A 50 anni dal Concilio Vaticano II. Intervista a Monsignor Luigi Bettazzi

L’11 Ottobre è il  50° anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II.

Quel grande evento, che cambiò la storia della Chiesa cattolica, si aprì con il famoso discorso di Papa Giovanni XXII “Gaudet Mater Ecclesia” .
In quell’intervento c’è tutto il senso del Concilio voluto dal Papa.
Nello stesso discorso Roncalli si rivolse anche ai «profeti di sventura», gli esponenti della Curia più avversi all’idea di celebrare un Concilio:

« Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa ».

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A cinquant’anni dal Vaticano II (1). Intervista a Vito Mancuso

Vito MancusoL’11 Ottobre 1962 si apriva a Roma, in San Pietro, il Concilio Ecumenico Vaticano II. Un evento straordinario, nella storia della Chiesa contemporanea. Desiderato e voluto dalla sapienza lungimirante di Giovanni XXIII. Così, per ricordare a cinquant’anni di distanza, abbiamo pensato di dedicare a quell’avvenimento una serie di approfondimenti. Incomiciamo, oggi, con una intervista al teologo Vito Mancuso. Mancuso è una delle voci più interessanti nel panorama teologico italiano ed europeo.
Professore, non si è ancora spenta nell’opinione pubblica la grande risonanza che ha avuto la morte del Cardinale Carlo Maria Martini. In particolare ha suscitato, e continua a suscitare polemiche l’”intervista-testamento” del Cardinale uscita sul “Corriere della Sera” dopo la sua morte. Lei, in un articolo su “Repubblica” di domenica scorsa, ha giudicato alcuni interventi di esponenti cattolici come “operazione-anestesia” sulla figura di Martini. Cosa intende esattamente con queste parole?
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L’Etica della complessità del Cardinale Carlo Maria Martini

Nella liturgia ambrosiana c’è scritto: “Signore dona sempre al tuo popolo pastori che inquietino la falsa pace delle coscienze”.
Ebbene in questa frase c’è tutta la testimonianza cristiana del Cardinale Carlo Maria Martini. Per 25 anni arcivescovo di Milano, tra le figure più significative della Chiesa cattolica contemporanea (altri Vescovi ambrosiani, come Montini, sono stati all’apice della cattolicità), ora si trova a Gallarate, dopo un periodo passato a Gerusalemme, nel centro “Aloisianum” dei gesuiti.
Qui è tenuto in cura. Il parkinson, infatti, è una malattia inesorabile, colpisce anche la parola (in questo c’è un destino comune con Papa Wojtila), ma riesce ancora, sia pure lentamente, a parlare. E questo rende prezioso i dialoghi con i suoi interlocutori.
Ora la casa editrice Einaudi ha pubblicato un agile libretto, Credere e conoscere è il titolo, che raccoglie i dialoghi con il senatore Ignazio Marino, medico di fama internazionale e senatore del PD (pagg. 84, € 10,00). Continua a leggere

Don Primo Mazzolari: un profeta per l’oggi

Il titolo che abbiamo dato, a questo “pezzo”, non sorprenda ma leggere questo libretto, pubblicato da Chiarelettere nella collana Istant Book, dal titolo “antico”,infatti richiamano le parole del Vangelo, “Come pecore in mezzo ai lupi” (pagg. 150 € 7,00), fa un salutare effetto: la parola profonda di ogni testimone del Vangelo interroga sempre la nostra quotidianità. Continua a leggere

Un militante per la giustizia: Ramon Sugranyes de Franch

Alla vigilia del suo centesimo compleanno Ramon Sugranyes de Franch è morto a Barcellona lo scorso 27 febbraio. Per i più in Italia, forse, questo nome non dice nulla. In realtà è stato un vero protagonista del movimento cattolico internazionale e della storia culturale europea del novecento.

La sua vita si può leggere in una bella intervista pubblicata dalla casa editrice Rubbettino (Ramon Sugranyes de Franch, “Dalla guerra di Spagna al Concilio. Memorie di un protagonista del XX secolo”. (Intervista a cura di P. Hilari Raguer), Ed. Rubbettino, pagg. 247. € 15,00).

Nato nel 1911 in Catalogna da una famiglia borghese, Il padre, architetto, è stato stretto collaboratore di Gaudì, il genio che progettò la Cattedrale della Sagrada Familia a Barcellona.
Si trasferì, da esule, a causa della guerra civile (o incivile) spagnola, a Friburgo in Svizzera (dove è stato professore di Letteratura Iberica) divenne nella seconda metà del ‘900 presidente di Pax Romana (l’organizzazione internazionale degli e degli intellettuali cattolici) che gli consentì di partecipare, come uditore laico, al Concilio Vaticano II (è stato uno dei protagonisti, insieme ai teologi francesi, nella redazione della Gaudium et Spes). Così tra questi due eventi, ma anche successivamente, si svolge la testimonianza di questo limpido “militante per la giustizia” (questo è il titolo originale, in lingua catalana, del libro).

Questo “catalano universale”, non solo per la sua attività di Presidente di Pax Romana – poi dell’Istituto Internazionale “Jacques Maritain” – ma anche per il suo magistero intellettuale all’Università di Friburgo, è un rappresentante esemplare degli uomini di quella “terza Spagna” che durante il conflitto fratricida «non trovarono – come scrive lo storico benedettino Raguer – il loro posto nelle ‘due Spagne’ caine e che, oltretutto, agirono come ‘pompieri’». Ovvero a quelli che non restarono indifferenti o inattivi di fronte alla tragedia, ma che rischiarono la loro vita, e qualcuno di loro la perse, sforzandosi in primo luogo di evitare la guerra e, una volta scoppiata, di favorire una mediazione internazionale per una pace negoziata. Sono state importanti, anche, le azioni umanitarie per salvare persone minacciate oppure che erano ingiustamente imprigionate.

Quindi è nel dramma della guerra che il giovane Sugranyes compie la scelta decisiva della sua vita. Scappato, come sappiamo, da Barcellona nell’agosto del 1936 si rifugiò in Svizzera. Qui andò a confessarsi da un prete catalano, il quale gli disse che non l’avrebbe assolto se non gli prometteva di tornare in Spagna a combattere con la milicia franchista.

La confessione con il prete franchista
Ecco come Sugranyes ricorda quel dialogo con quel prete franchista :
“Quanti anni hai?”
“Mi scusi, ma io vengo a confessare i miei peccati, non a dichiarare il mio stato civile”.
“Non hai forse l’età militare? Perché non vai a lottare per Cristo Re?”
“Non sono venuto qui per parlare degli avvenimenti del nostro paese, bensì dei miei peccati”.
“Se non vai a combattere per Cristo Re non posso darti l’assoluzione”.
“Allora mi perdoni, ma io me ne vado”.
Ramon esce e va allora a consigliarsi da un altro sacerdote, il futuro cardinale Charles Journet: “Mi incoraggiò ad agire secondo la mia coscienza senza lasciarmi influenzare da condizionamenti esterni. Non è con la forza delle armi che il regno di Cristo verrà sulla terra”.

Il grande teologo, amico di Montini, gli disse anche  di rivolgersi a Don Luigi Sturzo. Ecco la splendida risposta di Sturzo alla lettera di Sugranyes de Franch :
«La Chiesa di Spagna, che avrebbe dovuto fare opera di pace», scriveva Sturzo al giovane spagnolo, «si è per lo più allineata con una delle parti, fino a definire la guerra una crociata o guerra santa. Da quella stessa parte si trovano i latifondisti, gli industriali, la classe ricca, coloro che hanno la maggiore responsabilità nell’abbandono della classe lavoratrice nelle mani dei sovversivi, perché si sono opposti a tutte le riforme sociali tentate nel nome del cristianesimo, degli insegnamenti di Leone XIII e del movimento della democrazia cristiana. La sostanza della guerra civile è sociale, non religiosa; lo spagnolo è cattolico a modo suo, perfino quando brucia le chiese per protesta: fa come il carrettiere blasfemo, che se la prende con Dio perché il suo cavallo recalcitra… Secondo me, solo i cattolici e i preti che si saranno tenuti fuori dal conflitto potranno fare opera di pacificazione. Per questo soffro nel vedere che molti giornali e riviste cattolici stranieri sono così benevolmente a favore di Franco, senza pensare che in tal modo danno agli avversari nuovi motivi di credere che tutta la Chiesa cattolica, perfino il Papa, è nemica del popolo operaio spagnolo, nemica degli stessi baschi che difendono la loro identità e autonomia». Parole profetiche, guardando anche la Spagna di oggi.

Quindi la sua non fu una comoda evasione “bensì un compromesso per la pace e la giustizia”.
Difficile racchiudere in un periodo determinato della sua vita le sue attività. Ma sicuramente è in Pax Romana che svolse il suo ruolo di leader cattolico internazionale. I suoi “grandi amici”, per riprendere un termine di Raissà Maritain, sono stati i grandi del cattolicesimo europeo del XX secolo: Jacques Maritain, G.B. Montini (divenuto poi Papa Paolo VI), l’abbé Charles Journet, Vittorino Veronese (diventato poi Direttore Generale dell’Unesco), Padre Loewe e diversi altri. Così attraverso Pax Romana e la Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana) conobbe diversi futuri esponenti della classe dirigente italiana, europea e sudamericana (Edoardo Frei, T. Mazowieski, e tanti altri tra cui anche il cardinale Wojtyla).

Forse le parole del filosofo francese Etienne Gilson aiutano a trovare il senso della testimonianza di Sugranyes de Franch: “La finalità propria di Pax Romana è quella di organizzare attraverso il mondo la fraternità degli spiriti che mettono l’intelligenza al servizio di Dio”.