
La pandemia da Covid-19 (coronavirus) ha scatenato in pochissimi mesi una gravissima crisi sociale. Sempre più nuovi poveri si affacciano nelle mense, nei centri di aiuto sociale del volontariato cattolico e non. Le cifre fanno impressione. Quali sono i volti di questi poveri? E le politiche di contrasto alla povertà sono sufficienti? Lo abbiamo chiesto, in questa intervista, a due sociologhe della Caritas italiana: Nunzia De Capite (responsabile Politiche Sociali) e Federica De Lauso (Ufficio Studi).
Voi della Caritas avete pubblicato l’ultimo rapporto sulla povertà. E quello che emerge è un quadro drammatico. I “nuovi poveri” avanzano e raddoppiano rispetto ai mesi pre-pandemia. Potete darci qualche dato?
Caritas italiana, al fine di monitorare e mappare le fragilità e i bisogni dei territori in questa fase di emergenza socio-sanitaria legata al Covid 19, ha avviato una rilevazione nazionale (condotta dal 9 al 24 aprile) i cui dati aiutano a leggere e comprendere gli effetti sociali di questa fase inedita ed emergenziale. Non si tratta di un vero e proprio rapporto sulla povertà (quello verrà pubblicato come di consueto in autunno) ma di un monitoraggio realizzato mediante la somministrazione di un questionario destinato ai direttori o responsabili delle Caritas diocesane, sparse su tutto il territorio nazionale e impegnate quotidianamente con i più poveri e i più vulnerabili. I dati che emergono da questa prima rilevazione sono molto preoccupanti, se si pensa che in circa due mesi i “nuovi volti” incontrati sui territori sono stati oltre 38mila, una media di circa 470 nuove prese in carico per ciascuna diocesi; dal periodo di pre-crisi si è registrato un aumento del 105%. Chi era povero in passato oggi si ritrova inevitabilmente più povero, chi si collocava appena al di sopra della soglia di povertà (le famiglie che l’Istat definisce “quasi povere” secondo i parametri della povertà relativa) inizia a non disporre delle risorse necessarie per la sopravvivenza.
Chi sono i “nuovi poveri” italiani e stranieri?
Tra i nuovi volti incontrati ci sono italiani e stranieri, giovani adulti ma anche anziani soli, famiglie con minori, nuclei con disabili. Sono persone che prima dell’emergenza, potevano contare magari su un impiego precario, stagionale o irregolare; o ancora i piccoli commercianti, i lavoratori autonomi, ma anche persone che versavano già da tempo in uno stato di disoccupazione. A loro si aggiungono però anche i cassaintegrati o liberi professionisti in attesa dei trasferimenti monetari di protezione e assicurazione sociale stanziati a marzo, non ancora accreditati.
A fare la differenza in questo particolare momento è la possibilità o meno delle famiglie di attingere a quei risparmi che permettono di “attutire il colpo”, impedendo lo scivolamento in uno stato di indigenza. E in tal senso purtroppo i dati Istat dimostrano che in Italia quasi i due terzi dei nuclei (esattamente il 62%) non riesce a risparmiare ed accantonare alcunché a fine mese e che il 36% delle famiglie non è in grado di far fronte ad una spesa imprevista di 800 euro circa. Il nostro Paese, se negli anni novanta si connotava infatti per essere una nazione di “risparmiatori” oggi risulta profondamente cambiato (a sferzare un duro colpo in tal senso è stata la grave crisi economica del 2008 i cui effetti sono ancora visibili). I dati OCSE ci collocano in fondo alla classifica dei paesi economicamente avanzati, con un tasso di risparmio netto delle famiglie del 2,5%, a fronte di una media europea del 6% (ben distanti dagli anni novanta quando l’incidenza dei risparmi superava il 15%). Detto ciò, la forte impennata delle richieste di aiuto in qualche modo non ci stupisce troppo.
In questi mesi della pandemia i Centri Caritas delle Diocesi italiane le richieste di aiuto sono più che raddoppiate. Che tipo di aiuto avete offerto? Qual’è quello che aumentato?
Rispetto alle richieste, si evidenzia soprattutto un aumento delle domande di beni e servizi materiali (in particolare cibo e beni di prima necessità), di sussidi ed aiuti economici (a supporto della spesa o del pagamento di bollette e affitti), del sostegno socio-assistenziale (assistenza a domicilio, compagnia, assistenza anziani), lavoro e alloggio. Forte anche la domanda di orientamento rispetto alle misure di sostegno pubbliche, messe in campo per fronteggiare l’emergenza sanitaria, così come la richiesta di aiuto nella compilazione delle domande. Di fronte alle tante necessità, gli interventi sui territori sono stati numerosi e diversificati. Registriamo in particolare l’attivazione di nuovi servizi legati all’ascolto e all’accompagnamento telefonico che hanno supportato in questa fase oltre 22mila famiglie; la fornitura dei pasti in modalità da asporto o con consegne a domicilio; la distribuzione di dispositivi di protezione individuale e igienizzanti (di cui hanno beneficiato circa 290mila persone); le iniziative a supporto della didattica a distanza (fornitura di tablet, pc), l’assistenza ai senza dimora (rimodulata per garantire gli standard di sicurezza), l’acquisto di farmaci e di prodotti sanitari. A questi servizi pensati per l’emergenza, si aggiungono poi le attività ordinarie comunque potenziate: l’assistenza socio-assistenziale, tutte le attività di orientamento, quelle degli empori/market solidali, delle mense e dei centri di ascolto riorganizzati anch’essi nel rispetto delle nuove misure di sicurezza.
Si possono citare poi anche alcune esperienze inedite, che vanno al di là di una risposta al bisogno materiale, come ad esempio quella denominata #TiChiamoio, nata per offrire vicinanza, seppur solo telefonica, alle persone accompagnate prima dell’emergenza, cercando così una modalità per condividere fragilità, preoccupazioni e restituire un po’ di speranza. Questo perché i bisogni legati alla pandemia non sono solo di natura economica.
Sono aumentati anche i contatti con i vostri Centri di supporto psicologico?
Dal nostro monitoraggio si sono palesate anche problematiche di natura socio-relazionale connesse alla solitudine, ansie, paure, senso di disorientamento, vulnerabilità legate all’incertezza sul futuro. Si evidenzia inoltre un incremento del disagio psicologico e delle problematiche familiari (in termini di conflittualità di coppia, violenza, difficoltà di accudimento dei bambini piccoli o di familiari disabili o anziani). Il tutto è stato registrato sia dai nostri centri di ascolto che dai servizi di supporto psicologico, attivati in alcuni casi proprio in queste settimane.
Insomma un quadro preoccupante davvero. Vi chiedo tra ale persone che si avvicinano a voi qual è il loro sentimento : Rabbia, Rassegnazione, sfiducia, umiliazione?
A tal riguardo vorrei riprendere la testimonianza del direttore della Caritas di Roma, don Benoni Ambarus, che proprio qualche giorno fa in occasione della pubblicazione dei dati diocesani, ha voluto sottolineare il “senso di umiliazione che le persone sperimentano” nel dover chiedere aiuto. Quando una persona si riscopre bisognosa magari di un pasto caldo, di un pacco spesa ed è costretta a far riferimento a centri Caritas, si creano delle vere e proprie “ferite” nel suo animo. In alcuni casi anche indelebili.
La Chiesa opera attraverso di voi, anzi voi siete la “Chiesa ospedale da campo” sognata da Papa Francesco. Sia pure che in questo periodo non ci sono state liturgie eucaristiche, però voi siete stati il segno della donazione eucaristica concreta ai poveri. Laicamente questa sis chiama solidarietà. Sappiamo che sono aumentati i volontari. Di quanto? E le parrocchie che ruolo hanno avuto?
Un aspetto positivo di questo periodo, possiamo dirlo, è stato il grande coinvolgimento della comunità e l’attivazione solidale che ha riguardato enti pubblici, soggetti del terzo settore, ma anche gruppi di volontariato e singoli cittadini. Le parrocchie in particolare hanno giocato un ruolo centrale sia nell’intercettazione del bisogno che nell’erogazione di una qualche forma di intervento magari in coordinamento con le diocesi. Dalla rilevazione è emerso poi che nel 60% delle Caritas diocesane c’è stato un importante aumento dei giovani volontari che si sono sentiti interpellati e hanno voluto dare un contributo alle proprie comunità; questo ha consentito di far fronte al calo degli over 65, rimasti inattivi per motivi di prudenza e sicurezza. Questa grande partecipazione rappresenta il volto bello, generoso, altruista della nostra Italia.
Sappiamo che il governo ha approntato misure per contrastare questa drammatica situazione. Qual è il vostro giudizio? Ci sono strumenti più efficaci da quelli messi in atto dal governo?
Come ci dice Ocse e Banca Mondiale in tutti i paesi del mondo in questo periodo sono aumentate del 50% le misure di supporto messe in campo dagli stati per aiutare le persone in difficoltà. In genere sono misure che durano 3 mesi, molto generose (fino a un quinto del reddito medio pro-capite) e prevedono trasferimenti economici per l’assistenza sociale, sussidi per la disoccupazione e il sostegno al lavoro. Credito alle imprese e aiuti economici alle famiglie e sostegno ai posti di lavoro sono i tre pilastri attorno a cui tutti i governi si stanno muovendo e anche il nostro l’ha fatto a partire dal decreto cura Italia. Lì mancavano molte fasce della popolazione colpite dalla crisi e ci auguriamo, come anche sembrerebbe emergere dalle prime indiscrezioni sulle bozze circolanti del decreto, che nel decreto maggio lo sguardo sia ampio ma soprattutto che gli interventi siano immediati, consistenti, a tempo. Il rischio che corriamo ora è di non intervenire per tempo. Questo sarebbe cruciale. Il repentino peggioramento delle condizioni economiche di molte famiglie nel nostro paese rischia infatti di far precipitare nella povertà moltissime persone, se non giungeranno per tempo i sostegni economici necessari. Ci sarà inoltre da evitare di segmentare e sminuzzare gli interventi: non dobbiamo dimenticare che la logica a cui dovrebbero ispirarsi questi interventi è quella della semplicità e della accessibilità da parte di tutti. Non possiamo permetterci di far incagliare le persone, assediate come sono dalle preoccupazioni per la propria sopravvivenza, nei meandri intricati di una burocrazia poco amichevole. Sarebbe come negare quello che sta accadendo fuori.
Il Forum sulle diseguaglianze ha fatto proposte?
Il Forum si è mosso sin da subito, viste le proporzioni immani che stava assumendo l’impatto sull’economia del Covid-19, per portare l’attenzione su una necessità ineludibile: non permettere che nessuno sia lasciato indietro da questa crisi. Concretamente questo significa prevedere una protezione universale per tutti e che sia a misura di tutte le persone, ovvero adeguata alle loro condizioni di vita e ai loro bisogni.
In particolare il Forum Disuguaglianze Diversità insieme ad Asvis e al prof. Cristiano Gori ha elaborato una proposta “CURARE L’ITALIA DI OGGI, GUARDARE ALL’ITALIA DI DOMANI” che integra e sviluppa il pacchetto di misure inserite nel decreto Cura Italia in vista delle misure in corso di approvazione nel decreto maggio. In particolare, la proposta parte da alcuni presupposti:
Avere uno sguardo sull’intera popolazione italiana evitando che qualcuno resti escluso dagli interventi del Governo (lavoratori dipendenti ma anche autonomi, saltuari e precari)
Non mettere in campo misure che possano acuire le disuguaglianze già profonde esistenti nel nostro paese (Sud; donne; stranieri)
Non inventare nuovi dispositivi ma in una fase emergenziale come quella attuale utilizzare le misure già esistenti ampliandole (in tre direzioni: aumentando la platea dei beneficiari, incrementando gli importi oppure integrando con altri servizi di supporto)
Rendere il più semplice e agevole possibile l’accesso alle misure per fare in modo che chi ne ha diritto possa usufruire da subito di tale aiuto e che tutti i destinatari previsti possano riceverlo (adottando per esempio meccanismi automatici di erogazione diretta del contributo a chi ne ha diritto senza che le persone ne facciano domanda).
In aggiunta alla Cassa integrazione e alla Cassa integrazione in deroga previste dal Governo, la proposta prevede due ulteriori misure: il SEA (Sostegno di emergenza per gli autonomi) che completa l’intervento previsto dal Governo (i 600 euro una tantum per il mese di marzo) del trasferimento legando l’ammontare del trasferimento alle condizioni di tutta la famiglia e alla caduta del reddito (supportando chi ha perso di più).
La seconda misura il REM (Reddito per l’emergenza) che si rivolge a 6-7 milioni di lavoratori privati tra cui i lavoratori a tempo determinato che a scadenza di contratto si ritrovano disoccupati e senza copertura (200-300 mila di contrattisti a chiamata) e disoccupati che hanno esaurito la Naspi, gli inoccupati e i tre milioni di irregolari. Si dovrebbe trattare di una variante molto semplificata e decisamente alleggerita del Reddito di cittadinanza che accelerare la procedura di accesso e che non prevede per esempio il vincolo del patrimonio immobiliare ora previsto nel Rdc.
Sia SEA che REM avrebbero la stessa durata delle altre misure e cioè fino all’estate 2020.
Ci auguriamo che il decreto maggio assuma l’esigenza di garantire a tutti un sostegno adeguato, robusto e che metta in sicurezza le persone dal rischio concretissimo di cadere in povertà, come si fa in ogni fase di emergenza
Volendo fare una possibile previsione: come pensate che si evolverà la situazione?
Il Covid ci sta insegnando come prima cosa che le situazioni di emergenza come quella che stiamo vivendo non sono altro che una lente attraverso cui la nostra realtà può essere vista più da vicino: quello che c’è si amplifica e assume proporzioni ipertrofiche, al limite della gestibilità.
Le conseguenze economiche e sociali innescate dalla emergenza sanitaria stanno infatti facendo deflagrare una serie di situazioni di disagio sociale su cui pesava da tempo il deficit di interventi strutturali e organici: la condizione delle persone senza dimora (che in alcune grandi città non vedono riconosciuta loro la possibilità di residenza fittizia e dunque l’accesso a una serie di misure pubbliche), lo stato delle persone anziane e non autosufficienti (domiciliarizzazione vs accoglienza in struttura, dove tra l’altro la sanitarizzazione del sistema di servizi pubblici per la non autosufficienza impedisce di riconoscere la dimensione sociale della loro condizione e di realizzare interventi adeguati), il sovraffollamento delle carceri, l’emergenza abitativa, fra gli altri.
Faglie già aperte all’interno dei nostri sistemi di welfare su cui gli interventi realizzati negli anni, anche ad opera delle Caritas, hanno svolto quanto meno una funzione di contenimento rispetto al loro dilagare. Ma il fatto che non ci sia stata da parte del decisore pubblico una piena assunzione di responsabilità rispetto al da farsi ha trasformato gli interventi temporanei in “un eterno presente senza prospettive”.
A tutto questo si è aggiunto l’improvviso e ancora non determinabile con precisione ampliamento della quota di persone che avendo perso il lavoro a seguito della crisi, saranno dipendenti dal sistema di welfare per la loro sopravvivenza, e i “vulnerabili” che sommeranno alla espulsione dal mercato del lavoro anche la fragilità delle loro reti familiari e sociali (cfr. Castel 2000).
Lo scenario che si profila è una intensificazione e pluralizzazione dell’intervento delle Caritas sui territori in tre direzioni:
Intervenire strutturalmente su alcuni ambiti specifici: Azione diretta (interventi sui territori) e indiretta (advocacy) per affrontare strutturalmente le condizioni delle persone senza dimora, anziani non autosufficienti, bisogni abitativi, carcere.
Sostenere temporaneamente alcune fasce della popolazione: Sostegno economico e materiale di persone e famiglie che vivranno una temporanea assenza di reddito, dovuta per esempio al ritardo nella erogazione dei contributi della cassa integrazione in deroga (dipendendo dalle regioni i tempi per le erogazioni sono più lunghi se le banche non si dicono disposte a anticipare ai datori di lavoro le quote). Si tratta però di situazioni che non rientrano nella tipologia di beneficiari che ordinariamente si rivolgono alle Caritas. Vanno pertanto escogitate modalità di supporto che possano alleviare situazioni di difficoltà che potrebbero restare sommerse (soprattutto in assenza di risparmi a cui le famiglie possano attingere per far fronte alle esigenze economiche)
Guardare agli esclusi dalle misure: Sostegno economico e materiale per coloro che risulteranno non coperti dalle misure del Governo (si dovrà aspettare il Decreto Maggio per capire come si articoleranno gli interventi).
Il secondo insegnamento che la vicenda del Covid – 19 ci consegna è che quando ci eravamo ormai convinti del fatto che tutto fosse “virtualizzabile” ci siamo invece accorti che nulla può essere in realtà completamente “disintermediato”. Nei giorni del Covid lo spazio pubblico svuotato a causa delle regole del distanziamento sociale è rimasto popolato da coloro che sul territorio nel solco di una continuità di rapporti di fiducia con le persone si sono fatti carico di garantire il sostegno materiale a chi era in difficoltà. Ma non si è trattato in nessun caso di una mera consegna di beni materiali: mai come in questi giorni la distribuzione è stata contatto denso di socialità. Proprio nel tempo della distanza, della soppressione della vicinanza fisica, la prossimità ha significato trovare il modo per “esserci”.
Questa funzione di prossimità dovrà essere declinata dalle Caritas in collaborazione con gli altri operatori sociali territoriali tenendo conto di due elementi:
Le ripercussioni psicologiche per adulti e bambine/i degli effetti che sono trasversali a tutta la popolazione
Il rischio che alcuni effetti del Covid impattino maggiormente su alcune fasce della popolazione che già scontavano divari socio-economici. In tal senso dobbiamo evitare di fare in modo che le disuguaglianze di opportunità già esistenti si accentuino ulteriormente.
A tal fine sono almeno due le direzioni in cui le Caritas possono sostanziare azioni con uno sguardo su tutta la popolazione:
Curare la tenuta degli equilibri psichici in bilico: Azioni di supporto e tutela della tenuta psico-fisica di coloro che stanno subendo i contraccolpi sociali ed economici della crisi (persone che hanno perso il lavoro, persone che non rientreranno al lavoro per via di esigenze di conciliazione legate al prolungamento della chiusura delle scuole, ecc.)
Gestire i vissuti e l’apprendimento di bambine/i al tempo del Covid per non fare della “povertà un destino”: supporto alle famiglie nella gestione e cura dei processi di rielaborazione psicologica ed emotiva dell’esperienza vissuta col lockdown, nel recupero delle lacune didattiche eventualmente accumulate, per prepararli ad affrontare la ripresa delle attività didattiche a settembre e non approfondire o stabilizzare i divari socio-economici esistenti.
Come dice Papa Francesco, “è tempo di rimuovere le disuguaglianze, di risanare l’ingiustizia che mina alla radice la salute dell’intera umanità”. Non si può più rimandare ormai e questo il Covid lo ha reso evidente in tutta la sua drammatica urgenza.
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