Biden-Putin: “è stato un vertice tra nemici, vale il fatto di essersi parlati”. Intervista ad Anna Zafesova

In questa intervista, con Anna Zafesova giornalista della Stampa, approfondiamo, a bocce ferme, il significato del vertice Biden-Putin  che si è tenuto due giorni fa a Ginevra

Anna, hai scritto sul tuo giornale, La Stampa, a commento del vertice di Ginevra, che “i tempi dei complimentI e delle pacche sulle spalle tra Mosca e Washington, sono lontani, si torna a casa nemici come prima”. Un giudizio duro. Perché questo pessimismo? Eppure Putin ha parlato di un “lampo di speranza”…

Non mi farei ingannare da frasi di circostanza. I media spesso scambiano la diplomazia con le serie dei supereroi e cominciano ad aspettarsi litigate in diretta, e a prendere al valore facciale le frasi pronunciate. Il fatto stesso che il vertice sia durato molto meno del previsto, e che Putin subito dopo la sua interruzione prematura sia corsi dai giornalisti a esternare tutto il suo fastidio nei confronti degli USA, è più che sintomatico. Comunque, basta guardare la lista dei dossier su cui USA e Russia hanno avuto un terreno comune negli ultimi anni, e quella degli argomenti discussi a Ginevra su cui c’è stato un minimo di consenso: tranne un impegno a garantire la stabilità nucleare (e ci mancherebbe che non ci fosse stato nemmeno quello) e a rimandare gli ambasciatori a Washington e a Mosca, sul resto non c’è stato alcun progresso.

Parliamo dei due protagonisti. Putin si è dimostrato abile propagandista, oserei dire spudorato, nel riaffermare le sue ragioni, Biden è stato “professionale” nelle tener ferma la posizione americana su alcuni dossier caldi. Per qualche Osservatore il vertice per Biden è stata “una missione compiuta”. Condividi? O, forse, si è troppo ottimisti?

Condivido. Credo sia stato molto asciutto nel definire le “linee rosse”, senza dare spazio alla politica-spettacolo o alzare le attese. Il fatto che Putin avesse sentito il bisogno di ribadire ossessivamente la propria propaganda è stato uno dei segnali che questo atteggiamento di Biden ha funzionato. Per quanto riguarda i risultati, abbiamo già detto che non c’erano attese di sorta da entrambe le parti: è stato un vertice tra nemici, dove vale già il fatto stesso di essersi parlati.

Per Putin, invece secondo altri osservatori, il vertice ha rappresentato un modo per uscire da un isolamento. Il riconoscimento ricevuto da Biden della Russia come superpotenza è musica per le sue) orecchie. Come spenderà, nella sua politica interna, questo vertice?

Non mi sembra che sia rimasto particolarmente soddisfatto. La propaganda, ovviamente, insisterà sulle presunte affinità di vedute e sul trattamento da pari riservato al leader russo, uno dei leit-motiv delle rivendicazioni russe. Ma Biden ha detto anche tante altre cose, è stato molto abile nel lanciare messaggi: per esempio, la frase apparentemente di distensione che lui non crede che Putin voglia lanciare la guerra fredda, per esteso suona come “se hai qualche migliaio di chilometri di frontiera con la Cina e un’economia debole, non apri una guerra fredda”. Un giudizio sferzante sulla libertà di manovra dell’avversario, che il Cremlino si legherà al dito come si era legato al dito il declassamento a “potenza regionale” deciso da Barack Obama.

Per Navalny le parole che Biden ha speso su di lui (“se dovesse morire le conseguenze per la Russia sarebbero devastanti”) sono rassicuranti?

Si, nei limiti nei quali possa essere rassicurato nella situazione in cui si trova. Certamente il regime di Putin si rende conto che una morte violenta del suo oppositore principale sarebbe controproducente anche all’interno della Russia stessa, d’altra parte proprio per questo aveva cercato di avvelenarlo in segreto. Però non possiamo nemmeno escludere che, se qualcuno del regime considerasse che sarebbe meglio rischiare le “conseguenze devastanti” per sbarazzarsi del problema, Navalny si troverebbe in un pericolo ancora più grave di quello che vive adesso.

Su quale dossier, realisticamente, pensi che si possa raggiungere un qualche risultato positivo?

Sul disarmo nucleare, o meglio, sul mantenimento dell’equilibrio attuale, sperare in un ulteriore disarmo mi sembra irrealistico. Anche perché per il Cremlino la parità strategica non solo è una delle dimostrazioni del proprio status, ma anche un obiettivo non facile da mantenere: se gli Usa decidessero di rompere gli accordi e riprendere la corsa al riarmo, lo sforzo per l’economia russa potrebbe essere impossibile. Non vedo molti altri spazi di dialogo per ora, forse qualche dichiarazione sul clima o qualche iniziativa culturale o umanitaria, ma in questo momento perfino su un dossier globale come la lotta alla pandemia la Russia ha posizioni e interessi opposti.

Per l’Europa cosa può significare questo vertice?

Il ritorno dell’America come partner strategico. Per la parte dell’Europa che teme l’espansionismo e le ingerenze russe è una buona notizia, per quelle forze del vecchio continente che speravano di usare Putin per rafforzare il fronte sovranista un po’ meno. Si può sperare – per ora poco – in maggiori tutele su argomenti come la cyberwar o lo spionaggio russo, e i Paesi dell’Europa dell’Est hanno maggiori garanzie di sostegno politico e assistenza pratica contro eventuali rischi di “guerra ibrida”.  Su questo Biden ha mandato segnali chiari, ma non è detto che siano stati recepiti come sperava.

Per la Cina invece cosa rappresenta?

Francamente credo nulla. L’idea che la Russia attuale possa cambiare alleanze e “schierarsi con l’Occidente contro la Cina” potrebbe funzionare soltanto in una partita di Risiko. La Russia dipende già economicamente dalla Cina, che ha un potenziale incommensurabile rispetto a quello russo, e ne ha piena consapevolezza. Politicamente, Pechino non ha nessuna intenzione di farsi trascinare nel contenzioso di Putin contro gli USA: XI Jinping non è mosso dal risentimento, dipende troppo dalle esportazioni verso Ovest, non le rischiare conflitti, come dimostra anche il suo rifiuto di riconoscere l’annessione russa della Crimea. E la deriva dittatoriale della Russia garantisce un aumento dell’isolamento dall’occidente che la renderà sempre più dipendente da Pechino. Soltanto una Russia democratica potrebbe cominciare a temere un abbraccio troppo stretto con la Cina.