Ribellarsi all’indifferenza

In tempi caotici come questi, che sono anche tempi drammatici, leggere parole forti (parole che hanno un significato, che non cadono, quindi, nell’insignificanza) che possono scuotere la nostra mente e la nostra anima ormai assuefatta (o forse cinica) non può che far bene.
Ed è il caso di questo istant book , pubblicato dalla Casa editrice Chiarelettere, che raccoglie alcuni articoli di Antonio Gramsci, usciti sull’Unità tra il 1917 e il 1918 (un periodo, quindi, di alta tensione sociale e politica per l’Italia ormai alla fine dell’era giolittiana).
E’ l’Italia della disfatta di Caporetto, degli scioperi per il pane. L’Europa è segnata dalla fine degli Imperi centrali e dalla rivoluzione russa di Lenin.
Insomma una temperie che segnerà per sempre la storia del novecento italiano ed europeo.
Eppure, nonostante sia passato quasi un secolo, quelle parole di Gramsci mantengono una lucidità, e un’attualità, impressionante.
Che è tipico, per dirla con Italo Calvino, degli autori classici.
“Odio gli indifferenti” (pagg. 112, € 7,00) è il titolo che il curatore, David Bidussa studioso del pensiero politico contemporaneo, ha voluto dare al libretto.
In questi scritti del pensatore sardo c’è il Paese Italia. “Il Paese Italia, non la nazione italiana: le cose minute, i comportamenti, i tic che si usano, le consuetudini con cui si organizza la vita associata. Una realtà che sollecita l’indagine sulla vita reale non la costruzione di proiezioni ideologiche”.
E in questa operazione Gramsci mette in opera lo sguardo dell’intelligenza appassionata (che è poi quella dioturna passione per migliorare la condizione degli uomini e delle donne) per contrastare quella “ideologia” della quotidianità che appiattisce tutto.
Così, in queste pagine, sono affrontati i mali ancora irrisolti della società italiana: l’inconsistenza della classe politica, il trasformismo, la scuola, gli scandali, l’assenza di eticità nella burocrazia, il perbenismo ipocrita, ecc.
Ma alla base del “ragionamento” gramsciano c’è la ribellione nei confronti degli indifferenti: “Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che ‘vivere vuol dire essere partigiani’. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti”. Questo atto d’accusa durissimo è anche un giudizio su un certo modo di fare politica, di leggere gli avvenimenti della storia, di partecipare all’azione sociale di costruzione della “città futura”: “L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui si affogano gli entusiasmi più splendenti”. Ancora sono intense le parole di Gramsci.
Per l’indifferente, che è poi la massima manifestazione della irresponsabilità, tutto quello che avviene è fatalità (“che – come scrive ancora l’autore – sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo”). Quanto è attuale questo pensiero! Sì l’indifferente è quello che legge i grandi movimenti della storia come una catastrofe (spreca paroloni come “terremoto sociale”, “tsumani umanitario” e quant’altro). In realtà questo atteggiamento è frutto di una chiara scelta politica: quella che vede solo il proprio interesse, altro che fatalità!
La politica per Gramsci, invece, è il massimo di responsabilità, intelligenza e “fantasia” (ovvero di progettazione e anticipazione del futuro). Profonde queste parole: “Nella vita politica l’attività fantastica deve essere illuminata da una forza morale: la simpatia umana” senza questa profondità spirituale c’è il dilettantismo politico (ovvero l’approssimazione, lo schematismo, l’idiozia nei confronti della storia). “Perché si provveda adeguatamente – afferma Antonio Gramsci – ai bisogni degli uomini di una città, di una regione, di una nazione, è necessario sentire questi bisogni; è necessario potersi rappresentare concretamente questi uomini in quanto vivono, in quanto operano quotidianamente, rappresentarsi le loro sofferenze, i loro dolori, le tristezze della vita che sono costretti a vivere. Se non si possiede questa forza di drammatizzazione della vita, non si possono intuire i provvedimenti generali e particolari che armonizzano le necessità della vita con le disponibilità dello Stato”.
Questi irresponsabili “obbligano a soffrire inutilmente nel tempo stesso che sciolgono inni alati alla virtù, alla forza di sacrificio del cittadino italiano”. Anche qui le cronache contemporanee ci offrono uno spettacolo desolante.
Insomma, per Gramsci, il politico inetto che non sa rappresentarsi il dolore degli uomini è crudele. E prima o poi la Storia gli renderà conto.
Molti altri temi affronta questa raccolta di scritti, ma quello che più conta è l’appello appassionato che viene fuori da queste belle pagine, come ci ricorda il curatore del libro: “scongiurare che la nuova quotidianità possa apparire come l’unico dei mondi possibili”.

Dove va il Capitalismo Italiano? Intervista a Giulio Sapelli

Il Capitalismo italiano sta vivendo un periodo di turbolenza. Ad esempio la tensione che sta vivendo ora il gruppo “Generali”, al suo interno, ne è la cifra, insieme alla vicenda di Parmalat (senza dimenticare Fiat ed altre ancora ), più eclatante. Tensioni dovute ad una “un’ offensiva – come afferma Giulio Sapelli in questa nostra intervista – per arginare dalla sua vocazione il più potente gruppo del capitalismo italiano” . Così siamo ad un passaggio delicatissimo per la Compagnia. Continua a leggere

I Professionisti del potere: l’Italia delle oligarchie

Un libro che sta facendo discutere l’opinione pubblica italiana questo di “Elio Rossi” (che è un  nome di fantasia), I professionisti del potere. Ecco come gli italiani sono comandati e da chi, Ed. Chiarelettere, Milano 2011, pagg. 196, € 14,00.

Si tratta di un ex giornalista, di buon livello, che ha lavorato per vent’anni nelle redazioni di importanti quotidiani italiani e negli uffici stampa di aziende importanti del nostro Paese.

“Appartengo ai forti – scrive di sé l’autore – eppure provo una sensazione di disagio. Dopo aver trascorso gli ultimi vent’anni nelle redazioni e negli uffici dei potenti, voglio raccontare come funziona il sistema che in Italia controlla la finanza e i mezzi di informazione”. Continua a leggere

“C’è un’Italia migliore” . Intervista a Nichi Vendola

Gli avvenimenti del Giappone e della Libia hanno, ciascuno a suo modo, certamente una  influenza sulla politica italiana. Ne parliamo con Nichi Vendola, Presidente della Regione Puglia e leader di Sinistra Ecologia e Libertà.

Presidente Vendola, Il drammatico terremoto in Giappone ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica italiana, per via della Centrale di Fukushima danneggiatea dal sisma, la questione nucleare. Qual è la sua posizione?

Credo che la tragedia giapponese debba suscitare in tutto il mondo una vera, e approfondita pausa di riflessione. L’impressione è che tutti i paesi più grandi, più industrializzati vivano il trauma della catastrofe nucleare nella centrale giapponese, davvero come un punto di cesura rispetto al passato. Noi abbiamo visto la lobby nuclearista affidarsi a dei  guru, diciamo così “scientifici”, che basavano la loro sicumera e la loro fede nuclearista sulla rievocazione del calcolo probabilistico; bene , in trentadue anni abbiamo avuto nel mondo tre incidenti rilevanti:  Three Mile Island nel 1979 negli Usa, nel 1986 a Chernobyl , in Ucraina e oggi a FukuShima in Giappone.  Siamo dinanzi ad un avventurismo pseudo scientifico figlio delle grandi lobbies economiche che si sono arricchite con il nucleare civile e militare (perché ricordo che il nucleare civile è imparentato al nucleare militare entrambi vivono di segreti , di militarizzazione del territorio e di omertà istituzionali) allora io penso che, mentre il mondo riflette sull’avventura nucleare, non è possibile che l’unico governo che dica “andiamo avanti” sia quello italiano con le parole veramente  indecenti del Ministro, per così dire, dell’ambiente Stefania Prestigiacomo e con la  svagatezza dei vertici dell’Enel che ci raccomanda di non lasciarsi prendere dall’emotività. Francamente se ci lasciassimo prendere dall’emotività avremmo reazioni, diciamo, ben più robuste di quelle dichiarazioni di rottura radicale su questo fronte. L’Italia non potrà mai accettare un ritorno al nucleare. Noi ci batteremo con ogni mezzo contro questa follia voluta da quella che oggi rischia di apparire soltanto una cricca criminale.

Ci sono altri avvenimenti importanti e drammatici: riguardano la sponda sud del Mediterraneo. Come giudica il comportamento dell’ Occidente nei confronti della  attuale situazione in Libia?

Noi abbiamo usato la Libia, diciamo, come il nostro docile servitore per i lavori sporchi. Abbiamo affidato alla Libia il compito di costruire dei campi di trattenimento, diciamo degli “universi “concentrazionari in cui tenere rinchiusi migranti, talvolta la sorte  di questi migranti la si giocava ai dadi nel deserto, abbiamo coccolato non solo il Rais di Tripoli  ma i dittatori di tutto il Nord  Africa perché ci faceva comodo questa modalità di esportazione della nostra economia e dei nostri commerci.  E’ qui è cascata un po’ l’ipocrisia dell’Occidente, come casca l’asino, perché altrove dovevamo esportare la libertà con i bombardieri e qui abbiamo preferito altro genere di esportazioni non occupandoci della soppressione delle libertà  fondamentali in tutti questi Paesi. Per fortuna una nuova generazione, quella che è cresciuta con Internet,  è diventata consapevole dei propri diritti ed ha aperto un percorso rivoluzionario in tutto il Mediterraneo, purtroppo questo percorso meriterebbe dall’altra parte del Mediterraneo interlocutori credibili e maturi e non un’Europa esitante tremebonda e un’Italia scopertamente compromessa con gli affari di alcuni di questi dittatori.

Parliamo delle vicende di casa nostra. Secondo lei l’Italia è ancora sotto l’ipnosi berlusconiana?

L’Italia vive dentro un clima di censura insopportabile, ed è difficile far vivere la contesa politica quando c’è una specie di falsificazione delle cose che accadono, c’è  una manipolazione delle verità, c’è una disinformazione di regime. Se posso fare un esempio le carte della procura di Milano sulla ‘ndrangheta in Lombardia, sulla ‘ndrangheta pesante che controlla il territorio con modalità assai simili alle modalità con cui controlla la Calabria, la n’drangheta che agisce in ospedali importanti come se fosse in Aspromonte o nella Locride, l’a ‘ndrangheta che non viene minimamente contrastata da un apparato di potere che finge di non vedere ciò che tutti possono vedere già da anni, costituisce un grande scandalo nazionale. Se un boss mafioso in un qualunque ospedale pugliese avesse potuto fare le proprie riunioni e scandire i propri ordini, credo che tutta la classe dirigente pugliese sarebbe stata portata presso la “Corte di Cassazione” del Tg1, delle trasmissioni televisive, e invece nulla, un silenzio e un’omertà istituzionale che impressiona. Ecco in questo clima è difficile, diciamo così, costruire una  positiva interlocuzione con dei falsari. Siamo, quindi, dentro una fase in cui il berlusconismo che ha perso credibilità e consenso si muove come un animale ferito dando colpi di coda che stanno ferendo l’assetto democratico del Paese, speriamo che si possa riparare il danno, stanno uccidendo la cultura, la scuola pubblica, stanno uccidendo l’anima del Paese.

Cosa manca al Centrosinistra per diventare egemone nella società italiana?

Manca la volontà di fare una grande battaglia politico-culturale, di uscire fuori dai propri accampamenti, dalla gestione dei piccoli sistemi di potere. Il centrosinistra deve sentirsi sfidato dalla crisi che è soprattutto una crisi di prospettiva per le giovani generazioni.E piuttosto che inseguire l’alleato impossibile, quello che da un momento all’altro lascerà il campo berlusconiano e verrà a rafforzare il nostro campo, dovrebbe occuparsi dei soggetti sociali che hanno bisogno di essere rappresentati e che sono il blocco sociale del cambiamento: gli studenti, il lavoro dipendente, la piccola e media impresa, il mondo della cultura, il mondo delle donne. Sono questi i soggetti fondamentali della rivoluzione democratica di cui l’Italia ha bisogno.

Leggendo il suo Manifesto, “C’è un’Italia migliore”, onestamente  non trovo molta distanza tra Lei e i valori del PD. Perché non la convince quel partito?

Quel partito talvolta non colpisce i suoi militanti e i suoi dirigenti. Il dibattito sulla natura incerta del PD è aperto dentro al PD. Personalmente il problema non è, diciamo, una condivisione sui temi politico-emozionali, siamo tutti quanti per l’accoglienza degli esseri umani, siamo tutti quanti per il diritto al lavoro, ecc. Il problema è di capire quali sono le politiche di lotta contro leggi che hanno rappresentato un regresso civile, sociale, sono quelle che io vorrei che il centrosinistra avesse nel proprio cantiere. Se il PD avesse questa agenda di propostae probabilmente saremmo nel PD, se siamo in Sinistra Ecologia e Libertà è perché vi è stata una deriva moderata del Partito Democratico.

In una recente intervista ha affermato che, per lei, Rosy Bindi potrebbe essere la candidata  a premier per il Centrosinistra.  E’ ancora di quell’idea?

Io  dicevo, nella misura in cui il centrosinistra si riconosce nella denuncia di una crisi democratica, che è meritevole di essere affrontata da una coalizione democratica la più larga possibile, a quel punto io dico che non si discuta di una figura premiership legata alle virtù della tecnocrazia, perché se la crisi è democratica, non è tecnocratica, non c’è bisogno di un tecnocrate, ma c’è bisogno per una fase transitoria limitata ad alcune riforme come quella della legge elettorale, per il conflitto di interessi, di una figura fortemente caratterizzata in termini politici e democratici. Da quel punto di vista Rosy Bindi, in quella situazione, è stata la mia proposta. Non è incompatibile con il tema prioritario per dare un’anima al centrosinistra delle primarie.

Ultima domanda: A 150 anni dall’Unità possiamo ancora emozionarci per quell’evento?

Devo dire che abbiamo rispolverato il Risorgimento, l’avevamo per decenni messo sotto naftalina e oggi il Risorgimento torna come una questione della nostra attualità, perché abbiamo il sentimento diffuso di un processo di fuoriuscita dall’Unità del Paese, sentiamo la minaccia della cultura leghista, sentiamo l’avanzata di un federalismo che non è solidale, ma è la fotografia dell’egoismo sociale di una parte del Paese e sappiamo che i fenomeni di disgregazione nazionale possono essere molto più rapidi di quanto non si immagini e sono sempre alimentati dalle sottoculture del localismo e delle identità etnoterritoriali.

Parole sull’Italia. Intervista a Marco Travaglio

In Consiglio dei Ministri sarà presentato dal ministro Alfano un progetto di riforma della giustizia, definito da Berlusconi, enfaticamente, come “epocale”. Un progetto che sta suscitando reazioni critiche molto forti. Poi nelle prossime settimane riprenderanno anche i processi a Milano a carico del Presidente del Consiglio. Di tutto questo parliamo con Marco Travaglio Vice-direttore de “il Fatto Quotidiano”.

Travaglio iniziamo dalla così detta “Riforma epocale” della giustizia. Stando alle anticipazioni di stampa in realtà è qualcosa di “antico”. Per Lei è una “controriforma”, perché?

E’ una controriforma perché porta il sistema, porta l’Italia a una dittatura, a un modello fascista quello in cui è il governo a controllare l’azione penale, a dare le direttive alle procure su quali reati perseguire e quali tralasciare. Il fatto poi che sia pure un governo presieduto da un plurimputato per reati gravissimi aggiunge un tocco di surrealismo alla situazione già drammatica. La separazione delle carriere e la sottoposizione di fatto delle procure al governo è una idea che aveva portato avanti la P2, peraltro in un famoso piano di “Rinascita democratica” che Gelli aveva scritto, ma che non aveva mai pubblicato, lo teneva ben nascosto e ben segreto. Adesso invece tutto è pubblico, dichiarato. Lo scopo è evidente: evitare che le procure e la polizia giudiziaria indaghino sui reati dei membri del governo e i loro amici. Non a caso viene staccata dal pubblico ministero la polizia giudiziaria, cosìcché venga riportato tutto sotto l’egida del governo e si eviti così qualche indagine sui reati commessi da chi fa parte del governo e della cerchia più o meno larga di chi gira intorno. E’ quanto di più pericoloso, di più autoritario e di meno democratico si possa immaginare. Tant’è che mentre tutto il mondo tende ad aumentare l’indipendenza degli organi di garanzia, noi che potremmo vantare questo modello d’indipendenza della magistratura lo stiamo buttando a mare.

Guardiamo ai processi di Berlusconi. Perché, secondo lei, ha cambiato strategia, ovvero ha deciso di presentarsi ai processi? Lei ci crede?

Il fatto che si presenti ai processi credo che sia vero, lo ha annunciato insieme ai suoi avvocati. sarebbe una ben magra figura se cambiasse idea, è vero che lui cambia idea continuamente. Io credo che almeno qualche udienza lo vedrà presente e questo per una ragione molto semplice: perché questa volta il processo è talmente rapido nello svolgersi, grazie alla formula del giudizio immediato, che i magistrati hanno tolto il tempo per riflettere e per mettere insieme qualche legge che neutralizzasse il processo, quindi non riuscendo, questa volta, a difendersi dal processo ecco che è costretto a difendersi nel processo. La materia poi è una materia che non ha più quella complicatezza che avevano i reati finanziari, corruzioni, falsi in bilancio, frodi fiscali, fondi neri. Questa volta lo capisce anche l’uomo della strada di cosa è accusato di aver fatto Berlusconi, e cioè di aver avuto rapporti illeciti con una minorenne e di averla fatta liberare ricorrendo a una bugia clamorosa quando era stata fermata in questura per un furto senza documenti. Credo che questo tipo di comportamenti faccia incazzare parecchio gli elettori della Lega innanzitutto, che almeno sui reati degli extracomunitari sono piuttosto severi, ma anche credo un po’ di elettori suoi, che magari si erano fidati della propaganda sui sacri valori della famiglia ecc. Credo che i rapporti con le minorenni non siano un bel biglietto da visita per uno che sfilava al family-day.

Quello che esce fuori dal “Rubygate” è uno spaccato di società desolante. In cui perfino le madri delle ragazze incitano le proprie figlie a lucrare più soldi che si può dai presunti incontri con il Cavaliere. Come spiega questo degrado?

E’ un’Italia poco conosciuta che è venuta avanti in questi anni un po’ sottotraccia. E’ un sottobosco che somiglia molto al modello culturale, anzi inculturale, portato avanti da Berlusconi. E cioè: farsi gli affari propri, lucrare tutti i privilegi possibili dalla vicinanza con uomini potenti, approfittare del momento, battere il ferro finché è caldo e soprattutto guadagnarsi da vivere senza lavorare, senza sapere fare nulla. Con le conoscenze giuste prendendo le scorciatoie, saltare la fila a ogni costo, anche a costo di prostituirsi.

Parliamo del Cavaliere. Siamo alla fase finale del “berlusconismo”? Oppure riuscirà a sopravvivere ancora una volta?

Io credo che siamo alla fase finale di Berlusconi. Il berlusconismo è una cosa che con altri nomi esisteva già prima in una parte dell’Italia che lui ha avuto la straordinaria e luciferina capacità di sdoganare e di presentare come una cosa buona da rivendicare non più una cosa di cui vergognarsi. Temo che se non ci sarà qualcuno che sia in grado con la stessa capacità di sollecitare l’immaginario collettivo di ribaltare questa scala di valori e di portarne avanti un’altra alternativa, il rischio è che il berlusconismo duri molto di più di Berlusconi e sopravviva per parecchio tempo. In fondo, ha lasciato in giro tanti di quei danni, tante di quelle scorie che poi rischiano di continuare ad emanare radiazioni cancerogene per molto più tempo rispetto alla sua aspettativa di vita.

Esiste una alternativa credibile al berlusconismo? Se si dove si colloca?

Per il momento non la si vede, la si può immaginare. Sarebbe una classe politica giovane, credibile, competente, sobria, una destra che ritorni al merito, rigore, legalità e una sinistra che ritorni ai suoi valori di solidarietà, riformismo. Non è difficile immaginare come potrebbe essere l’alternativa, è difficile vederla perché mancano le persone, almeno nel mondo politico attuale, che incarnino queste due visioni.

Una parola sulla Lega. Quanto durerà il favore della base leghista ai suoi leader?

La Lega è molto concreta, ha un obiettivo il federalismo che peraltro io trovo dannosissimo penso che questo Paese, se si allentano le mani dello Stato centrale, si disfa, visto che non è mai stato uno Stato è una Nazione. Dopodiché lo perseguono con le unghie e i denti, chiunque glielo da loro gli fanno passare tutto. Il problema è che per far passare il federalismo hanno dovuto annacquarlo moltissimo rispetto al loro progetto originario: il progetto Calderoli è una caricatura del federalismo, non è nemmeno più federalismo, è municipalismo, anche piuttosto blando. Ma la Lega credo che una volta che avrà incassato questo aborto di federalismo potrà sventolarlo come una vittoria e quindi faranno un bilancio del loro impegno governativo, dopodiché decideranno se il gioco vale ancora la candela. Perché sia che lo incassino questo federalismo sia che non lo incassino, un minuto dopo non avranno più nessuna ragione al mondo per restare appiccicati a Berlusconi nel momento del suo declino. Penso che se cadrà prima della fine della legislatura Berlusconi cadrà per mano della Lega come nel ’94.

In un libro interessante, pubblicato da “Chiarelettere”, I Professionisti del potere, l’anonimo autore afferma che in Italia non esiste il quarto potere. “Dappertutto vedo servi felici: uomini e donne che vivono contenti dei privilegi ottenuti servendo i potenti che comandano l’Italia. Sono servi perché hanno barattato la libertà in cambio di privilegi e sono felici perché non si rendono conto di ciò che hanno sacrificato”. E’ davvero così la situazione italiana?

Credo che si avvicini molto alla realtà. Del resto basta un dato: la guerra in Iraq ha portato al disastro elettorale di tutti coloro che l’avevano fatta. Bush è stato spazzato via dalle bugie che aveva raccontato sulla guerra in Iraq (oggi è un nome impronunciabile anche in campo repubblicano), Blair è stato spazzato via dalle bugie raccontate sulla guerra in Iraq, Aznar una elezione a causa di un attentato dovuto proprio alla partecipazione della Spagna alla guerra in Iraq. L’unico premier che non ha pagato un microscopico pedaggio alle bugie raccontate per la guerra in Iraq è Berlusconi, che guarda caso è l’unico premier al mondo che possiede televisioni e giornali. Ci sarà pure un motivo. La stampa italiana è talmente asservita ai poteri forti, in parte al governo e al suo proprietario e in parte a una serie di imprenditori con le pezze al culo che hanno bisogno dei favori dei partiti e del governo e che quindi sono ricattati politicamente o tramite la pubblicità dal governo e dai suoi amici. Oggi i giornali che vogliono parlare male del governo sanno poi quali conseguenze patiscono, infatti non esistono. Non esistono trasmissioni, tranne un paio, non esistono giornali tranne due o tre che oggi parlano male del governo, e quelle che lo fanno lo pagano con rappresaglie dal punto di vista pubblicitario e non solo.

Lei si definisce un “liberalmontanelliano”. Che direbbe il grande Indro sul 150° dell’Unità d’Italia?

Direbbe che l’Unità d’Italia è stata una grande idea portata avanti da personaggi di grandi ideali che purtroppo però ha fallito il suo compito. D’altra parte è l’unica grande idea che ha saputo partorire la piccola elite di questo Paese negli ultimi due secoli, altre non se ne sono viste.