Governo: “Cinque giorni per evitare la ‘guerriglia’ permanente”. Intervista a Fabio Martini

 

dibattito per la fiducia al Senato (Ansa)

Sono giorni di fibrillazione per la politica italiana. Come si svilupperà il quadro politico? Ne parliamo, in questa intervista, con l’inviato della Stampa Fabio Martini.

 

Fabio Martini (AUGUSTO CASASOLI/A3/CONTRASTO)

Fabio Martini, il governo ha ottenuto la fiducia del Senato. Una fiducia molto problematica, che non rende facile la vita al governo. Ma davvero Conte è uscito vincitore nel duello con Renzi?

«I fatti per ora parlano chiaro. Matteo Renzi voleva far cadere Giuseppe Conte e il governo ha ottenuto due fiduce. Per non entrare in contraddizione con la propria battaglia, Renzi aveva deciso di  votare no  e invece, per non perdere gran parte dei suoi parlamentari, ha fatto astenere Italia Viva. Il primo round lo ha vinto Conte.  Sul piano dell’immagine, che non è più un optional come ai tempi della Prima Repubblica ma qualcosa che viene messo in discussione ogni giorno e ogni ora dal martellamento di vecchi e nuovi media, l’esito della “partita” è ‘più controverso: Renzi, grande affabulatore, non è riuscito a farsi capire e la sua “manovra” a molti è parsa più pretestuosa che spassionata. Il presidente del Consiglio, per puntellare la propria maggioranza, si è impegnato in una caccia al volenteroso che non è un tonico per un’opinione pubblica sempre più disincantata. Per restare alla metafora agonistica, per capire l’esito finale dello scontro, occorre attendere ancora qualche settimana e la risposta ad una domanda che appare banale mentre la risposta non lo è: il presidente del Consiglio e i due partiti di governo sapranno trasformare una crisi nata per caso, in un’opportunità per potenziare il governo e dunque consentire agli italiani di stare un po’ meglio?»

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Attualità di padre Murray, teologo della libertà religiosa, per la Chiesa e il pensiero democratico. Intervista a Stefano Ceccanti

John Courteney Murray (Wikipedia)

La vittoria di Joe Biden che tra due giorni giurerà come Presidente degli Stati Uniti,
ha fatto riscoprire il pensiero cattolico democratico americano. Uno dei padri
contemporanei, di questo filone di pensiero, è Padre John Courteney Murray, gesuita
amico di Paolo VI, di Luigi Sturzo e del filosofo cattolico francese Jacques Maritain.
Murrat, attraverso la frequentazione di Pax Romana, l’organizzazione internazionale
degli universitari cattolici ( si veda il link:
http://www.portale.fuci.net/2021/01/12/pax-romana-un-centenario-poco-noto-ma-
fecondo/), era ben conosciuto a livello internazionale. La sua influenza si estese,
grazie a Paolo VI, anche al Concilio Vaticano II (in particolare nel documento Dignitatis Humanae che tratta della libertà religiosa). Ed è significativo, alla viglia dell’insediamento del secondo presidente cattolico degli USA, la casa Editrice Morcelliana ripubblichi una sua opera. Infatti esce oggi il libro di John Courtney Murray, Noi crediamo in queste verità. Riflessioni cattoliche sul “principio
americano” (Morcelliana, 2021), a cura e con introduzione di Stefano Ceccanti. Si
tratta della riedizione della prima traduzione italiana (1965, di Carlo De Roberto)
del testo originale, We Hold These Truths: Catholic Reflections on the American
Proposition (1960). In questa intervista con Stefano Ceccanti, deputato PD e
costituzionalista, ne ripercorriamo il pensiero.

Onorevole Ceccanti, siamo a due giorni  dal giuramento di Joe Biden come
Presidente degli Stati Uniti e lei, alla vigilia di questo importante evento, è
curatore, per la casa editrice Morcelliana, di un importante libro di John
Courtney Murray, il grande teologo gesuita, e costituzionalista, americano, We
Hold these Truths, (Noi crediamo in queste verità). Sappiamo che il libro uscì,
all’inizio degli anni sessanta, alla vigilia dell’elezione di John Fitzgerald
Kennedy alla presidenza degli Usa. Sono passati 60 anni da allora perché
riproporre un testo così? 

Siamo alla vigilia dell’insediamento del secondo presidente cattolico della storia
americana, si ripropone quindi un intreccio interessante tra religione e politica.
Ovviamente non nello stesso modo, ma la provocazione credo possa risultare
interessante. Allora il senso del testo era bidirezionale. Verso la società americana,
contro vari pregiudizi protestanti, si trattava di dimostrare che il cattolicesimo era
alleato della democrazia, che essa era la sua opzione preferenziale e naturale e che i
laici cattolici impegnati in politica si assumevano una propria responsabilità, non
dipendevano meccanicamente dal clero. Il testo va quindi letto insieme al discorso di
Kennedy di Houston ai pastori protestanti, ampiamente influenzato da Murray. Verso
la Chiesa si trattava di lavorare per far assumere la libertà religiosa come un bene e
non come un male da tollerare. La visione tradizionale, espressa con particolare
intransigenza dal cardinal Ottaviani, era il frutto di uno scontro non con la modernità,
ma con una delle modernità, quella giacobina, che si presentava come una religione
secolare alternativa. L’America con la sua visione di un’amicizia, pur nella
distinzione, tra religioni e democrazia, di un’autolimitazione dello Stato che non
ricorreva alla coercizione per limitare il pluralismo era un possibile modello positivo.
Si trattava di archiviare le simpatie per regimi confessional-autoritari come quello
spagnolo, valorizzando quello che era accaduto di fatto con la candidatura Kennedy e
anche, per altri versi, con le democrazie cristiane europee. Oggi, la sfida è diversa,
come spiega anche Massimo Faggioli nel libro che esce simultaneamente per lo
stesso editore “Joe Biden e il cattolicesimo negli Stati Uniti”, è sempre bidirezionale,
ma sono cambiati entrambi i contesti. C’è un conflitto interno al cattolicesimo
americano: accanto al filone democratico di cui è espressione Biden, che si muove
nell’onda lunga di Murray, è cresciuta un’impostazione neo-intransigente più vicina a
Maurras e a Orban, che svaluta le acquisizioni conciliari e che si basa su una versione
radicalizzata della retorica dei principi non negoziabili dei due pontificati precedenti,
vivendo il pluralismo come un male e non come una risorsa da superare con una
egemonia confessionalistica. E c’è poi, connessa, la nuova radicalizzazione che si è
espressa col trumpismo a cui quel neo-intransigentismo ha dato copertura, che però è
stata battuta da Biden, potremmo dire con quella idea della Costituzione e della
politica che vede il richiamo alle regole comuni come accettazioni di articoli di pace
e non come elementi di credo di parte su cui insiste Murray.

È un testo che tratta, tra l’altro, del I emendamento della Costituzione
Americana (che garantisce il pluralismo religioso). Quindi si pone
all’avanguardia nella riflessione cattolica sulla libertà religiosa. Possiamo dire
che l’opera di Murray ha influenzato il Concilio Vaticano II. In che misura?
C’è un influsso diretto e uno indiretto. Quello diretto è noto, riguarda il ruolo di
Murray come perito conciliare, in raccordo con Paolo VI e con Maritain, di cui parlo
nell’Introduzione. Però esso si appoggiava su un influsso indiretto, quello già
esercitato aiutando Kennedy a sviluppare una linea culturale coerente e vincente nel
1960. I vescovi americani con Murray si presentano al Concilio come l’episcopato
della prima superpotenza del mondo in cui per la prima volta ha vinto un cattolico.
Riescono a far valere la loro posizione anche perché essa ha vinto prima sul piano
storico concreto.

Veniamo al cattolicesimo americano contemporaneo. Sappiamo che è un
cattolicesimo diviso, come del resto la società e la politica americana. C’è una
parte conservatrice che ha guardato a Trump e al suo sovranismo. E c’è una
parte più vicina a Papa Francesco che ha votato Biden. Lo stesso Biden è stato
osteggiato da alcuni vescovi conservatori. Come pensa che si muoverà Biden in
questo contesto?
C’è una sovrapposizione pressoché totale tra cattolici, vescovi in primis, oppositori al
Papa e sostenitori di Trump. Biden cercherà di non esasperare conflitti e nel frattempo, come accaduto in passato in senso inverso, ciò sarà agevolato dalle
nomine episcopali e cardinalizie di Francesco, peraltro in parte già avvenute.

Torniamo a Padre Murray. Sappiamo che per lui la separazione tra Stato e
Chiesa è un progresso. Qual è il valore della laicità in Murray?
Il termine laicità come tale non è utilizzato esplicitamente in Nordamerica e qualche
autore è dubbioso (se non addirittura contrario, ad esempio il sociologo Diotallevi,
che è uno dei principali studiosi italiani di Murray, che ha animato anche un bel
dibattito a favore dell’impostazione di Kennedy ad Houston con il vescovo
conservatore Chaput, una delle punte di diamante del settore duramente critico col
Papa) se si possa utilizzare. Loro usano il termine “libertà religiosa” che, attraverso le
due clausole del Primo emendamento (divieto di Religione di Stato, libero esercizio
della libertà) esprime due verità complementari, la separazione istituzionale tra Stato
e Chiese, ma anche il primato della società, vivificata dalle esperienze religiose, sullo
Stato. La separazione, nella distinzione, è quindi amichevole e non ostile. Per me,
nella sostanza, è equivalente a ciò che diciamo in Europa coi termini “laicità
positiva”, per distinguerla dalla separazione ostile e dalla confusione che si realizza
col confessionalismo.

Per Murray i valori della Costituzione americana sono più accettabili per uno
spirito religioso che non quelle della Rivoluzione Francese. È così?
Certo, i giacobini tendono ad affermare una religione secolare, una religione che non
sa di esserlo e che tende a sostituire quelle precedenti, è una visione monista.
Viceversa la Rivoluzione americana, come spiega Murray, è costitutivamente
pluralista. La religione cristiana non mira ad un’egemonia da far valere attraverso lo
Stato, ma rispetta e promuove il pluralismo nello stesso senso con cui De Gasperi,
Adenauer e Schuman hanno promosso istituzioni europee non sostitutive ma
complementari, sussidiarie a quelle nazionali.
Sì, per un duplice profilo. Quello ecclesiale perché Murray, che ha lavorato a Pax
Romana durante la guerra (il movimento internazionale della Fuci e del Meic) e che
aveva interagito con gli uditori laici al Concilio, provenienti anch’essi da Pax
Romana, dimostra sul lungo periodo la maggiore vitalità, che va comunque declinata
in termini nuovi, di un certo cattolicesimo che spesso nei decenni precedenti era stato
visto come superato a favore di forme più intimiste o integriste, valorizzate
erroneamente come più efficaci. Sul piano civile e politico perché, come sempre
segnalava Pietro Scopola, bisogna diffidare di sintesi politiche che attingano solo alle
risorse del cattolicesimo e della sinistra non preoccupandosi di fare i conti anche col
pensiero liberale e quindi con ciò che l’America rappresenta. C’è il rischio di sommare due spezzoni di culture nobili, vivaci, ma anche, prese da sole, molto
finalistiche e intransigenti, poco pragmatiche, con molta enfasi sullo Stato piuttosto
che sulla società. Gli elementi che devono interagire sono tre, compresa la cultura
liberale. Murray ci richiama al valore politico dei suoi amici Sturzo e Maritain, il
Maritain rigenerato dal periodo americano, di “Cristianesimo e democrazia” e de
“L’Uomo e lo Stato”.

“Biden alla Casa Bianca significa la sconfitta dei sovranisti cattolici”. Intervista a Maria Antonietta Calabrò

Joe Biden al The Queen theater in Wilmington (AP Photo/Susan Walsh)

Con la certificazione della vittoria elettorale, da parte del Congresso, arrivata oggi, dopo il folle assalto di ieri delle “brigate” trumpiane a Capitol Hill, per Joe Biden non ci sono più ostacoli per la Presidenza degli Stati Uniti. Il Presidente eletto giurerà, insieme alla Vice Presidente Kamala Harris, il prossimo 20 gennaio a Washington.Gli scontri di ieri a Capitol Hill, istigati da Donald Trump, hanno provocato una ferita inaudita per la democrazia americana. Un paese diviso e incattivito dalla propaganda estremista dei circoli sovranisti. Anche l’estrema destra cattolica porta la sua responsabilità (vedi ad esempio Steve Bannon e l’ex nunzio Carlo Maria Viganò). Non sarà semplice per Biden fare opera di pacificazione. Una sponda importante , sicuramente, la troverà in Papa Francesco. L’elezione del cattolico Biden significa, infatti, la sconfitta dei nemici sovranisti del Papa. Anche il Vaticano sta vivendo un momento importante: la riforma delle sue finanze ad opera di Papa Francesco. Ma si sono ancora episodi da chiarire come le notizie provenienti dall’Australia.

Proprio oggi il Congresso ha ratificato la elezione di Joe Biden a Presidente degli Usa. Sappiamo quanto è profonda la ferita inferta alla democrazia statunitense .L’assalto al Congresso da parte dei fanatici Trumpiani. Per Biden il primo dei compiti è quello di pacificare il paese. E in questo penso che una sponda importante potrà venire da Papa Francesco. Ci sarà una nuova stagione nel rapporto con il Vaticano?
Certamente. Biden e’ Il secondo cattolico ad essere stato eletto Presidente degli Stati Uniti dopo John Fitzgerald Kennedy, sessant’anni fa. Biden ha apertamente parlato della sua fede durante il discorso di investitura alla Convention democratica di Milwaukee, e ha spiegato quanto sia stata importante per aiutarlo a superare i gravi lutti subiti nel corso della sua vita. All’inizio della campagna elettorale,il suo staff ha preparato un video in cui mostrava un breve incontro a un’udienza generale con Papa Francesco, come una “benedizione“ papale alla sua scalata alla Casa Bianca.Nel corso delle settimane, la questione “ cattolica” per i Dem e’ rimasta sotto traccia. Ma non è solo per la sua fede personale che la vittoria di Biden, “libera” Papa Francesco da un possibile scacco matto, ipotizzabile invece in caso di vittoria di Trump.Per motivi geopolitici e per motivi “ interni” alla Chiesa Cattolica, riporta il Trono del mondo in qualche modo in sincrono con l’Altare. E quindi in qualche modo eviterà le forti tensioni che si ebbero alla fine del pontificato di Ratzinger con l’ elezione di Obama e negli anni della presidenza Trump per Francesco.Chi non ricorda le iniziative sovraniste di Steve Bannon? L’alleanza con i cardinali “conservatori” ( a cominciare dal cardinale Burke), mano a mano arginate dopo l’uscita dalla Casa Bianca fino al suo recente arresto in relazione a reati finanziari relativi alla costruzione del Muro antimigranti con il Messico? L’alleanza in Italia con Matteo Salvini,il politico con la maglietta “Il mio papa e’ Benedetto”?Il voto cattolico (26 per cento della popolazione) è stato decisivo per le vittorie di Obama, ma negli ultimi anni negli Stati Uniti si è sempre più’ polarizzato: perché “spostarsi” a destra per un cattolico americano ha significato anche prendere le distanze dal Pontificato di Francesco.La propaganda dell’ex Nunzio monsignor Carlo Maria Viganò ha martellato per oltre due anni, dall’agosto 2018, contro il Papa, di cui ha chiesto più volte le dimissioni. Viganò ha indetto preghiere per la rielezione di Trump e ha ottenuto il pubblico appoggio di Trump in persona. Mentre con una mossa senza precedenti il Segretario di Stato Mike Pompeo a fine settembre ha accusato il Vaticano di immoralità per i suoi accordi diplomatici con la Cina in materia di scelta dei vescovi.
Questo processo adesso, con il prossimo inizio della presidenza Biden , si interromperà

L’ ex Nunzio Viganò ha “ sponsorizzato” azioni a favore di Trump e contro Biden fino all’altro ieri.
Sì. Tre giorni prima dell’assalto al Congresso degli Stati Uniti per “bloccare” la proclamazione della vittoria di Joe Biden, l’ex Nunzio Carlo Maria Viganò ha rilasciato (1 gennaio, festa di Maria Madre di Gesù) un’intervista a Steve Bannon resa pubblica il 3 gennaio su Lifesite (in Italia Stilum Curiae) in cui ha incitato i “figli della luce” ad agire “adesso”. Visto quanto è successo al Capitol isi può ben dire che i complottisti hanno avuto una benedizione “cattolica” da parte parte del controverso arcivescovo il cui pupillo è almeno dal 2018 Donald Trump e il cui nemico numero uno è Papa Francesco, che a suo dire sarebbe complice del Gran Reset, della sudditanza alla Cina ( se c’è’ però un politico che ha indebolito gli USA a favore della Cina negando la pandemia, questo è’ Trump) .Al grido di “Dio lo vuole”, grido di battaglia medievale per arruolare i crociati da inviare in Terra Santa a liberare il Santo sepolcro. Una delle domande di Bannon a Viganò infatti suonava così: “Lei si è mostrato fiducioso che Dio desidera una vittoria di Trump per sconfiggere le forze del male” . Da notare il verbo al presente . Ma Viganò non è stato solo protagonista contro Francesco. Oggi si ascrive tra i sostenitori di Benedetto XVI , ma in realtà’ fu lui che alimento’ la fuoriuscita di documenti riservati durante il primo Vatileaks e che scrisse il falso a Benedetto pur di non lasciare il suo incarico di potere in Curia. E’ un personaggio centrale non solo della geopolitica vaticana, ma anche della partita delle finanze. Nell ‘intervista, ha quasi sollecitato la pubblicazione di prove di corruzione della “deep church”, in mano ai servizi segreti.”

Il Papa ha appena varato una importantissimo riforma finanziaria per la Santa Sede e dall’Australia arrivano venti di tempesta. Mi riferisco alla notizia, diffusa dai media Australiani, secondo cui dal Vaticano sarebbe stata trasferita in Australia una somma enorme 1, 8 miliardi di euro. Il Vaticano, attraverso un funzionario, ha commentato la notizia come “fantascienza”. E anche la Chiesa Australiana ha negato di averne mai saputo nulla. Cosa può essere, per te, tutto questo? È una, ennesima, tempesta in arrivo?
Dal primo gennaio, di quest’anno, è entrata in vigore la riforma di Papa Francesco sulla centralizzazione delle casse vaticane. Mi riferisco in particolare al trasferimento dei fondi ( la cosiddetta terza banca) dalla Segreteria di Stato all’APSA. Tutto questo è una vera rivoluzione, che è’ stata innescata dal cosiddetto caso Becciu, con l’ oscura vicenda dell’acquisto del palazzo di Londra . Il punto è che il Papa c’è’ dovuto arrivare in tre successive mosse: una lettera al cardinale segretario di Stato Parolin ad agosto, poi la nomina della Commissione per la gestione del trasferimento dei fondi ad ottobre, infine il Motu proprio con forza di legge a dicembre. Per tornare anche all’Australia, però, bisogna comprendere che questo processo relativo ai fondi della segreteria di Stato, non è’ ancora finito, e si attuerà definitivamente, tranne imprevisti, solo entro 4 febbraio. C’ è ancora un mese di tempo. L’antiriclaggio australiano AUSTRAC ha evidenziato 47 mila transazioni in sei anni ( 2014-2020) dal Vaticano all’ Australia. Se non sono soldi vaticani, ma sono ‘ solo’ passati attraverso entità vaticane, di che soldi si tratta?, e soprattutto di chi? I resoconti della stampa australiana parlano di conti cifrati di esponenti laici. Bisogna ricordare che proprio nel 2014 il cardinale Pell aveva pubblicamente denunciato l’esistenza di fondi extrabilancio in Vaticano per un ammontare vicino alla cifra monstre di cui si parla ora ( oltre un miliardo e 400 milioni di euro). E che dal 2014 e’ iniziata la ripulitura dei conti dello IOR,anche questo un processo molto lungo durato anni.
A una mia precisa domanda oggi l’Austrac ha risposto che è’ in corso una revisione completa di tutti i trasferimenti che risultano effettuati , in collaborazione con l’ASIF vaticana, cioè’ l’Antiriciclaggio guidato da Carmelo Barbagallo. Tra AUSTRAC e ASIF infatti vige un protocollo di collaborazione bilaterale. Bisogna verificare chi sono i mittenti e chi sono i beneficiari. E se all ‘ interno di questo fiume di denaro ci siano stati versamenti anche per condizionare il processo penale per pedofilia contro Pell, come ha dichiarato ai magistrati vaticani , uno degli indagati per la vicenda del Palazzo di Londra, poi “ pentito”.

Veniamo al cosiddetto caso Becciu. A che punto siamo dell’indagine?
In corso, come si dice.

Quali sono le contromosse di Becciu?
L’arcivescovo Becciu ha sempre negato di aver commesso reati, ed in particolare di non aver interferito con il procedimento penale contro Pell.

Che reazioni sta avendo in seno alla Curia?
Il ridimensionamento istituzionale della Segreteria di Stato ( ormai un dicastero senza portafoglio) e’ sicuramente un cambiamento , direi, maggiore, che imporrà di riscrivere anche la bozza già quasi pronta della “ Preadicate Evangelium” ,la costituzione apostolica che dovrá sostituire la “Pastor bonus” di Giovanni Paolo II. Allo stesso tempo, la figura del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, ne uscirà inevitabilmente ridimensionata.E con lui, il cosiddetto “partito italiano”.

FCA-PSA, “L’EUROPA SARÀ L’EPICENTRO MONDIALE DELLA MOBILITÀ ELETTRICA, ECCO PERCHÉ CI TEMONO” . INTERVISTA A GIUSEPPE SABELLA

 

Ieri le assemblee dei gruppi automobilistici FCA e PSA hanno approvato il progetto di fusione annunciato lo scorso anno che darà vita a Stellantis. L’operazione sarà perfezionata il 16 gennaio, poi la quotazione in Borsa. La sede sarà in Olanda e a guidare il quarto gruppo mondiale nel settore automobilistico saranno John Elkann Presidente, Robert Peugeot vicepresidente e Carlos Tavares amministratore delegato. Per il Lingotto si realizza quel consolidamento che Sergio Marchionne vedeva necessario per sopravvivere alle trasformazioni del settore auto e dell’economia più in generale. Ne parliamo con Giuseppe Sabella, direttore di Think-industry 4.0.

Sabella, cosa rappresenta Stellantis per l’Italia e, anche, per l’Europa?

Credo che John Elkann abbia messo a segno un’operazione importantissima, pari a quella che nel 2009 lo stesso Elkann e Marchionne realizzavano con la joint venture Fiat-Chrysler. Anche in questo caso, il matrimonio felice – almeno sulla carta – ha importanti motivazioni industriali: a Marchionne non si può rimproverare nulla, ma è chiaro che se FCA aveva un limite, questo andava cercato nell’essere rimasta indietro nell’evoluzione verso l’elettrico. Ed è proprio questo che porta FCA a cercare PSA. Tutti ricorderanno che poco prima, il Lingotto si era accordato con Renault, intesa poi saltata: la ragione era la stessa, Renault era considerato da Elkann e Manley il partner ideale per far evolvere FCA. Questo dovrebbe dirci qualcosa di importante…

A cosa si riferisce?

Quando nel 2010/2011 la grande crisi economica si fa sentire in Europa in modo molto forte, è allora che il governo francese mette in salvo la sua industria dell’auto entrando in modo importante nel capitale di Renault e PSA, introducendo così una liquidità fondamentale per resistere alla grande turbolenza. È in quel momento che, in modo illuminato, il governo francese pretende come contropartita che Renault e PSA si impegnino nella nuova frontiera dell’elettrico. Oggi i due marchi – ed è per questo che FCA è andata a cercare loro – sono all’avanguardia da questo punto di vista, come del resto lo è anche il gruppo Volkswagen per restare in Europa. Questo ci dice quanto sia importante la giusta politica industriale: le risorse non bastano, è determinante investirle nel modo giusto.

È per questo che oggi nel nascente gruppo Stellantis prevale la guida francese?

Iniziamo col dire che Exor avrà il 14,4%, seguita dalla famiglia Peugeot con il 7,2%, lo stato francese con il 6,2% e i cinesi di Dongfeng con il 5,6%. Il Lingotto resta quindi primo azionista. Consideriamo anche che a livello industriale PSA e Tavares avranno più peso ma la rete di vendita di FCA negli USA soprattutto è molto radicata. Secondo me, è questa una fusione dove c’è alla base una forte integrazione. Dopodiché, è chiaro che come in tutte le novità vi sono delle insidie: i francesi sono molto forti, anche in ragione del fatto che il governo transalpino sarà sempre presente nelle operazioni importanti. Per questo ricordavo l’operazione del 2011: il nostro Paese deve capire che oggi la politica industriale è decisiva, soprattutto in relazione alla montagna di denaro che sta muovendo l’Europa col Recovery Fund.

L’industria dell’auto è stata il simbolo della precedente rivoluzione industriale. Lo sarà anche di quella in atto e del Green New Deal?

Lo sarà molto meno perché sta cambiando radicalmente la mobilità: in primo luogo, entriamo in un mondo dove le persone non si muoveranno più come prima: innanzitutto, oggi lo smart working e, più in generale, il lavoro in remoto stanno del tutto cambiando la vita delle imprese e di lavoratori e lavoratrici. In secondo luogo, se pensiamo a una città come Torino, capitale dell’auto in Italia, oggi si producono circa 20mila automobili. Dieci anni fa, se ne producevano 200mila. La crisi del 2008 ha lasciato ferite dolorose per il settore. Si è passati da più di una macchina per nucleo familiare, in media, a una situazione dove in molti casi non vi è possesso di auto. Cosa è successo? Da un lato, un impoverimento ed erosione del potere d’acquisto; dall’altro, vi sono anche altri fattori, tipo l’affermazione del car sharing e del car pooling. Inoltre, soprattutto nei più giovani, la sensibilità per l’ambiente è più sviluppata: l’auto, per loro, è spesso il simbolo di un potente fattore di inquinamento. Vedremo che risposte darà il mercato, ma la mobilità sta completamente cambiando per diversi motivi e, dopo il covid-19, è di molto rallentata. A ogni modo, sono convinto che – sulla base anche di ciò che afferma Pietro Gorlier, responsabile area EMEA di FCA – il grande investimento della UE sarà proprio sulla mobilità: l’Europa vuole diventare l’epicentro mondiale della produzione dell’auto elettrica. Del resto il futuro è qui e il neo gruppo Stellantis nasce proprio sotto i migliori auspici.

Gli USA con la Tesla però ci sono arrivati prima…

È vero. La novità però è che oggi l’Europa si sta muovendo con una politica comunitaria molto forte ed è per questo temuta, come dimostrano le parole dell’ad di Toyota, Akio Toyoda, il cui obiettivo non è tanto l’auto elettrica quanto l’Europa. Tutti sanno quale grande sforzo sta facendo oggi la UE, da un punto di vista della sua politica economica e industriale soprattutto. In questo senso, il Recovery Plan vuole sviluppare in modo determinante l’industria delle batterie – gli attuali leader nella produzione delle batterie sono proprio il Giappone, la Corea del Sud e la Cina – e la rete infrastrutturale dei punti di ricarica. Per questo, la Commissione ha identificato le batterie come una delle nove catene strategiche del valore per la competitività dell’UE e per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione. Investire in questa direzione potrebbe anche sviluppare occupazione e calmierare quegli scompensi sociali della transizione a cui allude Toyoda. Ricorderei, inoltre, a chi dice che il motore elettrico è più piccolo della metà rispetto a quello tradizionale – e che, quindi, a livello di componentistica e di manodopera richieda molto meno di ciò che richiedeva prima – che lo stesso motore a combustione è più piccolo del 40% rispetto al motore che si produceva negli anni ‘80. Questo ci dice che la strada è quella dell’innovazione, stando attenti a non lasciare le persone sole, in particolare coloro che per via della trasformazione perderanno il lavoro.

Come può evolvere il mercato dell’auto? E, da un punto di vista della produzione, che tipo di novità vi saranno per l’Italia con questa fusione?

Rispetto alle novità per la produzione, è presto per dirlo. Sottolineo però che FCA, rispetto ai programmi e agli impegni presi per il triennio 2019-2021, sta rispettando tutti gli investimenti del piano industriale. Per il resto, è noto che la pandemia quest’anno ha rallentato di molto produzione e mercato. Vi è tuttavia un recupero importante negli ultimi due trimestri: FCA, per esempio, chiude l’anno con un -12,4% rispetto al 2019. Se pensiamo che le stime preoccupanti erano un -30%, si tratta di un risultato importante. È chiaro tuttavia che il rallentamento dovuto al covid ha generato un contraccolpo per la mobilità in generale: vi sono da smaltire le flotte di auto tradizionali e ibride rimaste nei concessionari e, non a caso, anche la recente manovra di bilancio italiana ne incentiva l’acquisto come lo incentiva per l’auto elettrica. Questo per dire che vi è sicuramente una fase di transizione ma è proprio il covid, in virtù delle risorse che sta muovendo col Recovery Fund, ad accelerare la transizione, al di là del fatto che i costi di produzione e di mercato dell’elettrico sono ancora elevati. Si è stimato che una parità di prezzo con le auto tradizionali non sarà raggiunta prima del 2024. Secondo le previsioni dell’OEM, lo stock di veicoli elettrici dovrebbe essere compreso tra i 40 e i 70milioni nel 2025; a oggi, ha di poco superato i 5 milioni. Sono previsioni un po’ottimistiche. Ma il dado è tratto.

Cosa ne pensano i sindacati di questa trasformazione secondo lei?

Il sindacato italiano ha chiaro che questa è l’unica strada per sviluppare industria e lavoro, non a caso hanno tutti speso parole importanti per la nascente Stellantis. Certo, come dicevo prima l’innovazione creerà flussi in uscita che andranno gestiti. Del resto, negli anni della crisi abbiamo fatto esperienza. Va però tenuto presente il grande lavoro che andrà fatto per sviluppare la rete infrastrutturale a livello europeo: sono state ipotizzate tre milioni di colonnine in tutta Europa nei prossimi 5 anni. Secondo ACEA,al momento ce ne sono 144 mila. Potrebbe per questo persino nascere un’industria europea per le infrastrutture. Pensiamo a quanto lavoro potrà generare da questa trasformazione e al fatto che l’Italia resta un grande Paese in Europa non solo in termini di capacità industriale ma anche in termini demografici. Dobbiamo imparare dai francesi: se saremo capaci di fare le giuste scelte politiche economiche e industriali, la nostra economia avrà un futuro importante.

IL CORPO COME SALVEZZA, STORIA DI ANNA LATINO

La storia di Anna è la storia di una giovane donna coraggiosa di Conegliano Veneto.  Che ha combattuto, e vinto, una malattia terribile: l’anoressia. In Italia si stima che siano più di 3 milioni le persone affette da disturbi dell’alimentazione di cui il 95,9% sono donne e il 4,1% uomini. Sono dati del ministero della Salute. Un disagio molto grave. Anna ha vinto con il suo corpo, scoprendolo bello e seducente, realizzando servizi fotografici, calendari. Ed ora, presto, questi scatti saranno oggetto di una mostra fotografica, a Ronchi dei Legionari, contro l’anoressia. In questa intervista raccontiamo la sua storia.

Anna, la tua è una storia di redenzione. Redenzione avvenuta attraverso il corpo. Ma nella tua vita non sempre hai amato il tuo corpo. Infatti, per diversi anni, hai vissuto l’inferno dell’anoressia.  Cosa è stata quell’esperienza?

Per me l’anoressia è stato un modo di ribellione a schemi severi familiari. Non mi adeguavo a quel corpo prorompente che attirava  le attenzioni maschili. Il rendermi invisibile mi teneva lontana dalle gelosie morbose di un padre siciliano.

L’anoressia  è una malattia che ha più cause . Un ruolo determinante, nella manifestazione del gravissimo disagio, lo ha il contesto familiare. Che figure sono stati i tuoi genitori…. Come li hai vissuti?

Il contesto familiare era alquanto rigido, e mia mamma una donna acqua e sapone, che non certo rispecchiava i miei canoni di bellezza, ma così facendo  si liberava dalle gelosie di mio padre .

Per una ragazza anoressica íl rifiuto del cibo nasconde, in realtà, una grande fame d’amore. Per te è così?

Il rifiuto del cibo significa senz’altro fame d’amore. L’anoressica privandosi di tutto sfida la morte, il messaggio è chiaro  : accorgetevi di me . Le  privazioni la rendono vulnerabile e quindi bisognosa di affetto  e cure.

Mi hai raccontato che, da ragazzina, eri ribelle, esuberante. Volevi andare oltre gli schemi. A chi ti ribellavi?

Mi ribellavo a un contesto di regole rigide e bigotte. Infatti ricordo regole di orario per le uscite di casa, regole rigide di fare i compiti . Nello studio dovevo raggiungere  il massimo dei voti e delle aspettative.

Poi questa tua ribellione l’hai gettata contro il tuo corpo. Perché? Cosa non ti piaceva?

Del mio corpo non mi piaceva il seno prorompente , lo nascondevo sotto maglioni grossi, e le cosce paffutelle.

Come è iniziato il tuo percorso di rinascita? Un percorso complesso e lungo. Cosa ti ha fatto prendere coscienza di prendere in mano la tua vita?

 Il mio percorso di rinascita inizia a Villa Garda dove conosco il prof Riccardo Dallle Grave che mi cura con tanta pazienza. Riabilitazione psico fisica. Ero in punto di morte: pesavo 28 kg non c’era altra via che risalire la china.

 Dicevamo che il tuo percorso di rinascita è stato lungo e drammatico. Sei stata, anche, una vittima di violenza sessuale. Dopo l’anoressia, la violenza. Il tuo corpo è un corpo che grida…. Ora qual è il tuo rapporto con il tuo corpo?

Il mio rapporto con il corpo e’ migliorato ora tollero i miei difetti e privilegio i miei pregi. Non miro a un corpo esile ma piacente nelle sue forme femminili.

Sei anche madre, com’ è il tuo legame con tua figlia?

A Eleonora insegno a prendersi cura di se’, cospargersi la crema, anche per coccolarsi un pochino, truccarsi il giusto per esaltare i tratti. A livello di cibo le insegno che bisogna mangiare di tutto senza paura di ingrassare o perdere il controllo..

Hai scelto la fotografia come strumento di riscatto. Un’arma potente indubbiamente. Le tue foto parlano della tua libertà e della tua voglia di vita. Non hai paura che qualcuno sciupi il tuo messaggio?

La fotografia è arte. Dipingere con la luce. Forse a non tutti arriverà questo. Nell’arte bisogna accettare anche che vi sia il nudo artistico che, se fatto bene, non assume connotazioni volgari. Infatti sono alla ricerca  sempre di scatti seducenti , raffinati, eleganti e mai volgari.

Vuoi lasciare un pensiero per le giovani donne? 

Il mio pensiero e’ quello di fare sempre ciò per cui si è portati. Sognare in grande e realizzare le proprie ambizioni. I problemi di un corpo mal tollerato si trovano alla base di una scarsa autostima. Invito quindi a non focalizzarsi sul corpo  esile ma essere felici del privilegio di essere donna . Quindi forme corporee utili per la maternità ma che esaltino anche la femminilità.