NELL’ERA DI “RENZUSCONI”. Intervista ad Andrea Scanzi

Siamo nell’era di  “Renzusconi”? Per capire l’antropologia politica del personaggio, Renzi, abbiamo intervistato Andrea Scanzi, giornalista de il Fatto  Quotidiano, che ha pubblicato un pamphlet, che in pochissimi giorni è già alla quarta ristampa, dal titolo “Renzusconi. L’allievo ripetente che (non) superò il maestro”  (ed. PaperFirst, pagg. 186, € 10,50).

 

Andrea SCANZI, il tuo libro, “Renzusconi” che sta avendo successo nelle librerie e ha raggiunto la quarta ristampa in neanche tre settimane, “crea” un personaggio “Renzusconi”” (impasto di Berlusconi e  Renzi) che sembra quasi la piattaforma “antropologica” delle “larghe intese”. Esagero?

 

No, non esageri. Renzusconi è il ritratto di Matteo Renzi, è il mio tentativo di dimostrare quanto Renzi assomigli a Berlusconi. Ma è anche purtroppo una sorta di anteprima di quello che probabilmente vedremo a marzo. Cioè l’ennesimo inciucio cui una parte del paese si è abituata, perché ormai sono 6 anni che ci sono inciuci e ho il timore che quello del 2018 sarà il peggiore perché sarà l’unione definitiva tra Renzi e Berlusconi.

 

Parliamo del libro. La tesi, che fa da filo conduttore al tuo pamphlet, è che Renzi sia peggio di Berlusconi, anzi lo definisci pure come “l’allievo ripetente che (non) superò il Maestro”. Quali le ragioni di un giudizio senza appello ? Definirlo peggio dell’uomo (Berlusconi) che aveva, per ricordarne solo una,  come stalliere un mafioso per non dire poi, del suo braccio destro, Dell’Utri. Insomma, per te Renzi è peggio e più pericoloso del Cavaliere”  ….

 

Renzi non è peggiore di Berlusconi in termini giuridici, non ha fondato un partito con Dell’Utri, non ha avuto un mafioso come stalliere. Nel libro lo scrivo chiaramente, non sono pazzo. Rischia però di essere più pericoloso per due motivi, se vuoi anche tre. Il primo è che ha meno talento, è meno bravo anche a fare le cose brutte, non è un genio del male come Berlusconi: è un politico mediocre e lo dimostra il fatto che dopo tre anni larga parte del paese lo detesti. Berlusconi è durato 24 anni, dubito che Renzi possa durare altrettanto. Il secondo motivo: la classe dirigente renziana si sta dimostrando peggiore di quella berlusconiana. Non credevo fosse possibile, ma nel libro credo di dimostrarlo nel capitolo “Undici piccoli renziani”, dove elenco le pochezze siderali degli Andrea Romano, Guerini, Rosato, Nardella, Prestipino, Picierno, ecc. che sono peggiori delle Carfagna e delle Ravetto. Il terzo motivo, che è poi quello che mi fa più rabbia e paura, è questo: quando c’era Berlusconi avevamo un’informazione e alcuni partiti che riconoscevano il pericolo, perché Berlusconi era la destra, era dichiaratamente il “cattivo”. Quindi avevi Repubblica che faceva i post it gialli, avevi Nanni Moretti che faceva i girotondi. A me fa paura come questa stessa gente adesso si faccia piacere tutto perché quelle cose ora le fa il leader del suo partito. Ormai non è più politica: è calcio, è tifo. Questo mi dispiace molto e per questo trovo paradossalmente più pericoloso Renzi.

 

 

Lo definisci “democristiano”,  ma cosa c’entra Renzi con la cultura di De Gasperi e di Moro?

Tu mi citi i democristiani migliori. Renzi è un pesce piccolo, ma è comunque democristiano. Ha sempre dichiarato espressamente di venire da quel mondo lì e di avere per maestri figure come De Mita, che poi peraltro lo ha massacrato in un duello pre-referendario. Nel libro lo racconto, e racconto anche di quando Renzi al liceo si candidò con CL: ora, con tutto il rispetto per ciellini, non sono certo un coacervo di trotzkisti. Renzi ha quel percorso lì: un percorso democristiano, furbetto e cerchiobottista. Lo definisco poi democristiano non in senso nobile – magari fosse De Gasperi – ma perché è il classico democristiano doroteo, alla Gava. Senza però il talento di Gava.

 

Perché (Renzi) è un “Gattopardo 2.0”?

 Perché ha preso in giro gli italiani fingendosi rottamatore, quando in realtà ha restaurato lo status quo. Renzi era l’elemento perfetto per salvare il sistema da tutto ciò che lo voleva cambiare davvero, ad esempio il Movimento 5stelle. Infatti, una volta comparso, Renzi non ha rottamato nessuno, se non D’Alema e probabilmente lo stesso PD, perché nel frattempo lo sta proprio distruggendo dall’interno. Tutto il potere – tutti quelli che contavano – sono saliti sul suo carrozzone. Ha fatto di tutto perché tutto cambiasse affinché nulla cambiasse. Un gattopardo, e ci aggiungo “2.0” solo per quella sua fissa puerile per i tweet.

 

Domanda provocatoria: Tanto sarcasmo, da parte tua, non è dettato da una delusione per il fallimento di Renzi?

 No. Io qualche cantonata politica forse in passato l’ho presa, ma non su Renzi. Se uno legge i miei pezzi anche di 7 o 8 anni fa, oppure il libro che scrissi nel 2013 “Non è tempo per noi”, scopre come ho sempre descritto Renzi per quello che realmente è: un fanfarone, uno che ha sempre mentito, un bugiardo, un chiacchierone. L’ho sempre visto come un abbaglio inspiegabile: non riesco proprio a capire come gli italiani siano riusciti a credere ad un tipo così. Non mi ha mai convinto e mi dispiace anche aver avuto così ragione su di lui. Se poi tu percepisci in me una delusione, è solo perché mi dispiace che il centro sinistra italiano si sia ridotto così. Io vengo da sinistra e mi ferisce vedere persone serie che accettano queste cose: quando vedo Cuperlo o Emiliano che alla fine accettano la conduzione e il dominio di un tipo simile, mi dispiaccio. Anzitutto per loro.

 

Non salvi nulla dell’operato del governo Renzi? Nemmeno il lavoro sui Diritti?

Io salvo esattamente quello, e nel mio libro Renzusconi lo scrivo: salvo la legge sul biotestamento, sulle unioni civili, sul whistleblowing. Sono tutte quelle cose belle che mi farebbero propendere verso il PD se ci fosse un ballottaggio Renzi-Berlusconi. È l’eterna domanda che va di moda in questo periodo. Se a marzo ci fosse un ballottaggio non mi muoverei mai da casa, non voterei. Ma proprio mai nella vita: figurati se aiuto Renzi per evitare Berlusconi: sono la stessa cosa. Se però tu venissi con una pistola alla tempia e mi dicessi “O voti o ti sparo”, a quel punto voterei il PD, proprio perché ha fatto quelle leggi lì. Che comunque non mi bastano per rivalutare ciò che ha fatto Renzi.

 

Tu lo definisci, anche, come: un “bulletto marginale e – misteriosamente – segretario del PD”. Non capisco quel “misteriosamente” visto che lo hanno votato, alle Primarie, milioni di persone. Mi spieghi questo “mistero”?

“Misteriosamente” è ironico, non volevo certo dire che non ha il diritto di esserlo, anzi il PD in questo senso è inattaccabile perché loro almeno le primarie le fanno. Dico “misteriosamente” perché non lo vedo come un uomo di talento: lo vedo un uomo estremamente debole e marginale, prescindibile e poco dotato. Ed è appunto un mistero che uno così abbia avuto (per fortuna uso il passato) un consenso simile.

 

Cosa rimane del Renzismo? 

Rimane ben poco, perché il renzismo è la depravazione del berlusconismo. Contenutisticamente è il nulla. Mi viene sempre in mente quando, nel Caimano, Nanni Moretti sta guidando l’auto e dice che Berlusconi ha già vinto perché se anche un giorno perderà ha comunque cambiato irrimediabilmente gli italiani. Renzi ha sfruttato questo cambiamento in peggio degli italiani, ma non ha portato nulla di nuovo. E’ la copia della copia. Di lui non rimarrà niente. Fra cento anni gli storici si butteranno in terra dal ridere chiedendosi come abbia fatto l’Italia a credere ad un tizio simile.

 

Ultima domanda: Auspichi un governo 5Stelle – Sinistra?

Mi trovo d’accordo con Travaglio, autore peraltro della prefazione di Renzusconi, che ha scritto come alle prossime elezioni un punto di partenza potrebbe essere votare tutti coloro che non hanno votato il Rosatellum. Ovvero scegliere 5stelle, Liberi e Uguali o, se sei di destra, la Meloni. Io non sono di destra quindi difficilmente voterò la Meloni. Non mi asterrò perché astenersi, oggi, significa regalare voti al Renzusconismo. Vedremo chi, da qui a marzo, convincerà di più me e tutti quelli come me. E siamo in tanti. Credo che, a oggi, la situazione migliore sarebbe un governo “5stelle – Liberi e uguali”. Magari un governo di scopo con cinque o sei cose fondamentali: reddito di cittadinanza, legge sul conflitto di interessi, legge (seria) anticorruzione, azzeramento di carognate come Jobs Act, Sblocca Italia, “Buona Scuola”. Eccetera. Non so però se avrebbero i numeri, e poi entrambe le forze sono “testarde” e diffidenti. Quindi è una speranza molto esile.

A breve l’accordo interconfederale: ecco su cosa si stanno accordando Confindustria e Cgil Cisl Uil. Intervista a Giuseppe Sabella

Sempre più insistenti le voci secondo le quali Confindustria Cgil Cisl Uil sarebbero prossime ad un nuovo accordo interconfederale. Dalle Segreterie confederali filtrano indiscrezioni che le firme potrebbero arrivare prima di Natale. Ne parliamo con Giuseppe Sabella, direttore di Think-in e esperto di relazioni industriali.

 

Su quali punti si stanno accordando Confindustria Cgil Cisl Uil?

L’accordo che precede quello che si sta tentando di condividere è del 2009, tra l’altro non firmato dalla Cgil. Si è trattato del primo accordo interconfederale non unitario ed è tuttavia scaduto nel 2013. Con un ritardo che non può essere trascurato, le Parti stanno oggi tentando di ritrovarsi in particolare sui principi della rappresentanza e sugli assetti della contrattazione collettiva.

Perché questo ritardo?

Perché globalizzazione e crisi economica hanno sconvolto modalità e pratiche consolidate della rappresentanza sociale. Basti pensare al caso Fiat e alla deflazione del 2014: incredibilmente ci siamo trovati nella condizione che i lavoratori avrebbero dovuto restituire soldi alle imprese. Rappresentare industria e lavoro non solo è più difficile di ieri ma per chi ha da sempre presidiato il livello della sintesi – le Confederazioni appunto – la complessità è molto elevata.

E quindi oggi su cosa fanno sintesi le Confederazioni?

In particolare, come dicevo prima, sui sui principi della rappresentanza e sugli assetti della contrattazione collettiva. Sul primo aspetto c’è una tale emergenza che mina l’intero lavoro delle Parti: i contratti collettivi depositati al CNEL sono oggi 868 e solo 300 di questi sono dentro il perimetro di Cgil Cisl Uil. Gli altri ne sono fuori e, addirittura, presentano minimi retributivi inferiori anche del 30%. Urge quindi intervenire ma solo il legislatore può sanare questa patologia. Bisogna che però le Parti si decidano a delegarlo. E in questo accordo più che al legislatore si chiede aiuto al CNEL. È già qualcosa…

E sugli assetti della contrattazione collettiva?

Ritengo che resterà quell’ambiguità che ha attraversato gli ultimi 30 anni circa il rapporto tra i due livelli contrattuali: non sono tutti convinti, infatti, che il compito del CCNL sia solo quello di tenere il salario agganciato all’inflazione e di rinviare così al secondo livello ogni altro aspetto, come per esempio sancito in modo cristallino dall’importante rinnovo del CCNL metalmeccanico. Al di là di questo, sarebbe utile aspettarsi qualcosa di più.

Per esempio?

Pare oggi anacronistico che al centro dei contratti non vi siano le professionalità e le competenze delle persone ma ancora la massificazione dei rapporti di lavoro, come al tempo della fabbrica fordista. Oggi siamo nell’era di Industry4.0 ed è questo un aspetto della trasformazione che le Confederazioni sindacali potrebbero stimolare in modo forte, almeno in qualche ambito ristretto e sperimentale. Tuttavia in qualche modo ci arriveremo, è inevitabile.

Un sogno di pace è ancora possibile in Israele? La storia di Neve Shalom. Intervista a Brunetto Salvarani

 

Sono giorni drammatici per Gerusalemme. La decisione del Presidente americano, Donald Trump, di insediare l’ambasciata Usa a Gerusalemme sta creando caos e morte. Eppure, tra mille difficoltà, c’è ancora, in Israele, chi non si rassegna. E’ il caso del piccolo villaggio, situato nella biblica Valle di Ayalon, di Neve Shalom. Ne parliamo, in questa intervista, con il teologo Brunetto Salvarani. Continua a leggere

“Sarà dura competizione con il PD”. Intervista a Chiara Geloni

Come sarà la competizione elettorale tra Partito Democratico e la neonata lista “Liberi e Uguali”? Su quali temi verterà la competizione tra le due sinistre? Lo abbiamo chiesto alla giornalista Chiara Geloni, Direttrice del sito di “Articolo Uno”.

Chiara Geloni, con la presentazione, fatta dal Presidente Grasso, del vostro simbolo siete  “ufficialmente” nella competizione politica . Andiamo subito al sodo: la vostra  lista, “liberi e uguali”, si pone come un fatto politico “distinto e distante” dal PD. Ora, le chiedo, a sentire il discorso di “incoronazione” di Pietro Grasso a vostro leader, non c’è nulla di quello che ha detto che sia  incompatibile con i valori del PD. Anzi sono i valori del PD. La distanza valoriale dov’è?
Io non ho niente di cui pentirmi per aver militato e lavorato per il Pd, partito in cui ho creduto da prima della sua nascita e che ho contribuito a fondare. Vale lo stesso, anzi in misura molto maggiore del piccolo contributo che posso aver dato io, per tanti che hanno fondato Liberi e Uguali. Ma non credo che si possa ignorare che in questi anni tante persone, elettori prima ancora che dirigenti politici, hanno smesso di riconoscersi nel Partito democratico e hanno smesso soprattutto di votarlo. Io ne conosco a centinaia. I valori non basta averli scritti in un documento scaricabile da internet, bisogna praticarli. Mi è capitato mille volte in questi anni di vedere il Pd tradire i valori dichiarati nei nostri documenti fondativi, sia nella prassi di governo che nella vita interna di partito. Ne ho pagato anche qualche conseguenza. Io non riconosco più il Pd, e non lo voto più.

Nella vostra lista, che sta incominciando a muovere i primi passi. dovrà esserci un programma elettorale. Per esempio sull’europeismo dov’è la vostra distanza dal PD, che fa parte della famiglia  socialista?
Mi spiace, ma a me non interessa definirmi in base alla mia distanza dal Pd. Sull’europeismo io credo che questa Europa non funzioni, e mi pare che questo partito socialista europeo sia in enorme difficoltà. Il che non significa certo dire “usciamo dall’euro domattina” o “col Pse non abbiamo niente a che vedere”. Significa che bisogna cambiare le cose, riscoprire le fondamenta del nostro essere sinistra di governo in questa Europa. È una riflessione che è in corso in molti paesi, dentro e fuori dal Pse. Le risposte retoriche non servono.

Insomma Geloni sicuramente nei prossimi mesi la vostra identità di distanza dal PD crescerà. Per adesso, nonostante i vostri sforzi, l’impressione più marcata è quella di una lista punitiva nei confronti di Matteo Renzi. Come smentisce questa impressione?
È una domanda irricevibile. Se lei mi chiede di parlare di politica io rispondo, su queste stupidaggini non ho niente da dire. Le mie idee le avevo da prima che arrivasse Renzi, e le avrò anche dopo.

Anche la vostra affermazione sul voler recuperare i voti di “quelli che sono andati via”, ottima intenzione , ma con  questa pessima legge elettorale, nella parte  maggioritaria, fate un bel regalone alla destra. Il risultato sarà che  sia voi che il PD non toccherete palla. Un bel risultato…
Il regalone alla destra lo ha fatto chi ha voluto, incomprensibilmente, una legge elettorale come questa, che negando il voto disgiunto e la possibilità di fare desistenze uccide il centrosinistra. Hanno pensato di poter ottenere con la forza quello che hanno distrutto con le loro politiche sbagliate: così hanno agito sempre in questa legislatura del resto, forzano costantemente la mano al Parlamento e allo stesso gruppo del Pd, salvo essere puniti al referendum e nelle urne. Articolo 1 ha provato in tutti i modi a fermarli, con gli emendamenti e con gli appelli. La risposta sono state otto fiducie. Adesso ognuno si assumerà le sue responsabilità davanti agli elettori.

I “maligni” hanno trovato strano l’assenza nel simbolo della parola “sinistra” e l’aggiunta del nome nella lista. Bersani diceva mai il nome nella lista. In effetti è strano…
Non è strano. Fin dall’inizio come Articolo 1 e ora come Liberi e Uguali, abbiamo dichiarato una impostazione inclusiva, pluralista e costituzionale. Abbiamo voluto evitare, come dice Roberto Speranza, che la parola sinistra invece che una bandiera potesse diventare una barriera per qualcuno. Il nome Liberi e Uguali a me piace moltissimo perché col suo ispirarsi all’articolo 3 della costituzione per me idealmente è il proseguimento della scelta di Articolo 1. Una repubblica fondata sul lavoro è una repubblica di cittadini liberi e uguali. Lo dico senza avere niente contro la parola sinistra, che mi appartiene pienamente come cattolica di sinistra e come donna che si ispira politicamente ai grandi della sinistra democristiana. Nome nel simbolo: bisogna rendersi conto che tutto è cambiato, altrimenti è difficile anche raccontare la politica. Quando Bersani diceva non metterò il nome nel simbolo intendeva no all’uomo solo al comando. Ora non siamo più in un sistema maggioritario. Non ci sono candidati premier. C’è il nome di Grasso nel simbolo di un partito appena nato, anzi neanche nato, che avrà molto bisogno di farsi conoscere e riconoscere.

Come  spiega la  distanza di Romano Prodi dalla vostra lista?
È una domanda che non mi pongo. Romano Prodi ha smesso da tempo di occuparsi di politica. Lo ripete a ogni occasione.

Ultima domanda: dopo le elezioni, da lista  di sinistra, guaderete al PD o
ai 5stelle?
Dopo le elezioni guarderemo per prima cosa i risultati. E di sicuro saremo contro la destra. Bisognerà vedere anche gli altri a chi guardano, non crede?

Il “finale di partita” tra le sinistre italiane. Intervista a Fabio Martini

Con la nascita con la nascita di “Liberi e UgualI” siamo al finale di partita tra le sinistre italiane. Le conseguenze non saranno per nulla indolori, anzi. Come si svilupperà? Quali conseguenze porterà alla politica italiana? Ne parliamo, in questa intervista, con Fabio Martini, “retroscenista” e cronista parlamentare del quotidiano torinese “La Stampa”.

Fabio Martini, la nascita di “Liberi e Uguali”, un nome che richiama parole antiche e suggestive, e “l’incoronazione” (non trovo altri termini) di Pietro Grasso a leader della nuova formazione certamente la “grande guerra” della sinistra identitaria contro Renzi fa un salto  di qualità. Però ad uno sguardo più attento dentro la nuova formazione politica  ci sono “sfumature” diverse: si va dalla linea di punire il tradimento del PD, una Linea Kamikaze, che inesorabilmente vuol dire consegnare “Liberi e Uguali” alla inconsistenza politica o a fare da stampella ai 5Stellle. E poi c’è la linea Grasso, che non fa sconti al Pd ma non lo brutalizza. Ti chiedo non vedi il rischio di una solitudine di Grasso in questa formazione?
No. In piena campagna elettorale non possono permettersi di lasciarlo solo nei momenti più complicati. Ma al tempo stesso una certa solitudine di immagine potrebbe giovargli: il possibile valore aggiunto di questa lista elettorale sta nella visibilità di Grasso. Anche nel suo carattere naif. Se lo lasceranno sbagliare, senza alzare il ditino, Grasso sarà un po’ più forte. E
tanto meno sarà affiancato dai vecchi leader, meglio sarà per la Lista.

Rimaniamo sempre su Grasso. A sentire il suo intervento si fa  fatica, anzi oserei dire  che non è alternativo ai valori del PD proprio per niente. Ma davvero una posizione del genere non poteva avere cittadinanza?
Molto corretta questa osservazione. Nel discorso di Grasso credo non ci sia una sola parola importante che non sia sottoscrivibile da un elettore del Pd. Certo che le posizioni di Grasso avrebbero potuto trovare cittadinanza nel Pd. Così come quelle dei notabili di Mdp. Ma la leadership di Renzi è escludente, irritante, egocentrica e ad un certo punto la convivenza diventa difficile.

Guardiamo al PD. La mia impressione è che Renzi sia ormai “cotto” Troppo ripetitivo. Riuscirà a presentare con  adeguatezza questa coalizione “microulivista”? È consapevole che senza Pisapia la coalizione perde spessore
La coalizione oltre ad essere micro-ulivista, sarà una micro-coalizione. Giuliano Pisapia avrebbe potuto darle spessore, ma ha rinunciato a metter su una Lista ampia, da Bonino ai prodiani e ora sta combattendo con i partitini. La coalizione attorno al Pd non è una coalizione, ma un tronco attorniato da micro-cespugli.  Quanto a Renzi,  ha dimostrato doti da leader, ma dopo la sconfitta al referendum, è come se la sua emittente si fosse oscurata. Produce segnali e messaggi che oramai vengono intercettati soltanto da chi pregiudizialmente è pronto ad accettarli. Sugli altri non hanno effetto: non li sentono e non li vedono.

Ius soli, purtroppo è un sogno che rimarrà nel cassetto. Fine vita?
Sogno o incubo, a seconda dei punti di vista. Resterà sospeso. Il fine vita invece è legato alla volontà del Pd: se insisterà, passerà.

Mi sembra , citando una grande misteriosa opera di Thomas Becket, che
siamo al “finale di partita” per il centrosinistra. Per te?
Vero, il finale di partita si sta avvicinando. Occorre attendere un centinaio di giorni: se alle elezioni Renzi avrà retto (25-28% al Pd) resterà ancora a lungo sullo scenario politico nazionale e di conseguenza per chi ha lasciato il Pd la vita politica si accorcerà. Salvo un risultato eclatante della Lista Grasso, che però mal si concilia con una tenuta del Pd. Ma se il Pd scenderà sotto la soglia critica (24-25%), la leadership di Renzi traballerebbe e sotto quelle percentuali sarebbe travolta.

Ultima  domanda. Come può un italiano, dopo 20 anni di berlusconismo, dare ancora fiducia a Berlusconi? Qual è la sua forza?
La sua forza consiste nell’ingrediente del suo successo iniziale: una parte di italiani continua a identificarsi in lui. Nelle sue virtù ma soprattutto nei suoi vizi. Se li fa lui, li possiamo fare anche noi.