Le tre “rivoluzioni interrotte” del Novecento

Costituzione repubblicana del ’48, Concilio Vaticano II e sessantotto. Questi sono, per Raniero La Valle (grande giornalista cattolico, ed  ex direttore dell’Avvenire d’Italia), i momenti  cardini del “grande secolo” Novecento.

Così in questo volume, dal titolo emblematico “Quel nostro novecento”, uscito per i tipi di “Ponte alle Grazie” (pagg. 194  € 12,00),  l’autore racconta il “suo” novecento,  attraverso una “lectio discipularis” (termine contrapposto a “magistralis”) , che interseca la grande storia del secolo scorso. Secolo grande e terribile che “ha prodotto i totalitarismi e il nuovo costituzionalismo, che ha fatto le più grandi guerre e ha dato fondamento alla pace, che ha inventato la bomba atomica e la dottrina della non violenza, che ha perpetrato la Shoah, ha compiuto genocidi e ha visto popoli insorgere e liberarsi”.

La storia personale, dicevamo, interseca quella grande. Il “suo” Novecento inizia con il fascismo, quello delle leggi razziali, dell’occupazione nazista di Roma, la vita di stenti a causa della guerra, la Resistenza (rievocata attraverso la storia di due grandi figure femminili: Teresa Mattei –deputata comunista alla Costituente – e Tina Anselmi – partigiana democristiana e coraggiosa Presidente della Commissione d’inchiesta sulla P2 (senza il suo impegno di contrasto la P2 avrebbe imperversato per chissà quanto tempo nel  nostro Paese, producendo danni ancora maggiori di quelli che ha prodotto). Dalla  resistenza nasce la Costituzione repubblicana del ’48, quest’ultima si inserisce nel grande alveo del  Costituzionalismo democratico (esempio massimo è la Carta dei diritti dell’uomo dell’Onu). In questo ambito avviene il capovolgimento radicale sul fronte della Pace (“L’Italia ripudia la guerra”), e dell’uguaglianza (“La Repubblica s’impegna  a rimuovere gli ostacoli..”). Principi . sempre validi ma mai raggiunti in modo definitivo. In questo senso la Costituzione è una rivoluzione interrotta. Certo, c’è da sottolineare, che la politica italiana di questo ultimo decennio non ha brillato per fedeltà alla Costituzione.

Poi venne il Concilio Vaticano II. Per la Valle si tratta della seconda, decisiva, rivoluzione avvenuta nel  Novecento. E “benché oggi molti si ostinano a dire che il Concilio non ha cambiato niente, o che deve essere interpretato secondo un’ermeneutica dell’invarianza, la Chiesa e il suo annuncio di Fede ne sono usciti trasformati”. Ma non è solo una questione “ermeneutica” il Concilio non solo ha riconciliato la Chiesa con il mondo, ma anche “l’uomo con gli uomini e le donne quali noi siamo”. Ma anche questa rivoluzione ben presto s’interrompe. E La Valle, come esempio, ricorda la chiusura dell’esperienza del quotidiano bolognese “L’Avvenire d’Italia” (quotidiano che ha informato la cattolicità italiana sul Concilio facendosene interprete autorevole).

Infine il terzo avvenimento: il ’68. Per l’autore segna un ‘epoca. “Dopo la rivoluzione del diritto, dopo la conversione del linguaggio della fede, venne con il ’68 la rivoluzione della vita quotidiana, l’esplodere dei movimenti, il nuovo pensiero femminista, il sogno della libertà, la lotta contro le istituzioni totali, la chiusura dei manicomi, il nuovo diritto di famiglia. Il 68 avrebbe dovuto essere letto come un segno dei tempi; ma così non fu letto né dalla Chiesa, né dai partiti e perciò non poté sprigionare tutte le sue energie”. Insomma per La Valle il 68 è “stato l’utopia dell’amore come alternativa al potere”. Quella stagione, comunque, non è stata solo “movimentismo”. Si ricordano gli sforzi di Aldo Moro per il rinnovamento della Dc, il dialogo tra cattolici e comunisti (che sfocia nella nascita della Sinistra Indipendente che portò a risultati legislativi interessanti, certo la gerarchia lanciò i suoi “fulmini”). Con la morte di Moro morirono la Dc e il Pci, e quindi la speranza di una democrazia compiuta (ovvero la speranza di dare un corso diverso alla storia del mondo occidentale).  A finire non era solo l’utopia comunista, ma anche il sogno di una democrazia realizzata dove la politica moderasse l’economia, il costituzionalismo garantisse i diritti e tenesse entro limiti invalicabili il potere, la giustizia fosse realizzata, e le Repubbliche togliessero gli ostacoli alla pieno sviluppo della persona umana. “Il Novecento finì così con una sconfitta. Non vinse né il socialismo né il costituzionalismo liberale”. Anzi sul piano internazionale fu il trionfo della guerra. Ma nel Novecento, conclude l’autore,  “restano, insieme a molti altri doni, quelle tre grandi cose che furono la Costituzione, Il Concilio e il ’68. Ma nessuna di queste cose potrà sopravvivere se non viene assunta con amore, così come per amore sono ste compiute”. Quindi non “altarini” per le giovani generazioni ma concrete vie di speranza per l’umanità.

Per un’etica costituzionale. La passione civile di Rodotà

Sicuramente Stefano Rodotà, fine giurista e filosofo, è stato , ed è, tra i più forti critici del berlusconismo politico-morale. Questo libretto, uscito per i tipi di Laterza, dal titolo “antico” Elogio del moralismo (pagg. 96, € 9,00) rappresenta, infatti, una piccola “summa” dell’alternativa morale e “costituzionale” al berlusconismo che ha fatto da padrone nel nostro Paese per troppi anni. Continua a leggere

Una “Road Map” sul lavoro. Intervista al Senatore Tiziano Treu

La settimana politica e sociale, nel nostro Paese, è stata segnata, tra l’altro, dal dibattito sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori . Scatenato dalle dichiarazioni del Ministro Fornero (poi specificate meglio). Su questo, ed altri temi collegati al lavoro, abbiamo intervistato il Senatore del PD Tiziano Treu, ex-Ministro del Lavoro nel primo governo Prodi.

Sull’articolo 18 c’è un dato interessante che il quotidiano “Repubblica”, in questi giorni, ha pubblicato (Si tratta di un sondaggio Unioncamere-Excelsior). Ovvero che il problema più grave per le imprese italiane non è l’articolo 18, di flessibilità in uscita, ma è la mancanza di prospettive a breve termine…
Non c’è dubbio, perché il nostro primo problema è quello di riprendere a crescere poiché se non c’è una economia che riprenda a funzionare non ci sarà lavoro né per quelli attualmente attivi né soprattutto per i giovani, quindi, non è che l’articolo 18 aiuta, in generale, l’articolo 18 può essere visto in un contesto che permetta, da una parte, la crescita, e dall’altra che dia alle persone in caso di crisi e di difficoltà un sistema di ammortizzatori e di sicurezze e che quindi assicurino; questi sono i due problemi principali non certo la riforma dell’articolo 18.

La riforma del mercato del lavoro italiano è un tema troppo importante per il futuro del nostro Paese. Quale potrebbe essere una possibile “road map” di riforme?
Adesso vedremo quando il governo aprirà un tavolo, come ha promesso e come è scritto anche nella Manovra, con le parti sociali perché questa è una materia che va affrontata in questo modo. Credo che ci sia, innanzitutto, da considerare come affrontare le migliaia di persone che sono in difficoltà, molti sono addirittura senza lavoro, senza pensione perché c’è stato questo spostamento dell’età pensionabile: quindi il primo tema è quello di avere un ammortizzatore soprattutto per i giovani precari e per le persone anziane poiché questo mercato del lavoro che tutti gli altri paesi europei hanno e che da noi non è ancora sistemato, potrà permettere anche una maggiore mobilità che è altrettanto essenziale, poi dopo occorreranno delle misure specifiche per superare, soprattutto, quelle che sono le maggiori difficoltà come altri paesi hanno fatto; i giovani che sono usciti dalla scuola prematuramente e che sono quelli che avranno più problemi ad entrare nel mercato del lavoro che richiede più conoscenze del passsato. Questi sono, sicuramente, i temi che andranno affrontati per primi, poi dopo occorrerà, per tutte le professioni, rendere più facile l’accesso ai giovani e aumentare il contenuto di competenze.

Il premier Monti vorrebbe imitare in Italia il modello scandinavo. E’ possibile questo?
Il modello scandinavo non può certamente essere importato tale e quale perché è molto particolare però l’idea comune a tutto il modello sociale europeo, non solo ai paesi scandinavi anche alla Germania, la Francia è proprio questa che ci vuole l’economia più innovativa da una parte, quindi, come dicevo, imprese più innovative e lavoratori con maggiori competenze, dall’altra parte una maggiore mobilità che però si può fare solo se c’è la sicurezza data da servizi sul mercato del lavoro,da ammortizzatori sociali, quindi questa idea della flexsecurity, questa è la base del modello sociale europeo. Nei paesi scandinavi ha un livello di tutele che sono particolarmente alte ma in realtà la base è comune è questa flessibilità ma nella sicurezza.

Ultima domanda: Sulla riforma del mercato del lavoro un ruolo importante lo giocherà il PD. Troverà una sintesi tra le diverse posizioni?

Credo di si, ci stiamo lavorando, poi su molte cose si è già d’accordo, sulla necessità degli ammortizzatori universali, sulla necessità di semplificare i tipi di lavoro, i contratti che sono necessari, sono solo pochi e invece ci occorre renderli fruibili a tutti con costi uguali per evitare che si adoperino contratti precari perché costano meno. Su questi punti siamo largamente d’accordo;ci potrà essere poi qualche differenza nel momento in cui si arriverà a discutere su come gestire le crisi, sul problema dei licenziamenti ma io credo che arriveremo a un punto.

Don Primo Mazzolari: un profeta per l’oggi

Il titolo che abbiamo dato, a questo “pezzo”, non sorprenda ma leggere questo libretto, pubblicato da Chiarelettere nella collana Istant Book, dal titolo “antico”,infatti richiamano le parole del Vangelo, “Come pecore in mezzo ai lupi” (pagg. 150 € 7,00), fa un salutare effetto: la parola profonda di ogni testimone del Vangelo interroga sempre la nostra quotidianità. Continua a leggere

Il tramonto della borghesia

Il fenomeno della“scomparsa della borghesia, si è accentuato fino a diventare il nervo scoperto di un paese in affanno, sostanzialmente fermo, barricato a difesa del proprio alto livello di benessere e incapace di proiettarsi verso il futuro. L’eclissi della borghesia è il comune denominatore che ha investito, con eguale intensità, la politica, l’economia e la società. Un virus che ha contagiato tutto e tutti, non risparmiando nessuno dei punti nevralgici del sistema”. Continua a leggere