Quali sono i possibili sviluppi del grande caos siriano? Ne parliamo, in questa intervista, con Marina Calculli. Marina Calculli, è politologa e specialista di Medioriente presso il St Antony’s College dell’Università di Oxford e all’Istituto Universitario L’Orientale di Napoli. Ha pubblicato: Esilio Siriano (con Shady Hamadi) e Terrore Sovrano (con Francesco Strazzari)
Lo scenario siriano è sempre più complicato. Come stanno procedendo colloqui di pace, sulla Siria, ad Astana in Kazakistan?
Pur essendo partiti con grande entusiasmo, i negoziati non hanno prodotto risultati significativi. Permane, in particolare, molto scetticismo da parte dei ribelli anti-regime che non si fidano né della Russia né del regime siriano. Nell’ultimo round, inoltre, sono emerse divergenze anche tra la Russia e il regime di Asad stesso circa la discussione del testo di una nuova costituzione. L’unica cosa che sembra tenere per ora è l’accordo tra Russia, Turchia e Iran sulla data dei nuovi round negoziali all’inizio di maggio. Ma anche i rapporti tra i tre sponsor di Astana sono fragili. In particolare tra Russia e Turchia le relazioni potrebbero nuovamente deteriorarsi sulla questione curda. I russi – pare – sono ritornati a sponsorizzare più o meno indirettamente i ribelli curdi, dopo aver dato parvenza, per poco tempo, di fare il gioco di Ankara.
E’ sempre più evidente il ruolo egemonico della Russia nello scacchiere siriano, non solo sul piano militare ma anche diplomatico, alcune fonti affermano che anche la Russia parteciperà ai dialoghi infra-siriani di pace ad Astana, quale obiettivo della Russia?
La Russia è un alleato storico della Siria e, attraverso la guerra in Siria, ha cercato di recuperare una posizione di influenza in Medio Oriente, perduta durante e soprattutto dopo la fine della Guerra Fredda. L’aspetto più importante da monitorare è l’aspetto militare – perché è la spia del disegno di lungo periodo che Mosca ha sulla Siria. Preziosa per la Russia è la base navale di Tartous, ma anche la base aerea di Latakia, nella zona controllata dal regime. A Marzo 2017 i ribelli curdi hanno detto che la Russia starebbe costruendo una base nel nord del paese contro l’ISIS. Anche se Mosca ha smentito questa notizia, è evidente che la Russia sta cercando di influenzare diversi attori del conflitto – non solo il regime, ma anche i curdi, in modo da poter accrescere il suo potenziale negoziale con la Turchia, con gli Stati Uniti e con l’Iran.
Washington, per alcuni osservatori, rimane fedele al principio strategico per cui la Siria è cruciale solo in funzione dei propri interessi in Iraq, conferma di voler lasciare a Mosca la guida della risoluzione del conflitto tra regime di Damasco e opposizioni, mantenendo però un ruolo di primo piano nell’altra guerra, quella contro l’Is e che si svolge in un’area strategicamente più importante in funzione irachena: l’est siriano. E’ così secondo te?
Per gli Stati Uniti la guerra in Siria non ha mai rappresentato una reale priorità strategica. Per questo, il ruolo della Russia non è visto come un reale competitor. Anzi, seppur con molte incognite, da un punto di vista realista la Siria potrebbe essere nella prospettiva americana, la patata bollente lasciata in mani russe – un modo per indebolire indirettamente la Russia nel lungo periodo. Neppure lo ‘Stato Islamico’ rappresenta una reale minaccia strategica, ma piuttosto una minaccia simbolica. Sconfiggere lo Stato Islamico militarmente a Mosul e a Raqqa serve più a costruire l’immagine di un successo internazionale per l’America, dopo i disastri della politica estera statunitense dall’inizio della guerra al terrore. Ma la presa di Mosul e Raqqa difficilmente sconfiggerà la forza comunicativa del progetto del Califfato, e questo forse lo sanno anche i generali americani. Il paradosso della guerra al terrorismo è che ha prodotto una proliferazione del terrorismo. Lo strumento militare, l’enfasi sulla sicurezza – che è sempre e comunque un business – è un palliativo che compensa l’assenza di una strategia politica.
Una cosa appare chiara: che dietro la guerra al fantomatico “Stato Islamico” c’è, ed è in atto, la spartizione della Siria in zone d’influenza per Usa, Russia e Turchia. Resta il punto dei curdi. La Turchia di Erdogan non accetterà mai uno Stato curdo…Pensi che la Russia lo imporrà ad Erdogan?
Non dimentichiamo l’Iran tra gli stati che si stanno spartendo le sfere influenza in Siria, oltre a Turchia, Russia e Stati Uniti… Il problema curdo è certo un problema enorme per la Turchia. Ma i curdi hanno diversi e forti alleati – a partire dagli USA, ma anche la Russia. E’ molto difficile che la Turchia di Erdogan possa un giorno accettare uno stato curdo. Certamente i partner internazionali dei miliziani dello YPG sono tali perché i curdi sono strategicamente i migliori per portare avanti la campagna contro lo ‘Stato Islamico’. Sarei cauta, tuttavia, sia nel parlare di “alleanze” vere e proprie o di promesse vincolanti. I curdi, dal loro canto, stanno cercando di conquistarsi la legittimità morale per rivendicare uno stato, proprio attraverso il loro impegno oggettivamente efficace nella lotta allo Stato Islamico.
L’Unione Europea, la “bella addormentata”, non ha nulla da dire in tutto questo?
L’Unione Europea c’è come attore umanitario, seppur con una burocrazia così pesante che spesso inficia l’impatto che Bruxelles potrebbe avere anche solo con la diplomazia degli aiuti umanitari. Dal punto di vista politico, non l’UE non c’è come attore unitario. Ci sono, però, diversi paesi europei che hanno giocato un ruolo di primo piano in Siria, Francia e Regno Unito in primis. Tuttavia, si deve riconoscere che dal punto di vista diplomatico e strategico né l’Europa né i singoli stati membri riescono a competere con Russia e Stati Uniti, ma nemmeno a influenzare gli storici alleati regionali. La Turchia, in particolare, è ormai più lontana che mai dall’Europa, pur essendo – ricordiamolo – membro della NATO.
In questo scenario di giochi tattici e strategici delle potenze politiche resta l’enorme tragedia umanitaria delle popolazioni Siriane. Qual è il bilancio provvisorio ad oggi?
Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani sono circa 450 mila i morti del conflitto. E’ la lenta distruzione del tessuto sociale, cui si devono aggiungere 4, 8 milioni di profughi attualmente fuori dalla Siria, e i 13 milioni di sfollati o sotto assedio all’interno della Siria, in aree difficili da raggiungere, anche e soprattutto perché il regime di Asad non consente alle agenzie umanitarie di entrare nel paese con lo scopo di alleviare la sofferenza di chi soffre in aree assediate.
Nel tuo libro “L’Esilio Siriano” offri una chiave di lettura drammatica per capire la condizione del popolo siriano: è quello dell’esilio. Uno esilio destinato a durare a lungo date le condizioni del loro paese. Nell’epoca “sovranista” quale rischio corrono gli esuli?
Gli esuli sono figure politiche: cittadini di stati che hanno fallito nel loro patto con la società, prodotti inevitabili delle diseguaglianze economiche all’interno degli stati e tra gli stati – fenomeni che generano conflitti come quello siriano. In tutto questo, invece di comprendere e identificare le cause – purtroppo difficili da risolvere – si stigmatizzano i migranti, i rifugiati o gli sfollati – gli esuli – confondendo così la causa con la conseguenza con della disfunzionalità della politica e dell’economia globale. In questo i siriani sono in realtà solo rappresentativi di un fenomeno ben più ampio.