“Il mio ricordo di Giovanni Falcone”. Un testo di Paolo Borsellino

Ieri è stato il giorno della memoria, a vent’anni dalla strage di Capaci, e si sono  ricordati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. I martiri della lotta alla mafia. Oggi, a Corleone, ci sono svolti i funerali di Stato del sindacalista della Cgil Placido Rizzotto, ucciso dalla mafia nel 1948. Due momenti alti per la nostra coscienza civile. Per continuare il nostro omaggio pubblichiamo questo intervento di Paolo Borsellino in ricordo di Giovanni Falcone (Il testo è un estratto da:  LE ULTIME PAROLE DI FALCONE E BORSELLINO. Prefazione di Roberto Scarpinato. A cura di Antonella Mascali . Ed. Chiarelettere, Milano 2012).

“Giovanni Falcone lavorava con perfetta coscienza che la forza del male, la mafia, lo avrebbe un giorno ucciso. Francesca Morvillo stava accanto al suo uomo con perfetta coscienza che avrebbe condiviso la sua sorte. Gli uomini della scorta proteggevano Falcone con perfetta coscienza che sarebbero stati partecipi della sua sorte.
Non poteva ignorare, e non ignorava, Giovanni Falcone, l’estremo pericolo che egli correva perché troppe vite di suoi compagni di lavoro e di suoi amici sono state stroncate sullo stesso percorso che egli si imponeva. Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché mai si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! La sua vita è stata un atto di amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato, che tanto non gli piaceva. Perché se l’amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per lui, e per coloro che gli siamo stati accanto in questa meravigliosa avventura, amore verso Palermo e la sua gente ha avuto e ha il significato di dare a questa terra qualcosa, tutto ciò che era ed è possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore questa città e la patria a cui essa appartiene. Continua a leggere

L’”inverno” di Monti

Giulio Sapelli è uno dei pochi anticonformisti, degni di questo nome, rimasti in questo sfortunato Paese. Editorialista del “Corriere della Sera”, economista, storico dell’economia, docente universitario alla Statale di Milano, uomo d’azienda (è stato responsabile della formazione in Oliveti e all’’Eni). Vicino anche alla cultura sindacale.  Una persona, quindi, che sa leggere con profondità gli eventi dell’economia mondiale. Con questo libretto, pubblicato per i tipi della “Guerini e associati”, in poco più di settanta pagine  , ci offre una chiave di lettura interessante sugli avvenimenti politici ed economici che riguardano l’Italia. Il titolo, “L’inverno di Monti. Il bisogno della politica”, ci da come vedremo la chiave di lettura del libro.

Così Sapelli parte dall’analisi dell’intreccio, in Germania e Italia, tra storia e storia internazionale. Sull’Italia scrive: “L’intreccio tra nazione e internazionalizzazione opera sin dalla nascita dello Stato italiano e opera ancora oggi. Ma quell’intreccio non è stato culturalmente condiviso. E soprattutto esso non ha mai avuto conseguenze positive sulla crescita economica, se non meccanicamente seguendo i cicli del commercio mondiale. Piuttosto, quell’intreccio si è rivelato un intreccio predatorio sul piano di capitale fisso e intellettuale dall’Italia secolarmente accumulato”. E l’autore ricorda, in questo senso, gli elementi negativi, che nel suo secondo dopoguerra, hanno impedito all’Italia di svolgere un ruolo di primo piano in alcuni settori strategici (es. la fine dell’Olivetti, le  “privatizzazioni senza liberalizzazioni” degli anni ’90, la fine dell’industria chimica e siderurgica). E la politica faceva emergere gli “arcipelaghi” di interessi. Senza una precisa visione di futuro. La Germania, invece, con la sua riunificazione ha saputo giocare un ruolo di preminenza grazie alla sua potenza industriale fatta di grande innovazione tecnologica su larga scala.

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La cultura della Liberazione. Un pensiero di Pietro Scoppola

Celebriamo oggi il 25 Aprile, giornata della vittoria della Resistenza sul nazifascismo. Proponiamo ai nostri lettori questo pensiero dello storico Pietro Scoppola.

“Il processo di liberazione non è mai compiuto: non è compiuto nelle coscienze dei singoli, non lo è nella vita sociale. La liberazione dell’uomo, di tutti gli uomini, dall’oppressione, dalla miseria, dall’ignoranza, dalla paura – e in una parola dal male – è un obiettivo sempre valido, sempre necessario e sempre aperto. La cultura della liberazione non implica un punto di arrivo, non ha, come la cultura della rivoluzione, modelli definiti di società da proporre, si coniuga con il realismo della politica, ma rappresenta un principio costante di non appagamento rispetto a tutti i risultati raggiunti e costituisce perciò quell’elemento di tensione utopica che tiene viva la democrazia e ne garantisce lo sviluppo.

La storia dell’Italia unita è segnata da una domanda di liberazione che parte dal Risorgimento nazionale e si rinnova nella Resistenza. (…) La Costituzione del ’48 è ancora un punto di riferimento sicuro per indicare il cammino della liberazione (…).

Celebrare il 25 aprile significa dunque aprirsi alla cultura della liberazione, all’idea di traguardi più avanzati di dignità e di libertà umana, a una idea di democrazia che coniuga tensione utopica e ricerca di adeguati strumenti istituzionali; significa aprirsi alla prospettiva di una lotta per la liberazione che continua oggi e deve continuare domani”.

(Pietro Scoppola, 25 Aprile. Liberazione, Einaudi Editore, Torino 1995. Pagg. 100-101)