Lo Ior, tra Riforma e Corvi. Intervista a Francesco Peloso

copertina-libro-page-001-206x300Sono giorni difficili per il Vaticano. La nuova Vatileaks ha avuto clamorosi sviluppi, come si sa, con l’arresto dei due corvi: il Monsignor spagnolo, Vallejo Balda, e la giovane “pierre” Francesca Immacolata Chaouqui. Ritenuti responsabili, dalle autorità della Santa Sede, di diffusione di documenti riservati che rigurdano le finanze del Vaticano. Documenti che sono alla base di due libri inchiesta che usciranno questa settimana: “Via Crucis” di Maurizio Nuzzi  e “Avarizia” di Emiliano Fittipaldi. Le indagini sono partite, anche, da un fatto di cronaca di cui si è avuta notizia la scorsa settimana. Ovvero della violazione del computer del “Revisore generale della Santa Sede”, Libero Milone. Milone è stato da nominato dal Papa in questo nuovo ufficio frutto della Riforma, nel segno della trasparenza, delle Finanze Vaticane. Insomma l’ennesimo episodio, dopo quelli che sono avvenuti durante il Sinodo, per mettere in difficoltà Papa Francesco. Quali saranno gli sviluppi della Riforma di Papa Francesco dopo questi avvenimenti? Ne parliamo con Francesco Peloso, giornalista d’inchiesta, collaboratore del sito, del quotidiano La Stampa, “Vatican Insider” e autore del libro, uscito per la casa editrice Marsilio, “La Banca del Papa. Le Finanze vaticane fra scandali e riforme”

 

Peloso, quello che è successo ieri è la conferma di quanto sia dura la resistenza di settori della Curia al cambiamento di Francesco. Insomma c’è ancora troppo marcio in Vaticano? 

Gli ultimi avvenimenti dimostrano in effetti che tipo di ostacoli si trova a dover affrontare il papa e con lui il gruppo di cardinali e prelati che lo coadiuvano in quest’opera di riforma. Perché il fatto nuovo e forse meno visibile che sta emergendo, è anche una certa reattività – finalmente – di fronte ad elementi scandalistici di vario genere il cui fine ultimo, in definitiva, è la destabilizzazione dell’istituzione, la sua presa in ostaggio, per così dire, da parte di poteri esterni e interni al Vaticano che si sentono spodestati, messi nell’angolo. Da qui un crescendo di attacchi laterali a suon di documenti trafugati, di malattie inventate e via dicendo. E’ la reazione di apparati che non vogliono cambiare, che sentono venir meno i propri privilegi, i rapporti di potere su cui potevano contare.  

Il tuo libro ripercorre le tappe (tra il 2009 e il 2015), a volte drammatiche, che hanno portato la Santa Sede, con Papa Francesco, ad intraprendere il cammino verso la trasparenza. Un arco di tempo breve, ma intenso, segnato come si sa dalle dimissioni di Papa Ratzinger. Quanto hanno pesato gli scandali finanziari, oltre ad altri scandali, nella decisione di lasciare il “Ministero Petrino”?

Ha pesato in generale la difficoltà di garantire una ‘governance’ adeguata alla Chiesa universale. Benedetto XVI ha lasciato il papato per una serie di concause, fra queste anche il mancato completamento della riforma delle finanze della Santa Sede che pure aveva avviato.  Una mancata riforma che certamente aveva un costo economico e soprattutto politico, di perdita di potere, per la Chiesa La rinuncia di Ratzinger è stata quindi certamente libera, come lui stesso ha detto, e in buona sostanza ha significato la presa d’atto dell’impossibilità di cambiare le cose senza mettere in discussione tutto l’establishment e tutto ‘l’edificio’ piramidale sul quale si reggeva il Vaticano. Ora è evidente che la riforma delle finanze non è solo un atto formale, un adeguamento ai tempi, ma costituisce in sé un elemento di rottura straordinario di equilibri interni. In questo senso gli scandali sono stati il sintomo visibile di una malattia profonda, di un legame ormai inestricabile e non del tutto confessabile con i poteri politici economici, non sempre trasparenti, italiani in particolare ma non solo, che alla fine, anche a causa di faide interne, avevano fatto crollare la credibilità della Chiesa universale. Per questo Benedetto XVI, che pure è stato un papa conservatore, che si era circondato di collaboratori non all’altezza, ma certamente è stato pure un pontefice colto, una personalità complessa, alla fine ha compiuto con le dimissioni – con un’ammissione di debolezza dunque, che porta con sé un elemento di umanità, di smascheramento del potere – un fortissimo atto politico, un atto traumatico di riforma tale da aprire le porte alla novità successiva. 

Tra i protagonisti della passata gestione, non certo in positivo, c’è quello dell’ex Segretario di Stato Tarcisio Bertone.  E’ così? Perché Benedetto si è ostinato a difenderlo?

Credo che certi legami vadano oltre il dato puramente politico; Bertone è stato il vice di Ratzinger alla Congregazione per la Dottrina della Fede e certamente ha aiutato il futuro papa a gestire situazioni spesso delicate, difficili. Ha difeso sempre l’operato prima del cardinal Ratzinger e poi di Benedetto XVI, c’era un forte legame personale tra i due; certo va detto che il papa non ascoltò i consigli di cardinali di cui pure si fidava che lo invitavano a sostituire il suo Segretario di Stato giudicandolo inadeguato.

Veniamo alle Riforme di questi anni. Cosa hanno riguardato e quali sono stati, oltre al Papa, i protagonisti del nuovo corso?  Quali “poteri forti” sono stati coinvolti? 

Il discorso sulle riforme sarebbe lungo e per altro non siamo di fronte a un percorso concluso. Direi che tutta la sfera della finanza vaticana abituata a vivere nell’ombra ha conosciuto in pochi anni un processo di avvicinamento a criteri di trasparenza – certificati da organismi internazionali – che da solo costituisce un cambio d’epoca, una trasformazione dell’istituzione. La fine della corte pontificia non sarebbe tale senza tale aspetto, coincide con la fine della ‘segretezza’, e quindi degli apparati che la garantivano e ne facevano un mito; è questo il dato culturale prima ancora che istituzionale su cui riflettere. Dopo di che il cammino è tutt’altro che compiuto, ci sono non solo resistenze ma interi capitoli che devono essere ancora affrontati, si pensi per esempio al patrimonio immobiliare o alle diramazioni ecclesiali in campo sanitario. 

Qual è stato il ruolo delle autorità italiane?

Direi molto ambivalente. C’è stata moltissima connivenza per molto tempo;  come è stato detto la guerra fredda, il nemico ad oriente, giustificava un po’ tutto, anche le irregolarità, i rapporti obiettivamente opachi con politici, alti funzionari e faccendieri – sono le cronache dei decenni alle nostre spalle; sono stati gli anni in cui per esempio lo ior poteva essere utilizzato come ‘lavanderia’, deposito riservato di capitali, paradiso fiscale. Poi nel corso degli ultimi sei-sette anni, qualcosa è cambiato, la Banca d’Italia ha posto per così dire ‘sotto assedio’ le istituzioni finanziarie vaticane e lo ha fatto in accordo con l’Unione Europa, ha applicato per la prima volta la normativa antiriciclaggio e di contrasto al finanziamento al terrorismo anche alla ‘banca del papa’. I tempi erano cambiati, le esigenze di trasparenza diventavano prioritarie, la lotta al riciclaggio coincideva con quella al grande crimine organizzato, al terrorismo, o agli Stati che offrivano protezione a questi fenomeni. 

C’è da focalizzare un punto sul nuovo corso. Ovvero riguarda il rapporto tra il Cardinale Pell e il Cardinale Marx. Come si sa sono due prelati di altissimo rango che sono su posizioni diverse su molte cose. Eppure il Papa li ha messi in campo sul fronte economico. Perché? 

Perché l’elezione di Bergoglio nasce da un ampio fronte antiromano’, in un certo modo ‘antitaliano’ che ha visto convergere riformatori e conservatori verso un unico obiettivo: smantellare il sistema di potere costruito sul rapporto fra Curia vaticana e potere politico-economico italiano; in fondo concetti come quello di ‘finanza bianca’ appartengono a un’altra epoca, alle stagioni della democrazia cristiana, ai banchieri più o meno virtuosi legati al mondo cattolico e ai suoi valori. Una realtà che si è frammentata, dissolta, mischiata con le altre – almeno in molti casi – mentre il patto trono-altare (Vaticano-politica) in Italia diventava sempre più evidente e direi sempre più scadente, con venature integraliste intransigenti, nel frattempo si susseguivano gli scandali, da qui una reazione trasversale anche dentro la Chiesa.  

Come sta procedendo la Riforma dello Ior?

La riforma dello Ior nei suoi fondamentali – dall’allontanamento della clientela sospetta, alla pubblicazione dei bilanci, alle denunce interne di irregolarità – sia più o meno compiuta. Resta da vedere cosa farà in futuro lo Ior, se investirà cioè le sue risorse finanziarie sui mercati internazionali o sarà soltanto un istituto finanziario finalizzato a ‘conservare’ il risparmio di enti e congregazioni religiose senza farlo fruttare finanziariamente (diciamo senza guadagnarci). E’ una scelta di tipo etico, di indirizzo, sulla quale in Vaticano è in corso una discussione non semplice.  Si tenga conto che, una volta levata di mezzo la segretezza e le operazione illecite che questa permetteva, lo Ior come tale, con i suoi 6miliardi di patrimonio, è una banca di dimensioni medio-piccole.

Come si sa questo Papa non è molto amato nei grandi circoli del capitalismo americano. E’ cambiato qualcosa dopo la visita negli Usa?

Questo papa viene dall’America Latina e porta con sé una fortissima carica critica, profeticamente ispirata dal Vangelo, verso la finanza internazionale, giudicata uno strumento non al servizio del bene comune e dei poveri ma di pochi ‘eletti’. Il Papa invece ha messo al centro ‘gli scartati’, le periferie. Certo che i circoli ultraliberisti non lo amano, ma la cultura liberale più aperta e democratica, quella che vuole ripensare il welfare senza privatizzarlo, che crede al libero mercato ma anche ai diritti sociali, al lavoro e non solo alle borse, penso invece si stia confrontando con Francesco. 

Ultima domanda. Il rapporto tra la Chiesa e il denaro (Mammona per il Vangelo), durante i secoli, ha conosciuto diverse fasi e, come si è visto nella storia passata dello Ior, non tutte trasparenti. Riuscirà Papa Francesco con la sua radicalità evangelica a rendere più trasparente e più libero questo rapporto?

Difficile dirlo, l’equilibrio sarà sempre incerto: le opere, anche quelle di carità, di solidarietà, di aiuto ai diseredati o di sostegno alle comunità in campo educativo, formativo, hanno bisogno di essere finanziate. Dunque il denaro non è il demonio di per sé, è uno strumento a disposizione degli uomini e delle donne di questo tempo e di quello futuro. Senza moralismi è giusto considerare che tutto, al solito, dipende dalle scelte delle persone, dalla presa di coscienza di ciascuno di noi, un discorso che vale nello stesso modo per cardinali, vescovi o economi di diocesi, come per ogni cittadino. Le regole, le leggi, aiutano, ma senza una volontà positiva nata dal contesto culturale, religioso, sociale nel quale si vive, diventano inutili o possono rivelarsi insufficienti.

 

 

 

 

 

 

 

“Io vi accuso”. Così le banche soffocano le famiglie e salvano il sistema

Un J’ACCUSE senza precedenti, a partire da documenti interni e “confidenze” di dirigenti tuttora in attività.

IO VI ACCUSO_Imperatore

Vincenzo Imperatore, ex manager bancario e autore del bestseller “IO SO E HO LE PROVE”, entra nelle segretissime stanze dei principali istituti di credito e racconta come si sono riorganizzati dopo la crisi.

I clienti privilegiati, i prodotti da spingere, le vessazioni, i nuovi cavilli contrattuali, i corsi di formazione per manager e funzionari.

La regola è guadagnare il più possibile rischiando zero. Sotto ci siamo noi, le famiglie, le piccole e medie imprese, la maggioranza degli italiani.

IL LIBRO

Dopo IO SO E HO LE PROVE, Vincenzo Imperatore allestisce un vero processo al sistema bancario, a partire da documenti interni, estratti di conto corrente, confessioni circostanziate di “gole profonde” tuttora in attività. Ci sono PRETI di provincia che guadagnano 900 euro al mese ma effettuano movimenti per centinaia di migliaia di euro; GIORNALISTI e altre CATEGORI E PROTETTE che ricevono un trattamento “speciale” direttamente dalla direzione centrale; COMMERCIANTI CINESI che versano soldi in contanti e potenzialmente illegali senza alcuna segnalazione; nuovi MANAGER addestrati a piazzare non più mutui o prestiti ma televisori, tablet, frigoriferi, palestre, vacanze in centri termali, perfino un giro all’autodromo di Monza, con fatturati da capogiro…

È incredibile scoprire come si sta riorganizzando il sistema bancario, mentre arrivano miliardi da Bruxelles. Ben poco viene impiegato per sostenere commercianti in difficoltà, piccoli imprenditori, giovani famiglie, pensionati da 500 euro al mese. Si tratta di categorie tuttora vessate. Eppure i soldi ci sono. Certo, come dice Gianluigi Paragone nella prefazione, “le banche non fanno beneficenza”.

Ma è inaccettabile “che in mezzo a una burrasca sempre più potente i loro bilanci siano messi in salvo dalla politica o da doping contabili a scapito di clienti in buona fede”.

Una via d’uscita esiste ma non passa dal sistema bancario. Imperatore fornisce tutti i consigli utili per gestire la propria attività senza bisogno delle banche.

L’AUTORE

Vincenzo Imperatore (1963) è stato per ventidue anni manager di importanti istituti di credito nelle piazze principali del Meridione. Dal 2012 ha scelto la strada della libera professione fondando la società di consulenza aziendale InMind Consulting specializzata nel banking e nella gestione delle piccole e medie imprese in difficoltà. Collabora, come opinionista, con quotidiani e riviste finanziarie e conduce un programma radiofonico di informazione economica. Nel 2014 ha pubblicato IO SO E HO LE PROVE con Chiarelettere.

IN QUESTO LIBRO racconta anche come la piccola impresa può sopravvivere senza bisogno delle banche. Gli strumenti ci sono. Un nuovo sistema di lavoro finalmente è possibile.

Per gentile concessione dell’Editore pubblichiamo un estratto del libro Perché io vi accuso

Questo libro

In Italia lavorano circa 5 milioni di piccole imprese dietro le quali ci sono altrettante famiglie. Più di un terzo della popolazione del nostro paese ruota intorno all’economia generata da queste aziende. Come nella più scellerata tra- dizione degli scandali finanziari, le banche hanno prima «sfruttato» i piccoli imprenditori per far lievitare i propri rendiconti, poi, quando non servivano più, li hanno sacrificati sull’altare del profitto.

Oggi la situazione economica è profondamente diversa rispetto al periodo in cui la piccola e media impresa rappresentava il motore della crescita nazionale. Così, per preservare il sistema e non saltare in aria a causa dei loro bilanci alterati, gli istituti di credito hanno bisogno di nuove fonti di arricchimento. Una volta messa in atto la «stretta del credito», che sta uccidendo la stragrande maggioranza delle aziende, a cui sono stati chiusi i rubinetti della liqui- dità, la strategia di raccolta del risparmio delle banche ha cominciato a concentrarsi su una lista di categorie protette, pochi ma fondamentali «clienti d’oro» – come dicono gli stessi funzionari – che fanno girare i soldi, molti soldi: preti, commercianti cinesi, speculatori immobiliari.
Questi hanno la priorità rispetto ai «normali» correntisti. A loro è permesso tutto, in alcuni casi anche ciò che non è consentito dalla legge: aggirare le norme antiriciclaggio, nascondere i proventi dell’evasione fiscale, compiere operazioni finanziarie spericolate e perfino pretendere il licenziamento di funzionari che hanno osato opporsi alle loro volontà. Ci sono anche altri clienti privilegiati, tra cui i giornalisti e gli editori, che ricevono, spesso senza esserne consapevoli, attenzioni e favori che sicuramente non sono riconosciuti ai «normali» cittadini.

Per scrivere questo libro ho avuto accesso a decine di documenti interni al mondo bancario e ho ricevuto le «confidenze» di alcuni dirigenti, che mi hanno contattato dopo aver letto Io so e ho le prove. Ho scritto la prima parte immaginando un processo senza difesa e senza appello, in cui il massacro delle banche nei confronti delle imprese – e quindi dell’economia italiana – viene messo a nudo, così come il nuovo sistema di drenaggio del denaro che nessuno finora ha mai raccontato. E vengono svelati tutti i nuovi stratagemmi pensati dai giganti del credito per ottenere profitti a discapito della stragrande maggioranza dei clienti.

Le banche sono diventate dei veri e propri centri com- merciali, in cui fa carriera solo chi vende più televisori, frigoriferi, palestre, Xbox, vacanze in centri termali. I fidi, i mutui e tutti gli altri prodotti creditizi sono vincolati all’acquisizione di questi prodotti: il correntista ha l’ob- bligo di comprarli se vuole sperare in un prestito, di cui comunque non ha la certezza. Di conseguenza, il nuovo manager è colui che sa piazzare meglio i «70 milioni di euro l’anno di prodotti di largo consumo» richiesti dai capi, come svela una delle mie fonti interne. Non esiste quasi più il bancario competente, professionale, ma solo funzionari formati da «motivatori» ed esperti di comunicazione. Queste sono le figure preposte a gestire oggi le nostre finanze.

Le banche sono diventate delle agenzie immobiliari capaci di far svendere le abitazioni dei clienti sul lastrico per far guadagnare anche i ricchi speculatori immobiliari già loro correntisti. Senza pietà, sballando il mercato e alterando le normali procedure della compravendita. Gli istituti stanno favorendo il dislivello sociale e consentono spesso abusi per i quali non pagano mai.

Nella prima parte del libro ho raccolto le storie e le con- fessioni delle «gole profonde» che hanno deciso, come feci io nel 2012, di denunciare il nuovo sistema tuttora vigente. E le testimonianze degli imprenditori e dei professionisti vessati e tartassati dalle banche. A pagare, oggi come ieri, sono i correntisti che piangono per non farsi protestare un assegno di poche centinaia di euro; i commercianti che supplicano il direttore di filiale per avere un piccolo prestito; gli artigiani minacciati della segnalazione antiriciclaggio per un versamento di poche migliaia di euro e poi «violentati» dalla Guardia di finanza attraverso un duro interrogatorio in merito alla provenienza di quel denaro.

Nella seconda parte del libro ho indicato, invece, gli strumenti che il piccolo imprenditore può utilizzare per sovvertire il sistema, per farcela anche senza il supporto degli istituti di credito, che poi tanto supporto non è. I metodi alternativi per ottenere risorse e finanziamenti, dai minibond al crowdfounding; dal peer to peer al commercio delle fatture fino al corporate barter.

Nell’attuale realtà globale le banche possono essere anche superate, l’importante è sapere come fare e avere il coraggio di farlo. In questo libro racconto di tutte le strategie aziendali indispensabili per superare la crisi e rilanciarsi sul mercato partendo dalla regola numero uno: «Ci si può indebitare molto solo se si guadagna molto».

Al termine di questo ideale processo ho immaginato anche la «sentenza» che, se fosse divina, porterebbe direttamente le banche all’inferno e le piccole imprese al purgatorio. Per uscire dal purgatorio della recessione, infatti, le aziende devono iniziare a utilizzare strumenti e metodologie che servono alla sopravvivenza. Il purgatorio, si sa, è il luogo dove transitano le anime «in stato di grazia» in attesa della loro purificazione. La lettura di questo libro potrebbe essere la loro ultima pena.

Vincenzo Imperatore, Io vi accuso. Così le banche soffocano le famiglie e salvano il sistema, Editore Chiarelettere, Milano 2015, pagg. 160.
€ 14,00

“È una Chiesa che si interessa sempre di più delle persone” – Intervista a Mons. Jean-Paul Vesco

Oggi, in Vaticano, ultima giornata del Sinodo. Nel pomeriggio inizieranno le votazioni sulla relazione finale. Non si escludono sorprese. Per un primo bilancio abbiamo intervistato, durante una pausa dei lavori, Monsignor Jean-Paul Vesco, domenicano francese e Vescovo di Orano in Algeria.

Jean Paul Vesco

Qual è il tuo bilancio del Sinodo?

Che cosa posso dire del Sinodo, prima di tutto è stata una bella esperienza umana, una maniera importante di vedere il cuore della Chiesa, anche la sua organizzazione, di vedere le persone, per cui è una cosa molto positiva. Poi ci sono stati dei momenti difficili e dei momenti più felici. Il momento felice è quando si ha l’impressione di capirsi, di parlarsi, anche quando ci sono delle differenze, mentre il momento difficile è quando ci si sente troppo diversi da questo o da quello.

Com’è stata l’ “atmosfera” del Sinodo?

Per me l’atmosfera del sinodo è stata buona dall’inizio alla fine: c’è stato un dialogo franco senza confronti molti forti. C’è stata comunque una vera fraternità, nonostante vi fossero alcune divergenze dottrinali ma anche “ideologiche”.

Pensi che la Chiesa abbia superato definitivamente il pregiudizio sull’omosessualità?

A proposito dell’omosessualità la bozza della relazione finale che ci è stata presentata evoca, press’a poco negli stessi termini della relazione finale dell’anno scorso, il rispetto, l’accompagnamento che dobbiamo avere per le famiglie in cui vi sono delle persone dalla sensibilità omosessuale, e il rispetto per queste persone. Ma questo basterà? Penso che sia importante avere questa parola di rispetto, che non tutte le

religioni, e credo che sia positiva un’apertura in questo senso.

Dalla tua esperienza di “confine” (l’Algeria terra d’Islam) cosa hai donato al Sinodo e cosa porterai alla “tua” Algeria?

Apporto la comprensione dell’altro differente, questa differenza è una ricchezza non solo a livello interreligioso anche per quanto riguarda l’accoglienza sacramentale del divorziato risposato, e anche questo aspetto deriva dal non aver paura dell’altro. Che cosa riferirò del sinodo in Algeria non lo so ancora esattamente, ma sicuramente veicolerò un’immagine decisamente positiva e l’arricchimento che mi è derivato.

Pensi che dal Sinodo nascerà una nuova teologia pastorale sulla famiglia?

Penso che dopo questo sinodo sia importante che le persone ripensino la nostra teologia della famiglia perché ci sono dei punti sui quali credo che si possa progredire dottrinalmente e che oggi ci sia un vero lavoro di teologia pastorale da svolgere.

Alla fine, che immagine di Chiesa esce dal Sinodo?

È quella di una Chiesa che si interessa sempre di più delle persone e che è fatta sempre di più di persone e mi auguro che il rapporto tra la Chiesa e il mondo continui sempre a cambiare e diventi un rapporto sempre più di vicinanza.

“Questa Legge di stabilità è da sinistra riformista”. Intervista a Giorgio Tonini

 

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Torna la tensione nel PD. Questa volta la polemica, tra sinistra Dem e la maggioranza renziana , riguarda la manovra finanziaria (legge di stabilità). Ne parliamo con Giorgio Tonini, vice-presidente del gruppo PD al Senato.

Senatore Tonini, parliamo della “manovra” (legge di stabilità). Il Presidente del Consiglio, in un eccesso di trionfalismo, ha affermato: questa è una “manovra” di sinistra (!?). francamente, senatore, non è un po’ troppo propagandistico fare una simile affermazione quando, per esempio, i sindacati hanno espresso forti critiche. Per non parlare, poi, della sinistra del suo partito. può spiegarmi come sia di sinistra una “manovra” che ha il trionfale appoggio di Alfano e Verdini?
Altrettanto francamente: questo giochino sulla manovra di sinistra o di destra sta diventando stucchevole. Anche perché si basa sul giudizio su alcune misure, prese singolarmente e non linquadrate in un contesto strategico complessivo. Del resto, come diceva Deng-Xiao-Ping, non conta il colore del gatto, conta che prenda il topo. Dunque, quel che conta è se la manovra fa bene o no all’Italia, agli italiani e in particolare ai più deboli. Detto questo, se proprio vogliamo sottoporci al giochino, io penso che quella annunciata da Renzi sia una manovra di sinistra, beninteso di sinistra riformista, per il semplice fatto che è la manovra più espansiva possibile, restando dentro le regole europee: sia quella del deficit, che quella del debito. Ed essere di sinistra (riformista) oggi concretamente significa proprio essere europeisti e battersi per una politica economica europea di segno espansivo e non restrittivo. Tutto il resto, dal punto di vista politico, sono dettagli. Importanti quanto si vuole, ma dettagli.

Veniamo al capitolo molto controverso: l’abolizione della tassa sulla prima casa a tutti, con il rischio assai elevato di favorire i più ricchi e con scarse ricadute sui consumi. Per non parlare delle pesanti ricadute sui bilanci comunali. Insomma un poco di prudenza non guasta…
L’abolizione della tassa sulla prima casa presenta indubbiamente qualche controindicazione. Non tanto sul terreno dell’equità sociale (il grosso dell’impegno finanziario si concentra sul ceto medio, non di certo sui ricchi), quanto su quello del federalismo fiscale. La tassa sulla prima casa dovrebbe infatti rappresentare una componente del finanziamento ordinario dei comuni, particolarmente importante in termini non tanto quantitativi, quanto qualitativi, perché su di essa si basa il patto fiscale tra amministratori e amministrati a livello comunale. La tassa sulle seconde case, o i trasferimenti statali possono certamente compensare il mancato gettito dalla prima casa (che è una quota-parte in definitiva modesta della imposizione sugli immobili), ma difficilmente possono surrogarlo in termini di qualità della relazione democratica tra i sindaci e i loro cittadini. Ma in questa fase il governo è alle prese con tutt’altra emergenza, quella di sostenere una ripresa economica ancora flebile. E dopo aver concentrato gli sforzi su impresa e lavoro (15 miliardi di sgravio tra 80 euro e taglio dell’Irap), quest’anno punta ad alleggerire il peso fiscale sulle famiglie, cancellando per tutti la tassa sulla prima casa: un provvedimento che costa relativamente poco (3,5 miliardi) e dovrebbe rendere molto in termini di fiducia e dunque di propensione al consumo.

Non parliamo, poi, delle risorse sugli statali e sul mezzogiorno. Anche questa è una beffa…
Non è vero che manchino le risorse per il Mezzogiorno: basti pensare che 7 degli 11 miliardi del piano infrastrutture saranno destinati a opere da realizzare nel Sud. Quanto agli statali, in tempi di inflazione vicina o addirittura sotto allo zero, c’è poco da recuperare su quel versante. Ci sono invece ampi margini di incremento salariale se si punta sulla produttività: cifrando i risparmi da ottenere con la riforma Madia e con la spending review e distribuendone una quota significativa ai dipendenti pubblici che se ne rendano protagonisti.

Insomma Senatore, Renzi andrà pure come un treno, ma resta sempre la voglia di entrare in conflitto con la sinistra. Giova tutto questo?
Una dialettica, a volte anche aspra, tra sinistra riformista e innovatrice e sinistra tradizionale e conservatrice, c’è in tutti i grandi partiti di centrosinistra, in tutto il mondo. Ma come da ultimo ha dimostrato il caso greco, la sinistra vince e governa solo quando in essa prevale la cultura riformista e di governo. In caso contrario, la sinistra si riduce ad un ruolo di testimonianza…

Veniamo al partito. Richetti e Del Rio hanno messo sul chi va là di trasformare il PD Partito della Nazione. Clamorosa poi l’intervista di Cicchitto all’Huffington Post, con la proposta dei moderati per Renzi… Insomma non trova che si sia superato il limite?
Quale limite? A me risulta che nel Pd siano entrati solo esponenti di Sel e di Scelta Civica, questi ultimi in gran parte di provenienza già pd. È vero invece che c’è un gran movimento nell’area ex-PdL. Un vero e proprio via vai tra chi esce (pochi) e chi pensa di entrare (molti) nell’area della maggioranza di governo. E tuttavia, non si deve mai dimenticare che all’inizio della legislatura, quando Bersani e Berlusconi diedero vita al governo Letta-Alfano, tutto l’allora PdL era in maggioranza e al governo. Poi si sono divisi e continuano a dividersi tra loro, tra chi è pro e chi è contro il governo col Pd. Noi dobbiamo guardare con grande rispetto a questo travaglio, che probabilmente segnala una metamorfosi profonda del bipolarismo italiano. Una metamorfosi che il Pd deve guidare, come sta facendo, e non rassegnarsi a subire.

Ultima domanda: il Movimento 5stelle, stando agli ultimi sondaggi, si sta avvicinando al PD. A questo punto come pensate di contrastare l’avvicinamento dei “pentastellati”?
Come abbiamo fatto fin qui. Cercando il consenso di tutti gli italiani che vogliono il cambiamento, ma dentro un quadro affidabile e sicuro. E non sono disponibili a precipitare nell’avventura, facendo prevalere la rabbia sulla speranza.

 

 

“Toglimi le mani di dosso”: un libro su una storia vera di molestie e ricatti sul lavoro

Olga Ricci

“La violenza di genere nasce quando qualcuno dice chi sei al posto tuo, ti racconta come una decorazione muta e giudicabile, ti descrive come un oggetto a disposizione” (Michela Murgia)

“Sarebbe bello se gli uomini italiani provassero a immedesimarsi nella storia vera di questa giovane e coraggiosa collega. capirebbero meglio l’inferno di sofferenze, ricatti e vendette cui costringiamo le donne sui posti di lavoro. Un libro che parla a noi uomini” (Riccardo Iacona).

Due pensieri, di un giornalista e di una scrittrice, ci introducono al tema drammatico e grave del libro (pubblicato da Chiarelettere): quello delle molestie e ricatti sessuali che le donne subiscono sul luogo di lavoro.

IL LIBRO

POCHE DENUNCE, TROPPA VERGOGNA. Il racconto di Olga Ricci rompe il muro di silenzio e di ipocrisia che attraversa i luoghi di lavoro. “Il mio capo ci provava, ho resistito, avevo bisogno di lavorare. Non sapevo a chi chiedere aiuto. Poi ho mollato…”

Olga ha ricevuto avance e ricatti sessuali per mesi, in attesa di un contratto sempre promesso. Per non perdere il lavoro, ha cercato di resistere come ha potuto. “O ci stai, o te ne vai” il consiglio di colleghe e confidenti.

Tutto avviene, come sempre, in pubblico. Ammiccamenti, carezze, inviti a cena… Gesti apparentemente inoffensivi che invece servono a imporre IL POTERE DEL CAPO.

IN PRIVATO l’insistenza diventa ossessione violenta, ma la rabbia di Olga resta tutta dentro. In Italia nessuno considera molestie le battute a sfondo sessuale in ufficio, i massaggi sulle spalle, i complimenti imbarazzanti davanti ai colleghi. Chi si ribella passa per bacchettone.

Oggi Olga ha aperto un blog sotto pseudonimo. Si chiama IL PORCO AL LAVORO e ha avuto oltre 120.000 visite.

QUESTO LIBRO PARLA DI NOI, dell’Italia e del potere nelle relazioni e nei luoghi di lavoro. Della pigrizia mentale, di una rimozione collettiva e soprattutto della persistente disparità tra gli uomini e le donne, che continuano a essere penalizzate a livello economico e sociale.

L’autrice

Olga Ricci è lo pseudonimo di una giornalista trentenne italiana che oggi lavora come freelance per varie testate nazionali. Nel blog “Il porco al lavoro”, insieme alla sua testimonianza, ha dato visibilità alle tante storie di molestie in ufficio.

Chiude il libro un DECALOGO CONTRO LE MOLESTIE SUL POSTO DI LAVORO a cura di Rosa M. Amorevole, esperta in materia di lavoro e contrasto alle discriminazioni. Dal 2008 è consigliera di Parità per l’Emilia Romagna.

Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un estratto del libro. 

In redazione

Cammino cercando di essere fiduciosa: è il mio primo giorno di prova al giornale e ho la prospettiva di un contratto a tempo indeterminato. Significherebbe stipendio dignitoso, ferie pagate, malattia, maternità, pensione. Potrei iniziare a fare progetti, senza chiudermi nell’orizzonte temporale dei soliti sei mesi. È così che mi sono abituata a ragionare, per non essere lacerata dall’incertezza. I sei mesi sono le colonne d’Ercole del mio futuro sprovvisto di garanzie e di soldi messi da parte. Sto per arrivare in redazione quando squilla il telefono. È il direttore, mi chiede di fare colazione con lui. Rifiuto, ma lui insiste per raggiungermi in un bar, nel viale stretto tra gli edifici bianchi, le palme e gli oleandri. Mi vede e si avvicina per baciarmi le guance. La sua pelle fredda mi si appiccica agli zigomi. Mi ritraggo e colgo il suo disappunto. Per non deluderlo gli regalo un sorriso nuovo di zecca. Ci sediamo a un tavolino all’aperto. Lui è in vena di confessioni. Racconta di quando era inviato e girava l’Europa per il suo giornale importante. Appena aveva un po’ di tempo libero, inseguiva per il mondo la fidanzata (l’amore della sua vita) che faceva la hostess. Parla molto e io lo ascolto, annuendo e dicendo: maddai, assì, chebbello, nonlosapevo. Ostento interesse e d’un tratto mi sorprendo interessata per davvero. La profezia sartriana, secondo la quale chi finge un sentimento è come se lo provasse, si sta avverando. Dico che è ora di andare. Sono io il direttore, ribatte, non devi preoccuparti di arrivare tardi, beviamoci ancora qualcosa. Chiedo un secondo caffè. Lui un tramezzino con gamberetti, maionese e insalata iceberg. Gli suona il cellulare. Si alza e si allontana. Apro i giornali sparsi sul tavolo, ma non riesco a leggere. Piego la bustina vuota dello zucchero fino a ridurla a un quadratino. La lancio sul marciapiede. Vedo che il direttore parla ancora. Faccio un cenno, me ne voglio andare. Lui sorride e, coprendo il telefono con una mano, mi chiede di aspettare. Resisto altri dieci minuti. Guardo la sua schiena allargata, la giacca blu di cotone forma pieghe umide all’altezza delle ascelle. Lui si gira. Io mi alzo. Protesta a gesti. Sono già lontana. Entro in redazione cercando di farmi piccola. Non conosco nessuno. […]

Nello stanzone senza finestre, illuminato al neon, c’è un tavolo ovale. Il direttore troneggia sulla sua poltrona mentre attorno i caporedattori e i capiservizio aspettano che parli di come organizzare il giornale, dalle pagine nazionali a quelle locali. Un discorso di un’ora infarcito di considerazioni sull’attualità e i massimi sistemi. A un certo punto sento il mio nome. Vedo che mi indica. Mi strizza l’occhio destro. Dice: da oggi qui con noi ci sarà Olga Ricci, la nostra nuova inviata. Seguirà gli eventi più importanti, in Italia e all’estero. Sessanta occhi si spalancano all’unisono e trenta bocche alitano incredulità e risentimento. Ho un capogiro. Vedo il comune pensiero astioso: chissà da dove viene questa raccomandata che ci passa davanti. Ricambio gli sguardi stupefatti con un sorriso abbozzato, facendo spallucce. Vorrei dire: non so di cosa stia parlando il direttore, non è possibile che io sia stata nominata inviata, non ho nemmeno un contratto. Ma resto in silenzio. Abbasso la testa e guardo il pavimento di piastrelle grigie a buon mercato fino alla fine della riunione.

Olga Ricci, TOGLIMI LE MANI DI DOSSO, Ed. Chiarelettere, Milano 2015, pagg. 144