La politica italiana vive ormai da mesi sulla frontiera di una conflittualità permanente. Tutto è centrato sui problemi giudiziari di Silvio Berlusconi. Come è dimostrato dall’approvazione della “legge sul processo breve” e le occasioni di conflitto continueranno ancora nei prossimi mesi. Così assistiamo ad un esodo della politica dai problemi dell’Italia. Come ci guardano all’estero? Come è giudicata la politica italiana in Europa? Ne abbiamo parlato con il professor Marc Lazar, docente di Storia nella prestigiosa facoltà di SciencesPo. (Scienze Politiche) a Parigi e ”visiting professor” alla Luiss di Roma. Continua a leggere
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Ribellarsi all’indifferenza
In tempi caotici come questi, che sono anche tempi drammatici, leggere parole forti (parole che hanno un significato, che non cadono, quindi, nell’insignificanza) che possono scuotere la nostra mente e la nostra anima ormai assuefatta (o forse cinica) non può che far bene.
Ed è il caso di questo istant book , pubblicato dalla Casa editrice Chiarelettere, che raccoglie alcuni articoli di Antonio Gramsci, usciti sull’Unità tra il 1917 e il 1918 (un periodo, quindi, di alta tensione sociale e politica per l’Italia ormai alla fine dell’era giolittiana).
E’ l’Italia della disfatta di Caporetto, degli scioperi per il pane. L’Europa è segnata dalla fine degli Imperi centrali e dalla rivoluzione russa di Lenin.
Insomma una temperie che segnerà per sempre la storia del novecento italiano ed europeo.
Eppure, nonostante sia passato quasi un secolo, quelle parole di Gramsci mantengono una lucidità, e un’attualità, impressionante.
Che è tipico, per dirla con Italo Calvino, degli autori classici.
“Odio gli indifferenti” (pagg. 112, € 7,00) è il titolo che il curatore, David Bidussa studioso del pensiero politico contemporaneo, ha voluto dare al libretto.
In questi scritti del pensatore sardo c’è il Paese Italia. “Il Paese Italia, non la nazione italiana: le cose minute, i comportamenti, i tic che si usano, le consuetudini con cui si organizza la vita associata. Una realtà che sollecita l’indagine sulla vita reale non la costruzione di proiezioni ideologiche”.
E in questa operazione Gramsci mette in opera lo sguardo dell’intelligenza appassionata (che è poi quella dioturna passione per migliorare la condizione degli uomini e delle donne) per contrastare quella “ideologia” della quotidianità che appiattisce tutto.
Così, in queste pagine, sono affrontati i mali ancora irrisolti della società italiana: l’inconsistenza della classe politica, il trasformismo, la scuola, gli scandali, l’assenza di eticità nella burocrazia, il perbenismo ipocrita, ecc.
Ma alla base del “ragionamento” gramsciano c’è la ribellione nei confronti degli indifferenti: “Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che ‘vivere vuol dire essere partigiani’. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti”. Questo atto d’accusa durissimo è anche un giudizio su un certo modo di fare politica, di leggere gli avvenimenti della storia, di partecipare all’azione sociale di costruzione della “città futura”: “L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui si affogano gli entusiasmi più splendenti”. Ancora sono intense le parole di Gramsci.
Per l’indifferente, che è poi la massima manifestazione della irresponsabilità, tutto quello che avviene è fatalità (“che – come scrive ancora l’autore – sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo”). Quanto è attuale questo pensiero! Sì l’indifferente è quello che legge i grandi movimenti della storia come una catastrofe (spreca paroloni come “terremoto sociale”, “tsumani umanitario” e quant’altro). In realtà questo atteggiamento è frutto di una chiara scelta politica: quella che vede solo il proprio interesse, altro che fatalità!
La politica per Gramsci, invece, è il massimo di responsabilità, intelligenza e “fantasia” (ovvero di progettazione e anticipazione del futuro). Profonde queste parole: “Nella vita politica l’attività fantastica deve essere illuminata da una forza morale: la simpatia umana” senza questa profondità spirituale c’è il dilettantismo politico (ovvero l’approssimazione, lo schematismo, l’idiozia nei confronti della storia). “Perché si provveda adeguatamente – afferma Antonio Gramsci – ai bisogni degli uomini di una città, di una regione, di una nazione, è necessario sentire questi bisogni; è necessario potersi rappresentare concretamente questi uomini in quanto vivono, in quanto operano quotidianamente, rappresentarsi le loro sofferenze, i loro dolori, le tristezze della vita che sono costretti a vivere. Se non si possiede questa forza di drammatizzazione della vita, non si possono intuire i provvedimenti generali e particolari che armonizzano le necessità della vita con le disponibilità dello Stato”.
Questi irresponsabili “obbligano a soffrire inutilmente nel tempo stesso che sciolgono inni alati alla virtù, alla forza di sacrificio del cittadino italiano”. Anche qui le cronache contemporanee ci offrono uno spettacolo desolante.
Insomma, per Gramsci, il politico inetto che non sa rappresentarsi il dolore degli uomini è crudele. E prima o poi la Storia gli renderà conto.
Molti altri temi affronta questa raccolta di scritti, ma quello che più conta è l’appello appassionato che viene fuori da queste belle pagine, come ci ricorda il curatore del libro: “scongiurare che la nuova quotidianità possa apparire come l’unico dei mondi possibili”.
Siamo al finale del “Caimano”? Intervista ad Enrico Letta
politica italiana vive momenti di altissima tensione. Facciamo il “punto” della situazione con Enrico Letta, Vice segretario nazionale del PD.
Onorevole Letta, stiamo assistendo ad uno scontro istituzionale senza precedenti. Per molti osservatori siamo al finale del film “Il Caimano” di Nanni Moretti. È così?
R. Quando vidi il film pensai che fosse esagerato. Mi scuso con Moretti, perché la realtà supera la fantasia. Continua a leggere
“Indignez-vous!”. Un vecchio partigiano indignato scuote la Francia.
Indegnez-vous!
Questo è il titolo di un libretto, uscito per i tipi dell’Indigene édition (€ 3, pagg. 32), che è diventato, in quattro mesi, un vero e proprio caso editoriale e politico. Ad oggi ne sono state vendute più di 650mila copie (si veda la classifica sul sito www.datalib.fr).
Un bestseller, e presto sarà tradotto anche in Italia.
Scritto da un grande di Francia, Stéphane Hessel, a 94 anni, questo resistente e diplomatico francese di origine ebraica tedesca, è riuscito a scuotere le coscienze dei francesi. Si sa che la Francia è terra di grandi passioni civili, di radicalità civiche che emergono sempre nei momenti di grande svolta. Ebbene questo libretto, come scrive l’autorevole recensore di Le Monde Thomas Wieder, “non è certo un programma di governo. Ma è un serio avvertimento al governo”.
Ed è, anche, un monito alla sinistra francese affinché sappia suscitare una speranza, una proposta alternativa , a sedici mesi dalle elezioni presidenziali, al sarkozismo imperante. E l’appello è stato accolto dal numero 2 dei socialisti francesi, Harlem Desir, che in una intervista al quotidiano Liberation definisce il libretto, appunto, come “le contrechamp du sarkozysme”.
Il suo grido d’indignazione muove dai valori profondi della “France combattante”, la Resistenza francese, ovvero da quel programma del 1944 che desiderava una autentica “democrazia economica e sociale” nella piena realizzazione dei diritti universali dell’uomo (a questo riguardo occorre ricordare l’importanza di Stephane Hessel come co-redattore del testo della “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” del 1948).
A questo “ancien normalien”, ha frequentato l’Ecole Normale a Parigi ed è stato allievo di due grandi filosofi francesi Sartre e Merleau-Ponty, i motivi per indignarsi sono tanti: “Le ragioni per indignarsi possono sembrare meno evidenti, il mondo è diventato più complesso (…) ma in questo mondo ci sono cose insopportabili. Per accorgersene bisogna cercare, cercare bene” e l’atteggiamento peggiore, prosegue Hessel, è l’indifferenza, quel cieco individualismo che ci fa chiudere gli occhi di fronte alle ingiustizie grandi e sottili. Così per Hessel il trattamento ostile nei confronti degli immigrati, dei rom, degli extracomunitari deve spingere all’indignazione. Per questo Hessel dice ai giovani “prenez le relais,indignez-vous!”, “prendete il testimone e indignatevi!” .
Il testimone è quello dei valori della Resistenza. “Auguro a tutti voi di trovare il vostro motivo per indignarvi. E’ prezioso. Quando qualcosa è fonte di indignazione, come è successo a me con il nazismo, allora si diventa militanti, forti e impegnati”!
Ed ecco per Hessel che la frontiera del cambiamento passa attraverso una “insurrezione pacifica”, importante è la via della non-violenza, attraverso cui cambiare il sistema economico, che metta fine al conflitto israelo-palestinese (Hessel ha polemizzato fortemente con il governo israeliano sulle vicende di Gaza), e che metta un freno al declino della nostra società.
Quella di Hessel quindi è una visione politica aperto alla speranza: ”Créer, c’est Resister. Resister, c’est créer”!
Bill Emmot: Forza, Buona Italia!
Viviamo tempi aggrovigliati e l’infinita transizione politica, unita ad una situazione economica pesante, non fa che aumentare sempre più il pessimismo e lo scetticismo degli italiani sul loro futuro. Se poi a questo aggiungiamo l’incuria del territorio e dei beni culturali (vedi il caso del crollo della Casa dei Gladiatori a Pompei, della spazzatura a Napoli e dell’alluvione in Veneto per parlare solo dei casi più recenti) il quadro è da incubo…
Eppure esiste una Buona Italia che resiste e combatte contro la Mala Italia (fatta di mafie, degrado, corruzione e quant’altro).
E bene ha fatto Bill Emmott, già direttore del prestigioso settimanale inglese The Economist, a mettere in evidenza questo conflitto con questo suo libro, che sta facendo discutere l’opinione pubblica italiana, pubblicato da Rizzoli, Forza, Italia. Come ripartire dopo Berlusconi.
La lettura del volume offre numerosi spunti di riflessione.
“Se – si domanda Emmott – non c’è più speranza, come è possibile che mi sia imbattuto in aziende leader mondiali nella vendita di attrezzature per il fitness, occhiali da sole, abbigliamento in chacemire, aeromobili leggeri e molto altro, o in nuovi movimenti antimafia, o in città che hanno ritrovato una nuova vita postindustriale o sconfitto la delinquenza, o elaborato straordinari piani, come quello per il controllo dell’acqua alta di Venezia? Come mai ho incontrato giornalisti capaci di dire la verità su quello che sta succedendo e disposti a farlo? E’ evidente che si tratta di una lotta non facile, e non sempre vincente. Ma la Buona Italia c’è e combatte. Non sto cercando i pochi raggi di luce nelle tenebre, come far notare che Saddam Hussein in fondo era un buon padre di famiglia e che nella Corea del Nord s’intravede qualche scintilla di creatività. La Buona Italia è più di questo. Molto di più”.
Ecco, a parte l’ironia, questo è lo spirito con cui si è mosso per circa un anno Bill Emmot in lungo e in largo alla scoperta della Buona Italia.
Ne viene fuori un vero e proprio reportage, scritto con stile british, asciutto ed essenziale, a descrivere lo scontro tra la due Italie.
Ecco, allora, venire fuori dalle pagine la Buona Italia.
Così si parte dal Sud: dai ragazzi di Addio Pizzo e alla Confindustria Sicilia guidata da Ivan Lo Bello, in prima linea contro il racket mafioso del Pizzo. Ma il Sud vuol dire anche imprese che sfidano con successo i mercati mondiali. Colpiscono i casi dei Planeta e Settesoli leader nell’enologia. Così come, nel regno di Gomorra, c’è la Tecnam di Luigi e Giovanni Pascale che produce aerei leggeri. E risalendo su per la penisola ci si imbatte, ad esempio, nella storia di Brunello Cucinelli. Con la sua impresa “umanistica”, da poco infatti l’Università di Perugia gli ha conferito una Laurea honoris causa in Filosofia, leader mondiale nella produzione di pullover di chacemire. Senza dimenticare la robotica di Loccioni, oppure il polo tecnologicodi Ferrara. E diversi altri. Non mancano, ovviamente, i grandi nomi del made in Italy come Tod’s, Geox, Tecnogym, Luxottica e quello delle grandi banche italiane. Un occhio attento anche alla rinascita di Torino e della Puglia di Vendola (su di lui il giudizio Emmott è positivo quando mette in evidenza il globalismo e denunzia il “brezhnevismo” della burocrazia, ma poi, dice Emmott, non è conseguente sull’accordo di Pomigliano. Quindi un giudizio articolato il suo). E per finire nella Buona Italia l’autore mette anche alcuni bravi giornalisti italiani.
Nel suo libro, Emmot, non fa sconti alla politica, sia di destra che di sinistra, per cui, francamente è difficile immaginarlo come un pericoloso “sovversivo” (o “comunista” come la destra italiana l’aveva definito dopo che lui aveva criticato, qualche anno fa, Berlusconi definendolo come “incapace” a governare). Nel libro
c’è anche una intervista al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Il libro, infine, propone le riforme strutturali cui questo Paese ha bisogno se vuol restare nella competizione globale (dalla riforma elettorale all’università).
Alla fine ciò che emerge dalla lettura è che la maggior ricchezza dell’Italia sono gli italiani: “Il motivo – scrive Emmott – per cui l’Italia vola e non si schianta tragicamente al suolo, è che la sua parte buona le impedisce di farlo, reagendo a quella cattiva, riccaciandola indietro. Talvolta ci riesce appena in tempo. Potrebbe farlo ancora. Se lo si volesse abbastanza”. Appunto….