“Indignez-vous!”. Un vecchio partigiano indignato scuote la Francia.

Indegnez-vous!
Questo è il titolo di un libretto, uscito per i tipi dell’Indigene édition (€ 3, pagg. 32), che è diventato, in quattro mesi, un vero e proprio caso editoriale e politico. Ad oggi ne sono state vendute più di 650mila copie (si veda la classifica sul sito www.datalib.fr).

Un bestseller, e presto sarà tradotto anche in Italia.

Scritto da un grande di Francia, Stéphane Hessel, a 94 anni, questo resistente e diplomatico francese di origine ebraica tedesca, è riuscito a scuotere le coscienze dei francesi. Si sa che la Francia è terra di grandi passioni civili, di radicalità civiche che emergono sempre nei momenti di grande svolta. Ebbene questo libretto, come scrive l’autorevole recensore di Le Monde Thomas Wieder, “non è certo un programma di governo. Ma è un serio avvertimento al governo”.

Ed è, anche, un monito alla sinistra francese affinché sappia suscitare una speranza, una proposta alternativa , a sedici mesi dalle elezioni presidenziali, al sarkozismo imperante. E l’appello è stato accolto dal numero 2 dei socialisti francesi, Harlem Desir, che in una intervista al quotidiano Liberation definisce il libretto, appunto, come  “le contrechamp du sarkozysme”.

Il suo grido d’indignazione muove dai valori profondi della “France combattante”, la Resistenza francese, ovvero da quel programma del 1944 che desiderava una autentica “democrazia economica e sociale” nella piena realizzazione dei diritti universali dell’uomo (a questo riguardo occorre ricordare l’importanza di Stephane Hessel come co-redattore del testo della “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” del 1948).
A questo “ancien normalien”, ha frequentato l’Ecole Normale a Parigi ed è stato allievo di due grandi filosofi francesi Sartre e Merleau-Ponty, i motivi per indignarsi sono tanti: “Le ragioni per indignarsi possono sembrare meno evidenti, il mondo è diventato più complesso (…) ma in questo mondo ci sono cose insopportabili. Per accorgersene bisogna cercare, cercare bene” e l’atteggiamento peggiore, prosegue Hessel, è l’indifferenza, quel cieco individualismo che ci fa chiudere gli occhi di fronte alle ingiustizie grandi e sottili. Così per Hessel il trattamento ostile nei confronti degli immigrati, dei rom, degli extracomunitari deve spingere all’indignazione. Per questo Hessel dice ai giovani “prenez le relais,indignez-vous!”, “prendete il testimone  e indignatevi!” .

Il testimone è quello dei valori della Resistenza. “Auguro a tutti voi di trovare il vostro motivo per indignarvi. E’ prezioso. Quando qualcosa è fonte di indignazione, come è successo a me con il nazismo, allora si diventa militanti, forti e impegnati”! 

Ed ecco per Hessel che la frontiera del cambiamento passa attraverso una “insurrezione pacifica”, importante è la via della non-violenza, attraverso cui cambiare il sistema economico, che metta fine al conflitto israelo-palestinese (Hessel ha polemizzato fortemente con il governo israeliano sulle vicende di Gaza), e che metta un freno al declino della nostra società.
Quella di Hessel quindi è una visione politica aperto alla speranza: ”Créer, c’est Resister. Resister, c’est créer”!

Dalla parte degli zingari

Il governo Sarkozy, con un provvedimento del tutto strumentale (legato cioè a problemi di consenso del suo governo in caduta dopo lo scoppio dello scandalo Bettencourt) e per nulla efficace sul piano della cosiddetta “sicurezza” (visto che sono cittadini di Stati membri della Unione Europea e quindi, a meno di non commettere reati in quegli stati, nessuno potrà impedire a loro di ritornare in Francia), espelle 700 rom dal territorio francese.
Domani ci sarà il primo volo di “rimpatrio” per la Romania.
E’ un provvedimento che l’UE guarda con preoccupazione, i governi di Romania e Bulgaria  (i paesi d’origine dove saranno “riaccompagnati” i Rom) denunciano il rischio di una deriva “populista e sul generarsi di reazioni xenofobe” (così si è espresso il Ministro degli Esteri rumeno).
Ancora una volta, come se la lezione della storia non bastasse, si riduce tutto, si semplifica tutto nel nome di una stupida ideologia securitaria (cui, anche, il nostro Paese è infestato grazie alla propaganda leghista). Sulla pelle dei deboli e dei  marginali si costruisce la “fortuna” dei governi.
Così gli zingari, dice la volgare opinione diffusa, sono un grave problema di sicurezza. Invece, come scriveva qualche tempo fa lo storico Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, “l’atteggiamento verso di loro è espressione dei nostri problemi (quelli dei gagé, per usare l’espressione dei rom che indica i non nomadi). Non solo loro sono un problema, ma su di essi si scaricano (e si rivelano) quelli che sono i nostri problemi”.
 Così avere un nemico è rassicurante, ed avere, poi, “un nemico della nostra sicurezza, come gli zingari (tanto deboli), è rassicurante e, alla fine, poco minaccioso”. Combattere qualcuno dà la sensazione di presidiare attentamente le nostre barriere sociali e quelle del futuro.
Allora ecco che occorre una politica capace di entrare alla radice del problema.
La nostra società, infatti, ha un debito di memoria nei confronti di questa popolazione.
Presente nel nostro Paese fin dal Trecento, nel resto d’Europa anche prima, la loro esistenza è stata attraversata da persecuzioni (di carattere razziale al tempo del fascismo), fino ad arrivare al  folle genocidio ad opera del nazismo. Una miscela di stereotipi, pregiudizi diffusi, violenze perpetrate senza remore hanno costituito la base per il folle progetto di sterminio nei lager nazisti. Si calcola che il numero di sinti e rom uccisi varia tra i duecentomila e cinquecentomila. E’ questo  il “buco nero” della memoria europea.
“Sospeso tra terrore e poesia,  lo zingaro è un immagine piuttosto che un uomo concreto” (Impagliazzo),  così si continua sapere poco su di loro, sulla loro cultura e su molto altro.
Allora lo sforzo deve essere su più livelli. In particolare culturale. Il “diverso” fa paura solo alle società deboli e la nostra Europa, per non dire dell’Italia, deve camminare ancora tanto per essere la patria rappacificata delle alterità.