In questa Italia del lavoro che manca, una realtà drammatica fatta di milioni di disoccupati (i dati parlano di tre milioni di italiani senza lavoro) e dove i giovani senza un posto arrivano al 38%, e le ore di cassa integrazione toccano livelli record, parlare di una “Repubblica fondata sul lavoro” può essere, quanto meno, “bizzarro” o provocatorio data la distanza, ormai abissale, tra l’affermazione dell’articolo 1 della nostra Costituzione e la pesante realtà economica e sociale del nostro. Continua a leggere
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L’Italia è un paese per giovani?
“(…) Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio. (…) Quello che puoi vedere è che tutto ha sempre meno valore in una società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili, di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. (…) Scegli di andare dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, del merito e dei risultati (…) Dammi retta questo è un Paese che non ti merita”.
Ecco questi sono alcuni passaggi della “lettera aperta” al figlio scritta da Pier Luigi Celli, top manager di lungo corso (già direttore generale della Rai), apparsa su “Repubblica” l’anno scorso, proprio di questi tempi, che ha scatenato poi una vera e propria bufera sui media. Certo quelle parole di Celli sono dure e fanno male, non lasciano scampo agli illusionisti di ogni sorta. Ed a ben guardare anche gli avvenimenti recenti forse, in un certo modo, ne sono la conferma (in primis la fuga dei cervelli, un fenomeno triste per il nostro paese).
Ora, dopo un anno, Celli torna sull’argomento con questo libro, La generazione tradita (pagg. 144), uscito per i tipi della Mondadori. Un libro schietto, come è l’autore, dove non si risparmiamo critiche, ed autocritiche, alla classe dirigente italiana per non essere stata all’altezza delle sfide storiche a cui doveva rispondere. Una “classe” incapace di costruire futuro per esempio ad una domanda di una giovane laureata che cosa dovesse fare per uscire da un futuro di precarietà, L’illusionista per antonomasia (lasciamo indovinare chi è) gli risponde che deve sposare un ricco. Una risposta cinica, crudele, da irresponsabile).
Il libro denuncia, senza mezzi termini, una struttura sociale, quella della società italiana, in cui gli “adulti sono contro i giovani”. I termini della questione sono noti. Non passa anno che gli indicatori economici e sociali non fanno che confermare questo. Ecco alcuni dati: oggi, in Italia, un terzo della popolazione giovanile è senza lavoro, con un aumento del 4,9%. Le assunzioni a tempo indeterminato, in questo periodo, sono calate del 30%, e le assunzioni sono quasi tutte fatte con contratti temporanei: contratti a progetto, finte partite Iva, ecc. E’ la precarietà, scambiata per flessibilità, un lavoro sottopagato e senza garanzie. Con il risultato che il 90% dei posti di lavoro cancellati dalla crisi è lavoro a tempo determinato. Così il 60 % dei disoccupati in Italia ha oggi meno di 34 anni. Peggio. di così…
Questa è la “generazione tradita” cui questo Paese continua a negare un futuro. Ed è quella senza rappresentanza (dai partiti al sindacato passando per le imprese). L’analisi di Celli apre uno squarcio su questa amarissima realtà. All’autore non fa difetto la passione civile, ed anzi con il suo lavoro, è Direttore generale della Luiss, è a stretto contatto quotidiano con il mondo giovanile.
E dei giovani troppo spesso si parla a sproposito, con grande banalità. E il tanto sbandierato merito è diventato una ideologia stucchevole. “La logica del merito – scrive Celli – gode di un consenso persino imbarazzante, talmente generalizzato da divenire una sorta di giaculatoria stucchevole. Ne parlano i politici, che si guardano bene dall’applicarlo nella scelta di collaboratori e di futuri colleghi. Ne fa uso abbondante la logica parlata della pratica manageriale, salvo poi convenire che è forse più utile sulla base delle fedeltà esibite di quanto non serva puntare su competenza e affidabilità”.
Certo queste pagine sono amare. Lasciano un poco di sfiducia. Ma forse una delle vie da percorrere è certamente quella della ripresa del dialogo tra le generazioni.
Il compito per una società davvero “aperta” è quello di riannodare i fili del rapporto tra le generazioni. In particolare questo è il compito principale per gli adulti. “Tornare a parlare avendo ripreso l’abitudine ad ascoltare; fermarsi, guardare con occhi finalmente caldi e complici . Rianimare uno ‘spirito di simpatia, di finezza, di discernimento’ che rimetta in circolo una sensibilità generosa. Forse è questo l’unico modo per riconciliarsi con quanti non capiamo e non ci capiscono più”.