IEO, un’eccellenza italiana alla lotta ai tumori. Nuove prospettive di cura con la Precision Medicine . Intervista a Virgilio Sacchini.

Virgilio SacchiniIl suo è uno dei “rientri di cervelli” più importanti avvenuti in questi anni.
Parliamo di Virgilio Sacchini, oncologo e chirurgo di fama mondiale, che nei prossimi giorni farà ritorno, dopo una lunga esperienza negli Usa, a Milano all’ IEO (Istituto Europeo Oncologico) fondato da Umberto Veronesi. E’ una bella notizia per i pazienti e per la ricerca italiana. L’allievo di Veronesi, infatti, è il massimo esperto di tumori al seno. Quali le motivazioni del suo rientro in Italia? Come si svilupperà la sua azione? Quali le nuove prospettive di cura? Ecco le sue risposte:

Che cosa ha spinto uno scienziato così affermato come lei a lasciare un centro di assoluta eccellenza mondiale, il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York e a far ritorno, dopo 16 anni, a Milano?

In realtà sarò sempre parte del Memorial Sloan Kettering Cancer Center, con cui si instaurerà un’importante collaborazione clinica e scientifica.
Quindi, il mio ritorno in Italia non coinciderà con uno strappo definitivo con l’università americana. Sarò sempre docente della Cornel University e apparterrò sempre allo staff del Memorial, con la mia presenza periodica presso queste Istituzioni, in modo da consolidare l’asse Memorial-Sloan Kettering e IEO (Istituto Europeo Oncologico). Ciò permetterà lo scambio di protocolli di trattamento e di sperimentazione più avanzati nel mondo.
Il Memorial Sloan Kettering è considerato una delle migliori istituzioni al mondo per la cura e la ricerca dei tumori.  La scelta di tornare all’IEO è dovuta al fatto che si tratta di un’istituzione d’eccellenza europea, che si avvicina molto al modello del Memorial. C’è una ricerca di base molto forte, con una produzione scientifica tra le più importanti del mondo. Ci sono ricercatori impegnati a capire meglio i meccanismi biochimici della progressione cellulare tumorale. Penso che si possa facilmente organizzare una ricerca traslazionale veloce ed efficace nell’interesse dei pazienti.

Lei andrà a dirigere il programma senologico dell’IEO, un’eccellenza italiana nella lotta ai tumori, fondato da Umberto Veronesi, di cui lei è stato allievo. Come si svilupperà la sua azione? Porterà delle innovazioni?

L’aspetto strategico più importante in questo momento è la stretta interazione tra ricerca di base e ricerca clinica. L’obiettivo prioritario nella ricerca sui tumori in questo momento è il raggiungimento di un’eccellente ricerca traslazionale che, in poche parole, significa trasferire il più in fretta possibile i risultati della ricerca di base – la ricerca molecolare sulle cellule tumorali – in modo che il paziente possa beneficiare delle conoscenze acquisite con la ricerca sperimentale. Il Memorial Sloan Kettering ha sviluppato un ottimo programma di ricerca traslazionale, con una cooperazione molto stretta tra i biologi e i medici curanti, per sperimentare nuove terapie e nuove tecniche diagnostiche.
Per il tumore della mammella, il Memorial è stato pioniere nella determinazione genetica dello sviluppo dei tumori, per identificare le pazienti a rischio da sottoporre ad una speciale sorveglianza o a chirurgia di riduzione del rischio. Dal punto di vista diagnostico, il Memorial è stato uno dei primi istituti al mondo a sviluppare la Risonanza Magnetica come indagine diagnostica selettiva. Dal punto di vista farmacologico numerosi sono i protocolli in atto con nuovi farmaci e vaccini.
L’ambizione non sarà solo di ricerca, ma anche clinica. Il Memorial è una delle migliori istituzioni al mondo per la cura del tumore della mammella, con una delle probabilità di sopravvivenza più alte negli Stati Uniti, e ciò grazie all’esperienza ma, soprattutto, alla pragmaticità con cui vengono condotte le varie fasi del percorso, dalla diagnosi alla scelta dell’intervento e ai trattamenti successivi. Tutto avviene secondo protocolli consolidati e sistemi di predizione del rischio futuro che ci consentono di modulare i trattamenti oncologici.

Lei, recentemente, ha affermato che a Milano nei prossimi dieci anni si giocherà la sfida italiana contro il cancro. Come giudica il livello attuale della ricerca italiana contro i tumori?

I ricercatori clinici italiani vantano una professionalità e una preparazione eccellenti ed è per questo che siamo richiesti in tutto il mondo. In Italia, però, si fatica molto di più, perché bisogna sopperire alla riduzione delle risorse e alle carenze del sistema. I professionisti sono sicuramente sottoposti ad uno stress maggiore che in passato. In questo momento si trovano tra “l’incudine ed il martello”, tra un sistema che, senza colpa, li sta limitando, e un’ utenza – il cittadino – che ha, giustamente, grandi aspettative, spesso fomentate da informazioni irreali e demagogiche. Penso veramente che il cittadino in questo momento debba rendersi conto che non può avere tutto e sùbito, magari gratuitamente, e che la medicina sia onnipotente. Quello che invece deve pretendere è di il massimo in fatto di trattamento, lo stato dell’arte della diagnosi e della cura: il cosiddetto Gold Standard.
È importante implementare sempre di più i controlli di qualità per limitare quanto più possibile gli errori medici, che sono una causa molto importante dell’insuccesso dei trattamenti.

Parliamo della nuova frontiera della ricerca medica: la medicina di precisione. Una frontiera che aprirà scenari positivi per la cura contro i tumori. In che cosa consiste questo nuovo approccio?

La Precision Medicine è vista come una rivoluzione nel campo della scienza medica. Si basa essenzialmente sulla sequenza del DNA, con l’identificazione delle mutazioni geniche. Le moderne tecnologie bioingenieristiche computerizzate utilizzate per l’elaborazione dei dati e l’abbattimento dei costi nello studio della sequenza del DNA permettono di studiare il genoma di ogni individuo e dei singoli tumori per poter meglio individuare predisposizione alle malattie e mettere a punto farmaci più specifici per prevenirle e combatterle.
Sappiamo, ad esempio, che l’Aspirina è in grado di diminuire il rischio di tumori del colon, ma la Precision Medicine ci dice che soggetti con alti livelli di 15-hydrossiprostaglandina (dovuti a mutazione genica) hanno il miglior beneficio dall’assunzione di questo farmaco.
Nel prossimo futuro il trattamento di una malattia potrebbe essere completamente diverso in funzione del genoma dell’individuo. Potrebbe trattarsi di una vera e propria rivoluzione nel modo di curare e nel modo con cui i governi dovranno organizzare la sanità pubblica. L’attenzione alla Precision Medicine è così notevole che per il 2016 il governo americano ha stanziato 210 milioni di dollari per la ricerca in questo campo, un impegno paragonabile al National Cancer Act promulgato da Richard Nixon nel 1971 per destinare notevoli risorse contro questa malattia, e che ha portato ad importanti progressi nelle cure negli ultimi 45 anni. È probabile che possa essere la mazzata finale a questa terribile malattia.
In particolare, si vogliono potenziare soprattutto gli studi sulla Precision Medicine in oncologia, che consentirebbero di definire terapie più mirate, trovare farmaci con minori effetti collaterali e maggiori probabilità di successo.
I tumori, anche di uno stesso organo, sono genomicamente diversi, cioè provocati da geni mutati diversi. Ogni mutazione richiede trattamenti specifici.
Il trattamento mirato con farmaci biologici dipendente dalle mutazioni del tumore è già una piccola realtà, nello specifico per alcuni tumori come quello della mammella, la leucemia mieloide, alcuni tumori del colon e del polmone. Ma non è abbastanza. Bisogna potenziare all’estremo questo meccanismo di cura.
Quello che si vuole fare è trovare sempre più mutazioni nel DNA tumorale responsabili di processi metabolici specifici che possono essere interrotti da farmaci specifici. Così facendo si ridurrebbe molto l’empiricità con cui vengono fatti attualmente i trattamenti. Pensiamo alla chemioterapia, che spesso viene fatta alla cieca, senza sapere se funzionerà, aspettando tre o quattro mesi per vedere i risultati, che spesso sono deludenti e con notevole tossicità per il paziente.
L’analisi genetica ci potrà dire a priori quale sarà il successo del trattamento specifico. Ormai sappiamo che le cellule tumorali possono creare nel loro DNA altre mutazioni, con nuove catene metaboliche che possono bypassare il blocco metabolico attuato dal farmaco. La genomica ci da la possibilità di verificare continuamente le nuove mutazioni che il tumore può formare, e quindi di cambiare farmaco in funzione delle stesse.
Il Memorial Sloan Kettering è scientificamente impegnato nel progetto della Precision Medicine con la possibilità di studiare 516 geni correlati ai tumori, con tentativi di personalizzazione dei trattamenti. L’ambizione è poter determinare queste mutazioni tumorali nel DNA che circola liberamente nel sangue. Le cellule tumorali mettono in circolo DNA che è possibile isolare e sequenziare con tecniche molto complesse, ma già disponibili. Basterà un prelievo di sangue per poter verificare se il tumore è stato completamente debellato o se è ricomparso con nuove caratteristiche che richiedono nuovi farmaci specifici. Ma si vuole fare di più: il tumore, quando nasce, potrebbe già immettere DNA tumorale nel sangue, che un semplice esame del sangue potrebbe evidenziare, consentendo una diagnosi estremamente precoce ed aumentando incredibilmente le possibilità di cura. Sembra un’idea fantascientifica, ma in realtà stiamo già studiando al Memorial Sloan Kettering correlazioni tra DNA mutato e piccoli tumori mammari, in modo da avvalorare questa ipotesi.
Apparentemente questa medicina può sembrare più costosa, perché le sequenze del DNA sono ancora costose, ma negli anni si è avuto un abbattimento incredibile nei costi grazie alla tecnologie più avanzate. Nel 2001 il costo dell’intera sequenza del DNA è stato di cento milioni di dollari, per diventare di dieci milioni nel 2007, centomila nel 2009, diecimila nel 2011 e cinquemila nel 2014. Le previsioni sono che entro qualche anno sequenziare l’intero genoma potrebbe costare qualche centinaio di dollari.
In un momento come questo, in cui si discute molto sulla spesa sanitaria nazionale e sugli esami inutili e costosi, questa metodica potrebbe completamente rivoluzionare la medicina, sostituendo esami complessi e spesso non specifici con un esame del sangue, selezionando poi un minor numero di pazienti per esami diagnostici o di screening.
Naturalmente, il numero di guarigioni, la minor tossicità dei trattamenti, la migliore qualità della vita in generale non hanno prezzo.

È possibile utilizzare la “medicina di precisione” anche per altre patologie?

Questa è la finalità. Ad esempio, l’ipercolesterolemia (che non è una malattia, ma un fattore di rischio) potrà essere trattata in modo diverso a seconda dei geni coinvolti.

Torniamo per un attimo alla ricerca italiana in ambito medico. Qual è il gap più grave, e come superarlo?

Il gap principale sono le risorse. La ricerca costa e i ricercatori hanno il diritto di vivere in modo dignitoso. Con le stesse risorse che si hanno in America, la ricerca italiana sarebbe esplosiva e, a mio avviso, determinante per sconfiggere il cancro una volta per tutte.

Ultima domanda: quale messaggio vuole dare ai giovani ricercatori italiani che hanno lasciato il nostro paese?

Mantenere il rapporto con il nostro paese. La tecnologia ci consente di scambiarci dati e immagini in tempo reale e, in definitiva, lavorare in un laboratorio nel Minnesota è come lavorare dietro casa in Italia (purtroppo, però, senza l’affetto della famiglia e senza le nostre bellezze italiane). Certamente, se si ha l’opportunità di tornare, bisogna farlo con entusiasmo, per cercare di portare la nostra esperienza positiva in Italia, soprattutto con un atteggiamento di lavoro di squadra e voglia di produrre, evitando il tipico fazionismo italiano, cioè la formazione di gruppetti antagonistici che si fanno la guerra, quello che io definisco la “politicizzazione” della ricerca e della medicina.