Confessioni di un trafficante di uomini. Un libro di Chiarelettere.

SeriesBAW08ALTAnche oggi nel Canale di Sicilia si è consumata l’ennesima tragedia . Trenta poveri immigrati hanno perso la vita, il rosario interminabile dei morti continua. L’impotenza dell’Europa è un macabro scaricabarile. Dietro alle decine di migliaia di migranti che ogni anno arrivano in Europa c’è un’industria fatta di grandi professionisti del crimine, gente in doppiopetto, uomini d’affari il cui fatturato mondiale è secondo solo a quello della droga. Un libro, uscito per i tipi di Chiarelettere, scritto da Andrea De Nicola e Giampaolo Musumeci squarcia il velo criminale di questo traffico immondo.

Nel libro, infatti, per la prima volta parlano gli uomini che controllano il traffico dei migranti. Un sistema criminale che gli autori di questo libro hanno potuto raccontare dopo aver percorso le principali vie dell’immigrazione clandestina, dall’Europa dell’Est fino ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Ecco cosa si muove dietro la massa di disperati che riempiono le pagine dei giornali. Una montagna di soldi, un network flessibile e refrattario alle più sofisticate investigazioni. La testimonianza dei protagonisti conduce dentro un mondo parallelo che nessuno conosce. Ora finalmente possiamo vedere in presa diretta la più spietata agenzia di viaggi del pianeta.

Per gentile concessione dell’Editore pubblichiamo un estratto del volume:

Marina di Turgutreis, distretto di Bodrum, Turchia meridionale.
Sono le 9.30 del mattino di un giorno di maggio del
2010. Al numero 26 di Gazi Mustafa Kemal Bulvarı c’è la
sede della Argolis Yacht Ltd, una società di gestione e affitto
natanti a vela e a motore. Le carte del Bavaria 42 Cruiser
– un monoalbero di tredici metri battente bandiera greca
ormeggiato al molo poco distante – attendono sulla scrivania.
Un uomo sulla quarantina, il viso abbronzato e un po’
segnato, le braccia forti e la stretta di mano vigorosa, si presenta
in agenzia con il passaporto e la patente nautica per
concludere il contratto. È uno skipper. Si chiama Giorgi Dvali,
di nazionalità georgiana. È nato a Poti e da anni lavora con i
turisti sulla costa turca. Organizza crociere nel Mediterraneo.
Data la loro lunga tradizione marinara, i georgiani, insieme
con gli ucraini, sono velisti assai apprezzati. I porti che
affacciano sul Mar Nero hanno cresciuto, nei secoli, esperti
navigatori. Dvali riferisce all’impiegata che i suoi prossimi
clienti sono una famiglia di americani di Seattle: una coppia
con due figli adolescenti che vuole passare un paio di settimane
tra le coste turche e le isole greche. Vogliono godersi la
mavi yolculuk, la «crociera blu», come la chiamano i pescatori
locali. Per un uomo di mare come lui è una rotta usuale di
rara bellezza, sicura attrattiva per tanti turisti.
Dvali paga in contanti quanto dovuto per l’affitto e l’assicurazione.
Poco dopo è già sul molo e osserva la barca.
Al suo fianco, i tradizionali caicchi turchi, costruiti nelle
marine di Bodrum e Marmaris, e yacht a vela di quindiciventi
metri. Andirivieni di skipper, turisti inglesi e tedeschi,
qualche greco: sul molo una babele di lingue diverse. Dvali
si guarda intorno, poi ispeziona lo scafo, quindi sale, va
sottocoperta e controlla che sia tutto in ordine. Tre cabine
attrezzate, sei posti letto in tutto, una capiente cambusa e
due bagni. Gli interni sono eleganti, ricchi di boiserie. La
barca ha non più di cinque anni; è seminuova. Sul mercato
dell’usato costerebbe intorno ai 120-130.000 euro. L’indomani,
alle prime luci dell’alba, si salpa.
Dvali decide di impostare fin da subito la rotta sul navigatore
Gps per verificarne il funzionamento: 40.1479 gradi
di latitudine, 17.972 di longitudine. Yacht come il Bavaria
42, da aprile a settembre, fra la Turchia e le isole greche e
poi fino al litorale italiano, tra Corfù e Vieste, tra Creta e
la Calabria, tra Adalia e Santa Maria di Leuca, ce ne sono a
centinaia. Lunghe crociere, lontane dalle spiagge affollate.
Turismo per pochi eletti. Sei giorni dopo, nelle prime ore
del mattino, l’imbarcazione è al largo di Porto Selvaggio,
provincia di Lecce. Sta navigando a motore e fende le onde
a circa sette nodi. La terra è a sole dieci miglia. Il guardacoste
della finanza affianca lo scafo: è un controllo ordinario,
uno dei tanti. Il libretto di navigazione è in ordine, Dvali
sembra un professionista del mare. I finanzieri salgono
a bordo. L’uomo a quel punto tradisce nervosismo. Alla
richiesta di notizie sulle persone a bordo, Dvali risponde
che sta accompagnando una famiglia americana in vacanza
nel Mediterraneo. Ora stanno dormendo, non vorrebbe
disturbarli. Il suo inglese non è stentato, eppure balbetta.
A insospettire le forze dell’ordine è soprattutto il suo sguardo, che corre più volte verso la porta chiusa della cabina. I finanzieri decidono di fare un controllo più approfondito.
Sottocoperta non c’è la famiglia americana appassionata
di vela. Non c’è la coppia con i figli adolescenti. Quando
gli uomini in divisa infilano il naso all’interno, accolti da
una zaffata di acido e puzzo di sudore, trovano quaranta
uomini afgani dai sedici ai trentadue anni. Tutti della provincia
di Herat. I loro sguardi sono smarriti, molti hanno il
mal di mare. Sono passati dalla Turchia: prima Istanbul, la
centrale di smistamento del traffico di uomini provenienti
da mezzo mondo, poi Smirne, da lì fino a Bodrum, dove
hanno incontrato Dvali. Mollati gli ormeggi, facile rotta
verso l’Italia, ultima destinazione le coste pugliesi.
Giorgi Dvali in realtà non si chiama così. Il suo vero
nome è un altro, ma i magistrati che hanno indagato sulla
vicenda e che ce la raccontano preferiscono non rivelarlo. È
uno scafista. Astuto e capace, utilizza l’ultimo stratagemma
per superare le barriere del Vecchio continente aggirando la
polizia internazionale che contrasta l’immigrazione clandestina.
Il suo è l’ultimo, formidabile chiavistello per violare
la «fortezza europea». Un trucco recente, che ha preso piede
non solo nel Mediterraneo ma anche nel Canale della
Manica. Gli yacht di lusso, a vela e a motore, non attirano
l’attenzione delle forze dell’ordine. I migranti possono essere
nascosti sottocoperta, invisibili dall’alto quando un aereo
o un elicottero sorvola i mari. L’unico segnale esterno, il
tallone di Achille, è il notevole abbassamento della linea di
galleggiamento di barche che, nate per portare al massimo
dieci persone, arrivano a contenerne quattro o cinque volte
di più.

Chi sono gli autori:

Andrea Di Nicola insegna Criminologia all’Università di Trento. Da anni conduce ricerche sulle migrazioni clandestine organizzate e sulla tratta di persone a scopo di sfruttamento.
Giampaolo Musumeci, giornalista, fotografo e videoreporter, si occupa di conflitti, immigrazione e questioni africane per radio, tv e giornali italiani e internazionali.

Il Libro:

Andrea Di Nicola e Giampaolo Musumeci, Confessioni di un trafficante di uomini, Ed.Chiarelettere, Milano 2014, pagg. 176, €12,00

L’avvocato del diavolo. I segreti di Berlusconi e di Forza Italia

SeriesBAW08ALTScrive l’autore : “Vent’anni dopo: è il titolo di un vecchio film e potrebbe esserlo anche di questo libro. Inizia infatti nel marzo del 1994 l’avventura politica di Silvio Berlusconi, e per un tratto di quel percorso sono stato al suo fianco. Nonostante sia finita male, quella mia esperienza piuttosto tormentata è rimasta dentro di me, e mi accompagna discretamente nei miei pensieri, nei miei giudizi, nella mia vita quotidiana. E’ per questo che, al compimento del ventesimo anno dal suo festante inizio, e stemperate nel tempo le sue asprezze, ho voluto con questo libro fissare il ricordo di quella breve stagione, e insieme il ricordo dell’intero mio rapporto con Silvio Berlusconi, di cui sono stato l’avvocato e uno degli amici piu assidui da ben prima della “discesa in campo”. Il mio non è quindi un libro “politico”, ma un libro su un rapporto umano, quello fra me e Silvio, durato oltre sedici anni e snodatosi in una miriade di situazioni, occasioni, eventi, non solo professionali, di cui, nella maggior parte dei casi, grazie forse al filtro del tempo, mi è grato il ricordo, pur non essendo affatto indulgente il mio giudizio sulla parabola politica (non ancora compiuta) di Silvio Berlusconi”.

Vittorio Dotti di Berlusconi conosce tutto: i segreti professionali, il carattere, le passioni, le debolezze. Lo ha visto in famiglia, forte e positivo sul lavoro, fantasioso e incontenibile in politica, ma anche fragile e impaurito di fronte ai ricatti dei faccendieri che lo hanno da sempre circondato, e docile preda di adulatori e carrieristi di ogni specie.

Ora, per la prima volta in questo libro pubblicato da “Chiarelettere”,  Dotti, suo avvocato e stretto collaboratore, lo racconta ricostruendo un pezzo fondamentale della sua storia: dal 1980 al 1996, l’anno delle dimissioni di Dotti da capogruppo di Forza Italia alla Camera e della fine dei loro rapporti. Dalla Milano da bere di Craxi e Pillitteri alla fine della Prima repubblica e l’inizio della nuova. Un cambiamento epocale.

Dalle acquisizioni della Standa e Mediolanum a quella clamorosa del Milan (dopo averci provato con l’Inter), al boom televisivo del Biscione con la felice espansione in Spagna e gli insuccessi in Francia e in Germania e l’avventurosa e impensabile esportazione della pubblicità tv in Russia negli anni della Perestrojka. Un mix sbalorditivo di audacia e spregiudicatezza come dimostra il caso Ariosto, quando il teste “Omega” squarcia il velo sugli scandali finanziari di Berlusconi e le tangenti pagate da Previti per il controllo della Mondadori (di qui la rottura tra Dotti e Berlusconi).

Attraverso aneddoti, ricordi, rivelazioni, ecco i particolari di questo incredibile, grottesco e italianissimo copione teatrale che a poco a poco ha costretto personaggi come Dotti a un progressivo allontanamento. Hanno vinto i falchi, non c’è posto, qui da noi, per un liberalismo democratico, onesto e socialmente responsabile. Questo libro lo dimostra. Insomma un “documento” importante per entrare più in profondità nel “modus vivendi” del berlusconismo.

Chi sono gli autori?

Vittorio Dotti è stato per sedici anni il legale di Silvio Berlusconi e della Fininvest. Ha curato le più importanti acquisizioni del gruppo: Standa, Milan, Mediolanum. Ha seguito la nascita del polo televisivo nazionale ed estero del Cavaliere, il caso Sme e la guerra di Segrate per il controllo della Mondadori. Eletto al parlamento nel 1994, ha ricoperto le cariche di vicepresidente della Camera dei deputati e di capogruppo di Forza Italia.

Andrea Sceresini è giornalista e autore di libri d’inchiesta. Tra gli altri, PIAZZA FONTANA. NOI SAPEVAMO e la biografia non autorizzata su Flavio Briatore, IL SIGNOR BILLIONAIRE, entrambi pubblicati da Aliberti. Ha realizzato inoltre numerosi documentari per le reti Rai. Collabora con “La Stampa”, Repubblica.it, “l’Espresso”, “Oggi” e “il Fatto Quotidiano”.

Vittorio Dotti (con la collaborazione di Andrea Sceresini), L’avvocato del diavolo. I segreti di Berlusconi e di Forza Italia, Ed. Chiarelettere, Milano 2014, pagg. 240, € 14,60.

Riforme: Grillo-Renzi, un dialogo “impossibile”? Intervista a Stefano Ceccanti

UnknownQuali prospettive dell’apertura di Grillo a Renzi sulla legge elettorale? Ne parliamo con il professor Stefano Ceccanti, Ordinario di Diritto Costituzionale all’Università “La Sapienza di Roma”.

Professore, indubbiamente l’apertura di Grillo sulla legge elettorale fa ripartire il confronto politico. Lei però, in una intervista si è detto non molto ottimista sul sviluppo del dialogo, anzi quasi prospetta il rischio di un dialogo tra sordi. Perché?

Il dialogo sulle regole fa sempre bene a tutti, però il dialogo non è irenismo. Qui è evidente che almeno in partenza gli obiettivi sono opposti: Renzi e il centrodestra puntano a un sistema in cui, come nei comuni, alla ine gli elettori scelgano anche e soprattutto maggioranza e Governo. Il sistema deve quindi condurre a superare la suddivisione dell’elettorato in tre schieramenti maggiori per farne governare uno. I Cinque Stelle all’opposto, soprattutto ora che disperano di arrivare tra i primi due, vogliono un sistema che colpisca i piccoli ma che fotografi la forza dei primi tre oltre a quella delle minoranze concentrate come la Lega. In questo modo spingerebbero Pd e Pdl a una grande coalizione obbligata e quindi crescerebbero avendo il monopolio dell’opposizione. O cambiano questo obiettivo oppure il dialogo finisce subito perché le impostazioni sono opposte

Cosa non le piace del “Democratellum”? Non vede spunti positivi nella proposta dei “5 Stelle”? La Lega giudica questa proposta come ottima…

Si tratta di un sistema elettorale che, viste le condizionidi partenza non modificabili a breve del sistema dei partiti, tripolarizza portando a una Grande coalizione obbligata e contronatura. Quindi da bocciare. Qel sistema potrebbe avere effetti benefici solo le forze nettamente dominanti sul piano nazionale fossero già due, ma così non è. Insomma nel contesto dato sottorappresentiamo i piccoli per avere la governabilità, ma questo sacrificio dei piccoli non produce il bene della legittimazione diretta dei Governi.

Sull’Italicum, però, vi sono punti da correggere. Cosa dovrebbe correggere Renzi per arrivare ad una buona “mediazione”?

Alzare la soglia per il secondo turno al 40% in modo da dare una maggiore legittimazione a chi prende il premio e allineare tutti gli sbarramenti al 4%, sia dentro sia fuori le coalizioni e, se possibile, ridurre ulteriormente la dimensione dei collegi, avvicinandosi il più possibile agli uninominali.

Non bisogna dimenticare, però, il ruolo di Berlusconi. Per Renzi, secondo lei, deve essere ancora l’interlocutore indispensabile?

L’interlocutore si seleziona sulla base della comunanza degli obiettivi. E’ interlocutore chi persegue l’intento della democrazia governante e non lo è chi vuole invece impaludarci ancora nei poteri di veto.

Ultima domanda: qual è l’obiettivo politico di Grillo con questa apertura?

Avere il monopolio dell’opposizione futura oltre a bilanciare verso Renzi l’apertura fatta nei confronti di Farage. Poi, per carità, se cambia obiettivi e converge verso forme di democrazia governante, meglio per tutti.

L’Italia si cambia con la Politica 2.0. Un libro di Alessandro Rimassa

UnknownParlare di futuro, di progetto, di metodo, di “parole chiave”, di “visione”, di “cittadini attivi”, di “cocreazione”, di generazione sharing, in questo momento in Italia, con gli enormi problemi che assillano gli  italiani, è sicuramente un atto di grande coraggio morale e intellettuale rispetto all’Italia cialtrona che in questi giorni stiamo conoscendo attraverso le cronache sugli scandali di corruzione sull’Expo e sul Mose di Venezia.

Il libro di Alessandro Rimassa (che è direttore della Scuola di Comunicazione e Management di IED – Istituto Europeo di Design), che qui presentiamo, dal titolo, un poco provocatorio,E’ facile cambiare l’Italia, se sai come farlo” (Ed. Hoelpi, Milano 2014, pagg. 152, € 14, 90), fornisce tanti spunti per chi, dal politico al “cittadino attivo”, vuole rimboccarsi le maniche per rendere meno complicato, e più trasparente, questo nostro Paese. Un Paese che da decenni soffre, è l’accusa che fa l’autore a tutta la classe dirigente italiana,  di una mancanza di “visione” (ovvero la capacità delle elité di “tratteggiare” obiettivi di lungo periodo) e quindi di creare progetti carichi di futuro.

E la “visione” per creare futuro deve creare empatia, ossia creare immedesimazione nella costruzione di futuro. E’ chiaro che questo porta, per logica, ad una creazione di una pienezza della democrazia. Ed è proprio questa “pienezza”, a cui l’autore da un nome “Politica 2.0”, fatta di “progettazione partecipata” e “cocreazione” può rendere vitale quel tessuto sociale dove si compie il destino di ciascuno di noi.

C’è molto “renzismo” e del “Movimento 5 Stelle”, per certi versi sembra che su alcuni concetti, oggi in voga nel linguaggio politico, l’autore sia stato copiato da alcuni protagonisti. A parte questo, che sia o non sia così, l’autore si trova sulla stessa lunghezza d’onda di “quei” protagonisti sull’atteggiamento positivo, a volte un po’ troppo fideistico, nei confronti della “Rete”. Per Rimassa la “democrazia elettronica è il mezzo che permetterà la realizzazione di una nuova società relazionale e inclusiva, centrata sul cittadino: grazie a innovazione e tecnologia sta nascendo la human-centered-society”. Questa è una Lista dei sogni,Utopia, ingenuità o realismo? Certo alcune esperienze di “democrazia elettronica” suscitano fortissime perplessità, resta comunque un dato che per l’autore i  “media civici” non vogliono sostituire la democrazia a cui siamo abituati ma semmai è quella di favorire con questi strumenti nuovi una maggiore partecipazione dei cittadini. E quindi creare un vero potere democratico. Insomma una vera “rivoluzione copernicana” per il nostro Paese. Questa “rivoluzione” è ben sintetizzata in questo “Manifesto” che riprendiamo, qui sotto, per intero:

Manifesto del cambiamento



Metodo numero uno.
È facile cambiare l’Italia, se immaginiamo un futuro frutto di una visione chiara e inclusiva.

Metodo numero due.
È facile cambiare l’Italia, se sviluppiamo la cultura del progetto e dell’innovazione.

Metodo numero tre.
È facile cambiare l’Italia, se attiviamo meccanismi di condivisione e progettazione partecipata.

Metodo numero quattro.
È facile cambiare l’Italia, se scegliamo co-creazione e intelligenza collettiva al posto del potere del singolo.

Metodo numero cinque.
È facile cambiare l’Italia, se impariamo a ossigenare il cervello e azionare il pensiero laterale.

Metodo numero sei.
È facile cambiare l’Italia, se liberiamo l’energia dei giovani mettendoli al centro del sistema.

Metodo numero sette.
È facile cambiare l’Italia, se costruiamo una human-centered-society con lo sharing come nuovo modello socio-economico.

Metodo numero otto.
È facile cambiare l’Italia, se condividiamo che fondare una startup sia un forte gesto politico con valore sociale.

Metodo numero nove.
È facile cambiare l’Italia, se crediamo nel made in Italy come fattore di unicità del nostro Paese.

Metodo numero dieci.
È facile cambiare l’Italia, se trasformiamo lo Stato in una casa trasparente, aperta alla partecipazione attiva dei cittadini.

CONTRADA ARMACÀ, un “giallo” su Reggio Calabria

Contrada ArmacàUn giallo ambientato nel cuore di Reggio Calabria, tra violenza e bellezza, irresistibile vitalismo e sanguinaria ferocia. Scritto dal bravo giornalista, e inviato dell’Espresso, Gianfrancesco Turano (nato lui stesso  a Reggio Calabria).

LA TRAMA
L’omicidio di Rosario Laganà, giovane parrucchiere ucciso per strada in un agguato, non suscita particolare clamore a Reggio Calabria. Il movente, si mormora, sarebbe una faccenda di corna o di droga. Nessuno sembra insospettito dal fatto che il ragazzo era intimo di Oriana, la collaboratrice più fidata del sindaco, morta suicida solo poche settimane prima. Chi non si accontenta di facili spiegazioni è lo zio di Rosario, Demetrio Malara, ex insegnante, un uomo solitario che ha già perso il figlio quindicenne in un regolamento di conti fra clan rivali.
La pista di Oriana diventa una scommessa privata, ma per esplorarla Malara ha bisogno di aiuto. Fortunato Amato detto Nato, un suo ex studente che alla carriera di avvocato ha preferito il business dei matrimoni e si è ritagliato un ruolo come organizzatore di eventi, è l’uomo giusto al momento giusto. Narcisista e donnaiolo, brillante e abituato a vivere all’insegna del “me ne fotto”, Nato conosce mezza Reggio ed è ben introdotto nei circoli che contano. Fra risse nei locali della movida reggina, container gonfi di armi e cocaina in transito nel porto di Gioia Tauro, sparatorie nei boschi dell’Aspromonte, donne irresistibili e sicari disposti a tutto, la strampalata coppia d’investigatori entrerà nelle viscere di una città dove nulla accade per caso e dove ogni delitto è il risultato del mancato rispetto di regole non scritte. Un romanzo dove tutte le consorterie oscure del potere  si intrecciano. Insomma Contrada Armacà è un giallo che squarcia la facciata rispettabile di Reggio Calabria, svelando un sistema criminale che arriva a lambire perfino la Casa bianca.

Gianfrancesco Turano, Contrada Armacà,Ed. Chiarelettere, Milano 2014, pagg. 320, € 16,90.

Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un breve estratto del libro.

UNO

CAPOCRIMINE  Il fatto è per stasera alle sette, sette e mezzo. Dipende da quanta gente c’è dal parrucchiere. Il ragazzo lavora lì, lo aspettano all’uscita. Ha ventidue anni. Dimmi se si può morire così giovani. D’altra parte, è stata seguita la trafila necessaria a evitarlo. Gli hanno spiegato, prima con buona maniera, poi in malo modo. Con le mani nella faccia, come si dice. Lui niente. Ha fatto l’impossibile. Questa è una città di presuntuosi. Ti danno del tu e si danno del noi. E la trafila è andata avanti. C’era pochissimo tempo. Da quando la dirigente del Comune si è avvelenata, tre settimane fa, il ragazzo si agitava in nome della sua bella amicizia con la signora. Diceva che politici, dirigenti e compari assortiti l’avevano abbandonata dopo essersi arricchiti grazie a lei, con i soldi di tutti: delle imprese e dei fornitori che fallivano, dei disoccupati e delle famiglie con le fogne scoppiate in casa. Un moccioso, un ’mbriscipisciatu di quella fatta viene a dare lezioni di organizzazione a chi ha cinque continenti da mandare avanti e la pace nel mondo da mantenere, a chi si fa galere e funerali per lealtà. Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere.
Il ragazzo ha creato un’emergenza, e in emergenza i protocolli di sicurezza si avviano in automatico. Non li puoi più fermare. Troppa gente rischia. Qualcuno si è rivolto a noi e prima dell’Epifania qualcun altro ha convocato i napoletani.
Non è la prima volta. Nel 1976 – io ero bambino – sono stati usati gli uomini di Raffaele Cutolo per eliminare il vecchio don Mico Tripodo nella sua cella a Poggioreale: venti coltellate per cento milioni di lire, cinque milioni a coltellata. Costoso, ma ci siamo sempre trovati bene. È gente tecnicamente preparata, che non guarda in faccia a nessuno. Non è che a noi mancano le persone capaci. Preferiamo così. Qua non siamo sulla Montagna o sulla Piana che dobbiamo sempre mostrare quanto ce l’abbiamo lungo. Noi a Reggio diciamo: chi ha il comodo e non si serve, non c’è sacerdote che l’assolve.