anni e che oggi è anche parlamentare della Lega. Quando Centemero ha preso in mano la gestione finanziaria del partito, ha coinvolto due suoi compagni di studio, Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, due commercialisti di Bergamo che hanno assunto molto potere all’interno delle finanze leghiste. Nel libro raccontiamo molti degli affari di questi tre professionisti, affari legati al partito ma anche affari personali. Tra questi c’è ad esempio la vicenda dell’associazione “Più Voci”, usata per incassare finanziamenti privati senza passare per le casse ufficiali della Lega, ma anche una serie di società controllate da un’anonima holding lussemburghese.

A cosa possono essere serviti, vista la condanna della magistratura, questi soldi?
Non abbiamo elementi per dirlo con certezza.

C’è una banca altoatesina che è stata oggetto di indagine. Qual è?
È la Sparkasse di Bolzano. Presso questa banca sono finiti parecchi dei fondi della Lega durante la segreteria Maroni. Soldi che poi sono stati trasferiti su conti correnti di altre banche. Qui le notizie sono di fonte giudiziaria: nell’estate del 2018 la guardia di finanzia di Genova ha perquisito alcune filiali della Sparkasse in cerca dei denari leghisti. Su questo non sappiamo altro.

Si può ipotizzare un riciclaggio in Lussemburgo?
Questa è una delle ipotesi della procura di Genova. Secondo i magistrati liguri, Maroni e Salvini hanno riciclato nel Granducato parte dei 48,9 milioni di euro della truffa. La notizia è emersa a metà giugno del 2018, poche settimane dopo che su «L’Espresso» avevamo raccontato degli affari lussemburghesi dei commercialisti di Salvini, cioè di quella serie di società controllate da un’anonima holding lussemburghese, quelle a cui accennavamo prima. Secondo gli investigatori liguri, poco dopo le elezioni del 4 marzo 2018 le autorità lussemburghesi hanno inviato alla Banca d’Italia una segnalazione per un’operazione finanziaria sospetta: 3 milioni di euro versati da una fiduciaria lussemburghese su un conto corrente italiano. Conto che i magistrati ritengono collegato alla Lega. Da qui l’ipotesi di riciclaggio. In altre parole, la procura di Genova crede che il tesoro padano, quello frutto della truffa organizzata da Bossi e Belsito, non sia stato interamente speso per attività politica, come sostengono da tempo i dirigenti della Lega salviniana, ma sia stato fatto uscire dai confini nazionali e poi rimpatriato attraverso una società lussemburghese.

Insomma l’immagine che esce fuori dal libro è quella di una organizzazione politica spregiudicata che non disdegna, anche, riciclati da altri partiti . E’ così?
Riciclati da altri partiti, ma anche politici legati alle organizzazioni mafiose. Al Sud Salvini ha imbarcato ex missini ed ex Dc. Poi ci sono quelli entrati in contatto con il potere mafioso: chi per ragioni familiari, chi per questioni di affari. I casi sono parecchi, li raccontiamo nel dettaglio nel libro, ma di certo Salvini non ha mantenuto la promessa di portare una ventata di novità al Sud, di non voler trasformare la sua Lega in un «raccoglitore di riciclati».

Ultimo punto: Voi  immaginate il “club” sovranità, un “club” non certo ricreativo, come una “piramide”. Perché? E qual è il loro ‘obiettivo distruttivo?
Dovendo riassumere il quadro delle alleanze strette da Salvini per trasformare la Lega in un partito nazionalista, sovranista, con aspirazioni internazionali, abbiamo scelto l’immagine della piramide. In cima ci sono Trump e Putin, i presidenti di Russia e StatiUniti, accomunati dall’obiettivo geopolitico di indebolire l’Unione europea, di togliere di mezzo un concorrente forte finché resta unito. Sotto il vertice, ci sono i partiti istituzionali della destra populista: il Rassemblement National di Marine Le Pen, gli austriaci dell’FPÖ, il Partito per la Libertà dell’olandese Geert Wilders, gli indipendenti belgi di Interesse Fiammingo, i tedeschi di Alternative für Deutschland, i governi dei cosiddetti paesi di Visegrad, cioè Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria. E ovviamente la Lega. In basso, ai piedi della piramide, ci sono i partiti dell’estrema destra neofascista, la manovalanza che soffia sulle periferie, che canalizza la rabbia sociale contro gli immigrati. È una catena, ognuno svolge un ruolo preciso, tutti condividono un obiettivo: destabilizzare l’Europa unita. Il problema è che da tutto questo, gli unici che possono trarre vantaggio sono quelli che stanno in cima alla piramide, cioè Russia e Stati Uniti.

PRIMA CHE GRIDINO LE PIETRE. Manifesto contro il nuovo razzismo. Un libro di Alex Zanotelli

 

Alex Zanotelli (ANSA / CIRO FUSCO)

Alex Zanotelli (ANSA / CIRO FUSCO)

Mi diranno che faccio politica?

La vita di ogni giorno è politica.

Ogni nostra scelta è politica.

Alex Zanotelli

Questo libro racconta il razzismo di ieri e soprattutto di oggi, potente macchina del consenso. Missionario e attivista – da sempre convinto che “Dio è schierato, è il Dio degli oppressi, degli schiavi, dei poveri” –, Alex Zanotelli compone uno scritto politico che non è solo denuncia del presente ma contributo essenziale di conoscenza. È il precipitato di oltre cinquant’anni vissuti fianco a fianco con gli ultimi della terra, prima in Sudan poi in Kenya, in una delle infinite baraccopoli di Nairobi. È sorprendente leggere il racconto della quotidiana distorsione dei fatti, di cui ormai siamo vittime, spesso inconsapevoli. È decisivo restituire una storia ai popoli in fuga, per capire quello che sta succedendo, perché di quella storia siamo responsabili. Ricordando la “santa collera” del pastore luterano Kaj Munk; il Sanctuary Movement che, a partire dagli Stati Uniti, ha trasformato le chiese in rifugi protetti; il primo sciopero dei braccianti africani, guidato dallo studente di ingegneria e lavoratore nei campi Yvan Sagnet, fino all’esperienza di Riace, Zanotelli, in questo libro, da oggi nelle librerie, tira le fila di un’Italia impegnata e rilancia con forza il valore politico della disobbedienza civile.

GLI AUTORI

Alex Zanotelli, nato a Livo (Trento) nel 1938, completa i suoi studi a Cincinnati (Usa) e, nel 1964, è ordinato sacerdote. Missionario comboniano, dal 1965 al 1978 vive in Sudan, dal 1978 al 1987 è direttore della rivista “Nigrizia”, nel 1988 arriva in Kenya e dal 1990 al 2002 vive a Korogocho, baraccopoli di Nairobi, un’esperienza che ha raccontato nel libro autobiografico «Korogocho. Alla scuola dei poveri» (Feltrinelli 2003). Dall’aprile del 2002 risiede stabilmente in Italia, a Napoli, nel rione Sanità, dove continua la sua battaglia dalla parte dei poveri.

La curatela di questo libro è di Valentina Furlanetto, giornalista di Radio 24 – Il Sole 24 Ore che si occupa prevalentemente di immigrazione, economia e temi sociali. Tra i suoi libri ricordiamo «L’industria della carità» (Chiarelettere 2013).

Per gentile concessione pubblichiamo un estratto del libro.

Piccola premessa

Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr), i rifugiati nel mondo sono sessantacinque milioni, l’86 per cento dei quali è ospitato nei paesi più poveri. Appena il 14 per cento si trova nell’Occidente ricco e sviluppato. Eppure l’Europa si sente sotto assedio, si sente invasa, reagisce con paura e ostilità, erge muri, srotola filo spinato, chiude i porti, respinge i migranti. Quella stessa Europa che pretende di essere l’esempio della civiltà tollera episodi di discriminazione e xenofobia. Gli italiani, emigrati negli anni in tutto il mondo, hanno dimenticato la loro storia, o fanno finta di non ricordarla.

QUESTO LIBRO

Questo libro nasce dall’esigenza di un confronto forte e deciso con il razzismo e la xenofobia che ci stanno travolgendo. Dobbiamo farlo insieme, credenti e laici, dobbiamo riappropriarci di quella che il pastore danese  Kaj Munk, luterano antinazista, ucciso come un cane nel 1944, definiva «santa collera». L’informazione deve illuminare i motivi per cui le persone scappano dal proprio paese: dittature,guerre, cambiamenti climatici, crisi umanitarie. Se l’Africa soffre è anche responsabilità nostra perché per secoli è stata depredata. E anche ora si continua: miniere da cui vengono estratti importanti minerali per le componenti hi-tech, per i nostri telefonini, per i computer. L’Onu si aspetta entro il 2050 circa cinquanta milioni di profughi climatici solo dall’Africa. E ora i nostri politici gridano: «Aiutiamoli a casa loro», dopo che per secoli li abbiamo saccheggiati e continuiamo farlo con una politica economica che va a beneficio delle nostre banche e delle nostre imprese, dall’Eni a Finmeccanica. Le chiese devono diventare luoghi di rifugio per i migranti. Nel Vangelo c’è scritto di accogliere, ma da anni esiste la Lega, è mai possibile che nessuna conferenza episcopale, un vescovo lombardo, veneto, abbiano analizzato la Lega e il suo razzismo? Tutti siamo sotto accusa per la situazione in cui ora ci troviamo, anche la mia Chiesa.

Mi appello alla marina e alla guardia costiera perché di fronte a provvedimenti come la chiusura dei porti mettano in atto la disobbedienza civile. L’Europa finora è rimasta a guardare l’enorme problema degli immigrati e non è stata in grado di mettere in campo una politica comune di solidarietà. Ha stretto un accordo scellerato con la dittatura di Erdoğan in Turchia e vuole fare lo stesso in Libia. Era facile donare per l’Africa o fare adozioni a distanza quando l’Africa era lì, lontana. Era facile dire «italiani brava gente», ma ora che questa gente viene a casa nostra ci rivela che siamo razzisti. Il nero a chilometro zero non piace. Questo svela il nostro razzismo, che nasce dal nostro senso di superiorità. Nei secoli ci siamo sentiti migliori e ci siamo identificati con la civiltà, la filosofia, il sapere, la scienza, la crescita, dopo aver attinto tante risorse dai paesi che giudicavamo non sviluppati.

Adesso che quei popoli arrivano da noi traballiamo. È semplicemente ridicolo parlare di invasione. In Europa gli abitanti sono più di cinquecento milioni e gli immigrati arrivati negli ultimi sei anni sono meno di due milioni: una goccia nel mare. Eppure ne abbiamo una paura terribile. Ieri erano gli ebrei e i rom, oggi sono i migranti e ancora una volta i rom. Il clima di odio è quello degli anni che hanno preceduto i totalitarismi. Anche la richiesta dell’uomo forte alla guida del paese è una situazione che mi ricorda l’avvento del fascismo. L’Onu informa che il maggior numero di rifugiati (86 per cento) è accolto in paesi africani e in altri paesi poveri come il Libano, dove ha trovato riparo un milione e mezzo di profughi siriani. Sono i poveri che accolgono.

Questo è il vero tramonto dell’Occidente. La fortezza Europa si manifesta come un sistema egoista dove dilaga il razzismo. In queste pagine vi voglio parlare dell’Africa, che conosco bene, perché lì ho vissuto una parte fondamentale della mia vita. È difficile che noi in Europa comprendiamo la migrazione se non conosciamo la storia degli ultimi cinque secoli, una storia che ci lega a quel continente.

È difficile e non capiamo cos’è oggi «casa loro», quanto è stata violentata e depredata. Non per sentirci in colpa, ma per comprendere le ragioni di chi fugge. Vi voglio parlare di quanto è stata saccheggiata l’Africa, di quanti conflitti in quel continente ci sono a causa delle lotte per il controllo delle ricchezze (diamanti, petrolio, uranio, coltan), di quanto di questi argomenti non si scriva e dica mai abbastanza, soprattutto sui nostri media. È necessario conoscere il presente e il passato di quei paesi per capire l’oggi. Vi voglio parlare dell’Africa, di questa terra che amo. E vi voglio parlare di quello che mi preoccupa, della situazione in Italia oggi, del dilagare di sovranismo e razzismo, delle promesse tradite dell’Europa e del vento di rancore e odio che rischia di intossicare il nostro paese e riportarlo agli anni Trenta del secolo scorso. E di come ci si debba mobilitare per evitarlo. Vi voglio raccontare di tutto questo, ma prima voglio parlarvi del sale.

 

PRIMA CHE GRIDINO LE PIETRE

di Alex Zanotelli

a cura di Valentina Furlanetto

Manifesto contro il nuovo razzismo

Chiarelettere, Milano 2018, pp. 160, prezzo 15 euro

“Il dossier Viganò è un attacco ai fondamenti della Chiesa”. Intervista ad Andrea Tornielli

Il tentato “golpe” contro Francesco esplode come “bomba mediatica” a Dublino, durante la richiesta di perdono alle famiglie delle centinaia di minori e seminaristi abusati dal clero irlandese. È la denuncia dell’arcivescovo Viganò, che coinvolge gli entourage di ben tre Pontefici e che accusa Francesco di aver coperto il cardinale pedofilo McCarrick. Ma la bomba è solo la deflagrazione più forte e recente di una guerra intestina che si combatte fin dal primo giorno di elezione di papa Francesco: una battaglia senza esclusione di colpi tra  gruppi di potere, fra curia vaticana e conferenze episcopali del mondo, fra ultraortodossi e riformatori. Un libro scritto, appena uscito nelle librerie,  da due bravi vaticanisti, Andrea Tornielli e Gianni Valente, dal titolo “Il giorno del giudizio” (Ed. PIEMME, pagg. 288, euro 17, 90) smaschera la grande menzogna del dossier Viganò. Un’inchiesta esclusiva con testimonianze sorprendenti e “gole profonde”. Cosa sta accadendo in Vaticano? Ne parliamo, in questa intervista, con Andrea Tornielli, vaticanista del quotidiano La Stampa e coordinatore del sito “Vatican Insider”.

 Andrea Tornielli, il tuo libro, scritto insieme a Gianni Valente, smaschera il grande inganno che si nasconde dietro il famigerato dossier Viganò. Un documento scritto dall’ex Nunzio apostolico negli Usa,  l’Arcivescovo Carlo Maria Viganò, per screditare Papa Francesco accusandolo di aver coperto il cardinale americano Theodore Mc Carrick, pedofilo e abusatore sessuale seriale di giovani seminaristi. L’attacco di Viganò al Papa si spinge fino alla richiesta di  dimissioni per papa Francesco. Insomma quello di Viganò è un attacco “demoniaco” alla Chiesa?

Il demonio è il  “Grande accusatoreˮ della Chiesa e lavora quotidianamente per dividerla. Il dossier Viganò e tutta l’operazione politico-mediatica che lo sostiene, arrivando a chiedere l’impeachment del Papa (cosa che non ha precedenti nella storia recente della Chiesa) ha questa caratteristica. Un arcivescovo viola tutti i giuramenti che ha fatto e costruisce un dossier con elementi veri, ricordi labili e veri e propri omissis interessati al solo fine di mettere in stato d’accusa il Successore di Pietro. Mostrando così di non conoscere nemmeno il Codice di Diritto canonico: l’unica condizione perché la rinuncia di un Papa sia valida è che questa rinuncia sia data in modo assolutamente libero. Fare pressioni perché si dimetta è il modo per invalidare un’eventuale rinuncia. Inoltre è del tutto evidente l’assoluta strumentalità dell’operazione Viganò, che cerca di scaricare solo su Francesco ogni responsabilità sulla gestione del caso McCarrick, dimenticando che Papa Bergoglio è stato l’unico Pontefice a sanzionare in modo duro l’ormai ex cardinale togliendoli la porpora, come nella Chiesa non accadeva da ormai 91 anni.

Una piccola parentesi: perché questo titolo?

Perché crediamo che sia purtroppo in atto, in alcuni settori della Chiesa, una sorta di mutazione genetica, che porta persino vescovi a scambiare la Chiesa stessa con una corporation, con un’azienda, e a considerare il Papa come un amministratore delegato sottoposto al voto degli azionisti. Un segno preoccupante dei tempi che viviamo.

Torniamo al libro . Viganò nel costruire la “grande menzogna”, contro Papa Francesco, manipola la realtà dei fatti. Coinvolge, nel suo Dossier, anche gli immediati predecessori di Papa Francesco:  quelli di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Su di loro Viganò ha, però, un atteggiamento  diverso. È così?

Sì, e questo è sorprendente per chi cerchi di ricostruire i fatti senza pregiudizi, senza quei pregiudizi anti-Francesco di cui sono disseminati tanti articoli prodotti dalla galassia politico-mediatica antipapale negli Stati Uniti e in Italia. C’è un Papa, Giovanni Paolo II, che ha promosso per quattro volte McCarrick. C’è un altro Papa, Benedetto XVI, che di fronte ad accuse e denunce, ha accolto le dimissioni di McCarrick senza lasciarli completare la proroga di due anni e poi ha cercato di limitarne i movimenti con delle istruzioni che non erano sanzioni. McCarrick per tutto il pontificato di Benedetto XVI, nonostante le istruzioni ricevute, ha continuato a viaggiare, a presiedere celebrazioni, persino a visitare il Vaticano e a incontrare di fronte a tutti quel Papa che aveva dato il suo assenso alle istruzioni contro di lui. Dunque per non creare scandalo Benedetto XVI e i suoi collaboratori hanno deciso di non procedere con sanzioni vere e proprie, e soprattutto di non pubblicare alcuna istruzione o restrizione. E infine c’è un Papa, Francesco, che non ha modificato in alcun modo le istruzioni date dal predecessore, ma che ha tolto al quasi novantenne pensionato McCarrick la porpora, come non accadeva da 91 anni nella storia della Chiesa. Attenzione però: tutti questi fatti non significano affatto che si vuole gettare responsabilità sui Papi del passato. McCarrick è stato abilissimo e intelligentissimo nel difendersi al momento della nomina a Washington, è una personalità poliedrica, con grandi relazioni bipartisan nel mondo politico, ed è stato anche un grande fundriser, un grande raccoglitore di soldi. Giovanni Paolo II ha nominato migliaia di vescovi, in questo (come in altri casi) è stato indotto a commettere degli errori. Ma è davvero assurdo scaricare la colpa su Francesco, come fa Viganò, presentando Papa Wojtyla come un Pontefice molto malato e dunque succubo dell’entourage già cinque anni prima della morte: questo semplicemente non è vero. E anche Viganò lo sa bene. Stupisce poi che nell’elenco di persone coinvolte egli ometta il nome del più stretto e influente collaboratore di Giovanni Paolo II, il suo segretario, il vescovo Stanislao Dzwisiz.

Non mancano, nella diffusione della “grande menzogna” di Viganò, i complici quali sono?

 Viganò ha avuto il supporto previo e poi l’assoluto sostegno nell’operazione da parte di una galassia politico-mediatica, da TV, giornali, giornali online e blog antipapali, che in questi ultimi anni, si sono specializzati nell’attacco quotidiano al Pontefice, qualunque cosa faccia o dica, spesso mettendo in pagina un’immagine della realtà falsata e strumentale ignorando volutamente il magistero di Francesco. Si tratta, in alcuni casi, di media che sono sostenuti da ambienti i quali sono poco interessati alle questioni dottrinali ma sono molto impauriti dal messaggio dell’attuale Papa sui temi dell’economia, della finanza, del traffico di armi, dell’ambiente, delle migrazioni e della povertà. Non è nel mio stile fare nomi e dunque mi fermo qui.

Sappiamo che il documento di Viganò è stato  bene accolto dagli ambienti anti Francesco europei e americani . In particolare vi soffermate , giustamente ,su quelli Americani . Un mondo fatto di collusioni tra ambienti ecclesiali, politici e la grande finanza. Quali sono i loro obiettivi politici e non solo?

Questi ambienti non sopportano che ci sia un Papa divenuto un’autorità mondiale credibile sui temi della Dottrina sociale. Francesco con i suoi interventi e le sue encicliche – pensiamo alla Laudato si’ – ha posto una domanda seria sulla sostenibilità dell’attuale modello economico-finanziario, chiedendo a tutti di considerare dei rimedi. Ha indicato per la prima volta lo stretto collegamento che esiste fra problemi solitamente considerati slegati, quali la crisi ambientale e la difesa del creato, le guerre, la povertà, le migrazioni, il sistema economico-finanziario. Questo fa paura, perché certi poteri non sopportano che si sollevino queste domande e preferiscono farci credere che viviamo nel migliore dei sistemi possibili, anche per la fede cristiana, e che al massimo bisogna insegnare alla gente ad essere onesta. Francesco ha invece mostrato come esistano dei problemi strutturali. Ci sono quelle che già Giovanni Paolo II nella Sollicitudo rei socialis (1987) chiamava «strutture di peccato».

Nel libro prendete in esame l’inquietante “Red Hat Report” (“Rapporto berrette rosse”). Che cosa è esattamente e quali finalità si propone? Chi vuole colpire?

Il Red Hat Report è soltanto uno – il più inquietante al momento – dei fenomeni che mostrano come vi siano laici e anche vescovi, purtroppo, che confondono la Chiesa con una corporation pensando che pulizia e lotta alla corruzione verranno da norme aziendalistiche sempre più precise. Ma questa è soltanto la parte per così dire più “nobileˮ dell’operazione. C’è anche un evidente intento di pilotare il prossimo conclave sulla base di dossieraggi resi pubblici e che hanno già preso di mira il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato.

Nel libro ricordate le battaglie di Benedetto XVI e di Francesco contro la pedofilia. Un cancro mortale, la pedofilia, per la Chiesa.  Papa Francesco lega la sua lotta contro l crimine della pedofilia alla lotta contro il clericalismo . Perché? Si ha consapevolezza di questo nella comunità cristiana?

Manca ancora una coscienza diffusa. Francesco sostiene, a ragione, che ogni abuso sessuale commesso da un chierico su un minore o su un adulto vulnerabile ha un’origine nel clericalismo e si configura sempre prima come abuso di potere e di coscienza. Non servono chissà quali studi per comprenderlo: il prete abusatore esercita un’influenza sul minore o sull’adulto vulnerabile. Lo stesso McCarrick era il vescovo dei seminaristi e dei giovani preti (tutti adulti) che si portava alla casa al mare. Esercitava su di loro un potere e un’influenza. Non si possono presentare come «relazioni omosessuali» alla stregua di quelle tra due persone adulte, libere e consenzienti. Mi sembra persino lapalissiano. Eppure il dirlo scatena la reazione della galassia politico-mediatica antipapale, che ripete ossessivamente: il problema non è il clericalismo ma l’omosessualità.

Nella Chiesa cattolica c’è la grande questione dell’omosessualità. Un tema difficile per la Chiesa…E’ così? 

È un tema sensibile. Purtroppo la selezione nei seminari in questo senso ha lasciato molto a desiderare e si sono ordinati preti persone che non avevano una sessualità risolta e una capacità di vivere il celibato. Ma si stanno facendo dei passi significativi in questo senso. Mi colpisce un fatto: coloro che oggi gridano «al lupo!» per l’omosessualità nella Chiesa sono gli stessi che fino a qualche anno fa vedevano come fumo negli occhi il ricorso a psichiatri e psicologi nei seminari. Una delle accuse che qualcuno dal Vaticano faceva all’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio era di usare troppo gli psichiatri nel seminario di Buenos Aires. Colpisce che oggi siano proprio coloro che non volevano queste consultazioni ad accusare il Papa per l’omosessualità nella Chiesa.

Insomma il documento di Viganò non ha fatto che aumentare, in certi ambienti conservatori,  la mondanissima voglia di potere e di rivincita. Un pretesto per  una pesante operazione di lobbyng . Quella degli oppositori di Francesco assomiglia alla Chiesa del “Grande inquisitore” di Dostoevskij.  Una  Chiesa, questa si, rassicurante. Come pensi che si svilupperà il cammino di Francesco? Per gli oppositori non ha più niente da dire…. 

Non sono in grado di dirlo. Di certo c’è chi vuole trasformare la Chiesa in un grande unico tribunale; chi si mette sul piedistallo e accusa gli altri di essere corrotti presentandosi come l’unico puro (peccato anche nel caso di Viganò questo non sia poi così vero); chi cerca salvezza e riparo nelle norme di comportamento, nei codici etici e aziendali sempre più precisi. La risposta che ci offre Francesco e che prima di lui ha offerto Benedetto XVI è un’altra e ha a che fare con la fede cristiana: siamo tutti poveri peccatori, tutti bisognosi di aiuto, perdono, misericordia. La risposta più vera è quella della preghiera, della penitenza. Mi ha colpito che Francesco si sia rivolto al popolo di Dio invitandolo a pregare il rosario invocando anche san Michele arcangelo contro il demonio, il “Grande accusatoreˮ che vuole dividere la Chiesa. Per fortuna che per gli oppositori – ma anche per certi fan che hanno cercato e cercando di appiccicargli la loro agenda – Francesco non ha più niente da dire. Perché significa, invece, che ha davvero molto da dire e da testimoniare, riportandoci all’essenziale della fede cristiana