Una “Road Map” sul lavoro. Intervista al Senatore Tiziano Treu

La settimana politica e sociale, nel nostro Paese, è stata segnata, tra l’altro, dal dibattito sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori . Scatenato dalle dichiarazioni del Ministro Fornero (poi specificate meglio). Su questo, ed altri temi collegati al lavoro, abbiamo intervistato il Senatore del PD Tiziano Treu, ex-Ministro del Lavoro nel primo governo Prodi.

Sull’articolo 18 c’è un dato interessante che il quotidiano “Repubblica”, in questi giorni, ha pubblicato (Si tratta di un sondaggio Unioncamere-Excelsior). Ovvero che il problema più grave per le imprese italiane non è l’articolo 18, di flessibilità in uscita, ma è la mancanza di prospettive a breve termine…
Non c’è dubbio, perché il nostro primo problema è quello di riprendere a crescere poiché se non c’è una economia che riprenda a funzionare non ci sarà lavoro né per quelli attualmente attivi né soprattutto per i giovani, quindi, non è che l’articolo 18 aiuta, in generale, l’articolo 18 può essere visto in un contesto che permetta, da una parte, la crescita, e dall’altra che dia alle persone in caso di crisi e di difficoltà un sistema di ammortizzatori e di sicurezze e che quindi assicurino; questi sono i due problemi principali non certo la riforma dell’articolo 18.

La riforma del mercato del lavoro italiano è un tema troppo importante per il futuro del nostro Paese. Quale potrebbe essere una possibile “road map” di riforme?
Adesso vedremo quando il governo aprirà un tavolo, come ha promesso e come è scritto anche nella Manovra, con le parti sociali perché questa è una materia che va affrontata in questo modo. Credo che ci sia, innanzitutto, da considerare come affrontare le migliaia di persone che sono in difficoltà, molti sono addirittura senza lavoro, senza pensione perché c’è stato questo spostamento dell’età pensionabile: quindi il primo tema è quello di avere un ammortizzatore soprattutto per i giovani precari e per le persone anziane poiché questo mercato del lavoro che tutti gli altri paesi europei hanno e che da noi non è ancora sistemato, potrà permettere anche una maggiore mobilità che è altrettanto essenziale, poi dopo occorreranno delle misure specifiche per superare, soprattutto, quelle che sono le maggiori difficoltà come altri paesi hanno fatto; i giovani che sono usciti dalla scuola prematuramente e che sono quelli che avranno più problemi ad entrare nel mercato del lavoro che richiede più conoscenze del passsato. Questi sono, sicuramente, i temi che andranno affrontati per primi, poi dopo occorrerà, per tutte le professioni, rendere più facile l’accesso ai giovani e aumentare il contenuto di competenze.

Il premier Monti vorrebbe imitare in Italia il modello scandinavo. E’ possibile questo?
Il modello scandinavo non può certamente essere importato tale e quale perché è molto particolare però l’idea comune a tutto il modello sociale europeo, non solo ai paesi scandinavi anche alla Germania, la Francia è proprio questa che ci vuole l’economia più innovativa da una parte, quindi, come dicevo, imprese più innovative e lavoratori con maggiori competenze, dall’altra parte una maggiore mobilità che però si può fare solo se c’è la sicurezza data da servizi sul mercato del lavoro,da ammortizzatori sociali, quindi questa idea della flexsecurity, questa è la base del modello sociale europeo. Nei paesi scandinavi ha un livello di tutele che sono particolarmente alte ma in realtà la base è comune è questa flessibilità ma nella sicurezza.

Ultima domanda: Sulla riforma del mercato del lavoro un ruolo importante lo giocherà il PD. Troverà una sintesi tra le diverse posizioni?

Credo di si, ci stiamo lavorando, poi su molte cose si è già d’accordo, sulla necessità degli ammortizzatori universali, sulla necessità di semplificare i tipi di lavoro, i contratti che sono necessari, sono solo pochi e invece ci occorre renderli fruibili a tutti con costi uguali per evitare che si adoperino contratti precari perché costano meno. Su questi punti siamo largamente d’accordo;ci potrà essere poi qualche differenza nel momento in cui si arriverà a discutere su come gestire le crisi, sul problema dei licenziamenti ma io credo che arriveremo a un punto.

Il tramonto della borghesia

Il fenomeno della“scomparsa della borghesia, si è accentuato fino a diventare il nervo scoperto di un paese in affanno, sostanzialmente fermo, barricato a difesa del proprio alto livello di benessere e incapace di proiettarsi verso il futuro. L’eclissi della borghesia è il comune denominatore che ha investito, con eguale intensità, la politica, l’economia e la società. Un virus che ha contagiato tutto e tutti, non risparmiando nessuno dei punti nevralgici del sistema”. Continua a leggere

“Lo Stato siamo noi”. L’attualità di Piero Calamandrei

In tempi di transizione, come questi che stiamo vivendo, è bene che ciascuno di noi ritrovi la propria memoria storica e politica. Bene ha fatto, così, la casa editrice Chiarelettere a pubblicare questa raccolta di interventi e scritti di Piero Calamandrei (“Lo Stato siamo noi”, pagg, 137. € 7,00).

Il libretto raccoglie interventi e scritti che coprono un arco temporale che va dal 1946 al 1956. Sono ripresi, nella maggior parte, dalla rivista “Il ponte”.
Il progetto che ha animato la vicenda umana e politica di Calamandrei è stato quello di “defascistizzare gli italiani” per fondare una nuova “religione civile” centrata sulla Costituzione del 1948. Su queste basi nasce la “cittadinanza attiva” dell’Italia repubblicana.
La visione del giurista fiorentino della Costituzione era una visione dinamica, si potrebbe dire progressiva: “Le Costituzioni – scriveva – vivono fino a che le alimenta dal didentro la forza politica”. Senza questo “spirito vitale” le costituzioni muoiono.
Per questo Piero Calamandrei, padre Costituente e tra i fondatori del Partito d’Azione, tra le figure più nobili della nostra storia repubblicana in un discorso ai giovani, giustamente celebre, tenuto a Milano nel 1955, nel salone dell’Umanitaria, affermava: “Quindi, voi giovani alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla cosa vostra, metterci dentro il vostro senso civico, la coscienza civica, rendersi conto – queste è una delle gioie della vita – rendersi conto che ognuno di noi nel mondo non è solo, che siamo in più, che siamo di un tutto, nei limiti dell’Italia e del mondo”.
E’ un appello, quello di Calamandrei, all’agire politico nobile, ad una visione della politica come “scienza della libertà”. Che non è la libertà individualistica, l’individualismo infatti afferma il tragico orgoglio dell’uomo che considera la propria sorte staccata da quella degli altri che il fascismo ha portato ad etica suprema con l’urlo animalesco del “me ne frego!” (in nome di questo poi si schiacciano popoli e nazioni). Quella intesa da Calamandrei,invece, è la libertà intesa come interdipendenza: “libertà come consapevolezza della solidarietà umana che unisce in essa gli individui e i popoli, come coscienza della loro dipendenza scambievole; come condizione di giustizia sociale (…) I popoli saranno veramente liberi quando si sentiranno, anche giuridicamente, “interdipendenti”. Il federalismo, prima che una dottrina politica, è la espressione di questa raggiunta coscienza morale della interdipendenza della sorte umana, che intorno ad unico centro si allarga con cerchi sempre più larghi, dal singolo al comune, dalla regione, dall’unione supernazionale alla intera umanità”.
Siamo agli antipodi della logica leghista dove il primato sta nella separazione, il “federalismo” della Lega è atomismo invece che interdipendenza.
Per concludere queste brevi note: dicevamo, poco sopra, del progetto di Calamandrei per creare una nuova “religione civile” centrata sulla Costituzione. Ebbene questa non può nascere dalla “desistenza”, che è sinonimo di passività, rassegnazione, ignavia, assenza di futuro, ma al contrario nasce dalla “resistenza” che parte, scrive Calamandrei, da un “sussulto morale che è stato la ribellione di ciascuno di noi contro la propria cieca e dissennata assenza”. Per questo “ora e sempre RESISTENZA”.

Giovani e futuro: il manifesto di Romano Prodi

Assistiamo, in questo periodo, a molte manifestazioni cui protagonista è il variegato mondo giovanile.

Un esempio è la vicenda degli “indignados”. Che nasce in Spagna, si è poi diffuso in Israele, Cile e Stati Uniti. Il loro è un grido forte d’indignazione contro lo sfascio creato dal “turbocapitalismo” finanziario, che distrugge le speranze di una generazione. Anche il complicato mondo arabo è attraversato da grandi tensioni.

Insomma quest’anno, il 2011, sarà ricordato come l’anno della indignazione giovanile. Così il grido di un grande di Francia, il partigiano e diplomatico Stephane Hessel, “Indignez vous!” attraversa i continenti.

Un altro punto che dovrebbe far pensare è che questa generazione di giovani è senza interlocutori. Pochi riescono ad entrare in sintonia con loro. Pochi sanno ascoltare e pochi sanno leggere con esperienza questi fenomeni. E per limitarsi alla nostra Italia occorre riconoscere che sono pochissimi  quelli che hanno queste capacità.

Tra questi spiccano il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l’ex Premier Romano Prodi.

Romano Prodi da quando ha lasciato la politica attiva nel nostro Paese (anche se con le sue  interviste non fa mancare la sua attenzione, con rigore, alle prospettive italiane ed europee) si dedica all’insegnamento dell’Economia nelle università cinesi e americane. Ebbene questa sua attività gli consente di essere a contatto con il mondo giovanile di società in fermento come quella cinese.

Ed è in questo contesto che esce per i tipi di Aliberti questo libretto, che è una intervista, “Futuro Cercasi” (pagg. 64, € 6,00).

Un vero manifesto contro la “cattiva politica” che ha allontanato i giovani dalla politica. Ora la politica è indispensabile ai giovani per la loro affermazione e per la loro ascesa. Ma, attenzione, per Prodi occorre una radicale cesura con il passato: “Quando parlo di giovani e politica io non parlo di età, parlo di autonomia. Perché se un giovane entra in politica semplicemente perché fa il portaborse di uno più anziano non è giovane, è portaborse. Entra come anziano. I nostri giovani in politica sono entrati in politica come anziani. Quante volte ho detto a dei ragazzi: affermati prima nella professione; entra forte con un tuo ruolo, perché se poi ti va male, perché se poi trovi dei momenti duri – perché la politica è dura – tu hai la tua professione, stai fuori dalla politica e puoi andare avanti con la tua vita. Se non hai questo, sarai sempre vecchio, perché sarai sempre nelle mani di qualcuno”.

Il punto strategico sta qui: i giovani devono crearsi un profilo forte. E questo passa solo attraverso lo studio e la formazione. Solo così il futuro torna dei giovani.

E il suo è un atto di accusa contro la logica del “corto periodo” che attraversa la politica italiana ed europea. In cui predomina la logica del “chi è fuori è fuori, chi è dentro è dentro”, una logica senza futuro ed egoista.

L’appello del Professore alla politica ed ai suoi protagonisti è cambiate paradigma: occorre dare consapevolezza e strumenti al mondo giovanile del loro futuro, deciso è far sentire ai ragazzi che hanno “gambe per correre”. E queste “gambe” può darle solo una istruzione elevata. Il futuro passa per l’eccellenza dello studio.

Di molto altro parla questo libretto, dove non si danno “ricette magiche” ma si da una lezione di metodo: ogni cosa va pensata al futuro.