Nella liturgia ambrosiana c’è scritto: “Signore dona sempre al tuo popolo pastori che inquietino la falsa pace delle coscienze”.
Ebbene in questa frase c’è tutta la testimonianza cristiana del Cardinale Carlo Maria Martini. Per 25 anni arcivescovo di Milano, tra le figure più significative della Chiesa cattolica contemporanea (altri Vescovi ambrosiani, come Montini, sono stati all’apice della cattolicità), ora si trova a Gallarate, dopo un periodo passato a Gerusalemme, nel centro “Aloisianum” dei gesuiti.
Qui è tenuto in cura. Il parkinson, infatti, è una malattia inesorabile, colpisce anche la parola (in questo c’è un destino comune con Papa Wojtila), ma riesce ancora, sia pure lentamente, a parlare. E questo rende prezioso i dialoghi con i suoi interlocutori.
Ora la casa editrice Einaudi ha pubblicato un agile libretto, Credere e conoscere è il titolo, che raccoglie i dialoghi con il senatore Ignazio Marino, medico di fama internazionale e senatore del PD (pagg. 84, € 10,00).
Pur nella sua brevità in questo libro, una ottantina di pagine, sono presenti i temi più scottanti, sulla frontiera dell’etica contemporanea, che interroga il cristiano di oggi: la bioetica, l’omosessualità, le coppie di fatto, il testamento biologico, la sessualità (“L’uso del profilattico può costituire in certe situazioni un male minore”, afferma il Cardinale).
Sono dialoghi tra due uomini di fede, pur nella differenza di stile e dell’esperienze, è questo testimonia ancora di più che quando il dialogo è fatto con laicità (ovvero senza pregiudizi) la ricerca di una parola vera sulla vita e sulla morte porta sempre grande arricchimento. Per questo i dialoghi sono interessanti. Scrive Marino: «l’ascolto attento e rispettoso delle riflessioni reciproche non significa un’adesione completa alle tesi dell’uno o dell’altro», anche se «abbiamo cercato di far leva su punti comuni».
Del resto lo stesso Cardinale Martini, quando ha istituito la “Cattedra dei non credenti”, amava ripetere spesso un pensiero, tratto dal grande laico Norberto Bobbio: “non chiedevo se credevano o non credevano, ma domandavo: siete pensanti o non pensanti? Se siete pensanti, venite liberamente. L’importante è che impariate a pensare, a inquietarvi. Se credenti della vostra fede (sarà veramente fondata?); se non credenti a inquietarvi della vostra non credenza”. Questo è l’approccio martiniano: essere pensanti. Non è razionalismo cartesiano. E’ esercizio di laicità. In questo tratto la Parola di Dio entra come Parola di inquietudine, di sommovimento, di approfondimento delle dinamiche umane. Per questo il cristianesimo non è moralismo.
I dialoghi ci offrono uno sguardo, finalmente, uno sguardo non banale sulla realtà. Ed anche l’auspicio, nel cinquantesimo anniversario del Concilio Vaticano II, che la Chiesa sia sempre aperta al soffio della modernità: “la storia insegna come la chiusura aprioristica della Chiesa, e delle religioni in genere, di fronte agli inevitabili cambiamenti legati al progresso della scienza e della tecnica non sia mai stata di grande utilità. Galileo Galilei docet”.
Se il clero cattolico fosse formato da uomini come Carlo Maria Martini, oggi avremmo un cattolicesimo “zelante” e permeato da una fede genuina, anzichè vedere un mondo parrocchiale sterile in quanto a fede, e “spirituaalmente” morto a causa di quell’idolatria (culto mariano e ai santi) che contrasta i precetti di Dio (Lettera a Tito 1,10-11).
Il mondo – e l’Italia specialmente – non ha bisogno di vie crucis e di incenso…., ma ha bisogno di conoscere il Cristo risorto del vangelo che sta per tornare (Zaccaria 14,4 – Atti 1,11) per instaurare il suo Regno!