Le parole della ‘Ndrangheta : i “comandamenti” del male

Un libro forte questo scritto da Nicola Gratteri, valoroso magistrato antimafia impegnato da sempre nella lotta contro la n’drangheta, e Antonio Nicaso, uno dei che massimi conoscitori del fenomeno mafioso della n’drangheta (il titolo è emblematico: Dire e non dire,  Ed. Mondadori, Milano 2012, pagg. 210. €17,50).

Sono uomini, Gratteri e Nicaso, che conoscono in profondità quella “multinazionale” del crimine organizzato, con ramificazioni mondiali (dalla Germania al Canada), che è l ‘N’drangheta calabrese. Sulla base di una vasta mole di fonti documentari (intercettazioni, pizzini dei boss, atti giudiziari, sentenze) gli autori ricostruiscono l’universo “interno” della mafia calabrese.

Ed ecco che attraverso le parole dei boss, degli affiliati, degli “insospettabili”, esce un vero e proprio decalogo (i “comandamenti”) del male assoluto (simile ad altre organizzazione criminali come la mafia e la camorra).

Questa “multinazionale” criminale che fa affari miliardari nel mondo, con la droga, l’edilizia, l’agricoltura, i ristoranti, ecc, che gode di protezioni di insospettabili, di contiguità con la politica (gli ultimi avvenimenti in terra lombarda, ed anche nell’ambiente  dei lumbard leghisti, ne hanno dimostrato l’alto tasso di penetrazione), ha rituali arcaici, miti e parole che rafforzano il legame tra gli aderenti.

Tutta l’”ideologia” dell’onore viene smascherata in questo libro, gli autori smontano pezzo dopo pezzo il “castello dell’orrore” n’dranghetista. Fatto di omicidi efferati, estorsioni, crudeltà nei rapporti tra i mafiosi. Ma c’è anche l’uso strumentale e demoniaco della religione (i riti di affiliazione richiamano, storpiandoli e invertendo i valori, quelli degli ordini religiosi e delle confraternite). Un mix, questo, di superstizione  e di ignoranza.  Così l’ndrangheta ha i  suoi “santuari” dove si svolgono i “riti” e dove si consumano le vendette (diversi sacerdoti sono state vittime dei mafiosi per essersi opposti al crimine).

Ed ecco allora che si può leggere, nel libro, i codici della picciotteria: “non si sgarra e non si scampana”, “chi tradisce brucerà come un santino”, la “famiglia è sacra e inviolabile” , “cumandari è megghiu chi futtiri”, “a tavola  tutto si divide e tutto si discute”, “senza soldi non si cantano messe”, “Cu campa campa, cu mori mori”, “Tutto passa, anche il carcere”, “E’ sempre stato così e sarà così per sempre”.

Così in questo decalogo dell’orrore l’ndrangheta, questa organizzazione spietata che un boss definisce come “la più bella cosa perché ha le più belle regole”, trova la sua “forza” nei suoi legami arcaici con la Calabria, o meglio una certa Calabria: “la forza è là, la mamma è là”. Così anche a migliaia di chilometri di distanza si riproducono le stesse modalità organizzative del crimine in Calabria.

“La pratica della violenza resta la regola nella conquista di denaro e potere. I mafiosi nascondono il loro credo criminale e la ferocia dei loro comportamenti dietro espressioni e gesti in apparenza, normali, persino insignificanti nella loro sgrammaticata sintassi. Spesso non si riesce a leggerne la pericolosità. Ogni parola, ogni gesto va a completare il lessico criminale, il “dire e non dire” di chi ha scelto di vivere seguendo un proprio sistema di regole alternative a quelle dello Stato”. E questo, lo ripetiamo, è il grande merito del libro: rompere la falsa retorica dell’”onore” e della cultura omertosa dove campano gli squali della ‘ndrangheta.

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