IL “PARTITO UNICO” DELLA FINANZA. INTERVISTA AD ANDREA BARANES

Andrea Baranes (www.emi.it)

Andrea Baranes (www.emi.it)

Quanto è forte il “partito unico” della Finanza? Quali le misure per contrastare il suo strapotere?
Ne parliamo con Andrea Baranes, Presidente della Fondazione Culturale Responsabilità Etica, della Rete Banca Etica. Una voce autenticamente fuori dal coro del “pensiero unico” di questi anni.

Baranes, siamo, ormai da troppi anni, immersi a livello mondiale nel “partito unico” della finanza. Nonostante la crisi che ha colpito il pianeta , questo “partito” è sempre più forte, tanto che un economista francese, Thomas Piketty, afferma che siamo come aI tempi di Marx in cui “l’economia è soffocata dal denaro”. Per lei siamo davvero a questo punto?

Per capire la forza del sistema finanziario, basta vedere cosa è successo negli ultimi anni. Nel 2007 la finanza privata provoca una crisi senza precedenti nella storia recente, e solo giganteschi piani di salvataggio pubblici evitano un completo collasso. Salvataggi che arrivano senza nessuna condizione: un assegno in bianco da migliaia di miliardi di dollari e di euro.
Oggi però è la stessa finanza pubblica, in difficoltà proprio a causa degli impatti della crisi, a essere sotto accusa mentre quella privata è ripartita come e peggio di prima. Nelle parole di Luciano Gallino, “Il paradosso è che la crisi, fino all’inizio del 2010, è stata una crisi delle banche. Poi è iniziata una straordinaria operazione di marketing: si è fatta passare l’idea che il problema fossero i debiti pubblici degli stati”. Al culmine del paradosso, oggi siamo costretti ad accettare i piani di austerità perché dobbiamo “restituire fiducia ai mercati”. La finanza privata che ha provocato la crisi detta le regole e impone sacrifici a Stati e cittadini che l’hanno subita. L’obiettivo dei governi non è il benessere delle persone, ma tenere sotto controllo lo spread. E’ in questo incredibile rapporto di forze tra finanza e politica che si può parlare di un “partito unico della finanza”.

Tra le conseguenze di questo predominio c’è la crescita a livello planetario della diseguaglianza. Quanto è cresciuta la diseguaglianza in questi anni nell’Occidente?

La disuguaglianza è cresciuta enormemente, almeno su due diversi piani. Uno è la differenza di reddito e ricchezza tra diverse fasce di popolazione. Tutte le statistiche confermano come, dal 2007 a oggi, tali differenze siano progressivamente aumentate, ovvero come il peso della crisi sia stato scaricato sui più poveri, mentre chi era in posizione di forza ha subito molto meno gli impatti, o addirittura ha guadagnato ulteriormente.
C’è però anche un’ulteriore disuguaglianza, forse ancora più preoccupante. Grazie all’assegno in bianco e alla continua liquidità immessa per tenere in piedi il sistema finanziario, questo è ripartito come se nulla fosse successo: gli indici di Borsa hanno superato i livelli pre-crisi, il mercato dei derivati segna nuovi record, i manager della City e di Wall Street si gratificano con bonus miliardari. L’aspetto peggiore non è nella pur inaccettabile ingiustizia sociale. L’economia reale rimane al palo, mentre la finanza continua a crescere: questa è la definizione stessa di una nuova bolla finanziaria. Se tale bolla dovesse scoppiare, chi ne pagherà le conseguenze? Quali Stati potrebbero mettere in campo nuovi piani di salvataggio? E ci verranno a dire un’altra volta che dobbiamo accettare sacrifici e pagare il conto?

Quali sono i “protagonisti” assoluti di questo “partito unico” della Finanza?

I protagonisti sono relativamente pochi. Alcuni conglomerati bancari, grandi fondi pensione e di investimento, che detengono parti sempre più consistenti della ricchezza mondiale. Per fare solo un esempio, negli USA cinque banche controllano oltre il 90% dei derivati. In Europa la situazione non è molto diversa. Una questione su cui riflettere è che in buona parte i soldi che circolano negli ingranaggi della speculazione sono, in ultima analisi, i nostri. Quando apriamo un conto corrente, o affidiamo i nostri risparmi a un gestore finanziario, o ancora sottoscriviamo un’assicurazione o aderiamo a u fondo pensione, ci domandiamo che fine fanno i nostri soldi? Stanno finanziando l’economia “reale” o finiscono in attività speculative e rischiose? In altri termini, quanto oltre che vittime siamo complici inconsapevoli dell’attuale sistema?

Si dice che è la politica l’unica arma di contrasto al “partito unico”. A ben guardare, però, è evidente la debolezza della politica. Quali possono essere gli strumenti politici per ripristinare un “primato” del bene comune rispetto alla speculazione?

In questo momento, effettivamente la politica appare estremamente debole. La gran parte delle proposte e delle soluzioni per chiudere questo casinò finanziario sono note da anni, a volte da decenni. Il problema non è nella difficoltà tecnica di adottare alcune regole, è nella volontà politica. Dalla tassa sulle transazioni finanziarie alla separazione tra banche commerciali e banche di investimento, dal controllo dei derivati a una maggiore trasparenza su specifici strumenti e intermediari, sappiamo cosa andrebbe fatto. Uno dei problemi è anche nell’inaccettabile peso delle lobby finanziarie e nella mancanza di una “contro-lobby” da parte di cittadini e società civile su questi temi. Per questo occorre partire da una formazione e informazione del pubblico sulle questioni finanziarie, e da campagne di pressione per chiedere l’adozione di alcune regole in grado di riportare la finanza a essere uno strumento al servizio dell’economia e non un fine in sé stesso per fare soldi dai soldi.

L’Europa può costituire un antidoto al potere del “partito unico”?

L’Europa potrebbe e dovrebbe fare da capofila su molte delle questioni accennate in precedenza mentre fino a oggi l’attenzione si è concentrata su debito e finanza pubblica. Se solo una parte dell’impegno messo per imporre fiscal compact, sacrifici e austerità ai Paesi fosse stato impiegato per regolamentare il sistema finanziario responsabile della crisi, probabilmente oggi la situazione sarebbe nettamente migliore. Su molti punti, al contrario, l’UE è persino più indietro degli USA e rappresenta di fatto uno degli ultimi baluardi della deregolamentazione finanziaria. Pensiamo al tema della separazione tra banche commerciali e di investimento. L’Amministrazione Obama l’ha approvata recentemente. In Europa, malgrado dei rapporti commissionati dalle stesse istituzioni europee riconoscano come si tratti di una misura fondamentale per evitare il ripetere di disastri come quelli vissuti negli ultimi anni, si va ancora avanti con il freno a mano tirato. La speranza è che le istituzioni che si insedieranno dopo le elezioni di maggio siano in grado di invertire la rotta.

Quali possono essere gli strumenti finanziari per tentare una inversione di tendenza allo strapotere del “partito unico”? Vede dei segnali di cambiamento?

Qualche segnale c’è, alcune cose sono state fatte, ma è ancora troppo poco e soprattutto in materia di regolamentazione finanziaria si procede con una lentezza esasperante rispetto ai tempi con i quali l’ingegneria finanziaria è in grado di studiare sempre nuove soluzioni e stratagemmi per eludere le regole esistenti. Per cambiare rotta occorre agire secondo due direzioni. Una, per cosi dire “dall’alto” è quella accennata in precedenza: poche regole per chiudere una volta per tutte il casinò finanziario che ci ha trascinato nella crisi. Nello stesso momento occorre agire “dal basso”, con una riflessione sull’uso dei nostri soldi. Anche se i nostri risparmi sono una goccia nell’oceano della finanza, i depositi sui conti correnti e le somme affidate ad assicurazioni, gestori finanziari, fondi pensione e di investimento, da milioni e milioni di risparmiatori e clienti, alla fine costituiscono buona parte della benzina che alimenta la finanza e oggi le manovra speculative. Abbiamo il diritto e per molti versi il dovere di esigere una piena trasparenza sull’uso del nostro denaro e di pretendere che questo sia impiegato nell’economia reale, per la creazione di posti di lavoro e non per finalità che non solo non hanno alcuna utilità sociale, ma esasperano instabilità e volatilità.

Ultima domanda: Come sta andando l’esperienza di Banca Etica?

Banca Etica sta andando benissimo. E’ una banca “normale”, che realizza tutte le operazioni degli altri istituti di credito, ma con alcune particolarità fondamentali. Una tra tutte, è l’unica in Italia a pubblicare sul proprio sito l’elenco completo dei finanziamenti erogati alle persone giuridiche, con il dettaglio dell’importo, del nominativo e altre caratteristiche del prestito. Un modo per garantire la completa trasparenza sui finanziamenti, che vanno unicamente ad alcuni settori ben definiti e con ricadute positive sulla società e l’ambiente: dalla cooperazione internazionale alle energie rinnovabili, dal sociale alla cultura ad altre ancora. Anche grazie alla completa trasparenza, alla fiducia tra richiedente e banca e alla valutazione degli impatti non economici delle attività economiche, i risultati sono ottimi: una banca in crescita anche negli anni della crisi, e i cui progetti sostengono forme di “buona economia”. Non solo. Oggi le banche italiane hanno delle sofferenze (ovvero la percentuale dei prestiti erogati che non viene restituita) intorno all’8%. Banca Etica, pur prestando a soggetti considerati “più rischiosi” ha oggi un tasso di sofferenza del 2%. Non uguale o leggermente migliore, ma quattro volte più basso delle banche “tradizionali”. Una dimostrazione che, dopo 15 anni di esistenza di Banca Etica, la finanza etica non può più essere considerata una nicchia per persone sensibili e magari un po’ stravaganti. E’ un modello che funziona e che dimostra concretamente come la finanza, oggi uno se non il principale problema che dobbiamo affrontare, può e deve al contrario essere una parte della soluzione.

American dream. Così Marchionne ha salvato la Chrysler e ucciso la Fiat

SeriesBAW06Missione compiuta. Marchionne “l’infallibile” è riuscito nell’impresa disperata di salvare la Fiat. A quale prezzo? La più grande industria italiana è destinata a diventare parte di una multinazionale che sarà quotata a New York, che avrà sede ad Amsterdam e che pagherà le tasse a Londra. Una fuga dall’Italia dopo anni in cui lo Stato, cioè i contribuenti, ha foraggiato l’azienda per miliardi di euro via rottamazioni, sussidi indiscriminati, fondi pubblici alla ricerca e allo sviluppo, cassa integrazione…

Continua a leggere

A Lezione di Leadership da Steve Jobs

41VrggDnikL._SL160_A tre anni dalla sua scomparsa Steve Job, il geniale e bizzarro cofondatore della Apple, continua ad essere studiato, e adulato, nelle Business school statunitensi, e non solo, come una “sacra”  icona cui riferirsi per avere successo nel business e nell’innovazione tecnologica.  Un “mito” indiscusso per il “sogno” americano. Nella realtà, invece, la figura di Job si carica di non poche ombre. Tanto che l’autorevole “New York Time”, qualche giorno fa, si è domandato polemicamente “se Steve Jobs fosse ancora vivo, oggi dovrebbe stare in carcere?”.  La domanda si riferiva al ruolo di Jobs nella “costruzione” di cartelli contro la concorrenza nella “Silicon Valley” californiana (in particolare quello relativo alle assunzioni degli ingegneri, in modo da evitare che le aziende potessero assumere tecnici provenienti dai concorrenti ed evitare, così, aumenti di stipendi legati al mercato concorrenziale).  Sappiamo quanto per la cultura americana l’antitrust sia una cosa seria, e questo peccato non riguarda solo Jobs ma anche altri manager americani.

Certo, per qualche adulatore,  il “genio” di Jobs non poteva sottostare alle regole che valgono per altri “comuni” mortali.  Il “fenomeno” Jobs resta, comunque, uno dei casi più importanti di successo nella storia dell’imprenditoria tecnologica mondiale.

E così in questo libretto (Steve Jobs, Lezioni di Leadership, Mondadori, 2014, pagg. 103, € 12,00) , che sta avendo un buon successo nella classifica dei libri più letti, il maggior biografo di Steve Jobs, Walter Isaacson, che  attualmente è Amministratore Delegato dell’Aspen Institute, ci offre le “regole” (per quanto Jobs, in vita, sia stato poco incline alle regole) e i “segreti” del successo di Jobs e della sua creatura, la Apple.

E con la Apple Jobs è riuscito a creare prodotti rivoluzionari che hanno cambiato il modo di essere occidentale.

In questa storia certamente ha molto influito il carattere ruvido e bizzarro di Jobs,  uomo capace di grandissime sfuriate con i suoi sottoposti ma al tempo stesso di immensi silenzi (frutto del suo culto Zen).

In Jobs c’era un condensato della cultura californiana degli anni ’60 (quella della beat generation) , fatta di ribellione agli schemi (che poi si è riversata nella “sua” Apple con lo slogan “Think Different”: Ai folli. Ai piantagrane. A tutti coloro che vedono le cose in modo differente..), ma anche della cultura umanistica (il pensare agli ingegneri della sua azienda come “artisti”, con spiccato senso estetico, della tecnologia), insomma un mix non facilmente eguagliabile.

Ed ecco alcune delle 14  “regole” del successo di Jobs: Concentrati e semplifica (si perché “decidere quello che non si deve fare è non meno importante che decidere quello che si deve fare” e la “semplicità è la massima raffinatezza) , Diventa responsabile dell’intero processo, Quando sei indietro fai un passo in avanti, Pensa ai prodotti prima che ai profitti, Non essere schiavo dei Focus Group, Plasma la realtà, Lavora con i migliori e Punta alla perfezione (La “perfezione” ricercata anche nelle parti nascoste di un computer o iphone: “Voglio che ogni cosa sia più bella possibile, anche se nessuno la vedrà mai).

Ma la regola più importante per Jobs e per la sua creatura, la Apple, resta il famoso: “Stay hungry, stay foolish” (restate .affamati, restate folli).  Pur con i limiti della sua persona, e con le sue ipocrisie, Steve Jobs resta un genio indiscusso. “Perché solo coloro che sono da pensare di cambiare il mondo lo cambiano davvero”

Appello all’Europa per il Lavoro. Un documento della Gioc

In occasione della Festa del Primo Maggio, festa del Lavoro, il coordinamento europeo della GIOC (Gioventù Operaia Cristiana) ha diffuso un documento molto critico nei confronti sulla condizione lavorativa dei giovani europei.  Lo pubblichiamo integralmente.

Cos’è la Gioc?

La Jeunesse Ouvrière Chretienne (JOC) è nata in Belgio poco dopo la prima guerra mondiale dalla dolorosa constatazione che il lavoro e l’ambiente di lavoro non solo allontanavano migliaia di giovani lavoratori dalla Chiesa, ma ancor più li disumanizzavano, degradando la loro vita spirituale. Suo fondatore fu un prete, Joseph Cardijn (1882 – 1967).

Prima di lui molti avevano fatto la medesima constatazione e cercato rimedi. Le soluzioni però rimanevano nella linea della pastorale tradizionale del tempo centrata sulle opere per la gioventù come i patronati, le associazioni sportive, gli oratori. L’obiettivo principale di queste iniziative consisteva nel sottrarre i giovani per qualche ora la settimana al loro ambiente, per introdurli in un “bagno spirituale”. 
Il grande merito di Cardijn consiste nell’aver compreso che queste soluzioni erano inadeguate: invece di ritirare i giovani lavoratori dal loro ambiente, Cardijn li invierà in esso come apostoli incaricati di una missione umana e divina.

“Anche quest’anno, i movimenti GIOC si mobilizzano per celebrare il Primo maggio.

 

Abbiamo sempre in mente la lotta dei lavoratori di Chicago del 1886, per ottenere una giornata lavorativa di 8 ore, dalla quale è nata la festa del Primo Maggio.

Anche quest’anno, scendiamo in strada per difendere i nostri diritti, scendiamo in strada per dimostrare che un altro mondo è possibile.

Questo Primo Maggio, come movimenti GIOC dell’Europa abbiamo deciso di evidenziare situazioni che vanno contro la dignità dei giovani.

Denunciamo la situazione di disoccupazione giovanile in Spagna. Le ultime indagini sulla forza lavoro in Spagna, rivelano che il 55,1% dei giovani con meno di 25 anni, è disoccupato. Non sono solo statistiche a preoccupare, ma le reali tragedie vissute dietro i numeri: migliaia e migliaia di giovani che non possono raggiungere i propri obiettivi personali e costruire il proprio progetto di vita. Insieme ai dati sulla disoccupazione, vogliamo inoltre denunciare l’obbligo di lavorare a tempo determinato e occasionale, le tasse sempre più alte, l’aumento delle spese per l’istruzione, la diminuzione del numero di borse di studio, il numero di giovani che è costretto ad emigrare per trovare lavoro, e la scandalosa realtà di coloro che vengono in Spagna per trovare un lavoro e trovano le nostre porte chiuse.

 

Denunciamo le condizioni di vita dei giovani in Portogallo. Infatti, la percentuale di giovani disoccupati under 25 è del 36,1% e molti giovani vivono grazie ai proventi dei cosiddetti “lavoretti”.

 

Alcuni sono disoccupati, altri si trovano forzati a intraprendere una formazione che non è appropriata e che serve solo a far diminuire i numeri relativi alla disoccupazione. Inoltre, denunciamo le precarie condizioni di lavoro di molti giovani che sono “falsi dipendenti” e non possono accedere alla protezione sociale. Questo, insieme alla mancanza di opportunità lavorative, obbliga migliaia di giovani ad emigrare in altri paesi.

Denunciamo la moltitudine di contratti che esistono in Italia e il lavoro nero che ne è spesso conseguenza. In Italia infatti ci sono 3 milioni di persone che non hanno un contratto di lavoro, tra i quali i giovani rappresentano una larga percentuale; non solo questo è illegale, ma non garantisce protezione. Chiediamo che il Governo semplifichi il numero elevato di contratti (46 in totale) e informi i giovani rispetto alle conseguenze del mercato nero e del lavoro non dichiarato.

 

Riaffermiamo inoltre che tutti i lavori, indipendentemente dalla tipologia e dal salario, hanno lo stesso valore e possono permettere a ciascun giovane di vivere con dignità. Crediamo che prima venga la persona, e solo dopo il lavoro. I movimenti europei supportano anche la posizione della GIOC dell’Inghilterra e del Galles, in merito a questo problema.

In Ungheria, i giovani faticano a trovare un lavoro che sia connesso alla propria formazione e che permetta loro di pianificare il proprio futuro. Molti giovani perdono la speranza e vedono come unica soluzione quella dell’emigrazione. La GIOC dell’Ungheria vuole far capire ai giovani che questa non è l’unica risposta al problema.

 

Non siamo d’accordo con il collegamento che esiste a Malta tra educazione e disoccupazione. I giovani, specialmente le ragazze, non possono trovare lavoro inerente al proprio percorso di studi e alle proprie competenze. Così si ritrovano disoccupati o con lavori non inerenti a quanto studiato. La sola alternativa rimane l’emigrazione.

 

La GIOC della Francia non è d’accordo con il sistemico utilizzo dei contratti precari e temporanei. Oggi, il 52% dei giovani sono disoccupati, nelle aree urbane più svantaggiate. Situazioni come queste impediscono di fare piani a lungo termine e di costruire un futuro stabile.

 

Cosa vogliamo dall’Europa:

 

Noi, come movimenti GIOC d’Europa, non siamo d’accordo con le situazioni che vivono i giovani lavoratori a causa del sistema che preferisce il “fare profitti” piuttosto che dare possibilità ai giovani di pianificare il proprio futuro.

Come dice Papa Francesco «La dignità di ogni persona umana e il bene comune sono questioni che dovrebbero strutturare tutta la politica economica, ma a volte sembrano appendici aggiunte dall’esterno per completare un discorso politico senza prospettive né programmi di vero sviluppo integrale.» EG 203

Noi, come movimenti GIOC d’Europa, vogliamo costruire un’Europa per uomini, donne, giovani, e non per il denaro. Papa Francesco ci ricorda sempre: dobbiamo mettere l’uomo al centro e considerare l’umanità come una risorsa, non come un profitto. Nella sua esortazione, ha detto: «Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”. Questa economia uccide.»EG 53 Vogliamo ribadire che la gioventù è una risorsa per l’Europa e un rischio!

 

Noi, come movimenti GIOC d’Europa, vogliamo costruire un’Europa con maggiore equità, nella quale i lavoratori non siano solo considerati consumatori.

 

Vogliamo un’Europa che sia una comunità. Vogliamo che si sviluppi la cooperazione tra paesi e non la competizione.

Vogliamo un’Europa nella quale i lavoratori, indipendentemente dalla tipologia del proprio impiego, siano considerati nello stesso modo, garantendo loro la dignità. Non vogliamo che il lavoro imprenditoriale sia la sola alternativa.

Vogliamo un’Europa sostenibile, nella quale si possa trovare lavoro. Vogliamo costruire un’unione di persone che tenga conto delle differenze culturali. Affermiamo che la condivisione delle nostre culture è una ricchezza e non una minaccia.

Vogliamo un’Europa che garantisca le stesse opportunità a tutti i suoi giovani.

Oggi stiamo sperimentando la competizione tra i giovani, ma vogliamo invece cooperazione tra i paesi europei. Vogliamo costruire un’Europa unita. Sfortunatamente, la sola risposta dell’Unione Europea è quella di sviluppare contratti speciali per i giovani.

Vogliamo una gioventù europea solidale, che abbia un posto reale nel processo decisionale. Vogliamo che la nostra voce sia ascoltata e presa in considerazione. Vogliamo che ogni giovane possa vivere con dignità in Europa. Vogliamo dare a tutti i mezzi per essere coinvolti nella costruzione dell’Europa. E’ importante per noi dare la possibilità ai giovani della classe operaia di conoscere maggiormente l’Europa, e di avere mezzi per intraprendere azioni.

 

Ci auguriamo che quanti sono impegnati nella creazione di politiche nazionali ed europee, pensino ai benefici dei giovani. Come il Papa Francesco dice nella sua esortazione: «Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri! È indispensabile che i governanti e il potere finanziario alzino lo sguardo e amplino le loro prospettive, che facciano in modo che ci sia un lavoro degno, istruzione e assistenza sanitaria per tutti i cittadini.»EG 205
I movimenti GIOC in Europa si alzeranno e agiranno per questo. Questo schema guiderà il nostro voto il 25 Maggio 2014.”

 

Dal sito: ( http://www.gioc.org/gioc/news/39-messaggio-dai-movimenti-gioc-dell-europa-per-il-primo-maggio-2014 )