Il teatro è scuola di vita. Intervista ad Annina Pedrini

Milano e il teatro. Un binomio inscindibile, da sempre. Nella storia culturale europea, moderna e contemporanea, Milano è il Teatro. Sarebbe davvero lungo l’elenco dei maestri, i grandi attori, che hanno fatto di Milano l’eccellenza nell’arte teatrale, due nomi per tutti: Giorgio Strehler e Dario Fo. Quale il senso del Teatro oggi, nella nostra “società liquida”?  Come ridare al Teatro il valore che gli spetta? Ne parliamo, in questa intervista, con Annina Pedrini, cresciuta alla scuola del “Piccolo” di Strehler, animatrice del CTA-Centro Teatro Attivo – di Milano.

Può raccontarci, in breve, quando e come ha deciso di intraprendere la carriera di attrice e di “costruire” con altri una Scuola di Teatro, a Milano?

Durante il liceo a Padova, negli anni ’70, ho partecipato ad alcuni laboratori teatrali. Dopo la maturità, l’unica scuola che mi sembrava offrisse una vera formazione completa professionale era il Piccolo Teatro di Milano e così è iniziato il mio apprendistato teatrale.

Tra i miei insegnanti del Piccolo, c’era Nicoletta Ramorino – attrice appartenente al gruppo dei primi diplomati dell’Accademia nel 1954. E’ lei la fondatrice di Centro Teatro Attivo, nel 1982.

Perché avete chiamato la vostra scuola “Centro Teatro Attivo”? Qual è la vostra mission?

L’ho chiesto alla mia socia Nicoletta Ramorino, che a 86 anni è ancora una colonna portante della scuola. Mi ha risposto: “Mah, è nato così… Mi sembrava che le parole “teatro” e “attivo” ben rappresentassero l’energia e la passione che sentivo dentro di me”.

Possiamo dire che la mission di questa scuola, che esiste da più di 30 anni, sia quella di fare in modo che la formazione teatrale rappresenti uno strumento di conoscenza di sé e del modo con cui ci relazioniamo con gli altri. Con il sogno che il miglioramento dell’individuo, attraverso l’agire artistico, possa contribuire a uno sviluppo “buono” della relazione sociale.

Chi frequenta i vostri corsi? 

Abbiamo un’utenza molto variegata, dai 6 anni… ai 60 o più. Questo per quanto riguarda i corsi frequentati da chi vuole fare un percorso teatrale per curiosità, passione o divertimento. Poi abbiamo l’Accademia professionale, che prevede selezione e un’età compresa tra i 18 e i 26.

Tra i vostri successi c’è il rapporto con le aziende. Avete lavorato con grandi aziende italiane e non solo. Insomma, mettete in comunicazione due mondi apparentemente lontani. Qual è il vostro valore aggiunto alle aziende?

La metafora teatrale è fortemente collegata ai temi di fondo dello “stare nell’organizzazione”: interpretare e fare interpretare un ruolo in modo ricco e convincente, esporsi di fronte a pubblici diversi, presidiare il rapporto tra il vissuto personale e l’immagine che si proietta all’esterno, individuare l’equilibrio tra la spontaneità del comportamento e le tecniche che rendono credibile l’interpretazione, raggiungere un obiettivo comune e gestire con consapevolezza la leadership.

Un altro plus è l’approccio metodologico, che sposta su un terreno metaforico l’obiettivo formativo, consentendo ai partecipanti di lavorare anche su temi di alta complessità e l’aspetto pratico concreto dei role play (giochi di ruolo) in aula consente un’accelerazione dei tempi di apprendimento.

Quale il senso del Teatro oggi, nella nostra “società liquida”?  Come ridare al Teatro il valore che gli spetta?

In un contesto nel quale mancano i “contorni” alle cose, il teatro offre con il suo portato fantastico, emozionale e narrativo uno sguardo più aperto e sfaccettato sulla realtà.

Proprio per la capacità che il teatro ha di essere così duttile come strumento di relazione e di conoscenza dell’agire umano, sarebbe meraviglioso che diventasse una materia obbligatoria… o quasi, nelle scuole superiori. I ragazzi sarebbero aiutati ad entrare in un contatto più profondo con sé stessi, a liberarsi dalla connessione estenuante e autoreferenziale con i social e a godere della poesia che l’atto teatrale porta inevitabilmente con sé.
Lei nel suo lavoro, anche di consulente aziendale, ha incontrato, e incontra, molti giovani. Come si pongono i giovani nei confronti del Teatro?

Non è semplice rispondere…Molto dipende se sono stati “segnati” da esperienze negative, come da spettacoli teatrali di routine, poco interessanti e incapaci di parlare ai loro bisogni. Ma quando si prospetta la grande opportunità che il teatro dà, di riflessione e conoscenza, spesso c’è stupore, curiosità e desiderio di vivere l’esperienza dell’incontro tra spettatore e attore sulla scena.

Consiglierebbe ad un giovane di fare l’attore?

Consiglierei sicuramente a un giovane di fare un percorso teatrale, anche breve, per acquistare consapevolezza di sé e delle proprie modalità comunicative. Per quanto riguarda una scelta professionale, sicuramente oltre alla passione bisogna essere consapevoli delle difficoltà produttive di questo momento in Italia.

Chi, nella sua vita, è stato determinante per  dare una svolta alla sua strada professionale?

Ho avuto la fortuna, alcuni anni fa, di seguire un master condotto da un maestro molto importante, Anatolj Vassiliev (grande pedagogo di Mosca), che mi ha permesso di approfondire attraverso il metodo degli Etjude un lavoro di derivazione Stanislavskijana.

A quali modelli di Filosofia del Teatro lei si rifà?

Come appunto dicevo, sicuramente Stanislavskij rimane un riferimento importante, ma oggi come oggi i linguaggi teatrali stanno evolvendo con altre discipline artistiche:, video, installazioni, ecc… le performance attorali stanno vivendo nuovi stimoli. e’ tutto liquido, anche le metodologie.

Vi sono dei autori teatrali che lei mette in scena con maggior passione?

Ho una passione sviscerata per Cechov, è un’occasione per l’attore assolutamente unica di affinare sentimenti e poetica delle “piccole cose”.

Ha un testo che ama profondamente inerente il Teatro è che, secondo lei, chiunque dovrebbe leggere?   

Sicuramente “Il gabbiano” di Cechov, soprattutto per i giovani che si avvicinano al teatro.

Vivere e Recitare per lei coincidono? Nella tradizione greca la maschera dà risonanza alla voce…quale, secondo lei, la relazione tra maschera e volto?

Recitare è un mestiere e anche vivere lo è. A volte coabitano e quando accade si chiama “teatro”.

Rifarebbe le scelte che ha fatto? Cosa cambierebbe? Quali i suoi progetti per il futuro? Innovare o approfondire?  

Sì, rifarei le scelte che ho fatto. Era un altro momento storico e le opportunità erano diverse. Sarebbe stato importante andare a Wuppertal da Pina Bausch, quella sarebbe stata una straordinaria occasione espressiva.

Ho l’opportunità di lavorare con un giovane regista, Fabio Cherstich, l’incontro tra il suo modo di fare teatro e la mia esperienza professionale ha prodotto uno spettacolo per me molto significativo (con un testo di Massimo Carlotto) e spero nel futuro di approfondire questo incontro artistico.