Il “gran ballo” dell’Expo.
Intervista a Gianni Barbacetto

 

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Tra poco meno di un mese, il 1 maggio, a Milano aprirà i battenti l’Expo 2015. La grande manifestazione dedicata, in questa edizione, al tema dell’alimentazione: “Nutrire il Pianeta”. Un evento che è stato segnato, nella sua fase di allestimento, da gravi ritardi e da fenomeni di corruzione. In questa intervista a Gianni Barbacetto, giornalista d’inchiesta del “Fatto Quotidiano”, ne ripercorriamo la storia e i limiti. Barbacetto è autore, insieme a Marco Maroni, di un documentatissimo saggio, uscito per Chiarelettere, dal titolo: “Il gran ballo dell’Expo”.

 

Barbacetto, incominciamo con la storia dell’ideona (come la definisce, con ironia, nel suo libro): quando prende corpo il progetto? Quali gli ideatori?

 

Gianni Barbacetto (www.liquida.it)

L’idea di candidare Milano all’Expo 2015 è sostanzialmente di Letizia Moratti, che lo aveva già promesso nel suo programma elettorale, aveva promesso di candidare Milano a una qualche manifestazione internazionale dalle olimpiadi ad expo. Nel 2007 la candidatura prende forma, viene costituito un comitato di candidatura spinto da Letizia Moratti e presieduto dal suo braccio destro, che riuscirà a fare una campagna nei confronti dei paesi che aderiscono al BIE, che porterà nel marzo 2008 alla vittoria di Milano su Smirne, non c’è stata una gran partita. Non avevamo contro Los Angeles o Francoforte, né Lione, ma una media città turca. Comunque abbiamo vinto nel 2008, Milano così vince la candidatura ad Expo.

Diamo qualche numero. Quanto è costato finora e quanto ci costerà rispetto al progetto iniziale?

I numeri che vengono fatti all’inizio sono di una quindicina di miliardi, che vengono promessi come investimenti di Expo con la promessa che sarà un volano economico per far ripartire l’economia non solo a Milano, ma in Italia. Di questi 15 miliardi, 11 miliardi sono per le opere connesse ad Expo, e 4 per la realizzazione del sito di Expo. In realtà, in questi 11 miliardi di opere connesse c’è di tutto, tutti i progetti di strade, autostrade, metropolitane, bretelle, che già erano programmate, vengono buttate nel calderone di expo perché cos’ si spera di avere i finanziamenti. In realtà, nel 2007 comincia la crisi e si scopre che i soldi non ci sono, per cui le promesse mirabolanti di investimenti e occupazione non saranno rispettate. Per esempio, il sito non è costato quattro miliardi come si è detto, ma 1,3 miliardi per la realizzazione e forse 800 milioni per la gestione dei sei mesi di Expo. Però si sono attirate molte attenzioni, soprattutto dalla politica, perché attorno alla Moratti si posizionano tutti i partiti e tutte le correnti e Roberto Formigoni, perché la Moratti aveva questa idea di essere la “duchessa” di Milano e di gestire questa partita come fosse una partita che poteva realizzare lei e i suoi uomini, ma Formigoni, come tutti gli altri partiti dai berlusconiani ai ciellini alla Lega, le spiegano che non funziona così in Italia, che ciascuno deve avere la sua voce, i suoi uomini dentro la cabina di comando. Milano vince nel 2008, dal 2008 al 2011 non viene spostata una foglia, si perdono tre anni per litigare su chi deve comandare, soprattutto un litigio tra Formigoni e Moratti su come arrivare ad avere l’area di Expo. Quanto ci costerà alla fine si potrà dire soltanto a cose fatte, perché non sappiamo quanti biglietti saranno venduti. Non abbiamo i conti ancora di tutti gli sponsor, perché via via Expo è diventata una grossa fiera per le multinazionali, che avranno il loro padiglione, quindi la Mcdonald, la Coca Cola, le grandi multinazionali del cibo avranno la loro postazione interna e pagheranno. Quindi bisognerà capire quali saranno le entrate e capire quanto spenderemo per le opere. Raffaele Cantone, che è il presidente dell’autorità anticorruzione, sta esaminando le richieste delle aziende che lavorano per Expo, che stanno chiedendo il doppio dei soldi che hanno chiesto per vincere le gare. Per esempio, la preparazione dell’aerea doveva essere finita nel 2013 e doveva costare 58,5 milioni di euro, la cooperativa di Ravenna ha già chiesto il doppio e siamo già arrivati a 127 milioni di euro, quindi più del doppio di quanto era stato chiesto per vincere la gara.

Le cronache dei mesi scorsi hanno portato “alla ribalta” gravissimi episodi di corruzioni, con arresti di politici e manager. Ovvero la “CUPOLA” dell’EXPO. Purtroppo si è ripetuto il malcostume italico che ogni qualvolta c’è una “grande opera”, questa diventa il moltiplicatore di appetiti criminali. E’ possibile quantificare, per dire così, “l’economia criminale” (Tangenti) del’Expo?

Anche qui il conto è difficile. C’è stato il primo tempo in cui si è deciso chi comandava. Gli anni successivi, dal 2012 al 2015, sono stati, da un lato, il farsi sotto dei poteri economici, che hanno tentato di strappare appalti Expo anche truccando le gare o con la forma più nuova di tangente, cioè con le consulenze e le promesse di carriera ai manager che dovevano decidere sulle gare; dall’altra, c’è stato il farsi sotto delle organizzazioni mafiose, perché in tutte le inchieste di mafia fatte a Milano in questi anni ci sono intercettazioni di boss mafiosi e gruppi imprenditoriali legati alla mafia che parlano di Expo, gli unici veramente pronti erano loro. Da questo punto di vista le barriere, gli allarmi che sono stati lanciati, qualche risultato l’hanno ottenuto, anche per il cambiamento del clima elettorale della giunta Pisapia, il quale ha subito fatto due commissioni antimafia, una di consiglieri comunali e una di esperti, tra cui Nando Dalla Chiesa. Un po’ di barriera è stata fatta. Un’altra cosa che è stata fatta sono le interdittive, ormai abbiamo superato le 70 interdittive: sono delle decisioni prese dalla prefettura di Milano che escludono dai cantieri aziende in qualche modo collegate o collegabili ai gruppi criminali, quindi ci sono state delle aziende cacciate dai cantieri. Quindi loro ci hanno provato, qualche barriera è stata messa e ha funzionato. Quella che non ha funzionato è stata la barriera alla corruzione. Ci sono quattro grossi appalti (rimozione delle interferenze, piazza, architettura di servizio e vie d’acqua), tutti per decine e decine di milioni, quello della piastra addirittura più di cento milioni di euro. Tutte queste quattro gare hanno avuto indagini della magistratura e in molti casi hanno prodotto arresti. Quanto hanno portato a casa? È difficile fare il conto, perché il gonfiamento dei costi è ampia materia su cui Cantone sta lavorando, bisogna vedere se questi casi di raddoppio dei soldi sono giustificati effettivamente dal doppio lavoro oppure se è il mal costume italiano di fare le gare al ribasso, anche superiore al 40%, e poi dopo si recupera con gli extra costi.

La vicenda dell’Expo, il suo allestimento, ha fatto registrare ritardi, alcuni veramente intollerabili. Quali sono stati, secondo lei, gli errori più clamorosi?

I tre anni persi hanno fatto partire tutta la macchina dei ritardi in tempo, quindi se parti in ritardo, parti in affanno. In alcune intercettazioni telefoniche quelli della “Cupola degli appalti” dicono che bisogna rallentare apposta perché così il ritardo potrà essere invocato per derogare alle regole sugli appalti. Nel caso dei padiglioni stranieri c’è uno che viene intercettato e dice di partire in ritardo perché così potremo dire alle aziende che lavorano in Expo che faranno loro i lavori, quindi un uso di ritardi per far lavorare gli amici.

C’è un’amministrazione comunale e un governo Renzi che non hanno partecipato alla decisione di fare l’Expo, ma hanno dovuto cercare di gestire una macchina che era già partita. Pisapia aveva cercato di minimizzare i rischi cercando di portare degli allarmi, proprio Pisapia diceva come fanno a fare i lavori con un ribasso così alto. Pisapia non si è preso la responsabilità di bloccare l’Expo, quindi ha cercato di gestirlo. Renzi anche più tardi è entrato in partita e non ha ancora messo tutti i soldi, c’è un ridimensionamento dell’impegno economico, per cui Renzi è arrivato tardi, ha accettato, ma ha anche il ruolo di essere un propagandista positivo dell’Expo per cui viene in visita al cantiere e fa un discorso in cui dice che è finita l’era della corruzione, l’Italia farà vedere le proprie capacità. Forse è stato un po’ incauto, perché la parola Expo è ormai legata non ad un’occasione di sviluppo, ma tutti ci ricorderemo di Farinetti, dei ristoranti, della corruzione, degli arresti. Expo da grande occasione è diventato Expo vetrina della corruzione italiana.

Il tema dell’Expo sarà il grande tema dell’alimentazione. Sarà, invece, una bella vetrina per i colossi della distribuzione alimentare. Lei ha messo, anche, in evidenza la debolezza dei contenuti tematici. Quali sono questi limiti?

Questa doveva essere l’Expo dedicata alla nutrizione, alla sostenibilità, alle culture del mondo, alle biodiversità, su questo non si è potuto sviluppare nulla, la stessa carta di Milano che verrà approvata come manifesto, la bozza è stata prodotta dall’ufficio studi della Barilla, che è un’altra multinazionale con base italiana. Altroché corretta nutrizione, ci sarà la Coca Cola e il Mcdonald. Ci saranno i dibattiti ecc, ma non sarà il cuore dell’Expo. Abbiamo perso un’occasione per discutere della fame nel mondo ecc., Faremo un Expo sui master chef, con quel piccolo scandalo che si è affidato ad Oscar Farinetti la gestione di uno dei punti più delicati di Expo: 8000 metri quadri di ristoranti, tutti scelti da Farinetti, che diventa il padrone di una cosa delicatissima. Niente di illegittimo, però viene da pensare perché Farinetti è un operatore economico che fa grossi food store in giro per il mondo, supermercati del cibo ad alta fascia e ad alti costi.

Ultima domanda: Quale sarà il destino dell’area Expo dopo Expo 2015?

Questo è il primo problema perché, per la prima volta, si è deciso di fare l’Expo, che è una manifestazione pubblica con soldi pubblici, su terreni privati. Questo è il peccato originale che peserà sull’area di Expo, perché sono stati spesi 160 milioni di euro di soldi pubblici, della Regione Lombardia e del Comune di Milano, per comprare l’area, spesi dalle banche che andranno poi dal Comune ovviamente. Bisogna rivendere quell’area ad un operatore commerciale che ci piazzi su centri commerciali, grattacieli ecc. Però la situazione del mercato immobiliare a Milano è in crisi e infatti hanno fatto andare deserta la gara che è stata fatta. A novembre è stata fatta questa gara in cui si vendeva a 314milioni di euro e non si è presentato nessuno. Bisognerà trovare il modo di ripagarli. Questo da un punto di vista finanziario. Da un punto di vista urbanistico, finito il 31 ottobre 2015, quest’area sarà lasciata nell’abbandono? Non si sa. Ora c’è il progetto di fare una città studi, la proposta è bellissima ma chi ci mette i soldi? E poi non è che puoi fare un campo universitario di tutti quei metri quadri, ne puoi usare metà e l’altra metà cosa ne facciamo? Resta un’incognita economica e cosa farci. Il rischio che quell’area venga abbandonata è molto alta. 

I nuovi potenti al tempo di Matteo Renzi: da Bergoglio a Mattarella. Un libro di “Chiarelettere”

BisignaniMadron_piattoDa Berlusconi a Draghi, dalla Boschi al cardinale Scola… Il fuori scena della politica italiana. Tutto quello che “è così ma non si può dire ”.

IL LIBRO

Ritorna in libreria, domani nelle librerie dei capoluoghi di provincia, dopo il clamoroso successo con L’uomo che sussurra ai potenti, la “coppia” Bisignani – Madron. Questa volta passano ai “raggi X” i nuovi potenti dell’era renziana. Un libro che analizza il POTERE. In tutte le sue forme, i suoi tic, i suoi segreti, i suoi perché. Lo vogliono in tanti ma lo provano in pochi. La parola va a chi è informato sui fatti perché il potere lo conosce bene. Col libro precedente, Bisignani e Madron si erano fermati al 2013. Da allora molte cose sono cambiate. Dopo la morte di Andreotti e l’elezione di Bergoglio, la MAPPA DEL POTERE in Italia è tutta da ridisegnare.
Ora un uomo solo è al comando, MATTEO RENZI, e un altro Matteo, Salvini, si è affacciato alla ribalta del teatro politico. La commedia è stata allestita e i due autori provano a raccontarla tra le pieghe di una cronaca che giornali e tv propongono solo in parte. Dai retroscena dell’elezione di MATTARELLA e il vero perché della rottura del Patto del Nazareno alla crisi drammatica all’interno del VATICANO.
Ecco un Renzi sconosciuto, le storie inedite dei suoi collaboratori, l’improvvisazione e l’arroganza che ha stravolto ogni protocollo, gli affari in corso tra nuove nomine e gaffe internazionali (con BERGOGLIO e OBAMA).
Sull’altra sponda anche SALVINI è una vera sorpresa, a cominciare dal nuovo cerchio magico che comprende diversi GAY. Benissimo. Ma la Lega del celodurismo di Bossi? E la DERIVA FASCISTA dell’alleanza con CasaPound e l’amicizia con Putin?
Ecco la fotografia strappata e contraddittoria del potere oggi in Italia. Un’Italia che in parte non conosciamo, che fa ridere e anche un po’ piangere. Per salire sul carro di chi è più forte la gara è durissima, mentre i cittadini, disinformati, ignari, storditi, assistono fuori dai Palazzi.

GLI AUTORI

Luigi Bisignani ha lavorato per varie testate giornalistiche. È stato anche capo ufficio stampa per alcuni ministeri della Prima repubblica. Attualmente è partner di una società di consulenza. È stato al centro di clamorose inchieste giudiziarie. È autore di due spy-story: IL SIGILLO DELLA PORPORA e NOSTRA SIGNORA DEL KGB, uscite entrambe per Rusconi. Per Chiarelettere ha scritto il thriller IL DIRETTORE (2014) e con Paolo Madron L’UOMO CHE SUSSURRA AI POTENTI (2013).

Paolo Madron, giornalista, già corrispondente da New York di “Milano Finanza” e vicedirettore di “Panorama”, è ora direttore di Lettera43.it, quotidiano online da lui fondato nel 2010. Ha condotto importanti inchieste sul capitalismo italiano ed è autore di vari libri, tra cui IL LATO DEBOLE DEI POTERI FORTI (Longanesi 2005) e STORIA SEGRETA DEL CAPITALISMO ITALIANO (con Cesare Romiti, Longanesi 2012).

Per gentile concessione dell’Editore pubblichiamo una breve anticipazione del libro

Scusa Luigi, ma da uno a cento quanto piace Palazzo Chigi a Matteo Renzi?

Direi mille. Gode da impazzire a essere li e ormai ne apprezza anche tutte le diavolerie.

[…]
Abbiamo visto che cosa ama davvero fare Renzi.

Quel che ha sempre fatto: piazzare i suoi uomini, distruggere quelli che ritiene suoi avversari e tarpare le ali agli amici che emergono troppo e potrebbero rischiare di fargli ombra.

Si chiama potere. Se ricordi – la materia appassiona – io e te due anni fa ci abbiamo scritto un libro.

Adesso diranno che abbiamo scritto il seguito per battere il ferro finche e caldo.

Caldo lo e, ma e un altro ferro. Quando nel maggio del 2013 e uscito L’uomo che sussurra ai potenti (Chiarelettere), Renzi era ancora sindaco di Firenze e le primarie che lo avrebbero portato a diventare segretario del Pd erano ancora lontane.

Se e per questo anche Bergoglio era diventato papa da appena due mesi. E Matteo Salvini, il segretario della Lega che ora spopola su tv e giornali, non lo avevamo mai menzionato.

L’unico sempre rimasto in scena e Berlusconi.

I cui già seri problemi, nonostante la recente assoluzione della Cassazione, continuano a complicarsi. Insomma, in nemmeno due anni, la scena italiana, per non parlare di quella internazionale, con l’Isis alle porte, e completamente cambiata.

Eppure in cosi poco tempo ne sono successe di cose. Quindi ci sono un sacco di intriganti retroscena da raccontare.

Per esempio, la ricostruzione minuziosa e spiazzante delle trame che hanno portato Sergio Mattarella al Colle.

O i gustosi dietro le quinte sul cerchio magico di Berlusconi, racchiuso tra Arcore e Palazzo Grazioli.

Dove la «Scugnizza», come la chiama il capo, l’ha fatta da padrona insieme alla solita «Badante». I cerchi magici li trovi ovunque, quando si respira l’aria del potere.

Anche attorno a Salvini, la nuova star del centrodestra che si barcamena tra il Cremlino, le casse vuote del partito e i locali gay.

Guarda caso, comunque la giri, e sempre sul pruriginoso che si va a finire. Anche in Vaticano, dove oramai il sesso e diventato una perenne ossessione.

Tornerei a Renzi. Che il potere gli piaccia da matti e indubbio. Che sia un innovatore, magari spesso più nelle parole che nei fatti, altrettanto.

Innovatore di sicuro. Ora, per esempio, si sta battendo per avere sempre la connessione internet sui voli di Stato, in modo da twittare come Obama.

Be’, mi pare un’esigenza sacrosanta. Lui e il primo presidente del Consiglio della storia repubblicana interamente 2.0. Il problema e se e quanto durerà.

Tu che ne pensi?

Che avremo a che fare con lui per molto tempo, non foss’altro che per la desolante mancanza di alternative. Tu invece?

Se si ispirerà finalmente a Giorgio La Pira, illuminato sindaco della sua città degli anni Cinquanta e Sessanta, se baderà anche agli altri e non solo a se stesso, durerà molto a lungo. Altrimenti soccomberà. Ma lui si sente ormai come il Napoleone rignanese del «Prima ti butti e poi si vede».
Scusa Paolo, ma l’altro Matteo, Salvini, come si trova a capo della Lega «celodurista» di Bossi?

Alle prese con Flavio Tosi, circondato da gay, con tantissimi guai per i debiti del partito, che forse spera di risolvere a Mosca. A proposito di “omo”, in Vaticano papa Bergoglio come se la passa?

Vive asserragliato nel suo bilocale a Santa Marta, che sembra la stanza di un motel, mentre la curia e molti cardinali, soprattutto africani e statunitensi, sono in rivolta a causa di questa sua ossessione per il sesso e i diritti civili.

Visto che parliamo di sesso… L’«appassionato della materia» per eccellenza, il nostro (ex) Cavaliere, e ancora alle prese con il bunga bunga e la rivolta delle Olgettine che minacciano di
parlare?

Neanche più quello gli e rimasto, il cerchio magico l’ha ridotto a essere un uomo triste e sempre più fragile.

Il suo partito e dilaniato da più tribù di quante ce ne siano in Libia. Poi, da quando e arrivato Renzi, le sue extrasistoli, per il tradimento del Quirinale, sono impazzite.

Per il Quirinale? Mi spiace dirlo, ma ti sbagli, Paolo. Ti darò tutti gli elementi per dedurre che e stato Silvio a tradire Matteo, e non viceversa.

Sono curioso di conoscere da te i dettagli. E del fantomatico Patto del Nazareno che mi dici?

Un accordo di potere, un reciproco conflitto di interessi, forse inutilmente buttato all’aria. Ma vedrai che proseguirà, in forma riservata, su altri piani…
Luigi Bisignani e Paolo Madron, I potenti al tempo di Renzi
da Bergoglio a Mattarella, Ed. Chiarelettere, Milano 2015, pagg. 256, € 16,00

Dove va il PD? Intervista a Giorgio Tonini

Sono giorni di forte tensione all’interno del PD. La minoranza  è sempre più critica nei confronti del segretario-premier Matteo Renzi. Come si svilupperà il conflitto nel Pd? Ne parliamo con  Giorgio Tonini, Vice Presidente del gruppo PD al Senato e membro della Segreteria Nazionale.

Senatore Tonini, lunedì scorso la direzione ha ratificato, con un voto “bulgaro” (o “nordcoreano”, veda Lei..), la linea del Premier Renzi sulla legge elettorale. Il prezzo però è pesante, il partito si è ancora una volta spaccato. Insomma dopo l’elezione di Mattarella è stato un crescendo di  divisioni…Avanti di questo passo la scissione è dietro l’angolo. Non le sembra così?

La Bulgaria è da tempo un paese democratico, membro a pieno titolo dell’Unione europea. Quanto al paragone con la Corea del Nord, bisogna decidersi: o si dice che il Pd è un monolite, nel quale il dissenso è vietato, come a Pyongyang, o si dice che è un partito in preda alle divisioni interne. A me pare che non sia vera né l’una né l’altra caricatura. Il Pd è uno dei pochi, forse l’unico partito che possa definirsi democratico. Certo non possono definirsi democratici né Forza Italia, né il Movimento Cinque Stelle. E neppure la Lega: ha visto come è stato licenziato Tosi? Il Pd invece, come avviene in ogni corpo democratico, ha una maggioranza che governa il partito e una minoranza, nella quale sono presenti diverse sfumature critiche. Tra maggioranza e minoranza, si dialoga e si polemizza, ci si confronta e ci si scontra. Poi, ad un certo punto, si vota. Così è avvenuto sulla riforma elettorale. Un primo testo, approvato alla Camera un anno fa, è stato oggetto di molte critiche da parte delle opposizioni in Parlamento e della minoranza del Pd. Sulla base di quelle critiche, il testo è stato profondamente rivisto al Senato. La minoranza del Pd propone ora nuove modifiche, peraltro non tutte ben identificate. Lunedì in direzione la maggioranza del partito ha invece condiviso l’opinione del segretario Renzi che il tempo della discussione è finito ed è arrivato il momento della decisione. Si può non essere d’accordo, ovviamente, ma dove starebbe la ferita alla democrazia? Sono due anni che il Parlamento si sta occupando di riforma elettorale. Nel 1993, per approvare la legge Mattarella, bastarono quattro mesi. Quanto alla scissione, non mi pare proprio che sia dietro l’angolo. Si può uscire da un partito, perché si verifica un dissenso su questioni di fondo. Onestamente non mi pare che si possa rompere il Pd sulla questione se sia preferibile eleggere la quota bloccata di deputati con l’uninominale di collegio, come dice la maggioranza, o col listino regionale, come propone la minoranza…

Civati parla di elettori in fuga, certo è che, per alcuni, il PD sta diventando stretto. La “ditta” che fine ha fatto? Non vede il rischio  alle prossime regionali che si ripetano, in altre realtà,  fenomeni come quello dell’ Emilia Romagna, ovvero di una astensione dal voto di molti elettori del PD?

Gli elettori vanno riconquistati ogni volta e dunque stiamo alla larga da ogni trionfalismo. Però, che si possa dire che sarebbe in atto una fuga di elettori dal Pd mi pare grottesco. Renzi ha ripreso, rilanciato e in gran parte attuato l’intuizione originaria di Veltroni, del Pd come partito “a vocazione maggioritaria”, ossia capace di rappresentare ampi strati della società italiana, ben al di là dei confini tradizionali della sinistra, che peraltro, di recente, ai tempi della “ditta”, si erano molto ristretti. Il risultato della svolta renziana è stato lo storico 41 per cento che ha proiettato il Pd alla posizione di partito più votato d’Europa. Alle ultime elezioni regionali si è verificato un calo della partecipazione al voto che ha assunto le dimensioni di un crollo. Il rischio che questa tendenza all’astensione si confermi alle prossime elezioni è molto alto e deve interrogare anche il Pd. Ma non è solo un problema del Pd, anzi è un problema che tocca il Pd un po’ meno degli altri, se è vero che il Pd le recenti regionali le ha vinte. Speriamo che alle prossime elezioni regionali si confermi lo stesso risultato, magari con una partecipazione al voto più larga. Perché questo succeda, penso che il Pd debba dare agli elettori il chiaro messaggio che si sta battendo con tutte le sue forze per le  cambiamento del paese, sul piano della qualità della democrazia, su quello dell’efficienza economica e su quello della giustizia sociale.

Parliamo sempre di elezioni regionali.  E’ una partita importante per il suo partito. Vi sono situazioni imbarazzanti, definiamole così, vedi la Liguria e la Campania. In Liguria c’è un  vero e proprio disastro politico del PD: una “renziana”, supposta tale, Paita simbolo della vecchia “nomenklatura”, che si è imposta nelle primarie con l’aiuto di personaggi discussi del centrodestra, e in Campania avete un altro candidato molto controverso: De Luca. In Liguria il disastro è compiuto, infatti correrà anche un candidato “civatiano”. Come pensate di risolvere il “caso”  DE Luca?

 

Io non penso affatto che le primarie in Liguria siano state un disastro politico. Sono state un confronto democratico vero, molto partecipato, che ha visto confrontarsi tra loro, in modo anche aspro, due personalità che certamente incarnano due linee politiche divergenti e modi diversi di pensare il Pd e la sinistra. Alcuni episodi controversi non hanno inficiato né l’esito né la qualità del voto. Ora la candidata, del Pd e dei suoi alleati, alla presidenza della Regione è Raffaella Paita, che non è affatto il simbolo della vecchia nomenclatura, è una donna giovane, un assessore uscente, con una buona esperienza amministrativa e una linea politica in sintonia con la “vocazione maggioritaria” di Renzi. Ho partecipato un mese fa ad una sorta di “Leopolda genovese” a sostegno della Paita e ho visto una grande e bella assemblea di popolo, alla quale hanno attivamente preso parte, come è giusto è bello che sia, anche molti che alle primarie avevano sostenuto Cofferati. Più complessa la situazione in Campania, dove le primarie hanno visto il confronto tra due esponenti storici come De Luca e Cozzolino. Non è una notizia, ma certamente un problema aperto, che nel Mezzogiorno la rivoluzione renziana stenta a farsi largo nei territori, più ancora che nel Centro-Nord.

Ogni giorno è un “rosario” di scandali  di corruzione. Un  buco nero insopportabile. E il PD è investito in pieno dalla questione morale. L’ultimo caso del Sindaco di Ischia è l’ennesima conferma di questo. E l’elenco è lungo. Non sarebbe il caso che Renzi, invece che martellare chi dissente da lui, cominciasse a prendere decisioni radicali? Insomma vi rendete conto, voi della segreteria, che c’è del marcio al vostro interno? Avete la percezione di quello che avviene alla “periferia dell’impero”? 

La lotta alla corruzione è uno degli assi fondamentali dell’azione del governo Renzi e del nostro lavoro parlamentare. Ne sono prova l’attivismo del giudice Cantone, presidente dell’autorità anticorruzione nominato dal governo Renzi, o la severità, per non dire la durezza, delle norme anticorruzione che sta introducendo il Parlamento con il ddl che proprio in questi giorni è all’esame del Senato: una vera e propria legislazione di emergenza, paragonabile a quella introdotta nel passato contro il terrorismo o la mafia. E se si vanno moltiplicando le inchieste contro piccoli e grandi corrotti e corruttori in giro per l’Italia, è anche perché la magistratura sa che dal Pd non solo non verrà opposto alcun ostacolo alla sua azione inquirente, ma le sarà offerta piena solidarietà e collaborazione. Poi c’è il tema, tutto politico, del rinnovamento del Pd sul territorio. Da molte parti la rivoluzione renziana non è mai arrivata, se non in forme gattopardesche. Ma non si può paventare l’uomo solo al comando e poi rimproverare a Renzi di non avere doti taumaturgiche…

Parliamo di Landini. Renzi lo ha definito un “soprammobile” da talk show. Uno scambio di “cortesie”… Certo è che Landini è un leader,  sia pure con dei limiti. Eppure si fa portavoce di bisogni e delle aspettative che non dovrebbero essere estranei ai “democrat”… non trova eccessivo snobbare quel mondo?

Se per “quel mondo” si intende il mondo operaio, il Pd di Renzi alle europee si è affermato come il primo partito tra le tute blu: era solo il terzo un anno prima, ai tempi di Bersani, terzo dopo Grillo e Berlusconi. Del resto, il governo Renzi sta dispiegando una politica economica e sociale che ha posto al centro la crescita e il lavoro, come non aveva fatto nessun governo da decenni a questa parte. Se invece per quel mondo si intende la sinistra radicale, sindacale o politica, in tutto l’Occidente ha rapporti dialettici con la sinistra riformista. Il Pd è in Europa il primo partito del Pse ed ha stretto un rapporto profondo coi democratici americani. La sinistra antagonista è contro l’euro, considera Draghi un nemico del popolo e identifica i diritti dei lavoratori con le forme storiche concrete che essi hanno assunto nel secolo scorso. Mentre invece l’unico modo per dare futuro ai diritti è rinnovare profondamente gli istituti posti a loro presidio, a cominciare dallo Statuto dei lavoratori. Il voto operaio a favore del Pd, come le sconfitte della Fiom, in particolare ad opera della Fim-Cisl, in molte recenti vicende sindacali, sono la prova che il mondo del lavoro sta in larga maggioranza dalla parte dei riformisti e non da quella dell’antagonismo sociale o politico.

Veniamo al premier Renzi. L’ottimismo della volontà è sempre una cosa positiva, perché stimola ad operare. Ma c’è anche da fare i conti con una realtà dura. Gli ultimi dati Istat sono un richiamo. Infatti , la disoccupazione torna a salire (12,7%). A febbraio diminuisce il numero di occupati di 44 mila unità rispetto al mese precedente. Il tasso di occupazione è al 55,7%, in calo di 0,1 punti sul mese e in crescita di 0,2 punti sull’anno. Insomma troppo ottimismo?

Il governo e il Pd hanno sempre espresso grande fiducia sulle possibilità dell’Italia di uscire dalla crisi. Ma anche la consapevolezza che ciò sarà possibile solo se l’Italia riuscirà ad imprimere una significativa correzione di rotta alla linea di politica economica dell’Unione europea e se saprà mettere in campo le riforme necessarie a rendere il nostro paese più competitivo sui mercati internazionali, più attrattivo per gli investimenti, più giusto sul piano sociale. Su entrambi questi fronti, governo, maggioranza, Pd, stanno lavorando intensamente e si cominciano a vedere i primi frutti. In particolare i dati su crescita ed occupazione sono ancora ambigui: ci dicono che la fase dura della crisi è alle nostre spalle, ma anche che è ancora presto per dire che siamo in ripresa e, soprattutto, che hanno ricominciato a crescere i posti di lavoro. In un contesto come questo, la cosa più giusta da fare è continuare a battersi per il cambiamento e per un cambiamento che prenda forza subito, ora, adesso, senza perdere altro tempo, senza riportare il paese nella palude.

Ultima domanda: Lei, per compiti istituzionali, si occupa  di politica estera. Qual è la percezione in Europa del PD?

Il Pd, il suo leader e il suo governo sono guardati come un elemento di speranza nel cambiamento: in Italia e in Europa. Tutti quelli che hanno a cuore la costruzione europea fanno il tifo perché Renzi ce la faccia. L’alternativa è avvitarsi in uno scenario da incubo, che potrebbe riportarci agli anni più bui del Novecento