L’Italia dei veleni, un libro inchiesta sul “Biocidio” italiano

cop.aspxUn libro duro, curato da due bravi giovani giornalisti d’inchiesta (Andreina Baccaro, tra l’altro, ha vinto il premio di giornalismo “Ilaria Alpi”), che ci porta nell’inferno ambientale italiano: da Taranto a Napoli, da Rosignano a Brescia, passando per il Lazio e la Sicilia, senza dimenticare Porto Marghera.

Un vero e proprio atto di accusa nei confronti della cultura “industrialista” italiana (ovvero dell’Industrialismo fine a   se stesso).

Il volume, dunque, “non è tanto una controstoria dello sviluppo industriale italiano, ne è piuttosto la storia narrata dal versante che, per tutta un’epoca,  è stato rimosso e negato”. Ne libro sono analizzati i costi umani e ambientali settore per settore e sito  per sito come detto sopra che riguarda tutto il territorio italiano.

In Italia vi sono 57 siti di interesse nazionale (i cosidetti  Sin) definiti in relazione alla quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, all’impatto ambientale sull’area circostante in termini di rischio sanitario, ecologico e di pregiudizio dei beni culturali e ambientali. Di questi, 44 sono aree industriali, come Taranto, Gela, Priolo, Bagnoli, Marghera,  Porto Torres, Sulcis. Complessivamente, insieme ai siti potenzialmente inquinati di competenza regionale, rappresentano il 3% dell’Italia, una estensione enorme che coinvolge 6 milioni di persone. Senza contare, poi, le innumerevoli vittime del Biocidio.

Ne esce fuori, dall’analisi del libro, un panorama desolato. Il così detto “miracolo” italiano è  stato in realtà un disastro.  Il miracolo italiano ha un lato “oscuro”: dietro la facciata del benessere e del lavoro per tutti, ha nascosto una realtà fatta di scorie e rifiuti tossici, di diossine e di benzoapirene, piombo e arsenico. Insomma uno sviluppo che ha creato la crescita esponenziale di malattie cronico-generative (dai tumori alle malattie cardiocircolatorie, da quelle  neurodegenerative al sistema immunitario). Insomma il “virus del benessere” ha colpito duro nel nostro Paese.

Il libro ci impone una riflessione radicale sul senso dello sviluppo italiano e ci offre quel carico di memoria necessario per cambiare la visone globale del nostro Paese.

Andreina Baccaro-Antonio Musella (a cura di),  Il Paese dei Veleni. Biocidio, viaggio nell’Italia contaminata, Ed. Ruond Robin, Roma 2013,

pagg. 115, € 13,00

(dalla Rivista AREL 1/2014 numero interamente dedicato alla parola Progresso. Con scritti ,  tra gli altri, di Andreatta, Bassu, Caroppo, Colimberti, Gratteri, Toso, Treu)

 

Il terzo valico dei Giovi, “grande opera” inutile? Intervista a Gianni Alioti

1907781_706497012729190_7902569955246899411_oLa vicenda del “terzo valico” sta assumendo un rilievo sempre più nazionale. Le contestazioni al progetto, da parte della popolazione di quell’area, è sempre più forte.  Su questa vicenda importante, sotto molteplici punti di vista, abbiamo intervistato Gianni Alioti sindacalista e membro del comitato “NoTavNoTerzoValico” di Genova Pontedecimo e San Quirico. A lui chiediamo di spiegarci le ragioni economiche, politiche, ambientali di contrarietà al progetto.

 

Alioti, diamo qualche numero: quanto costa alla collettività il progetto? Esistono stime ufficiali?

La spesa prevista – fissata dal CIPE nel 2010 – e’ di 6,2 miliardi di euro. Quasi 12 mila miliardi……..di vecchie lire. Rende meglio l’idea!

Non e’ mai stata presentata, invece, un’analisi economica. E anche la più semplice analisi finanziaria (costi e ricavi per il trasporto pubblico) promessa da una vita dal ministro Maurizio Lupi, stiamo invano aspettando. Se fossimo in un “paese normale” qualcuno dovrebbe rispondere per aver approvato, finanziato (con i soldi dei contribuenti) e “cantierizzato” un’opera in concessione senza neppure un business plan, senza un’analisi costi-benefici………

Cosa prevede il progetto?

La nuova linea ferroviaria, che si aggiunge alle due esistenti lungo il valico dei Giovi, si collega a Sud – mediante l’interconnessione di Voltri ed il Bivio Fegino – con gli impianti del nodo di Genova. A Nord, invece, il tracciato si collega – nella piana di Novi Ligure – alle linee esistenti Genova-Torino e Tortona-Piacenza per il traffico in direzione Milano.

Il tracciato si sviluppa per 37 Km in galleria (Galleria di Valico e Galleria Serravalle) e 16 Km allo scoperto. In tutto soli 53 Km di nuova ferrovia a prezzo d’oro: 117 milioni di euro (225 miliardi di lire) a chilometro.

Per la  Regione Liguria l’opera è strategica per il rilancio economico dell’area. Perché ne contestate il rilievo strategico?

Soltanto chi e’ in malafede può attribuire la crisi del porto di Genova a un presunto “isolamento” verso nord e alla rete ferroviaria esistente…….. La fuga dei traghetti e delle navi da crociera da Genova verso La Spezia, Livorno e Savona non dipendono – certo – dai limiti della rete ferroviaria che, se esiste e’ semmai nell’asse litoraneo verso la Francia. Piuttosto, il presidente dell’autorità portuale Luigi Merlo – e con lui tutta la nomenclatura genovese da Paolo Odone a Giovanni Berneschi, dal presidente della Regione al cardinal Bagnasco, dai parlamentari ai portaborse – invece di fare retorica e affari intorno al Terzo Valico dovrebbero rispondere sui tempi di sdoganamento delle merci (nove giorni a Genova contro i tre della media europea) e sui tempi (da 12 a 24 ore) necessari ai treni container per entrare e uscire dal porto di Voltri. Su queste cose c’e’ – da anni – la consegna del silenzio, anche da parte dei media colpevolmente compiacenti (tranne alcune lodevoli eccezioni) con la nomenclatura al potere.

In questo contesto , con che coraggio si definisce strategica un’opera che – se anche realizzata – ridurrebbe il tempo di percorrenza dei treni container di soli 15-20 minuti nella tratta della nuova linea Genova Fegino – Tortona? Di “strategico” ci sono solo i 6,2 miliardi di soldi pubblici che si spartiranno le imprese del Cociv.

La vicenda del “supertreno” MI-GE (Milano-Genova) per voi rappresenta un danno ambientale e, dunque, una minaccia per la salute della popolazione. Su quali basi affermate questo? Non vi sembra di esagerare?

Intanto chiariamo che la linea AV/AC del Terzo Valico dei Giovi per il trasporto merci non ha nulla a che fare con l’idea di supertreno MI-GE per il trasporto passeggeri…… Bocciato quel progetto negli anni ’90 in base ad un’analisi costi-benefici, i commensali (imprese e politici) che erano seduti a quel tavolo non si sono scomposti. Hanno rilanciato la necessita’ di una nuova linea per il trasporto dei container da/per il porto di Genova, su proiezioni di traffico irreali.

Per quanto riguarda l’impatto ambientale e i disagi per le popolazioni interessate non bisogna essere degli ecologisti per denunciarlo …….. I lavori di cantierizzazione e realizzazione delle quattro gallerie di servizio (Polcevera, Cravasco, Castagnola e ValleLemme) più la Galleria di Valico, impattano – per la moltiplicazione del traffico di mezzi pesanti e la dispersione di polveri nocive – sulla vita di migliaia di persone e su molte attività economiche in Val Polcevera (da Fegino-Trasta a Pontedecimo) e in Val Verde (Campomorone e Isoverde), zone ad elevata densità abitativa. L’impatto più devastante riguarda, pero’, l’assetto idrogeologico e la sicurezza di un territorio di per se’ molto fragile, già fortemente interessato a inondazioni e frane.

In Valle Lemme e Castagnola l’opera ha un effetto devastante su un ambiente di pregio naturalistico ed enologico, sulle fonti idriche e sulla salute delle persone, per la quantità di amianto (fino al 20 per cento delle pietre verdi) presente nelle montagne oggetto di scavo. Non e’ una preoccupazione futura. E’ quanto succede nel cantiere di Voltaggio, dove il materiale di scavo contenente amianto e’ trasportato, depositato e smaltito in assenza di qualsiasi misura di prevenzione e protezione. Nel silenzio totale di istituzioni preposte e sindacati degli edili……. solerti, invece, a mobilitarsi contro carabinieri e magistrati intervenuti per bloccare il cantiere a causa di infiltrazioni mafiose.

Forse esagero. In realtà ho raccontato l’impatto ambientale – altrettanto devastante -sul versante appenninico della Valle Scrivia.

Come in ogni “grande opera” si mescolano interessi “pubblici” con interessi “privati”. Chi sono i “padrini” trasversali (la lobby) dell’opera? Chi è l’ uomo forte dell’opera? 

La genesi e lo sviluppo dell’opera – in un arco di tempo superiore ai 20 anni – hanno visto in scena diversi “padrini”…….. Tra i politici, fautori “accaniti” del Terzo Valico, in evidenza sul versante ligure Claudio Scajola e Luigi Grillo. I due, come scritto dall’amico Antonello Brunetti, “hanno tirato il carro del Terzo Valico, caricandovi banche, gruppi economici, sindacati, giornalisti e quasi tutti i partiti. Giri vorticosi di convegni, di inaugurazioni, di sollecitazioni a iniziare per dare così il via perpetuo alla circolazione di denaro pubblico”.

A un secondo livello il presidente della Regione Liguria e il suo assessore alle infrastrutture, Raffaella Paita moglie di Luigi Merlo, presidente del porto di Genova, con intorno molti deputati e senatori genovesi, tra cui anche il parlamentare europeo Sergio Cofferati. Nessuno gli ha ancora spiegato che la tratta Fegino-Tortona non e’ un valico di frontiera finanziabile dall’UE…….. Poi, ovviamente, ci sono il ministro Maurizio Lupi e politici, banchieri e faccendieri i cui interessi (non sempre leciti) ruotano sul versante piemontese dell’opera.

L’uomo forte, invece, e’ Ercole Incalza confermato da Renzi a capo della struttura tecnica di missione che cura le grandi opere, nonostante sia indagato per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e all’abuso per la TAV a Firenze. Ercole Incalza, insieme a Luigi Grillo, e’ stato giudicato colpevole (con sentenza in prescrizione) per truffa aggravata nei confronti dello Stato sulla questione dei fori pilota del Terzo Valico nel 1998, costati inutilmente a tutti noi più di cento miliardi di lire. Nonostante le vicende dell’Expo di Milano lo abbiano tirato in ballo come “guaglione” di Luigi Grillo, il Commissario governativo per il Terzo Valico, Walter Lupi continua a stare al suo posto.

Il procuratore della Repubblica di Genova, Di Lecce ha parlato di recente di possibili infiltrazioni mafiose. Quanto è presente la criminalità organizzata nei lavori?

Il monitoraggio e il lavoro d’inchiesta – che i Comitati NoTav TerzoValico della Valle Scrivia stanno realizzando – dimostra che quasi nessuna azienda coinvolta nei lavori risulta esente da reati ambientali e patrimoniali, da truffe nei confronti dello Stato e contiguità con la ‘ndrangheta.  Chi vuole approfondire può farlo attraverso il link:

http://www.notavterzovalico.info/2014/05/07/ecco-il-lavoro-che-porta-il-terzo-valico/

Il blocco del cantiere di Voltaggio del Cociv, operato di recente dai Carabinieri, per infiltrazioni mafiose ne e’ una conferma. La sospensione del provvedimento da parte del TAR piemontese, in attesa del giudizio di merito sul ricorso presentato dai legali della ditta Lauro, non cancella la gravita’ del problema.

Una considerazione finale: è giusto denunciare limiti, illegalità, diseconomie e quant’altro, ma c’è un progetto alternativo?

Esistono più progetti alternativi. Nessuno di questi e’ mai stato preso in seria considerazione. Il meccanismo della “concessione” al Cociv, non ammette ne’ varianti, ne’ ripensamenti. Perché dovrebbero farsi da parte, rinunciando a 6,2 miliardi di euro pubblici da spartirsi? Per quale ragione gli interessi imprenditoriali, finanziari, politici e mafiosi – consolidati intorno al Terzo Valico – dovrebbero darsi la zappa sui piedi, accettando di discutere progetti alternativi, i cui risultati sono migliori con meno costi, meno tempo, meno lavoro improduttivo, meno movimentazione terra (e rifiuti), meno impatto ambientale?

Si tratterebbe di una logica contraria al “modello d’impresa” applicato con successo sulla “Salerno-Reggio Calabria” e riproposto per il Terzo Valico.

Sono queste ragioni che hanno reso impossibile un vero dialogo!

La lotta di Papa Francesco contro l’ndrangheta. Intervista ad Annachiara Valle

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Grande scandalo ha suscitato in questi giorni, nell’opinione pubblica italiana, “l’inchino” della Statua della Madonna, durante una processione a Oppidio, avvenuto di fronte all’abitazione di un boss dell’ndrangheta. Per capire di più abbiamo intervistato Annachiara Valle, vaticanista del settimanale “Famiglia Cristiana”. Autrice di un bel reportage sul ruolo della Chiesa in Calabria contro l’organizzazione criminale mafiosa. Il titolo del libro è “Santa Malavita Organizzata”, uscito per le Edizioni San Paolo.

 

 

Annachiara Valle, sono passate appena due settimane dalla scomunica del Papa Francesco, pronunciata nella Piana di Sibari, contro gli “adoratori del male” della “’ndrangheta”. Una scomunica forte contro le mafie. Eppure due episodi, avvenuti in questi giorni, hanno scosso la coscienza civile del nostro Paese: “l’inchino” della Statua della Madonna, durante una processione ad Oppido, avvenuto di fronte all’abitazione di un boss assassino, e lo “sciopero” della Messa di carcerati ndraghetisti nel carcere di Larino. Due episodi inquietanti che non possono essere derubricati e dimenticati…

Sono due episodi che dicono, in modo diverso, di quanto le parole del papa abbiano colto nel segno. La ‘ndrangheta non può fare a meno del consenso popolare e, dunque, non può fare a meno di utilizzare la religione per rafforzare le sue radici. L’inchino, a pochi giorni dalle parole del Papa dice di una sfida da parte delle ‘ndrine. Ma dice anche di una risposta che in passato era stata più tiepida. Gli inchini, infatti, ci sono sempre stati, ma una ribellione come quella alla quale abbiamo assistito è più rara. Per quanto riguarda il carcere di Larino, anche qui mi sembra di vedere il positivo. Finalmente c’è una presa di coscienza: si comincia a capire che non si può essere insieme buoni cristiani e ndranghetisti. Mi sembra che ci sia una presa di coscienza. Certo, sarebbe poi anche il caso di spiegare ai mafiosi che essere scomunicati significa non potersi accostare ai sacramenti prima di un pentimento vero, ma di certo si può partecipare alla messa. Anzi, forse proprio ascoltando sul serio la Parola di Dio si può cominciare un percorso di conversione.

Oltre a questi due episodi c’è n’è un altro : ed è quello del Parroco di Oppido, Don Roberto Rustico, che durante la messa ha invitato i parrocchiani a prendere a schiaffi un collega del Fatto quotidiano. Insomma l’impressione è che nella Calabria “profonda” le parole del Papa faticano a camminare. E’ così? Oppure è una impressione sbagliata ?

Credo che le parole del Papa aiutino quanti da tempo sono impegnati nella evangelizzazione vera. Per qualcuno che fa fatica ad accettare queste parole, ci sono tanti preti che invece attendevano da tempo. Dopo la visita di Papa Francesco si può camminare più speditamente.

Annachiara lei ha scritto “Santa Malavita Organizzata”, un bel reportage sul ruolo della Chiesa in Calabria contro l’ndrangheta . Un ruolo che in passato è troppo gravemente “distratto” . Quando è avvenuto il maggior protagonismo della Chiesa contro l’ndrangheta?

Sta avvenendo adesso. Io scrivo che si possono vedere tre fasi del rapporto tra chiesa e ndrangheta. Una prima di sottovalutazione se non di connivenza. Dall’ unità d’Italia fin verso il 1975 la Chiesa ha utilizzato e si è fatta utilizzare in chiave antistatale, per difendere i propri diritti,a nche forse per difendere certi “valori” tradizionali. Una seconda fase in cui la Chiesa si rende conto del male (da ricordare il bellissimo documento dei vescovi calabresi contro la ‘ndrangheta disonorante piaga della nostra società) e una terza che è quella che stiamo vivendo oggi dove, ad alcuni che continuano a essere collusi o comunque “impastati” da una certa mentalità mafiosa, si contrappongo i tanti che, con coraggio, fanno i preti veri. Credo che le parole del Papa, oltre che ai mafiosi, siano dirette soprattutto a incoraggiare la Chiesa che si sta spendendo per il bene di questa regione.

La Calabria, qualcuno ha scritto, è terra di meraviglie e di bassezze. Dove stanno nascendo e chi sono, nella comunità ecclesiale, i protagonisti di questo cammino di liberazione dalla ‘Ndrangheta?

Ci sono tanti protagonisti. Ne parlo diffusamente nel mio libro. Farei torto a qualcuno citando solo qualche nome. Gli esempi positivi, sia di singoli sacerdoti, ma soprattutto di tanti giovani, associazioni, comunità, gruppi che stanno lavorando per radicare quella che Gratteri chiama “la malapianta”, sono tantissimi. Cito un solo progetto che è quello delle 12 Caritas regionali. Si chiama “costruire speranza”. Ed è un progetto che mette insieme le forze positive e vive di questa regione. Facendo una cosa che in Calabria è molto difficile: lavorare in rete. Questa è la risorsa vera alla quale attingere, cioè lavorare insieme cercando di valorizzare il positivo e i progetti che stanno funzionando.

Ultima domanda: La CEI è all’ altezza di questa sfida di Papa Francesco?

Credo proprio di sì. È arrivato il tempo di dare continuità a quel bellissimo documento che è stato ed è Educare alla legalità. Credo che dopo il viaggio di Papa Francesco in Calabria si arrivato il momento di una denuncia ancora più dettagliata. Sono certa che i vescovi italiani non faranno cadere questa grande speranza che il Papa ha dato al popolo calabrese con le sue parole.

Confessioni di un trafficante di uomini. Un libro di Chiarelettere.

SeriesBAW08ALTAnche oggi nel Canale di Sicilia si è consumata l’ennesima tragedia . Trenta poveri immigrati hanno perso la vita, il rosario interminabile dei morti continua. L’impotenza dell’Europa è un macabro scaricabarile. Dietro alle decine di migliaia di migranti che ogni anno arrivano in Europa c’è un’industria fatta di grandi professionisti del crimine, gente in doppiopetto, uomini d’affari il cui fatturato mondiale è secondo solo a quello della droga. Un libro, uscito per i tipi di Chiarelettere, scritto da Andrea De Nicola e Giampaolo Musumeci squarcia il velo criminale di questo traffico immondo.

Nel libro, infatti, per la prima volta parlano gli uomini che controllano il traffico dei migranti. Un sistema criminale che gli autori di questo libro hanno potuto raccontare dopo aver percorso le principali vie dell’immigrazione clandestina, dall’Europa dell’Est fino ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Ecco cosa si muove dietro la massa di disperati che riempiono le pagine dei giornali. Una montagna di soldi, un network flessibile e refrattario alle più sofisticate investigazioni. La testimonianza dei protagonisti conduce dentro un mondo parallelo che nessuno conosce. Ora finalmente possiamo vedere in presa diretta la più spietata agenzia di viaggi del pianeta.

Per gentile concessione dell’Editore pubblichiamo un estratto del volume:

Marina di Turgutreis, distretto di Bodrum, Turchia meridionale.
Sono le 9.30 del mattino di un giorno di maggio del
2010. Al numero 26 di Gazi Mustafa Kemal Bulvarı c’è la
sede della Argolis Yacht Ltd, una società di gestione e affitto
natanti a vela e a motore. Le carte del Bavaria 42 Cruiser
– un monoalbero di tredici metri battente bandiera greca
ormeggiato al molo poco distante – attendono sulla scrivania.
Un uomo sulla quarantina, il viso abbronzato e un po’
segnato, le braccia forti e la stretta di mano vigorosa, si presenta
in agenzia con il passaporto e la patente nautica per
concludere il contratto. È uno skipper. Si chiama Giorgi Dvali,
di nazionalità georgiana. È nato a Poti e da anni lavora con i
turisti sulla costa turca. Organizza crociere nel Mediterraneo.
Data la loro lunga tradizione marinara, i georgiani, insieme
con gli ucraini, sono velisti assai apprezzati. I porti che
affacciano sul Mar Nero hanno cresciuto, nei secoli, esperti
navigatori. Dvali riferisce all’impiegata che i suoi prossimi
clienti sono una famiglia di americani di Seattle: una coppia
con due figli adolescenti che vuole passare un paio di settimane
tra le coste turche e le isole greche. Vogliono godersi la
mavi yolculuk, la «crociera blu», come la chiamano i pescatori
locali. Per un uomo di mare come lui è una rotta usuale di
rara bellezza, sicura attrattiva per tanti turisti.
Dvali paga in contanti quanto dovuto per l’affitto e l’assicurazione.
Poco dopo è già sul molo e osserva la barca.
Al suo fianco, i tradizionali caicchi turchi, costruiti nelle
marine di Bodrum e Marmaris, e yacht a vela di quindiciventi
metri. Andirivieni di skipper, turisti inglesi e tedeschi,
qualche greco: sul molo una babele di lingue diverse. Dvali
si guarda intorno, poi ispeziona lo scafo, quindi sale, va
sottocoperta e controlla che sia tutto in ordine. Tre cabine
attrezzate, sei posti letto in tutto, una capiente cambusa e
due bagni. Gli interni sono eleganti, ricchi di boiserie. La
barca ha non più di cinque anni; è seminuova. Sul mercato
dell’usato costerebbe intorno ai 120-130.000 euro. L’indomani,
alle prime luci dell’alba, si salpa.
Dvali decide di impostare fin da subito la rotta sul navigatore
Gps per verificarne il funzionamento: 40.1479 gradi
di latitudine, 17.972 di longitudine. Yacht come il Bavaria
42, da aprile a settembre, fra la Turchia e le isole greche e
poi fino al litorale italiano, tra Corfù e Vieste, tra Creta e
la Calabria, tra Adalia e Santa Maria di Leuca, ce ne sono a
centinaia. Lunghe crociere, lontane dalle spiagge affollate.
Turismo per pochi eletti. Sei giorni dopo, nelle prime ore
del mattino, l’imbarcazione è al largo di Porto Selvaggio,
provincia di Lecce. Sta navigando a motore e fende le onde
a circa sette nodi. La terra è a sole dieci miglia. Il guardacoste
della finanza affianca lo scafo: è un controllo ordinario,
uno dei tanti. Il libretto di navigazione è in ordine, Dvali
sembra un professionista del mare. I finanzieri salgono
a bordo. L’uomo a quel punto tradisce nervosismo. Alla
richiesta di notizie sulle persone a bordo, Dvali risponde
che sta accompagnando una famiglia americana in vacanza
nel Mediterraneo. Ora stanno dormendo, non vorrebbe
disturbarli. Il suo inglese non è stentato, eppure balbetta.
A insospettire le forze dell’ordine è soprattutto il suo sguardo, che corre più volte verso la porta chiusa della cabina. I finanzieri decidono di fare un controllo più approfondito.
Sottocoperta non c’è la famiglia americana appassionata
di vela. Non c’è la coppia con i figli adolescenti. Quando
gli uomini in divisa infilano il naso all’interno, accolti da
una zaffata di acido e puzzo di sudore, trovano quaranta
uomini afgani dai sedici ai trentadue anni. Tutti della provincia
di Herat. I loro sguardi sono smarriti, molti hanno il
mal di mare. Sono passati dalla Turchia: prima Istanbul, la
centrale di smistamento del traffico di uomini provenienti
da mezzo mondo, poi Smirne, da lì fino a Bodrum, dove
hanno incontrato Dvali. Mollati gli ormeggi, facile rotta
verso l’Italia, ultima destinazione le coste pugliesi.
Giorgi Dvali in realtà non si chiama così. Il suo vero
nome è un altro, ma i magistrati che hanno indagato sulla
vicenda e che ce la raccontano preferiscono non rivelarlo. È
uno scafista. Astuto e capace, utilizza l’ultimo stratagemma
per superare le barriere del Vecchio continente aggirando la
polizia internazionale che contrasta l’immigrazione clandestina.
Il suo è l’ultimo, formidabile chiavistello per violare
la «fortezza europea». Un trucco recente, che ha preso piede
non solo nel Mediterraneo ma anche nel Canale della
Manica. Gli yacht di lusso, a vela e a motore, non attirano
l’attenzione delle forze dell’ordine. I migranti possono essere
nascosti sottocoperta, invisibili dall’alto quando un aereo
o un elicottero sorvola i mari. L’unico segnale esterno, il
tallone di Achille, è il notevole abbassamento della linea di
galleggiamento di barche che, nate per portare al massimo
dieci persone, arrivano a contenerne quattro o cinque volte
di più.

Chi sono gli autori:

Andrea Di Nicola insegna Criminologia all’Università di Trento. Da anni conduce ricerche sulle migrazioni clandestine organizzate e sulla tratta di persone a scopo di sfruttamento.
Giampaolo Musumeci, giornalista, fotografo e videoreporter, si occupa di conflitti, immigrazione e questioni africane per radio, tv e giornali italiani e internazionali.

Il Libro:

Andrea Di Nicola e Giampaolo Musumeci, Confessioni di un trafficante di uomini, Ed.Chiarelettere, Milano 2014, pagg. 176, €12,00

L’avvocato del diavolo. I segreti di Berlusconi e di Forza Italia

SeriesBAW08ALTScrive l’autore : “Vent’anni dopo: è il titolo di un vecchio film e potrebbe esserlo anche di questo libro. Inizia infatti nel marzo del 1994 l’avventura politica di Silvio Berlusconi, e per un tratto di quel percorso sono stato al suo fianco. Nonostante sia finita male, quella mia esperienza piuttosto tormentata è rimasta dentro di me, e mi accompagna discretamente nei miei pensieri, nei miei giudizi, nella mia vita quotidiana. E’ per questo che, al compimento del ventesimo anno dal suo festante inizio, e stemperate nel tempo le sue asprezze, ho voluto con questo libro fissare il ricordo di quella breve stagione, e insieme il ricordo dell’intero mio rapporto con Silvio Berlusconi, di cui sono stato l’avvocato e uno degli amici piu assidui da ben prima della “discesa in campo”. Il mio non è quindi un libro “politico”, ma un libro su un rapporto umano, quello fra me e Silvio, durato oltre sedici anni e snodatosi in una miriade di situazioni, occasioni, eventi, non solo professionali, di cui, nella maggior parte dei casi, grazie forse al filtro del tempo, mi è grato il ricordo, pur non essendo affatto indulgente il mio giudizio sulla parabola politica (non ancora compiuta) di Silvio Berlusconi”.

Vittorio Dotti di Berlusconi conosce tutto: i segreti professionali, il carattere, le passioni, le debolezze. Lo ha visto in famiglia, forte e positivo sul lavoro, fantasioso e incontenibile in politica, ma anche fragile e impaurito di fronte ai ricatti dei faccendieri che lo hanno da sempre circondato, e docile preda di adulatori e carrieristi di ogni specie.

Ora, per la prima volta in questo libro pubblicato da “Chiarelettere”,  Dotti, suo avvocato e stretto collaboratore, lo racconta ricostruendo un pezzo fondamentale della sua storia: dal 1980 al 1996, l’anno delle dimissioni di Dotti da capogruppo di Forza Italia alla Camera e della fine dei loro rapporti. Dalla Milano da bere di Craxi e Pillitteri alla fine della Prima repubblica e l’inizio della nuova. Un cambiamento epocale.

Dalle acquisizioni della Standa e Mediolanum a quella clamorosa del Milan (dopo averci provato con l’Inter), al boom televisivo del Biscione con la felice espansione in Spagna e gli insuccessi in Francia e in Germania e l’avventurosa e impensabile esportazione della pubblicità tv in Russia negli anni della Perestrojka. Un mix sbalorditivo di audacia e spregiudicatezza come dimostra il caso Ariosto, quando il teste “Omega” squarcia il velo sugli scandali finanziari di Berlusconi e le tangenti pagate da Previti per il controllo della Mondadori (di qui la rottura tra Dotti e Berlusconi).

Attraverso aneddoti, ricordi, rivelazioni, ecco i particolari di questo incredibile, grottesco e italianissimo copione teatrale che a poco a poco ha costretto personaggi come Dotti a un progressivo allontanamento. Hanno vinto i falchi, non c’è posto, qui da noi, per un liberalismo democratico, onesto e socialmente responsabile. Questo libro lo dimostra. Insomma un “documento” importante per entrare più in profondità nel “modus vivendi” del berlusconismo.

Chi sono gli autori?

Vittorio Dotti è stato per sedici anni il legale di Silvio Berlusconi e della Fininvest. Ha curato le più importanti acquisizioni del gruppo: Standa, Milan, Mediolanum. Ha seguito la nascita del polo televisivo nazionale ed estero del Cavaliere, il caso Sme e la guerra di Segrate per il controllo della Mondadori. Eletto al parlamento nel 1994, ha ricoperto le cariche di vicepresidente della Camera dei deputati e di capogruppo di Forza Italia.

Andrea Sceresini è giornalista e autore di libri d’inchiesta. Tra gli altri, PIAZZA FONTANA. NOI SAPEVAMO e la biografia non autorizzata su Flavio Briatore, IL SIGNOR BILLIONAIRE, entrambi pubblicati da Aliberti. Ha realizzato inoltre numerosi documentari per le reti Rai. Collabora con “La Stampa”, Repubblica.it, “l’Espresso”, “Oggi” e “il Fatto Quotidiano”.

Vittorio Dotti (con la collaborazione di Andrea Sceresini), L’avvocato del diavolo. I segreti di Berlusconi e di Forza Italia, Ed. Chiarelettere, Milano 2014, pagg. 240, € 14,60.