Fondata sul lavoro? la solitudine dell’articolo 1 della Costituzione

In questa Italia del lavoro che manca, una realtà drammatica fatta di milioni di disoccupati (i dati parlano di tre milioni di italiani senza lavoro) e dove i giovani senza un posto arrivano al 38%, e le ore di cassa integrazione toccano  livelli record, parlare di una “Repubblica fondata sul lavoro” può essere, quanto meno, “bizzarro” o provocatorio data la distanza, ormai abissale, tra l’affermazione dell’articolo 1 della  nostra Costituzione e la  pesante realtà economica e sociale del nostro. Continua a leggere

Giuseppe Dossetti, profeta della democrazia. Intervista a Roberto Di Giovan Paolo

Il prossimo 13 febbraio cade il centenario della nascita di Giuseppe Dossetti. Ne parliamo con il senatore Roberto Di Giovan Paolo, autore del libro “Dossetti, il dovere della Politica” (Ed. Nutrimenti, Roma 2013, pagg. 190)

Senatore, in questi giorni si celebrano i 100 anni della nascita di Giuseppe Dossetti. Dossetti è stato un padre costituente (insieme La Pira, Moro e Lazzati), un  padre della Chiesa contemporanea (importante è stata la sua partecipazione, al    seguito di Lercaro, al Concilio Vaticano II). Insomma una  figura con cui sia i cattolici  che i laici dovranno ancora fare i conti. Lei nel suo “libro – manifesto” afferma  che ancora i “cattolici democratici” non possono non dirsi “dossettiani”. In che senso?

La mia è ovviamente una provocazione culturale. E non la riferisco solo ai cattolici. Penso per esempio al fatto che nelle primarie del Partito Democratico su cinque candidati  ben 4 hanno parlato di un loro Pantheon fatto di 5 cattolici su 8 figure evocate:Papa Giovanni XXIII,un quasi Papa come il Cardinal Martini,e ben tre democratici cristiani,De Gasperi e due esponenti della sinistra Dc come “Albertino” Marcora e Tina Anselmi.

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Le tre “rivoluzioni interrotte” del Novecento

Costituzione repubblicana del ’48, Concilio Vaticano II e sessantotto. Questi sono, per Raniero La Valle (grande giornalista cattolico, ed  ex direttore dell’Avvenire d’Italia), i momenti  cardini del “grande secolo” Novecento.

Così in questo volume, dal titolo emblematico “Quel nostro novecento”, uscito per i tipi di “Ponte alle Grazie” (pagg. 194  € 12,00),  l’autore racconta il “suo” novecento,  attraverso una “lectio discipularis” (termine contrapposto a “magistralis”) , che interseca la grande storia del secolo scorso. Secolo grande e terribile che “ha prodotto i totalitarismi e il nuovo costituzionalismo, che ha fatto le più grandi guerre e ha dato fondamento alla pace, che ha inventato la bomba atomica e la dottrina della non violenza, che ha perpetrato la Shoah, ha compiuto genocidi e ha visto popoli insorgere e liberarsi”.

La storia personale, dicevamo, interseca quella grande. Il “suo” Novecento inizia con il fascismo, quello delle leggi razziali, dell’occupazione nazista di Roma, la vita di stenti a causa della guerra, la Resistenza (rievocata attraverso la storia di due grandi figure femminili: Teresa Mattei –deputata comunista alla Costituente – e Tina Anselmi – partigiana democristiana e coraggiosa Presidente della Commissione d’inchiesta sulla P2 (senza il suo impegno di contrasto la P2 avrebbe imperversato per chissà quanto tempo nel  nostro Paese, producendo danni ancora maggiori di quelli che ha prodotto). Dalla  resistenza nasce la Costituzione repubblicana del ’48, quest’ultima si inserisce nel grande alveo del  Costituzionalismo democratico (esempio massimo è la Carta dei diritti dell’uomo dell’Onu). In questo ambito avviene il capovolgimento radicale sul fronte della Pace (“L’Italia ripudia la guerra”), e dell’uguaglianza (“La Repubblica s’impegna  a rimuovere gli ostacoli..”). Principi . sempre validi ma mai raggiunti in modo definitivo. In questo senso la Costituzione è una rivoluzione interrotta. Certo, c’è da sottolineare, che la politica italiana di questo ultimo decennio non ha brillato per fedeltà alla Costituzione.

Poi venne il Concilio Vaticano II. Per la Valle si tratta della seconda, decisiva, rivoluzione avvenuta nel  Novecento. E “benché oggi molti si ostinano a dire che il Concilio non ha cambiato niente, o che deve essere interpretato secondo un’ermeneutica dell’invarianza, la Chiesa e il suo annuncio di Fede ne sono usciti trasformati”. Ma non è solo una questione “ermeneutica” il Concilio non solo ha riconciliato la Chiesa con il mondo, ma anche “l’uomo con gli uomini e le donne quali noi siamo”. Ma anche questa rivoluzione ben presto s’interrompe. E La Valle, come esempio, ricorda la chiusura dell’esperienza del quotidiano bolognese “L’Avvenire d’Italia” (quotidiano che ha informato la cattolicità italiana sul Concilio facendosene interprete autorevole).

Infine il terzo avvenimento: il ’68. Per l’autore segna un ‘epoca. “Dopo la rivoluzione del diritto, dopo la conversione del linguaggio della fede, venne con il ’68 la rivoluzione della vita quotidiana, l’esplodere dei movimenti, il nuovo pensiero femminista, il sogno della libertà, la lotta contro le istituzioni totali, la chiusura dei manicomi, il nuovo diritto di famiglia. Il 68 avrebbe dovuto essere letto come un segno dei tempi; ma così non fu letto né dalla Chiesa, né dai partiti e perciò non poté sprigionare tutte le sue energie”. Insomma per La Valle il 68 è “stato l’utopia dell’amore come alternativa al potere”. Quella stagione, comunque, non è stata solo “movimentismo”. Si ricordano gli sforzi di Aldo Moro per il rinnovamento della Dc, il dialogo tra cattolici e comunisti (che sfocia nella nascita della Sinistra Indipendente che portò a risultati legislativi interessanti, certo la gerarchia lanciò i suoi “fulmini”). Con la morte di Moro morirono la Dc e il Pci, e quindi la speranza di una democrazia compiuta (ovvero la speranza di dare un corso diverso alla storia del mondo occidentale).  A finire non era solo l’utopia comunista, ma anche il sogno di una democrazia realizzata dove la politica moderasse l’economia, il costituzionalismo garantisse i diritti e tenesse entro limiti invalicabili il potere, la giustizia fosse realizzata, e le Repubbliche togliessero gli ostacoli alla pieno sviluppo della persona umana. “Il Novecento finì così con una sconfitta. Non vinse né il socialismo né il costituzionalismo liberale”. Anzi sul piano internazionale fu il trionfo della guerra. Ma nel Novecento, conclude l’autore,  “restano, insieme a molti altri doni, quelle tre grandi cose che furono la Costituzione, Il Concilio e il ’68. Ma nessuna di queste cose potrà sopravvivere se non viene assunta con amore, così come per amore sono ste compiute”. Quindi non “altarini” per le giovani generazioni ma concrete vie di speranza per l’umanità.

Per un’etica costituzionale. La passione civile di Rodotà

Sicuramente Stefano Rodotà, fine giurista e filosofo, è stato , ed è, tra i più forti critici del berlusconismo politico-morale. Questo libretto, uscito per i tipi di Laterza, dal titolo “antico” Elogio del moralismo (pagg. 96, € 9,00) rappresenta, infatti, una piccola “summa” dell’alternativa morale e “costituzionale” al berlusconismo che ha fatto da padrone nel nostro Paese per troppi anni. Continua a leggere

“Lo Stato siamo noi”. L’attualità di Piero Calamandrei

In tempi di transizione, come questi che stiamo vivendo, è bene che ciascuno di noi ritrovi la propria memoria storica e politica. Bene ha fatto, così, la casa editrice Chiarelettere a pubblicare questa raccolta di interventi e scritti di Piero Calamandrei (“Lo Stato siamo noi”, pagg, 137. € 7,00).

Il libretto raccoglie interventi e scritti che coprono un arco temporale che va dal 1946 al 1956. Sono ripresi, nella maggior parte, dalla rivista “Il ponte”.
Il progetto che ha animato la vicenda umana e politica di Calamandrei è stato quello di “defascistizzare gli italiani” per fondare una nuova “religione civile” centrata sulla Costituzione del 1948. Su queste basi nasce la “cittadinanza attiva” dell’Italia repubblicana.
La visione del giurista fiorentino della Costituzione era una visione dinamica, si potrebbe dire progressiva: “Le Costituzioni – scriveva – vivono fino a che le alimenta dal didentro la forza politica”. Senza questo “spirito vitale” le costituzioni muoiono.
Per questo Piero Calamandrei, padre Costituente e tra i fondatori del Partito d’Azione, tra le figure più nobili della nostra storia repubblicana in un discorso ai giovani, giustamente celebre, tenuto a Milano nel 1955, nel salone dell’Umanitaria, affermava: “Quindi, voi giovani alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla cosa vostra, metterci dentro il vostro senso civico, la coscienza civica, rendersi conto – queste è una delle gioie della vita – rendersi conto che ognuno di noi nel mondo non è solo, che siamo in più, che siamo di un tutto, nei limiti dell’Italia e del mondo”.
E’ un appello, quello di Calamandrei, all’agire politico nobile, ad una visione della politica come “scienza della libertà”. Che non è la libertà individualistica, l’individualismo infatti afferma il tragico orgoglio dell’uomo che considera la propria sorte staccata da quella degli altri che il fascismo ha portato ad etica suprema con l’urlo animalesco del “me ne frego!” (in nome di questo poi si schiacciano popoli e nazioni). Quella intesa da Calamandrei,invece, è la libertà intesa come interdipendenza: “libertà come consapevolezza della solidarietà umana che unisce in essa gli individui e i popoli, come coscienza della loro dipendenza scambievole; come condizione di giustizia sociale (…) I popoli saranno veramente liberi quando si sentiranno, anche giuridicamente, “interdipendenti”. Il federalismo, prima che una dottrina politica, è la espressione di questa raggiunta coscienza morale della interdipendenza della sorte umana, che intorno ad unico centro si allarga con cerchi sempre più larghi, dal singolo al comune, dalla regione, dall’unione supernazionale alla intera umanità”.
Siamo agli antipodi della logica leghista dove il primato sta nella separazione, il “federalismo” della Lega è atomismo invece che interdipendenza.
Per concludere queste brevi note: dicevamo, poco sopra, del progetto di Calamandrei per creare una nuova “religione civile” centrata sulla Costituzione. Ebbene questa non può nascere dalla “desistenza”, che è sinonimo di passività, rassegnazione, ignavia, assenza di futuro, ma al contrario nasce dalla “resistenza” che parte, scrive Calamandrei, da un “sussulto morale che è stato la ribellione di ciascuno di noi contro la propria cieca e dissennata assenza”. Per questo “ora e sempre RESISTENZA”.