“Accordo governo-sindacati fondamentale, ma non c’entra nulla con il protocollo del ‘93”. Intervista a Giuseppe Sabella

Ieri a Palazzo Chigi Governo e Sindacati, alla presenza dei segretari generali, del Premier Draghi e del Ministro della Pubblica amministrazione Brunetta, hanno firmato il “Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale”. Il presidente Draghi non ha mancato di esprimere la sua soddisfazione indicando il Patto per la PA come condizione della sua modernizzazione, indispensabile per lo sviluppo del Paese. Sulla linea del Premier il Ministro Brunetta, il quale ha accostato l’accordo sottoscritto al protocollo Ciampi del 1993. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Sabella.

Sabella, cosa c’è di importante in questo accordo?
Mi pare che la cosa più importante sia l’unità di intenti condivisa da governo e sindacati in una necessaria operazione di riforma della PA. Consideriamo che le importanti risorse del Recovery Plan saranno gestite dalla PA, questa va necessariamente avvicinata all’economia reale. Ciò significa semplificazione, efficienza organizzativa, nuove competenze… tutto il mondo del privato lavora per un salto di qualità, Draghi e Brunetta hanno ragione nel puntare sulla modernizzazione della PA. Non a caso, l’accordo prevede un nuovo sistema contrattuale più simile a quello privatistico, dalla detassazione del salario accessorio al diritto permanente alla formazione, alla flessibilità di uno smart working contrattato, una nuova “classificazione” del pubblico impiego che include nuove importanti professionalità ma riconosce anche i ruoli svolti dai dipendenti senza un riconoscimento ufficiale, per via del blocco ultradecennale. Innovazione digitale, centralità dei “sistemi di partecipazione sindacale”, permessi e altre agevolazioni per il sostegno alla genitorialità. Gli aumenti medi sono di 107 euro come stabilito già con il precedente ministro Dadone, ma nel Patto firmato oggi c’è anche l’impegno del governo a reperire maggiori risorse per la “classificazione”, cioè per il riconoscimento delle professionalità di livello più alto acquisito dai dipendenti e l’inserimento di nuovi profili professionali.

Quanto può risultare importante tutto questo nella modernizzazione della PA?
Penso che l’aspetto più importante sia, come facevo cenno, la condivisione di bisogni e intenti. La burocrazia, se non funziona, è in grado di far saltare per aria il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che, appunto, è di interesse nazionale e, quindi, generale. Il sindacato è consapevole che per far funzionare il privato deve funzionare la PA. Per questo vi è un importante accordo a monte che avvia un processo di rinnovamento necessario, che sarà faticoso. Per governarlo, è fondamentale questa volontà condivisa. Brunetta è persona capace, ottima cosa che è partito col piede giusto perché la sua figura in passato è stata divisiva. Nessuno gli nega la sua competenza ma governare la PA è cosa molto complessa. Evidentemente, tutti sono consapevoli della necessità di questo cambio di passo.

A proposito di Brunetta, ha ragione il Ministro nel ritenere il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico simile allo storico accordo Ciampi-Giugni del ‘93?
Mah… al di là del fatto che si tratta di un accordo importante, mi pare non c’entri proprio nulla col celebre protocollo Ciampi del ‘93, non fosse altro che quest’ultimo più che il lavoro pubblico riguardava in particolare quello privato e non solo avviava in un momento delicatissimo del Paese una nuova politica dei redditi che avvicinava l’Italia, ma resta ancora oggi il riferimento della politica contrattuale ancora vigente: la definizione dei due livelli di contrattazione e il ruolo del secondo livello per la distribuzione della ricchezza prodotta, oltre al recupero dell’inflazione assolto dal contratto collettivo nazionale di lavoro. A me onestamente non sarebbe venuto in mente di pensare all’accordo del ‘93 se non ne avesse parlato Brunetta. Anche perché quell’accordo era sottoscritto anche dalla Confindustria che qui, invece, è assente.

L’accordo del ‘93 ci proiettava in Europa e nel mondo, cosa che il nostro Paese è stato poco capace di capitalizzare. Saremo capaci di non perdere oggi l’occasione del Next Generation EU?
Il nostro Paese è lento e, ad oggi, soltanto i suoi strati più avanzati sono stati in grado di cogliere le opportunità della globalizzazione. Le imprese in difficoltà hanno queste sofferenze perché in gran parte pretendono di fare business a prescindere da un mercato completamente stravolto che non hanno compreso. L’occasione che si presenta oggi è storica, non la possiamo perdere. Diciamoci la verità: il piano Next Generation EU sembra scritto per l’Italia, il fine ultimo è quello di innovare l’impresa e l’industria e di rigenerare le filiere produttive anche in un’ottica di sviluppo sostenibile. l’Italia continua a essere il secondo paese manifatturiero d’Europa, il grande salto è quello dell’innovazione digitale prima di tutto, cosa che genera a sua volta sviluppo sostenibile. Il punto è che lo sviluppo sostenibile non è solo ambientale, ma anche economico e sociale. Vi sono settori che si contrarranno e altri che si svilupperanno, il compito della PA – oltre ad una sapiente gestione delle risorse – è anche questo: quello di intercettare le persone in uscita dal mercato, di riqualificarle e di proiettarle verso settori bisognosi di nuove competenze. La PA deve conoscere il Paese e governarlo, certo a livello territoriale può essere aiutata ma deve capire che oggi è anch’essa “servizio essenziale”. A ogni modo, questa intesa fa ben sperare.