Intervista a Bruno Manghi su Fiat, Sindacato e Globalizzazione
Bruno Manghi è un sociologo atipico e originale. Di formazione cattolica, progressista, fu protagonista delle lotte dei metalmeccanici e, nella Cisl guidata da Pierre Carniti, formatore di centinaia di sindacalisti. Già collaboratore di Prodi e poi consulente aziendale, oggi – lasciato il sindacato (dagli anni ’70, infatti, si dedica all’attività di sindacalista tra Milano, Taranto, Torino e il Sud America) – è uno spirito libero. Con lui gli schematismi saltano. E’ un sano esercizio di libertà. Tra le sue opere ricordiamo: ”L’Organizzatore sindacale” (Edizioni Lavoro 2007),“Fare del bene, il piacere del bene e la generosità organizzata” (Marsilio 2007),” Lavori inutili” (Rubbettino 2005), “Declinare crescendo” (Il Mulino), “Interno sindacale”(Edizione Lavoro).
Manghi, cosa sta succedendo alle relazioni industriali del nostro paese? Siamo davvero alla vigilia della “rivoluzione copernicana” rappresentata dall’AD Fiat Sergio Marchionne?
Assolutamente no. Nel senso che le relazioni industriali da vent’anni sono ad un livello di mera sussistenza. C’è una contrattazione aziendale modesta. Non mi sembra che stia accadendo nulla di “copernicano”.
Giuseppe De Rita ha scritto, a proposito della vicenda di Pomigliano che in questa fase vince “l’egoismo aziendale” ovvero è un egoismo “sulla cui base la strategia si sente libera da ogni condizionamento; fa le sue scelte con coraggio non lontano dall’improntitudine; pone le condizioni le condizioni su cui fare i nuovi confronti politici e sindacali; arrischia anche l’accusa di ricatto (o si fa così o si va altrove)”. E’ questa la logica che muove tutta la vicenda?
Secondo me bisogna evitare di fare teorie generali industriali. Pomigliano da anni “vivacchia” male. L’assenteismo è del 21%, qualità modesta del prodotto: o lo si lascia morire, ma socialmente è un costo inaccettabile, o con durezza si cerca di sviluppare la produzione. Marchionne ha un atteggiamento antipatico, al limite della provocazione. Questo l’abbiamo visto moltissime volte: quando i Riva comprarono Italsider fecero la stessa cosa. Ma questo atteggiamento ha un certo insuccesso. E la debolezza del sindacato deriva dalla debolezza dell’impianto.
Siamo, ormai, tutti investiti dalla globalizzazione. A me sembra che la lettura che ne fa Marchionne sia “meccanicistica”. Ovvero applicare standars competitivi da paesi emergenti in un contesto complicato come quello italiano, con le sue rigidità certamente, ma anche con le sue garanzie che sono poi conquiste storiche di tutto il Movimento sindacale italiano. Non vede rischi in questa strategia del Lingotto?
Indubbiamente l’alternativa è lasciare declinare il sistema auto italiano come a Termini Imerese. Certo questi sono temi duri. Oggi un operaio coreano guadagna più di quello italiano anche se non ha il Welfare. Dove c’è il lavoro prima o poi i lavoratori pretendono i loro diritti, il loro salario. Il caso di Pomigliano è che rispetto ad altri stabilimenti italiani ed europei è in termini di qualità diverso. Anche in Germania vi fu un grande con la Siemens:un abbassamento della dell’orario a cui corrispose un abbassamento del salario per mantenere la produzione. E’ necessario dialogare con i lavoratori, non sono novità copernicane, si tratta di affrontare il problema di Pomigliano e auto in Italia. Per quello che è. Prima il sindacato veniva convocato dalla Fiat che spiegava che “causa diminuzione delle vendite occorre ridisegnare l’organico e applicare la cassa integrazione”, qui si triplica la produzione in Italia e si è creata confusione.
Uno sguardo al sindacato italiano. E’ uscito dalla vicenda FIAT diviso (e questa non è una novità). Non intravede una debolezza complessiva del Sindacato? Quali sono le basi per una nuova unità sindacale?
L’unità sindacale che è stato il sogno della mia generazione non si è fatta in due casi: nel caso dell’unità organica dei metalmeccanici con Trentin, poi quando D’Antoni propose l’unità sindacale e vi fu il rifiuto di Cofferati. Quando non c’è unità c’è competizione. Competizione che può essere decente o indecente, e oggi è più importante dei risultati dell’azione dei sindacati stessi. Non sono pessimista, semplicemente in Occidente il sindacato ha ridotto la sua capacità di rappresentare, come spiega Baglioni nel suo “Accerchiamento”. La funzione è importante ma la sua capacità di attore decisivo dei fatti sociali si è ridotta. I sindacalisti emergenti rivivranno quello che abbiamo vissuto noi. Il sindacato dà molti servizi che non dava una volta,ma non è in grado di rappresentare. Io l’ho definito “La protezione civile dei lavoratori” e nei casi più gravi fa “la “croce rossa”.
Una domanda provocatoria: come è lo stato della Cisl?
Diciamo tutto sommato in questo quadro che ho descritto che la Cisl gioca dignitosamente il suo ruolo. Grosso modo tenta di fare il sindacato,il suo difetto è che ha molte idee giuste e interessanti che non si sviluppano in pratica. Anche nel caso di Pomigliano, sarebbe interessante se si creasse un’esperienza partecipativa dei lavoratori, per esempio se pur concedendo all’azienda margini di decidere orari superiori si associassero i lavoratori come azionisti e in base alle azioni collettive possano eleggere rappresentanti nel consiglio di amministrazione. Però poi la Cisl non realizza, da un lato per la diffidenza della Cgil, ma la ragione di fondo è che il ceto sindacale è abitudinario.