American dream. Così Marchionne ha salvato la Chrysler e ucciso la Fiat

SeriesBAW06Missione compiuta. Marchionne “l’infallibile” è riuscito nell’impresa disperata di salvare la Fiat. A quale prezzo? La più grande industria italiana è destinata a diventare parte di una multinazionale che sarà quotata a New York, che avrà sede ad Amsterdam e che pagherà le tasse a Londra. Una fuga dall’Italia dopo anni in cui lo Stato, cioè i contribuenti, ha foraggiato l’azienda per miliardi di euro via rottamazioni, sussidi indiscriminati, fondi pubblici alla ricerca e allo sviluppo, cassa integrazione…

Marco Cobianchi, con questo libro in uscita, nei prossimi giorni, per Chiarelettere (American dream. Così Marchionne ha salvato la Chrysler e ucciso la Fiat, pagg. 160, € 13,00) alza il sipario sui dieci anni dell’era Marchionne appena compiuti. Mette in fila i fatti: le promesse e le bugie, il carosello dei piani industriali (ben otto in nove anni, e mai realizzati), i bilanci e un debito considerato “spazzatura” dalle agenzie di rating, la trasformazione della Fiat in una finanziaria, i flop internazionali (Cina, Russia, India).
I numeri non lasciano scampo. Gli stabilimenti italiani divorano gli introiti di quelli d’oltreoceano e per questo sono a rischio chiusura nonostante tutti dicano che no, non è il caso di preoccuparsi. La casa di Marchionne a Detroit è l’ultimo atto di una lunga liaison internazionale. Il sogno americano è diventato realtà. Era proprio destino?

 

L’autore è giornalista di “Panorama” e da sempre si occupa di economia. Per Rai 2 nel 2012 ha ideato e condotto “Num3r1”, la prima trasmissione di informazione economica basata sul data journalism. Ha collaborato al libro collettivo BIDONE.COM (Fazi Editore 2001) scrivendo i capitoli riguardanti la nascita e il crollo delle società internet italiane. È autore di BLUFF, PERCHÉ GLI ECONOMISTI NON HANNO PREVISTO LA CRISI E CONTINUANO A NON CAPIRCI NIENTE (Orme Editore 2009). Per Chiarelettere ha pubblicato MANI BUCATE (2011) e l’ebook NATI CORROTTI (2012).

Pubblichiamo per gentile concessione dell’Editore un breve estratto:

Questo libro

Il 1° giugno 2004 Sergio Marchionne diventa amministratore delegato della Fiat e si assume tre impegni: non vendere, non nazionalizzare, non far fallire la casa automobilistica simbolo della storia industriale italiana. In cambio niente soldi, niente interferenze, niente critiche dagli Agnelli.
Missione compiuta: la Fiat non è stata liquidata per due lire come qualcuno puntava a fare, non è stata nazionalizzata come qualcun altro avrebbe voluto e non è fallita. Da parte sua, per dieci anni, la famiglia non ha tirato fuori un soldo, non ha posto alcun veto alle decisioni del suo leader e non ha mai fatto sentire nemmeno una flebile voce dissonante da quella dell’uomo al quale ha consegnato il proprio destino.
Sergio Marchionne è riuscito in un’impresa che sembrava disperata: ha fatto sopravvivere una piccola casa automobilistica, in perdita e con azionisti poveri ma disposti a tutto pur di mantenerne il controllo, a una crisi economica devastante, in un’area, quella europea, ipercompetitiva e in un paese, l’Italia, strutturalmente avverso all’iniziativa privata. Per questo oggi è circondato da un’aura di infallibilità certificata dall’acquisto della Chrysler, con la quale la Fiat è destinata a fondersi diventando parte di una multinazionale che sarà quotata a New York, avrà sede ad Amsterdam e pagherà le tasse a Londra.
Ma questa fusione non sarà indolore per l’Italia, e per capire il perché bisogna guardarsi indietro e leggere con occhi disincantati questo ultimo decennio di gestione Marchionne. Nel 2004 la Fabbrica italiana automobili Torino non era affatto fallita e se ha risalito la china è stato soprattutto grazie a cinque anni ininterrotti di rottamazioni, a sussidi ottenuti in tutte le parti del mondo, ad aiuti di Stato a favore di ricerca e sviluppo, alla cassa integrazione e addirittura a operazioni immobiliari. Oggi la Fiat non è messa molto meglio di quando Marchionne è arrivato. Il suo miracolo non è stato quello di guarirla ma, al massimo, quello di tenerla in vita. È stato un grande illusionista: mentre intratteneva il pubblico con ben otto piani industriali in nove anni, i cui impegni sono stati onorati per metà, nessuno si accorgeva che i suoi tentativi di entrare nei più grandi mercati automobilistici del mondo, Cina, Russia e India, fallivano spesso in modo umiliante.
Nonostante le sconfitte, però, Marchionne dettava allo Stato un menù di richieste che, se non fossero state soddisfatte, avrebbero fatto ricadere sul pubblico la responsabilità della chiusura delle fabbriche italiane. Il tutto mentre investiva nel prodotto automobilistico un terzo rispetto alla Volkswagen, la migliore casa automobilistica europea.
Certo, gli obiettivi che si era dato dieci anni fa li ha raggiunti. Ma se è vero che la Fiat non è stata venduta è altrettanto vero che la Chrysler non è stata comprata, perché i soldi per «costruire un insieme», come ha detto lo stesso Marchionne, li ha messi la Casa bianca. Perché Chrysler, nel 2013, ha guadagnato 1,9 miliardi di euro e Fiat ne ha persi 911 milioni. Perché i 73.688 dipendenti americani lavorano per pagare lo stipendio ai 62.108 colleghi italiani. E soprattutto perché la Fiat, che ha comprato la Chrysler, è diventata americana mentre la Chrysler, che è stata comprata dalla Fiat, non diventerà mai italiana.
Marchionne è l’alfa e l’omega della società, dunque per conoscere la «vera» Fiat occorre conoscere il «vero» Marchionne, la cui caratteristica principale è quella di intendere la competizione come un modus vivendi e non come una strategia. Vuole vincere a ogni costo, sia che giochi a poker sia che progetti la conquista della Chrysler, sempre rispettando le regole, certo, anche se, come lui stesso ha detto, «il mercato non conosce il concetto di etica». È un accentratore, convinto che «in una grande azienda chi comanda è solo.
La responsabilità condivisa non esiste», ed è per questo che in pochi mesi, dopo essere stato nominato amministratore delegato della holding, è diventato capo del personale, capo della finanza, responsabile di Fiat Auto, di Fiat Industrial e di tutte le maggiori controllate. Nel suo ruolo non ha avuto mai nessun contrappeso né interno né esterno o, come dice lui, «né sopra né sotto». È un motivatore eccezionale e forse per questo, per un decennio, ha riempito l’Italia di promesse. Se le avesse mantenute, oggi Fiat-Chrysler avrebbe un portafoglio prodotti imparagonabile a quello di qualsiasi altra casa automobilistica del pianeta.
È tutto scritto in questo libro, che racconta una storia inedita, mette da parte piaggerie e sorrisi di circostanza e guarda la realtà per com’è. Un lavoro lungo che è stato possibile grazie all’analisi dei bilanci e a continui colloqui con manager, sindacalisti, analisti, fornitori e clienti del gruppo torinese, secondo la maggior parte dei quali oggi la Fiat è, per l’Italia, un peso più che una risorsa. E per la conglomerata che formerà con la Chrysler, è un problema, non una soluzione. Lo dicono i fatti. Lo dicono i numeri. Lo dice la realtà, che urlerebbe, se potesse, per denunciare l’ignavia che ha circondato i destini dell’impresa che più di ogni altra ha incarnato l’innovazione industriale del paese.
Oggi i giochi sono fatti. Dobbiamo prendere atto degli errori compiuti (da tutti, nessuno escluso) e immaginare un futuro industriale nel quale i trucchetti per coprire la crisi delle
vendite non sono più ammessi. Ora la parola spetta all’Italia, che deve dare una risposta moderna alle scelte sbagliate del passato. Scelte sbagliate compiute, certamente, anche da Marchionne, il cosmopolita malato di lavoro che si sente profondamente italiano ma al quale il nostro paese non piace perché poco americano o, peggio, perché poco tedesco. Ha ragione: in questi dieci anni l’Italia non è diventata come la Germania. Ma è vero anche che la Fiat non è diventata come la Volkswagen.

Commenti

  1. Che importa? In Europa abbiamo la Volkswagen (che bel nome) che potrà sempre riassorbire i nostri Lavoratori quando sarà il momento. E avremo auto imbattibili che respingeranno l’attacco di Marchionne & C.!

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