Bilancio di una Legislatura tra le più “sociali” di sempre. Interviste a Luigi Bobba e Antonio Palmieri.

Ci è sembrato utile fare un bilancio di una legislatura, quella appena conclusa, che è stata molto significativa sul piano sociale e dei diritti. Un bilancio con due voci a confronto: Luigi Bobba (PD-Sottosegretario al Lavoro) e Antonio Palmieri (deputato cattolico di Forza Italia).

 

LUIGI BOBBA (PARTITO DEMOCRATICO)

 Sottosegretario Bobba, questa legislatura sul fronte sociale è stata assai significativa. Ricordiamo la riforma del cosiddetto TERZO SETTORE. Partiamo da questo ambito. Un ambito nel quale lei è stato, per la sua competenza, molto impegnato. A che punto siamo nella messa in ordine, diciamo così, del “terzo Settore”? Quali elementi mancano?

Al momento stiamo lavorando alacremente alla predisposizione degli atti amministrativi conseguenti ai decreti attuativi della Legge Delega. Dei primi passi verso la concreta attuazione della Riforma sono già stati fatti, a dicembre abbiamo infatti firmato un protocollo d’intesa assieme ad Anci, all’Agenzia dei beni confiscati alla criminalità organizzata e all’Agenzia del Demanio che costituisce il primo tassello per l’implementazione della misura del “Social Bonus” contenuta nel Codice del Terzo Settore. In aggiunta, di recente, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha concluso la procedura di raccolta dei progetti a rilevanza nazionale per lo svolgimento di attività di interesse generale in attuazione di quanto previsto dall’ articolo 72 del Codice del Terzo Settore e sono stati finanziati 78 progetti per 34 milioni di Euro. Ancora, sono stati ripartiti tra le Regioni altri 26 milioni di Euro da destinare alle Associazioni che operano a livello locale. Si tratta di ingenti risorse che abbiamo messo a disposizione per sostenere quelle realtà associative che decidono di investire sull’innovazione sociale. In particolare, i progetti di rilevanza nazionale sono incentrati, tra l’altro: sul contrasto dello sfruttamento del lavoro nero e del fenomeno del caporalato; sullo sviluppo della cultura del volontariato tra i giovani; sull’integrazione dei migranti; sullo sviluppo e al rafforzamento delle reti associative del Terzo settore; sull’inserimento lavorativo delle fasce deboli della popolazione, nonché sulla creazione di forme di welfare di comunità. Infine, nel mese di febbraio, nascerà il Consiglio Nazionale del Terzo Settore, partirà la riforma dei Centri di Servizio del Volontariato e prenderà il via anche la nuova Fondazione Italia Sociale.

Il “Terzo Settore”, che tocca diversi ambiti, ha conosciuto, negli anni della crisi, stando   all’ultima statistica dell’Istat una crescita sia per quanto riguarda il numero dei volontari e sia, nel “no profit”, di dipendenti. Questo significa che c’è stata una risposta significativa alla crisi? Si può migliorare questa risposta?

I dati dell’ultimo Censimento Istat ci confermano chiaramente come il Terzo settore in questi anni sia stato in grado di generare nuove forme di risposta a bisogni sociali che la crisi ha contribuito ad accentuare. In questo senso i dati dell’ISTAT ci parlano di una “resilienza” del non profit che, in controtendenza rispetto al trend generale, riesce ad incrementare il numero dei volontari, degli addetti e anche del volume delle entrate. L’obiettivo della Riforma è stato non solo quello di riordinare la normativa civilistica e fiscale del Terzo settore ma soprattutto di creare un quadro di opportunità e sviluppo per tutte le organizzazioni che popolano questo variegato universo. E’ necessario proseguire in questa direzione perché un Paese che ha un crescente numero di persone che si dedicano ad un impegno civico e volontario mettendosi in gioco per dei beni comuni, è un Paese che costruisce reti e legami di solidarietà più forti per creare una forte inclusione sociale.

Un altro ambito del suo impegno è stato quello del Servizio Civile. Un ambito di “frontiera” non solo per i giovani coinvolti, dove possono maturare competenze utili anche per il lavoro, ma a che sul fronte caldo della immigrazione. Lei afferma che il Servizio Civile diventa un “veicolo” per costruire l’appartenenza. In che modo?

Il Servizio civile in questi anni – dal 2013 al 2017 – ha conosciuto un vero e proprio balzo: dai 1000 giovani in servizio nel 2013, siamo passati ai più di 53000 nel 2017. Il nuovo Servizio civile – che diventa ora “universale”- permetterà a tutti i giovani che lo desiderano di poter intraprendere questa importante esperienza “volontaria” di indubbio valore formativo e civile, ma anche in grado di dare loro competenze utili a migliorare la propria occupabilità. Il decreto prevede, tra le altre cose, l’ampliamento dei settori di intervento in cui sarà possibile svolgere l’attività: dall’assistenza alla promozione ambientale e culturale, fino all’agricoltura sociale; la durata, ora variabile tra gli otto e i dodici mesi; la possibilità di partecipazione estesa anche agli stranieri regolarmente soggiornanti nel nostro Paese. Ulteriore importante novità è l’inserimento di una norma dedicata ai ragazzi più svantaggiati, i NEET. Questo nasce dalle rilevazioni sui partecipanti che hanno svolto il Servizio civile all’interno del programma Garanzia Giovani e che mostrano come questa misura sia stata un buon strumento di inserimento lavorativo. In questa direzione, il nuovo decreto legislativo n. 40/2017 prevede   il riconoscimento e la valorizzazione delle competenze acquisite durante l’espletamento del Servizio in funzione del loro utilizzo nei percorsi di istruzione e in ambito lavorativo. L’ampliamento del numero dei giovani che potranno fare il Servizio civile rappresenterà un importante investimento in termini di motivazioni e di valori, nella vita delle persone, sviluppando sia il senso di appartenenza al proprio Paese, che l’appassionamento a qualche buona causa.

Torniamo per un attimo al “sociale”. Sul fronte delle politiche familiari si è scelto di continuare le politiche del “bonus bebè “. Per la famiglia andrebbe fatto molto di più…Volete lasciare questo tema alla destra? Lei, con il suo partito, quale proposta ha?

Questo Governo è stato uno dei più attivi sotto il profilo delle misure a sostegno della famiglia, della genitorialità e della conciliazione vita-lavoro. Indubbiamente si può e si dovrà fare di più per creare delle condizioni che favoriscano la natalità e la genitorialità. Un primo passo in questa direzione è stato fatto anche con l’ultima legge di bilancio nella quale abbiamo confermato il bonus bebè per il 2018 per un importo annuo di 960 euro fino al primo anno di vita del bambino, nato o adottato nel 2018, per famiglie con ISEE familiare entro i 25mila euro annui. Al contempo, abbiamo anche aumentato le detrazioni fiscali per i figli a carico di età non superiore a ventiquattro anni: la soglia per le detrazioni Irpef passa da 2,8 mila a 4 mila euro. Il capitolo famiglia resta, dunque, assolutamente centrale nel nostro programma anche in vista della prossima legislatura. La proposta del PD sarà incentrata in misure stabili ed universali, anche di carattere fiscale, volte a sostenere e ad incoraggiare la natalità, nonché ad accompagnare le famiglie nella crescita dei propri figli.

 Sul fronte del lavoro gli ultimi dati fanno segnare, sul pano occupazionale, un record con molti limiti. E i limiti sono assai pesanti: la stragrande maggioranza sono contratti a tempo determinato . E questo ridimensiona il “trionfalismo” governativo. Non parliamo poi della flessibilità lavorativa. Insomma nessuno vuole negare i dati ma c’ancora moltissimo da fare. Le chiedo quali proposte ha il PD per rendere stabile il lavoro? E’ possibile cambiare alcune cose del Job Act?

I numeri parlano chiaro: da febbraio 2014 a novembre 2017, l’occupazione è cresciuta di 1 milione e 29mila unità, la disoccupazione è scesa di 416mila unità, gli inattivi sono crollati a meno 944mila. Di questi 1 milione e 29mila occupati in più, 541mila sono permanenti, vale a dire assunti con contratto a tempo indeterminato. Il tasso di disoccupazione giovanile è passato, nel medesimo arco temporale, dal 43,6% al 32,7%. Il Jobs Act Jobs ha il merito di aver ridotto la profonda segmentazione per tipologie contrattuali del mercato del lavoro, cancellando varie forme contrattuali precarie che interessavano soprattutto i giovani. La Riforma ha altresì reso impossibili le dimissioni in bianco, incrementato l’indennità di maternità ed esteso il congedo parentale anche per i padri;  abolito i co.co.pro. e messo limiti alle false partite IVA. Allo stesso tempo, sono stati riformati gli ammortizzatori sociali ed è stata creata l’ANPAL che ha dato il via alla sperimentazione dell’assegno di ricollocazione per i disoccupati e che sta avviando servizi per il lavoro su tutto il territorio nazionale. I meriti del Jobs act sono dunque evidenti; bisogna ora proseguire promuovendo interventi più incisivi nelle politiche attive del lavoro.

La Legge Fornero va bene così?

La legge Fornero è migliorabile ma è chiaro che non può essere cancellata come dichiarato da Salvini. Di fatto, nell’ultima legislatura si sono realizzate 8 salvaguardie, che hanno riconsegnato a 153.000 lavoratori la possibilità di andare in pensione con le vecchie regole. Si è completata la sperimentazione di “Opzione Donna”, con altre 36.000 lavoratrici coinvolte. Infine, con l’APE sociale prevista dall’ultima legge di bilancio, si manderanno in pensione a regime, a partire dai 63 anni, circa 60.000 lavoratori  che appartengono alle 15 categorie considerate attività gravose. Sul capitolo pensioni, nella prossima legislatura, bisognerà investire in maggiore flessibilità in uscita dal lavoro operando sia sull’estensione dell’anticipo pensionistico, che rivedendo le modalità di calcolo dell’aspettativa di vita; così come andrà rafforzato il pilastro della previdenza complementare.

Ultima domanda: come spiega, di fronte ad alcuni risultati positivi, il calo di consenso del Partito Democratico ?

Non mi fiderei troppo dei sondaggi: nessuno nel 2013 aveva previsto il boom dei Cinque Stelle e alle elezioni europee del 2014 diversi sondaggisti avevano previsto il sorpasso del PD da parte di Grillo. Sappiamo come è andata a finire, con il PD al 40%.

I risultati che questo Governo è riuscito ad ottenere sono sotto gli occhi di tutti. Un Paese che finalmente torna a crescere, più ricco non solo sul fronte economico e del lavoro ma anche dei diritti, delle politiche sociali, del contrasto alla povertà, del Terzo settore. In queste settimane che ci separano dalle elezioni sarà necessario raccontare nei territori quanto è stato fatto e quanto vogliamo realizzare nei prossimi anni. Tra realismo e false promesse scegliamo il realismo. Tra il rancore e la speranza siamo dalla parte della speranza.

ANTONIO PALMIERI (FORZA ITALIA)

Onorevole Palmieri, questa legislatura sul fronte sociale è stata assai significativa. Ricordiamo la riforma del cosiddetto TERZO SETTORE. Partiamo da questo ambito.  Come giudica la Riforma e Quali elementi mancano?

La riforma ha elementi, come la valorizzazione dell’impresa sociale, che sono certamente apprezzabili. Però mancano ancora decine di decreti attuativi, a partire proprio da quelli che riguardano la normativa fiscale che favorisce gli investimenti nel non profit. Senza questi decreti, la riforma esiste solo sulla carta.

Il “Terzo Settore”, che tocca diversi ambiti, ha conosciuto, negli anni della crisi, stando   all’ultima statistica dell’Istat una crescita sia per quanto riguarda il numero dei volontari e sia, nel “no profit”, di dipendenti. Questo significa che c’è stata una risposta significativa alla crisi? Si può migliorare questa risposta?

La nuova normativa sulla impresa sociale potrebbe essere utile. Come ho già detto, purtroppo non è praticabile la sua parte principale, quella connessa agli sgravi fiscali per chi investe nelle imprese del terzo settore.

Parliamo del Servizio Civile. Un ambito di “frontiera” non solo per i giovani coinvolti, dove possono maturare competenze utili anche per il lavoro, ma anche sul fronte caldo della immigrazione.  Il Servizio Civile  può diventare un “veicolo” per costruire l’appartenenza. Lei è d’accordo su questo aspetto?

Se ben realizzato, ci si può pensare. Ma non può essere imposto e necessita di risorse, non solo economiche, adeguate.

Una legislatura indubbiamente sociale. Se a tutto questo aggiungiamo la legge del “dopo di noi”, quella sull’unione civili e sul testamento biologico, si portano a casa buoni risultati (tenuto conto del quadro politico). Le chiedo, in maniera ostinata, perché, la sua parte politica, si è opposta allo “ius culturae”? E lei, come cattolico, non si sente interpellato dalla posizione del Papa e della Cei favorevoli allo “ius soli”. Di cosa avete paura ? 

Intanto contesto quelli che lei chiama “buoni risultati”. Unioni civili e testamento biologico non lo sono. Sono il trionfo del più forte sul più debole. Quanto allo ius soli, in questo momento fornirebbe un grande incentivo ai trafficanti di esseri umani, al di là del contenuto specifico della legge. Del resto di fatto lo ius soli esiste già: basta fare domanda per avere la cittadinanza dopo dieci anni di permanenza in Italia. Se la questione è la lentezza o l’opacità delle procedure, si intervenga lì.

Torniamo per un attimo al “sociale”. Sul fronte delle politiche familiari si è scelto di continuare le politiche del “bonus bebè “. Per la famiglia andrebbe fatto molto di più. Il suo partito, quale proposta ha?

La nostra proposta della Flat Tax, con aumento della no Tax area fino a 12.000 euro, una sola aliquota al 23% e un rinnovato sistema di deduzioni per i figli a carico, darà alle famiglie la disponibilità di maggior denaro. Ciò vale per chi ha già figli e come prospettiva positiva per chi non ne ha ancora ma potrebbe essere più sereno nel prendere la decisione di mettere al mondo un figlio. Questa impostazione vuole rendere lo Stato finalmente amico della famiglia.

Sul fronte del lavoro gli ultimi dati fanno segnare, sul pano occupazionale, un record con molti limiti. E i limiti sono assai pesanti: la  maggioranza sono contratti a tempo determinato . Non parliamo poi della flessibilità lavorativa. Insomma nessuno vuole negare i dati ma c’è ancora moltissimo da fare. Le chiedo quali proposte ha la coalizione di destra per rendere stabile il lavoro? 

Da un lato la Flat Tax, facendo rimanere più denaro a disposizione di famiglie e imprese, alimenta un circuito virtuoso: più consumi interni, che vuol dire più produzione e dunque necessità di nuovi posti di lavoro. A questa rimessa in moto del motore dello sviluppo, uniremo la decontribuzione assoluta per tre anni per chi assume a tempo indeterminato, specialmente per chi assume giovani. Lo stesso faremo per i tre anni di apprendistato. Ma il punto principale è rimettere in moto lo sviluppo.

La Legge Fornero, secondo voi, in cosa va cambiata?

Vogliamo azzerare gli effetti negativi della riforma dal punto di vista sociale, basti pensare alla vicenda degli esodati. Occorre riscriverla totalmente, occorre fare una revisione totale del welfare pensionistico.

Peraltro, con il sistema contributivo si può anche ragionare sul togliere ogni limite. Se una persona vuole andare in pensione a 50 anni può farlo, prendendo come pensione quello che ha versato fino a quel momento. Prima di tutto ovviamente bisogna verificare la sostenibilità dei conti pubblici. Come ci è già successo in passato e come dimostrano le preoccupazioni europee sullo stato della nostra finanza pubblica, solo una volta al governo potremo avere l’esatto quadro della situazione.

Ultima domanda: Vi presentate, apparentemente, come una coalizione “unita”. Eppure non passa giorno in cui non emergono differenze tra voi (dai leghisti  ai resti di alcuni ex dc)? Non le pare che questa coalizione sia una illusione ottica?

In campagna elettorale e con un sistema elettorale in gran parte proporzionale, c’è chi esalta le differenze, per cercare di aumentare i propri voti. Però la campagna elettorale finisce tra un mese e i fatti, cioè i nove anni di governo nazionale insieme e il governo di alcune Regioni italiane come Lombardia, Veneto e Liguria confermano che la coalizione non  solo è solida, ma sa anche governare bene.

“Gli elettori vogliono un PD coraggioso, solo così riuscirà a vincere le elezioni”. Intervista a Giorgio Tonini

Non è partita bene la campagna elettorale. E’ quasi tutto un lancio di proposte populiste. I sondaggi segnalano che il PD, in questi 50 giorni prima del voto, dovrà effettuare una rincorsa per ribaltare i pronostici non favorevoli. Ci riuscirà? Ne parliamo con il Senatore Giorgio Tonini del PD.

Senatore Tonini, parliamo della campagna elettorale appena cominciata: non trova deludente questa rincorsa populista alle proposte irrealizzabili, o comunque costose oltre misura?  E purtroppo anche il PD non è immune….

In condizioni politiche difficilissime, senza una maggioranza al Senato, in questa legislatura il Pd ha garantito al Paese un governo che è riuscito a rimettere in moto la crescita e a riportare ai livelli pre-crisi l’occupazione, senza violare le regole europee, dunque senza mettere a repentaglio la credibilità presso i mercati della nostra finanza pubblica. Ciò è stato possibile anche perché i nostri governi, e il governo Renzi in particolare, non si sono limitati a gestire l’ordinaria amministrazione, ma hanno messo in cantiere una batteria di riforme impressionante per quantità e qualità. Naturalmente non tutte sono andate in porto e non tutte sono riuscite nel modo migliore. Ma il Paese si è rimesso in movimento. Capisco che i nostri avversari abbiano pochi argomenti contro il nostro governo, che infatti gode (il governo, purtroppo non il partito, ma questa è un’altra questione…) di elevatissimi livelli di consenso. E dunque tentino di buttarla in caciara, come si dice a Roma, sparando una raffica di proposte demagogiche, che avrebbero come unico effetto, se portate avanti, quello di minare la credibilità del Paese e di riportarci nel pieno di una crisi economica dalla quale stiamo solo ora faticosamente uscendo. Ma il Pd non ha alcun bisogno di inseguire demagoghi e populisti sul loro terreno.

Continuamo il ragionamento sulla campagna elettorale. Vi sono tre grosse proposte, Pd, Centrodestra e MS5. Il disegno della destra è chiaro, più o meno, quello dei 5stelle, è un disegno di sincretismo confuso, e quello del PD? Non basta il richiamo alla etica della responsabilità c’è bisogno della visione. Qual è la visione del PD? Il renzismo è superato…. 

Ma il Pd ce l’ha eccome una visione sul futuro dell’Italia! Intanto siamo l’unico partito davvero europeista. Gli altri, o sono esplicitamente contro l’Europa, o sono quanto meno ambigui e confusi. Prendiamo il centrodestra: Forza Italia si considera un partner politico della Cdu tedesca, ma poi si allea con la Lega di Salvini e coi Fratelli d’Italia della Meloni che la pensano esattamente al contrario e al parlamento europeo vanno a braccetto con le peggiori forze nazionaliste. Lo stesso Berlusconi ha ripetuto per mesi di essere contrario all’uscita dell’Italia dall’Euro, ma ha poi proposto la doppia moneta sul modello delle Am-Lire, quelle stampate dal governo provvisorio durante l’occupazione angloamericana… Una prospettiva da incubo. E non parliamo dello stato confusionale in cui versa, dal punto di vista programmatico, il M5S… Il Pd è invece il partito che ha saputo imporre una applicazione del Fiscal compact con la necessaria flessibilità e ora si pone l’obiettivo di fare dell’Italia un partner di Francia e Germania nella costruzione di una nuova governance europea. Il vertice a Roma di Gentiloni con Macron, non in chiave antitedesca, ma di partnership paritaria e complementare, è la migliore espressione di questa “visione”. L’Europa è la prima coordinata della visione del Pd, insieme al primato del lavoro, soprattutto per i giovani, a quello della famiglia nelle politiche sociali, al rinnovamento della democrazia e delle sue istituzioni.

I sondaggi sono crudeli per il PD. Non passa giorno in cui il PD fa segnare una perdita. Resta difficile un cambio di tendenza. Non mi dica che si perde consenso perché siete stati al governo (lo ha detto Renzi).. Il partito in alcune realtà è ai minimi termini. Senza radicamento si perde… È tardi Senatore Tonini…. Non le pare?

Shimon Peres diceva che i sondaggi sono come i profumi, vanno annusati e non bevuti. Oggi i sondaggi ci dicono che c’è un ampio e diffuso, anche se non acritico, consenso alla nostra azione di governo, che non si traduce in orientamento di voto al nostro partito. Penso che se sapremo usare la campagna elettorale per ricomporre questo scarto, possiamo ancora vincerle queste elezioni. Mi pare che Renzi abbia da tempo deciso di attestarsi su questa linea, come dimostra il fatto che stiamo confezionando le liste attorno alla candidatura dei principali esponenti del governo. Il paradosso del consenso al governo ma non al partito si spiega in gran parte con lo stato di sofferenza nel quale il partito versa. Questo è stato forse il vero errore di Renzi e di tutti noi con lui: aver trascurato il partito, che ha finito per ridursi, in molti, troppi territori, ad una confederazione di correntine, cordatine e conventicole. Non si trattava e non si tratta di tornare a vecchi modelli di organizzazione politica ormai esauriti, ma di sperimentarne di nuovi, come hanno saputo fare negli anni scorsi con Obama i democratici americani. Questo resta comunque il compito dei prossimi anni.

Il rapporto con liberi e uguali. Qualcuno ha suggerito una sorta di non belligeranza tra voi. Una proposta ragionevole…. 

Ma noi non siamo in guerra con Liberi e Uguali. E non abbiamo ancora perso la speranza che questi nostri amici e compagni ascoltino gli appelli che anche in questi ultimi giorni hanno rivolto loro Prodi, Veltroni e la stessa Susanna Camusso, perché ci si possa presentare alleati alle elezioni regionali in Lombardia e Lazio, se non anche nei collegi delle politiche. Del resto si fatica a comprendere il senso di questa loro fuga solitaria dalla realtà. È ovviamente legittimo contestare e contrastare la linea politico-culturale, nella quale anch’io da sempre mi riconosco e che si è affermata nel Pd, in questi anni, grazie alla leadership di Matteo Renzi. Ma c’è un tempo per ogni cosa, dice la Bibbia. C’è un tempo per il confronto interno e una sede nella quale organizzarlo, che si chiama congresso. E c’è un tempo per il confronto con gli avversari veri, che stanno a destra e dalle parti nebulose del M5S, il tempo delle elezioni. Confondere le elezioni col congresso rischia di portare questi nostri amici e compagni in una condizione nella quale, nella migliore delle ipotesi, dal punto di vista del loro consenso, si riveleranno dannosi, perché spianeranno la strada alla vittoria dei nostri comuni avversari; nella peggiore si riveleranno inutili, cioè irrilevanti.

Ho letto che non si candida. Una notizia che ha molto colpito. Al di là della questione delle deroghe, mi è parso di cogliere un velo di delusione nei confronti della politica… Si rimprovera qualcosa?

Nel Pd, dieci anni fa, ci siamo dati una regola, voluta per favorire il ricambio della classe politico-parlamentare: dopo 15 anni non ci si può più ricandidare, salvo poche, motivate eccezioni. Io ho alle spalle quattro legislature, per complessivi 17 anni di Senato. Dunque non posso più essere candidato, né intendo chiedere una deroga. Perché non voglio diventare un problema per il mio partito, che di problemi ne ha già tanti e di molto più seri. Naturalmente la mia non è né una fuga né una diserzione e non ho nessuna delusione da smaltire. Se la segreteria del Pd mi chiedesse di ricandidarmi, magari in un collegio ad alto rischio, mi sentirei seriamente chiamato in causa.

Potrebbe essere questa la carta vincente per il PD?

Sì, potrebbe essere una mossa vincente. Invece di rappresentarci, come talvolta rischiamo di fare, come un gruppo dirigente spaventato, che si affolla attorno alle poche posizioni garantite, sarebbe bello se ci facessimo vedere, soprattutto noi della vecchia guardia, motivati a combattere nei collegi più a rischio, quelli che davvero possono fare la differenza. Gli elettori ci chiedono una prova di coraggio e di generosità.

NELL’ERA DI “RENZUSCONI”. Intervista ad Andrea Scanzi

Siamo nell’era di  “Renzusconi”? Per capire l’antropologia politica del personaggio, Renzi, abbiamo intervistato Andrea Scanzi, giornalista de il Fatto  Quotidiano, che ha pubblicato un pamphlet, che in pochissimi giorni è già alla quarta ristampa, dal titolo “Renzusconi. L’allievo ripetente che (non) superò il maestro”  (ed. PaperFirst, pagg. 186, € 10,50).

 

Andrea SCANZI, il tuo libro, “Renzusconi” che sta avendo successo nelle librerie e ha raggiunto la quarta ristampa in neanche tre settimane, “crea” un personaggio “Renzusconi”” (impasto di Berlusconi e  Renzi) che sembra quasi la piattaforma “antropologica” delle “larghe intese”. Esagero?

 

No, non esageri. Renzusconi è il ritratto di Matteo Renzi, è il mio tentativo di dimostrare quanto Renzi assomigli a Berlusconi. Ma è anche purtroppo una sorta di anteprima di quello che probabilmente vedremo a marzo. Cioè l’ennesimo inciucio cui una parte del paese si è abituata, perché ormai sono 6 anni che ci sono inciuci e ho il timore che quello del 2018 sarà il peggiore perché sarà l’unione definitiva tra Renzi e Berlusconi.

 

Parliamo del libro. La tesi, che fa da filo conduttore al tuo pamphlet, è che Renzi sia peggio di Berlusconi, anzi lo definisci pure come “l’allievo ripetente che (non) superò il Maestro”. Quali le ragioni di un giudizio senza appello ? Definirlo peggio dell’uomo (Berlusconi) che aveva, per ricordarne solo una,  come stalliere un mafioso per non dire poi, del suo braccio destro, Dell’Utri. Insomma, per te Renzi è peggio e più pericoloso del Cavaliere”  ….

 

Renzi non è peggiore di Berlusconi in termini giuridici, non ha fondato un partito con Dell’Utri, non ha avuto un mafioso come stalliere. Nel libro lo scrivo chiaramente, non sono pazzo. Rischia però di essere più pericoloso per due motivi, se vuoi anche tre. Il primo è che ha meno talento, è meno bravo anche a fare le cose brutte, non è un genio del male come Berlusconi: è un politico mediocre e lo dimostra il fatto che dopo tre anni larga parte del paese lo detesti. Berlusconi è durato 24 anni, dubito che Renzi possa durare altrettanto. Il secondo motivo: la classe dirigente renziana si sta dimostrando peggiore di quella berlusconiana. Non credevo fosse possibile, ma nel libro credo di dimostrarlo nel capitolo “Undici piccoli renziani”, dove elenco le pochezze siderali degli Andrea Romano, Guerini, Rosato, Nardella, Prestipino, Picierno, ecc. che sono peggiori delle Carfagna e delle Ravetto. Il terzo motivo, che è poi quello che mi fa più rabbia e paura, è questo: quando c’era Berlusconi avevamo un’informazione e alcuni partiti che riconoscevano il pericolo, perché Berlusconi era la destra, era dichiaratamente il “cattivo”. Quindi avevi Repubblica che faceva i post it gialli, avevi Nanni Moretti che faceva i girotondi. A me fa paura come questa stessa gente adesso si faccia piacere tutto perché quelle cose ora le fa il leader del suo partito. Ormai non è più politica: è calcio, è tifo. Questo mi dispiace molto e per questo trovo paradossalmente più pericoloso Renzi.

 

 

Lo definisci “democristiano”,  ma cosa c’entra Renzi con la cultura di De Gasperi e di Moro?

Tu mi citi i democristiani migliori. Renzi è un pesce piccolo, ma è comunque democristiano. Ha sempre dichiarato espressamente di venire da quel mondo lì e di avere per maestri figure come De Mita, che poi peraltro lo ha massacrato in un duello pre-referendario. Nel libro lo racconto, e racconto anche di quando Renzi al liceo si candidò con CL: ora, con tutto il rispetto per ciellini, non sono certo un coacervo di trotzkisti. Renzi ha quel percorso lì: un percorso democristiano, furbetto e cerchiobottista. Lo definisco poi democristiano non in senso nobile – magari fosse De Gasperi – ma perché è il classico democristiano doroteo, alla Gava. Senza però il talento di Gava.

 

Perché (Renzi) è un “Gattopardo 2.0”?

 Perché ha preso in giro gli italiani fingendosi rottamatore, quando in realtà ha restaurato lo status quo. Renzi era l’elemento perfetto per salvare il sistema da tutto ciò che lo voleva cambiare davvero, ad esempio il Movimento 5stelle. Infatti, una volta comparso, Renzi non ha rottamato nessuno, se non D’Alema e probabilmente lo stesso PD, perché nel frattempo lo sta proprio distruggendo dall’interno. Tutto il potere – tutti quelli che contavano – sono saliti sul suo carrozzone. Ha fatto di tutto perché tutto cambiasse affinché nulla cambiasse. Un gattopardo, e ci aggiungo “2.0” solo per quella sua fissa puerile per i tweet.

 

Domanda provocatoria: Tanto sarcasmo, da parte tua, non è dettato da una delusione per il fallimento di Renzi?

 No. Io qualche cantonata politica forse in passato l’ho presa, ma non su Renzi. Se uno legge i miei pezzi anche di 7 o 8 anni fa, oppure il libro che scrissi nel 2013 “Non è tempo per noi”, scopre come ho sempre descritto Renzi per quello che realmente è: un fanfarone, uno che ha sempre mentito, un bugiardo, un chiacchierone. L’ho sempre visto come un abbaglio inspiegabile: non riesco proprio a capire come gli italiani siano riusciti a credere ad un tipo così. Non mi ha mai convinto e mi dispiace anche aver avuto così ragione su di lui. Se poi tu percepisci in me una delusione, è solo perché mi dispiace che il centro sinistra italiano si sia ridotto così. Io vengo da sinistra e mi ferisce vedere persone serie che accettano queste cose: quando vedo Cuperlo o Emiliano che alla fine accettano la conduzione e il dominio di un tipo simile, mi dispiaccio. Anzitutto per loro.

 

Non salvi nulla dell’operato del governo Renzi? Nemmeno il lavoro sui Diritti?

Io salvo esattamente quello, e nel mio libro Renzusconi lo scrivo: salvo la legge sul biotestamento, sulle unioni civili, sul whistleblowing. Sono tutte quelle cose belle che mi farebbero propendere verso il PD se ci fosse un ballottaggio Renzi-Berlusconi. È l’eterna domanda che va di moda in questo periodo. Se a marzo ci fosse un ballottaggio non mi muoverei mai da casa, non voterei. Ma proprio mai nella vita: figurati se aiuto Renzi per evitare Berlusconi: sono la stessa cosa. Se però tu venissi con una pistola alla tempia e mi dicessi “O voti o ti sparo”, a quel punto voterei il PD, proprio perché ha fatto quelle leggi lì. Che comunque non mi bastano per rivalutare ciò che ha fatto Renzi.

 

Tu lo definisci, anche, come: un “bulletto marginale e – misteriosamente – segretario del PD”. Non capisco quel “misteriosamente” visto che lo hanno votato, alle Primarie, milioni di persone. Mi spieghi questo “mistero”?

“Misteriosamente” è ironico, non volevo certo dire che non ha il diritto di esserlo, anzi il PD in questo senso è inattaccabile perché loro almeno le primarie le fanno. Dico “misteriosamente” perché non lo vedo come un uomo di talento: lo vedo un uomo estremamente debole e marginale, prescindibile e poco dotato. Ed è appunto un mistero che uno così abbia avuto (per fortuna uso il passato) un consenso simile.

 

Cosa rimane del Renzismo? 

Rimane ben poco, perché il renzismo è la depravazione del berlusconismo. Contenutisticamente è il nulla. Mi viene sempre in mente quando, nel Caimano, Nanni Moretti sta guidando l’auto e dice che Berlusconi ha già vinto perché se anche un giorno perderà ha comunque cambiato irrimediabilmente gli italiani. Renzi ha sfruttato questo cambiamento in peggio degli italiani, ma non ha portato nulla di nuovo. E’ la copia della copia. Di lui non rimarrà niente. Fra cento anni gli storici si butteranno in terra dal ridere chiedendosi come abbia fatto l’Italia a credere ad un tizio simile.

 

Ultima domanda: Auspichi un governo 5Stelle – Sinistra?

Mi trovo d’accordo con Travaglio, autore peraltro della prefazione di Renzusconi, che ha scritto come alle prossime elezioni un punto di partenza potrebbe essere votare tutti coloro che non hanno votato il Rosatellum. Ovvero scegliere 5stelle, Liberi e Uguali o, se sei di destra, la Meloni. Io non sono di destra quindi difficilmente voterò la Meloni. Non mi asterrò perché astenersi, oggi, significa regalare voti al Renzusconismo. Vedremo chi, da qui a marzo, convincerà di più me e tutti quelli come me. E siamo in tanti. Credo che, a oggi, la situazione migliore sarebbe un governo “5stelle – Liberi e uguali”. Magari un governo di scopo con cinque o sei cose fondamentali: reddito di cittadinanza, legge sul conflitto di interessi, legge (seria) anticorruzione, azzeramento di carognate come Jobs Act, Sblocca Italia, “Buona Scuola”. Eccetera. Non so però se avrebbero i numeri, e poi entrambe le forze sono “testarde” e diffidenti. Quindi è una speranza molto esile.

“Sarà dura competizione con il PD”. Intervista a Chiara Geloni

Come sarà la competizione elettorale tra Partito Democratico e la neonata lista “Liberi e Uguali”? Su quali temi verterà la competizione tra le due sinistre? Lo abbiamo chiesto alla giornalista Chiara Geloni, Direttrice del sito di “Articolo Uno”.

Chiara Geloni, con la presentazione, fatta dal Presidente Grasso, del vostro simbolo siete  “ufficialmente” nella competizione politica . Andiamo subito al sodo: la vostra  lista, “liberi e uguali”, si pone come un fatto politico “distinto e distante” dal PD. Ora, le chiedo, a sentire il discorso di “incoronazione” di Pietro Grasso a vostro leader, non c’è nulla di quello che ha detto che sia  incompatibile con i valori del PD. Anzi sono i valori del PD. La distanza valoriale dov’è?
Io non ho niente di cui pentirmi per aver militato e lavorato per il Pd, partito in cui ho creduto da prima della sua nascita e che ho contribuito a fondare. Vale lo stesso, anzi in misura molto maggiore del piccolo contributo che posso aver dato io, per tanti che hanno fondato Liberi e Uguali. Ma non credo che si possa ignorare che in questi anni tante persone, elettori prima ancora che dirigenti politici, hanno smesso di riconoscersi nel Partito democratico e hanno smesso soprattutto di votarlo. Io ne conosco a centinaia. I valori non basta averli scritti in un documento scaricabile da internet, bisogna praticarli. Mi è capitato mille volte in questi anni di vedere il Pd tradire i valori dichiarati nei nostri documenti fondativi, sia nella prassi di governo che nella vita interna di partito. Ne ho pagato anche qualche conseguenza. Io non riconosco più il Pd, e non lo voto più.

Nella vostra lista, che sta incominciando a muovere i primi passi. dovrà esserci un programma elettorale. Per esempio sull’europeismo dov’è la vostra distanza dal PD, che fa parte della famiglia  socialista?
Mi spiace, ma a me non interessa definirmi in base alla mia distanza dal Pd. Sull’europeismo io credo che questa Europa non funzioni, e mi pare che questo partito socialista europeo sia in enorme difficoltà. Il che non significa certo dire “usciamo dall’euro domattina” o “col Pse non abbiamo niente a che vedere”. Significa che bisogna cambiare le cose, riscoprire le fondamenta del nostro essere sinistra di governo in questa Europa. È una riflessione che è in corso in molti paesi, dentro e fuori dal Pse. Le risposte retoriche non servono.

Insomma Geloni sicuramente nei prossimi mesi la vostra identità di distanza dal PD crescerà. Per adesso, nonostante i vostri sforzi, l’impressione più marcata è quella di una lista punitiva nei confronti di Matteo Renzi. Come smentisce questa impressione?
È una domanda irricevibile. Se lei mi chiede di parlare di politica io rispondo, su queste stupidaggini non ho niente da dire. Le mie idee le avevo da prima che arrivasse Renzi, e le avrò anche dopo.

Anche la vostra affermazione sul voler recuperare i voti di “quelli che sono andati via”, ottima intenzione , ma con  questa pessima legge elettorale, nella parte  maggioritaria, fate un bel regalone alla destra. Il risultato sarà che  sia voi che il PD non toccherete palla. Un bel risultato…
Il regalone alla destra lo ha fatto chi ha voluto, incomprensibilmente, una legge elettorale come questa, che negando il voto disgiunto e la possibilità di fare desistenze uccide il centrosinistra. Hanno pensato di poter ottenere con la forza quello che hanno distrutto con le loro politiche sbagliate: così hanno agito sempre in questa legislatura del resto, forzano costantemente la mano al Parlamento e allo stesso gruppo del Pd, salvo essere puniti al referendum e nelle urne. Articolo 1 ha provato in tutti i modi a fermarli, con gli emendamenti e con gli appelli. La risposta sono state otto fiducie. Adesso ognuno si assumerà le sue responsabilità davanti agli elettori.

I “maligni” hanno trovato strano l’assenza nel simbolo della parola “sinistra” e l’aggiunta del nome nella lista. Bersani diceva mai il nome nella lista. In effetti è strano…
Non è strano. Fin dall’inizio come Articolo 1 e ora come Liberi e Uguali, abbiamo dichiarato una impostazione inclusiva, pluralista e costituzionale. Abbiamo voluto evitare, come dice Roberto Speranza, che la parola sinistra invece che una bandiera potesse diventare una barriera per qualcuno. Il nome Liberi e Uguali a me piace moltissimo perché col suo ispirarsi all’articolo 3 della costituzione per me idealmente è il proseguimento della scelta di Articolo 1. Una repubblica fondata sul lavoro è una repubblica di cittadini liberi e uguali. Lo dico senza avere niente contro la parola sinistra, che mi appartiene pienamente come cattolica di sinistra e come donna che si ispira politicamente ai grandi della sinistra democristiana. Nome nel simbolo: bisogna rendersi conto che tutto è cambiato, altrimenti è difficile anche raccontare la politica. Quando Bersani diceva non metterò il nome nel simbolo intendeva no all’uomo solo al comando. Ora non siamo più in un sistema maggioritario. Non ci sono candidati premier. C’è il nome di Grasso nel simbolo di un partito appena nato, anzi neanche nato, che avrà molto bisogno di farsi conoscere e riconoscere.

Come  spiega la  distanza di Romano Prodi dalla vostra lista?
È una domanda che non mi pongo. Romano Prodi ha smesso da tempo di occuparsi di politica. Lo ripete a ogni occasione.

Ultima domanda: dopo le elezioni, da lista  di sinistra, guaderete al PD o
ai 5stelle?
Dopo le elezioni guarderemo per prima cosa i risultati. E di sicuro saremo contro la destra. Bisognerà vedere anche gli altri a chi guardano, non crede?

Il “finale di partita” tra le sinistre italiane. Intervista a Fabio Martini

Con la nascita con la nascita di “Liberi e UgualI” siamo al finale di partita tra le sinistre italiane. Le conseguenze non saranno per nulla indolori, anzi. Come si svilupperà? Quali conseguenze porterà alla politica italiana? Ne parliamo, in questa intervista, con Fabio Martini, “retroscenista” e cronista parlamentare del quotidiano torinese “La Stampa”.

Fabio Martini, la nascita di “Liberi e Uguali”, un nome che richiama parole antiche e suggestive, e “l’incoronazione” (non trovo altri termini) di Pietro Grasso a leader della nuova formazione certamente la “grande guerra” della sinistra identitaria contro Renzi fa un salto  di qualità. Però ad uno sguardo più attento dentro la nuova formazione politica  ci sono “sfumature” diverse: si va dalla linea di punire il tradimento del PD, una Linea Kamikaze, che inesorabilmente vuol dire consegnare “Liberi e Uguali” alla inconsistenza politica o a fare da stampella ai 5Stellle. E poi c’è la linea Grasso, che non fa sconti al Pd ma non lo brutalizza. Ti chiedo non vedi il rischio di una solitudine di Grasso in questa formazione?
No. In piena campagna elettorale non possono permettersi di lasciarlo solo nei momenti più complicati. Ma al tempo stesso una certa solitudine di immagine potrebbe giovargli: il possibile valore aggiunto di questa lista elettorale sta nella visibilità di Grasso. Anche nel suo carattere naif. Se lo lasceranno sbagliare, senza alzare il ditino, Grasso sarà un po’ più forte. E
tanto meno sarà affiancato dai vecchi leader, meglio sarà per la Lista.

Rimaniamo sempre su Grasso. A sentire il suo intervento si fa  fatica, anzi oserei dire  che non è alternativo ai valori del PD proprio per niente. Ma davvero una posizione del genere non poteva avere cittadinanza?
Molto corretta questa osservazione. Nel discorso di Grasso credo non ci sia una sola parola importante che non sia sottoscrivibile da un elettore del Pd. Certo che le posizioni di Grasso avrebbero potuto trovare cittadinanza nel Pd. Così come quelle dei notabili di Mdp. Ma la leadership di Renzi è escludente, irritante, egocentrica e ad un certo punto la convivenza diventa difficile.

Guardiamo al PD. La mia impressione è che Renzi sia ormai “cotto” Troppo ripetitivo. Riuscirà a presentare con  adeguatezza questa coalizione “microulivista”? È consapevole che senza Pisapia la coalizione perde spessore
La coalizione oltre ad essere micro-ulivista, sarà una micro-coalizione. Giuliano Pisapia avrebbe potuto darle spessore, ma ha rinunciato a metter su una Lista ampia, da Bonino ai prodiani e ora sta combattendo con i partitini. La coalizione attorno al Pd non è una coalizione, ma un tronco attorniato da micro-cespugli.  Quanto a Renzi,  ha dimostrato doti da leader, ma dopo la sconfitta al referendum, è come se la sua emittente si fosse oscurata. Produce segnali e messaggi che oramai vengono intercettati soltanto da chi pregiudizialmente è pronto ad accettarli. Sugli altri non hanno effetto: non li sentono e non li vedono.

Ius soli, purtroppo è un sogno che rimarrà nel cassetto. Fine vita?
Sogno o incubo, a seconda dei punti di vista. Resterà sospeso. Il fine vita invece è legato alla volontà del Pd: se insisterà, passerà.

Mi sembra , citando una grande misteriosa opera di Thomas Becket, che
siamo al “finale di partita” per il centrosinistra. Per te?
Vero, il finale di partita si sta avvicinando. Occorre attendere un centinaio di giorni: se alle elezioni Renzi avrà retto (25-28% al Pd) resterà ancora a lungo sullo scenario politico nazionale e di conseguenza per chi ha lasciato il Pd la vita politica si accorcerà. Salvo un risultato eclatante della Lista Grasso, che però mal si concilia con una tenuta del Pd. Ma se il Pd scenderà sotto la soglia critica (24-25%), la leadership di Renzi traballerebbe e sotto quelle percentuali sarebbe travolta.

Ultima  domanda. Come può un italiano, dopo 20 anni di berlusconismo, dare ancora fiducia a Berlusconi? Qual è la sua forza?
La sua forza consiste nell’ingrediente del suo successo iniziale: una parte di italiani continua a identificarsi in lui. Nelle sue virtù ma soprattutto nei suoi vizi. Se li fa lui, li possiamo fare anche noi.