Nello scacchiere drammatico del Medio Oriente grande è la presenza dei Sistemi d’arma
italiani. E questo pone enormi problemi politici. Ne parliamo con Giorgio Beretta,
analista di OPAL (Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e
difesa) di Brescia e membro della Rete italiana per il disarmo (o Rete Disarmo).
Beretta, gli scenari di guerra aumentano: la gravissima escalation del conflitto in Iraq ad opera dell’ Isis, un vero e proprio esercito integralista, che sta compiendo stragi contro le minoranze etniche e religiose presenti nel territorio iracheno, tutto questo impone alla comunità internazionale di intervenire per fermare la follia integralista. La “Rete Italiana per il disarmo” ha criticato l’invio armi da parte del governo italiano ai curdi, quali le ragioni?
Innanzitutto dobbiamo considerare attentamente la situazione in Iraq e nella regione. Siamo di fronte ad un fenomeno che le agenzie dell’Onu definiscono di “pulizia culturale” (“cultural cleansing’’), con “orribili crimini contro l’umanità” commessi ogni giorno da parte di gruppi armati associati allo Stato islamico in Iraq e Levante (ISIL). Un fenomeno che lo stesso presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, non ha esitato a paragonare ad un “genocidio”. In questo contesto l’Unione europea e l’Italia hanno un dovere prioritario: quello di mettere in atto tutti gli strumenti previsti dalla comunità internazionale per proteggere le popolazioni. Questo dovere invoca l’assunzione della [di quella che gli statuti delle Nazioni Unite definiscono come] “responsabilità di proteggere” (Responsibility to protect): tale responsabilità non ricade solo sul governo iracheno ma sull’intera comunità internazionale. Attenzione: non è detto che debba essere il paese in cui si verificano questi crimini a richiedere la protezione della comunità internazionale, può benissimo essere ogni Stato membro dell’Onu che ne rilevi la necessità. E ogni intervento, anche militare, di “peace enforcement” stabilito in ambito Onu va esercitato secondo la norma della “responsabilità nel proteggere” (Responsibility while protecting) che non prevede assolutamente il bombardamento di aree popolate.
L’Unione europea, invece, per quanto riguarda l’Iraq ha deciso di delegare questa responsabilità di proteggere al governo iracheno e alle azioni militari aeree degli Stati Uniti limitando il proprio contributo – e la propria responsabilità – all’assistenza umanitaria e alla fornitura di armamenti. E’ innanzitutto questo auto-confinamento dell’Ue che reputiamo molto grave: significa di fatto non assumersi alcuna precisa responsabilità di fronte ad una immane catastrofe ed allinearsi alla strategia militare degli Stati Uniti i cui risultati, dall’intervento unilaterale del 2003 – senza alcun mandato dell’Onu – per rovesciare il regime di Saddam Hussein, sono sotto gli occhi di tutti.
Avete espresso anche dubbi sulla tipologia di armi inviate ai peshmerga (su queste c’è una “denuncia” del Movimento 5Stelle, che ha sentito fonti irachene, secondo cui un primo lotto di armi sarebbero state bloccate dal governo centrale iracheno), quali sono questi dubbi?
Non entro nel merito della “denuncia” del M5S che lascio a chi di competenza valutare. Riguardo alle armi che l’Italia intende inviare in Iraq ci sono due chiari problemi: uno di scelta politica e l’altro riguarda la situazione nella regione. Il governo italiano intende inviare ai militari peshmerga in Iraq diverse armi in parte dimesse dalle nostre forze armate e di provenienza da fondi di magazzino non più utilizzabili in ambito Nato. Ma soprattutto intende inviarne una parte proveniente da un lotto di armamenti di fabbricazione sovietica sequestrati al trafficante Zhukov e tenuti per anni nelle riserve dell’isola sarda della Maddalena. Queste armi, come prevede una sentenza del Tribunale di Torino del 2006 mai resa operativa, andavano distrutte. C’è quindi una precisa responsabilità politica del governo Renzi che a fronte di una sentenza di un Tribunale ha deciso di avvalersi di una legge successiva (la legge 108 del 2009) (vedi la nota in fondo all’intervista) che permette – attenzione è un permesso non un obbligo né un dovere – al Ministero della Difesa di disporre di armi sequestrate e non ancora distrutte “per fini istituzionali”. Quale sarebbe il “fine istituzionale” che il Ministero intende perseguire è tutto da chiarire. Ma soprattutto va ricordato che una parte di queste armi sequestrate sarebbe stata inviata nel 2011 agli insorti di Bengasi in Libia apponendo da parte dell’allora governo in carica (Berlusconi IV) il segreto di Stato: chiediamo perciò che non si faccia alcun utilizzo di queste armi e che venga invece aperta subito un’inchiesta parlamentare per verificare quante e quali armi siano già state inviate nei vari teatri di guerra.
C’è il rischio di alimentare il mercato nero interno?
Proprio questo rappresenta il secondo motivo per cui ci opponiamo all’invio di armi in Iraq. Ma attenzione, non è un semplice “rischio”: la sparizione di armi in quella regione è un dato di fatto ampiamente documentato dai rapporti del Pentagono e di centri di ricerca autorevoli come il SIPRI di Stoccolma. Un rapporto del Pentagono già del 2007 segnalava che a fronte di oltre 13mila armi consegnate all’esercito iracheno se n’era persa traccia per più di 12mila e tra quelle armi figurano pistole, fucili d’assalto, mitragliatrici e lanciagranate. Una simile situazione si è verificata in Afghanistan. Non a caso una specifica ricerca del SIPRI definisce questi due paesi come “gli esempi più evidenti dei rischi collegati alla fornitura di armi a Stati fragili”. Il nostro governo pare intenda avvalersi delle capacità di controllo dei nostri servizi di intelligence: se i migliori servizi di intelligence del mondo non hanno nemmeno saputo informarci per tempo sulla terribile minaccia che incombeva sulle popolazioni del nord Iraq, c’è davvero da preoccuparsi.
Veniamo alle armi italiane: Lei in un suo articolo ha affermato che non c’è stato, nel 2013, un crollo delle esportazioni di armi italiane. Anzi il 2013 si è confermato il secondo anno “record” per l’export armiero. Tutto questo a fronte di un crollo degli ordinativi. Ci può spiegare il perché?
Dobbiamo sempre distinguere le consegne di sistemi militari dalle autorizzazioni che il governo rilascia: le consegne rappresentano ciò che di fatto si esporta, le autorizzazioni riflettono quello che in gergo viene definito il “portafoglio d’ordini” dell’industria militare nazionale. Nel 2013 non c’è stato alcun crollo nelle effettive esportazioni di sistemi militari italiani: sono stati infatti spediti nel mondo armamenti italiani per oltre 2,7 miliardi di euro (€2.751.006.957), cioè solo poco meno della cifra-record ventennale realizzata nel 2012 (€2.979.152.816): un calo quindi (del 7,7%), ma non certo un “crollo”.
Il “crollo” ha riguardato le autorizzazioni all’esportazione che nel 2013 si sono dimezzate: dagli oltre 4 miliardi (€4.160.155.096) del 2012 si è infatti passati a poco più di 2 miliardi di euro (€2.149.307.240) del 2013. Si tratta però del “valore globale”, cioè della somma delle autorizzazioni per esportazioni con quelle relative ai “programmi governativi di cooperazione” (detti anche “programmi intergovernativi”) tra cui figurano anche i sistemi in costruzione per la dotazione delle nostre forze armate.
Su questo “crollo” degli ordinativi hanno influito tre fattori. Il primo è che gran parte dei “programmi intergovernativi” sono già stati autorizzati negli anni scorsi. Il secondo è che la domanda di armamenti è fortemente altalenante perché – a differenza dei beni di consumo – i maggiori sistemi militari (dai caccia alle navi da guerra) non si esauriscono in breve tempo. Ma c’è un terzo fattore sul quale la nostra industria militare e lo stesso governo farebbe bene a riflettere: le indagini per corruzione che hanno coinvolto Finmeccanica in India e Fincantieri per le navi inviate agli Emirati Arabi Uniti non favoriscono certo la credibilità delle maggiori industrie militari del nostro paese. E non basta un “Codice Etico” per risolvere il problema.
Nel 2013 sono state autorizzate, nel Medio Oriente, esportazioni di armi italiane per un valore di 709 milioni di Euro. Un dato davvero preoccupante. Quale è il quadro complessivo dell’export dei sistemi d’arma italiani in Medio Oriente?
Il principale paese acquirente è stato l’Arabia Saudita (€ 296.399.644) che oltre ai caccia Eurofighter – una commessa anche questa dai contorni quanto mai torbidi – ha acquistato i relativi missili IRIS-T, ma anche un ampio arsenale di bombe, munizionamento, apparecchi per la direzione del tiro, veicoli e velivoli militari per oltre 126 milioni di euro.
Sono continuate le forniture di sistemi militari all’Algeria (€ 234.580.121): al controverso governo del presidente Bouteflika erano state autorizzate esportazioni nel 2011 per un record di oltre 477 milioni di euro a cui vanno sommati i quasi 265 milioni di euro del 2012 e gli attuali 235 milioni di euro: il leitmotiv è, evidentemente, armi e sistemi militari in cambio di gas e petrolio. Lo stesso motivo è alla base delle esportazioni verso gli Emirati Arabi Uniti che nel 2013 si sono visti autorizzare importazioni di armamenti italiani per quasi 95 milioni di euro. L’anno scorso agli Emirati sono state consegnati sistemi militari per un record di oltre 434 milioni di euro, tra cui spiccano due corvette “Abu Dhabi Class”, una commessa sulla quale lo scorso dicembre la Procura di Milano ha aperto un’inchiesta per “tentata corruzione internazionale”. E sempre il petrolio fa da leitmotiv alle commesse autorizzate all’Oman: si tratta di oltre 44 milioni di euro che riguardano “armi automatiche”, munizioni e veicoli terrestri e non comprendono ancora – visto che la tabella degli Esteri non li segnala – i dodici Eurofighter ordinati dal Sultanato già nel dicembre del 2012 insieme ad altri velivoli prodotti dal consorzio di cui la britannica BAE è capofila per un valore complessivo di oltre 4 miliardi di dollari.
Nonostante le sommosse che hanno scosso l’Egitto per tutto il 2013, il ministero degli Esteri ha autorizzato esportazioni di materiali d’armamento per oltre 17 milioni di euro tra cui figurano armi automatiche, munizioni, bombe e sistemi per la direzione del tiro. Quasi 11 milioni di queste armi sono state consegnate fino ad agosto dell’anno scorso quando, come segnala una breve nota della Relazione, in sede di Consiglio degli Affari Esteri sono state decise “misure restrittive”. Le uniche di cui la Relazione da notizia e che comunque non pare abbiano interessato altri paesi della zona mediorientale come la Turchia, verso la quale Rete Disarmo aveva chiesto al ministro Bonino di sospendere l’invio di sistemi militari in considerazione della violenta repressione messa in atto dalle forze armate. Da non dimenticare Israele al quale proprio primi giorni dei raid aerei su Gaza, Alenia Aermacchi ha consegnato i primi due velivoli addestratori M-346 che sono parte di una contratto del valore di oltre 800 milioni di euro. Un contratto definito dall’allora premier Mario Monti un “salto di qualità” che prevede la fornitura di questi velivoli ad Israele in cambio dell’acquisto dall’Italia di sistemi militari israeliani: di fatto un ottimo affare per Alenia Aermacchi e un’ulteriore spesa per i contribuenti italiani.
E’ chiaro che tutta questa presenza di armi in uno scacchiere drammatico, come quello mediorientale, pone enormi problemi politici. Quanto è efficace il controllo del Parlamento?
E’ proprio questo il punto più preoccupante. Da oltre sei anni ,cioè dai tempi dell’ultimo governo Berlusconi, tutta la materia delle esportazione di sistemi militari non viene esaminata nelle competenti commissioni della Camera e del Senato. E questo nonostante la Presidenza del Consiglio abbia inviato ogni anno al parlamento una corposa Relazione come per legge. La recente modifica della legge (la n.185 del 1990) richiede che questa esame debba adesso essere ottemperato, ma ad oltre un mese dalla consegna della Relazione non mi risulta sia stato messo in calendario. Ma c’è di più. Proprio a partire dall’ultimo governo Berlusconi sono stati sottratte dalla relazione governativa una serie di informazioni di importanza fondamentale per il controllo parlamentare tanto che oggi è praticamente impossibile sapere dalla Relazione ciò che tutti dovremmo, per legge, sapere: e cioè a quali paesi il Governo abbia autorizzato l’esportazione di quali specifici sistemi militari, per quale quantità e valore, e a quali paesi siano state consegnate quante e quali armi nel corso dell’anno. E’ perciò quanto mai necessario e urgente che le competenti commissioni del parlamento riprendano il controllo dell’attività del Governo. Non farlo significa, di fatto, permettere ai vertici dei colossi dell’industria militare nazionale e ai gruppi politici che li sostengono di dettare al nostro paese una materia che riguarda direttamente la politica estera e di difesa del nostro paese.
Ecco il testo della Legge 3 agosto 2009, n. 108
Proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali. (09G0117) (GU n.181 del 6-8-2009) Entrata in vigore del provvedimento: 7/8/2009
Art. 5. (Disposizioni in materia contabile)
3. Le armi, le munizioni, gli esplosivi e gli altri materiali di interesse militare sequestrati e acquisiti dallo Stato a seguito di provvedimento definitivo di confisca dell’autorità giudiziaria possono essere assegnati al Ministero della difesa per finalità istituzionali, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri della difesa e dell’economia e delle finanze. Si provvede con decreto del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, nel caso in cui la confisca è stata disposta dall’autorità giudiziaria militare. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche alle armi, alle munizioni, agli esplosivi e agli altri materiali di interesse militare per i quali, anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge, è stata disposta ma non ancora eseguita la distruzione.