L’Italia sta per celebrare i suoi 150 anni. L’anniversario dovrebbe essere l’occasione per un ripensamento sulla storia d’Italia e sul contributo italiano alla costruzione del mondo del XXI secolo.
Per parlare di questo abbiamo intervistato il Prof. Paul Ginsborg, docente di Storia dell’Europa contemporanea all’Università di Firenze. Paul Ginsborg ha dedicato a questi argomenti il suo ultimo libro, “Salviamo l’Italia”, pubblicato da Einaudi.
Professore l’anno prossimo festeggeremo i 150 anni dell’Unità d’Italia. Ora nei primi decenni dell’Ottocento la domanda era, tra i nostri patrioti, “se si potesse fare l’Italia”, oggi, invece, la domanda è “si può salvare l’Italia”? Lei dà, nel suo ultimo libro, Salviamo l’Italia, una risposta affermativa. Perché?
Io cerco nel mio libro di esplorare gli elementi non predominanti nella storia d’Italia, di vedere cioè quanto sono presenti e quanto “incapsulano” anche della speranza di un’Italia migliore. Questo perché, spiego subito, la storia di questi 150 anni è fatta, certamente, di una storia, diciamo, ufficiale, quello che è in qualche modo è la storia nel senso maggioritario del termine. C’è, poi, anche una storia minore. Minore ma che è una costante nella storia italiana. Ecco Io sono molto interessato a queste espressioni di minoranze ma che sono, anche, espressioni di idee diverse. Idee che sono fortemente presenti nella storia d’Italia. Nel libro seguo queste espressioni per vedere in che modo possono diventare idee dominanti invece che rimanere idee subalterne.
Lo spettacolo di questi anni italiani non è esaltante: corruzione, populismo, cultura dell’apparenza, egoismi regionali, xenofobia, scarso senso civico. Insomma, professore, non è troppo ottimista sull’Italia?
Bisogna vedere, non credo che sia una questione di ottimismo o pessimismo, anche perché il pessimismo porta alla paralisi e anche al cinismo. Dunque essere pessimista è anche essere sconfitto, mentre l’ottimista non è scontato che vincerà ma almeno pensa alle alternative. Per questo il mio libro è anche un libro di idealità, di elementi utopici, cerca di rimettere in discussione i grandi temi.
Ora è verissimo quello che lei dice, che gli ultimi anni sono stati anni molto brutti, è anche vero, però, che ci sono responsabilità per questa situazione. Responsabilità anche politiche, cioè è stato fatto troppo poco per limitare i danni o per ribaltare la situazione.
Voglio solo citare, come esempio, la mancanza di una legge sui conflitti d’interesse. Lì vediamo che ottimismo o pessimismo c’entrano pochissimo, c’entra, invece, la chiarezza delle idee e poi l’azione che deriva da quella chiarezza.
Nel suo libro parla anche, oserei dire con coraggio, delle virtù italiane. Quali sono?
Penso che sia necessario questo. In particolare, mi sembra, importante riflettere sulla questione della mitezza. Infatti comincio il capitolo del libro dedicato alla mitezza con Addis Abeba nel 1937. Cioè nel momento del più orribile massacro portato avanti non solo dalle truppe italiane occupanti, ma anche dei civili italiani a danno della popolazione locale. Allora non c’è nulla di mite in quello, io dico che particolarmente nell’età fascista troviamo il trionfo terribile della violenza, di una idea di mascolinità virile e violenta contro qualsiasi altro paradigma per il comportamento della popolazione. Ma Adis Abeba nel ’37 è un momento della storia italiana, ci sono anche molti altri che possiamo guardare con interesse per quello che ci insegnano, non solo momenti ma anche idee. E’ questo molto importante. Ad esempio il fatto che nella Costituzione abbiamo nell’articolo 11 una straordinaria dichiarazione in favore della cultura della pace, questo non è da dimenticare. Poi bisogna vedere, nel libro cerco di farlo, quelle figure interessanti che propongono una idea diversa di modernità non basata sulla violenza ma sulla cooperazione e sul rispetto reciproco.
Chi sono questi personaggi?
Senz’altro Altiero Spinelli e Giorgio La Pira. Due figure importanti per l’Italia. Ma si può, anche, ricordare che quando Rifondazione Comunista (io non sono di Rifondazione comunista), agli inizi degli anni 2000, ha deciso, sotto l’influenza di Fausto Bertinotti, di rigettare la violenza come strumento politico, bisogna riconoscere che quella è stata una scelta della mitezza molto importante in un clima esasperato di violenza.
Professor Ginsborg, nel libro, un libro che Gustavo Zagrebelsky ha definito un “libro combattente”, ricorda l’Italia di Canova in lacrime sulla tomba di Vittorio Alfieri, situata in Santa Croce a Firenze, può essere una “metafora” dell’ Italia “piangente” di oggi?
Si io lo credo profondamente che sia una metafora giusta dell’Italia odierna. Abbiamo tutta l’Europa che ci prende in giro, che guarda con orrore alle figure della più recente politica. Se guardiamo, poi, al modo in cui la donna e il corpo della donna è trattato sullo strumento mediatico più importante, la televisione, credo che l’Italia di oggi abbia tutto il diritto di piangere. Per questo credo che Zagrebelsky sia nel giusto quando definisce il mio libro come “combattente”. Perché io propongo altri valori sperando che possano diventare, in tempo, maggioritari: l’autogoverno municipale, l’autogoverno come processo di auto-educazione. Un altro valore è quello dell’uguaglianza, e sappiamo quanto l’Italia sia un paese terribilmente diseguale. Poi c’è il valore dell’Europa, per citare Spinelli. Infine il valore della mitezza e fermezza, quell’amore della pace e il rispetto dell’altro che deve essere la base un nuovo contratto nazionale.
Allora, per finire, chi salverà l’Italia?
Io penso che non è solo una classe sociale che può salvare l’Italia. Per troppo tempo la sinistra italiana ha pensato al ruolo, come dire, liberatorio della classe operaia. Io non ci credo, non ci ho mai creduto nella superiorità di una classe necessariamente. Io penso che sarà un’alleanza di figure diverse, oso dire che quando Zagrebelsky sabato scorso ha parlato con i metalmeccanici della Fiom non era alla manifestazione ma era al convegno sul berlusconismo a Firenze. Lui ha parlato a loro, ha espresso solidarietà, ed anche la necessità dell’azione mite, pacifica in difesa dei diritti dei cittadini. Questo era un ponte. Credo che i ponti, in questa stagione, siano importantissimi. Un ponte diciamo tra i ceti medi istruiti e una piazza pienissima di operai. Ecco ci vuole questo tipo di “construction of bridges”.